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4° CONVEGNO INTERREGIONALE A CATANIA

Si è svolto a Catania il 15 e 16 settembre il IV Convegno Interregionale sull’attualità nel trattamento multidisciplinare dell’emofilia e delle altre coagulopatie emorragiche.
Due intense giornate arricchite non solo dagli interventi dei relatori provenienti da diverse regioni, quanto da un’atmosfera in cui la presenza dei pazienti, piccoli e adulti, è stata molto forte. Sappiamo bene quanto la partecipazione degli associati, in larga misura spesso scarsa, sia un aspetto fondamentale di questi momenti, infatti sono loro a rappresentare la sostanza, la vera forza di ogni attività, senza nulla togliere a tutti coloro che ruotano intorno ad essi: medici, caregivers, aziende e istituzioni.
Essere presenti significa ascoltare direttamente i relatori, senza filtro alcuno, rende le persone compartecipi, attive, ci si confronta e scontra, ci si mette in gioco.
Si attiva in ciascuno di noi un automatico bisogno di dire e ascoltare.
Si ha modo di conoscere aspetti fortunatamente più rari, ma subdoli e drammatici come lo stroke emorragico neonatale, magistralmente affrontato dal Dott. Falsaperla di Catania e l’emofilia acquisita trattata dal dott. Giuffrida.
Si impara a conoscere meglio i farmaci e le persone preposte a somministrarli.
Si capisce meglio cosa voglia dire “cura personalizzata” perché ognuno è un unico irripetibile e ciò che va bene a qualcuno non necessariamente va bene per tutti.
Il Dott. Morfini è stato molto chiaro su questo argomento, anzi sono anni che ne parla, la farmacocinetica è “ciò che il paziente determina sul farmaco e per questo non bisogna tanto considarare l’emivita di un prodotto, quanto la clearance del farmaco stesso”.
Per questo rimandiamo ad un precedente articolo del giugno 2017.
Perché diamo tanta rilevanza al tema della farmacocinetica?
È che in un momento particolare come questo, quasi ambiguo, dove da una parte si assiste alla promozione della qualità della vita in tutte le sue sfumature, dall’altra siamo a conoscenza di progetti regionali in cui, un accordo sottoscritto tra medici locali e amministrazioni aziendali sanitarie, non tiene minimamente conto della cura personalizzata.
Si opta per la formula  economicamente più conveniente che propone  l’acquisto dei farmaci, con gare che privilegiano le aziende che offrono il più basso costo o addirittura l’utilizzo del plasmaderivato ottenuto dalla lavorazione del plasma dei donatori dei consorzi regionali a tutti i pazienti.
Tutto in evidente contraddizione da quanto evidenziato nella lucida relazione della Dott.ssa Pisanti, Coordinatore della Commissione Malattie Croniche e componente della cabina di regia Ministero della Salute, la quale ha fortemente sottolineato come l’emofilia debba essere intesa malattia cronica, più che rara e che la cultura dell’integrazione tra istituzioni, associazioni e operatori sanitari debba portare ad una convergenza d’intenti, con l’obiettivo di un miglioramento nella qualità della vita.
Stakeholders, i portatori di interesse chi sono? I medici che rilevano una maggiore aderenza alla terapia, riduzione del rapporto costo/efficacia, riduzione delle emergenze e migliore rapporto fiduciario medico/ paziente.
Ne deriva per i pazienti una riduzione delle emorragie, una migliore qualità della vita: scuola/lavoro e nella vita di relazione, pianificazione familiare, annullamento della “diversità”.
E per ultime ma non ultime le case farmaceutiche: una valorizzazione dei prodotti, maggiori quote di mercato, espansione del mercato nei paesi in via di sviluppo e maggiori investimenti in ricerca e sviluppo.
Non è poco.
Quindi i grandi dibattiti si concentrano su: educazione (formazione e informazione), personalizzazione (prevenzione, sicurezza, accesso), ricerca (clinica, registro pazienti, raccolta e ricerca dati) e comunicazione (associazionismo, tra istituzione e cittadino, medico/paziente, tra varie istituzioni, tra gli operatori a vari livelli di assistenza, sistema dell’emergenza/urgenza).

Obiettivo è coinvolgere le associazioni che tutelano le persone con patologia cronica di rilievo nazionale, nelle decisioni e iniziative sviluppate a livello nazionale e che lo stesso avvenga a livello regionale e aziendale.
A tale scopo è altresì obiettivo, migliorare la formazione e qualificazione dei volontari, affinché acquisiscano la capacità gestionale che li porti ad operare con efficienza, chiarezza, affidabilità eticità e competenza.
I risultati che si attendono prevedono che le decisioni e iniziative, siano assunte a livello locale, regionale e nazionale con il coinvolgimento delle associazioni di tutela dei malati cronici.
Naturalmente i macro-processi di gestione della persona con malattia cronica passano attraverso diverse fasi: stratificazione e targeting della popolazione, promozione della salute, prevenzione e diagnosi precoce, presa in carico e gestine del paziente attraverso il piano di cura, erogazione di interventi personalizzati per la gestione del paziente attraverso il piano di cura, valutazione della qualità delle cure erogate.
Questa è la struttura specifica del PNC dove tutto è chiaro ed evidente.
Attendiamo solo che si passi alla fase successiva, all’attuazione quindi di quanto è stato scritto e che nella pratica non ci si debba scontrate con incongruenze inaccettabili.
A noi non interessa sapere perché tutto questo stia succedendo nell’interesse “di chi” o “per chi”, noi sappiamo che esiste un Documento del Ministero presentato dalla dottoressa Pisanti, e che va rispettato.
Ecco quindi lo spirito del convegno, riassumibile non solo nella partecipazione delle famiglie, nel legame tra loro e il medico del centro di Catania dott. Giuffrida, ma nella presenza partecipativa di tutti nel trasmettere la loro compartecipazione e fiducia per la realizzazione di un concreto miglioramento dell’assistenza attraverso l’impegno di tutti i protagonisti.
Ed è questo l’empowerment di cui tanto si parla.
Fare empowerment in sanità risponde ad un’esigenza etica, rende la medicina più umana, più capace di integrare clinica e vita, più rispettosa delle persone, con rapporti meno asimmetrici.
Quando il paziente cronico riesce a trasformare la propria esperienza quotidiana di vita in valore per darlo alla ricerca e ai caregivers, sta facendo empowerment.
E il valore dell’empowerment cresce e si organizza quando, uscito dalla sfera personale, si lega alla comunità tutta.
La persona, non più solo il paziente, fa parte di un sistema in cui esigere il diritto è sacrosanto come far fede al dovere.

m.s.r.