articoli

INTERVISTA ALLA PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA CENTRI EMOFILIA

Nel numero di gennaio, in una delle relazioni sul triennale di Napoli avevamo ripreso una intervista rilasciata dalla dottoressa Elena Santagostino neo presidente della Associazione Italiana dei Centri Emofilia (AICE).
In quella occasione aveva affrontato le problematiche più importanti legate agli argomenti svolti allo stesso convegno.
Alcune sue risposte ci hanno dato così l’occasione per tornare sugli argomenti trattati e per ampliarli soprattutto a beneficio di una maggiore chiarezza sulle problematiche più attuali riguardanti i Centri MEC, il futuro della cura e soprattutto il futuro delle professionalità legate alla cura dell’emofilia.

Dottoressa Santagostino, nella  intervista che ha rilasciato al Triennale di Napoli e che abbiamo pubblicato nel numero di gennaio, ha toccato alcuni argomenti definendoli prioritari.
Ne affrontiamo subito rivolgendole due in un’unica domanda, cercando di approfondirli e sono: il riassetto e l’organizzazione dei Centri emofilia, e di pari passo quindi il registro della patologia o meglio quello delle MEC (Malattie Emorragiche Congenite) che è stato istituzionalizzato.
Quali sono le risposte che chiedete?
“A distanza di pochi mesi da allora ho un po’ più chiare le cose da fare. naturalmente non abbiamo risolto e fatto tutto quello che c’è da fare.
C’è un lavoro molto serrato su questi due filoni perché da un lato il discorso dell’accreditamento, la formalizzazione del riconoscimento istituzionale dei Centri, delle reti regionali e delle reti territoriali, per AICE adesso è diventata una priorità assoluta.
In passato AICE aveva affrontato questo tema avviando un programma che ci era costato in termini economici oltre che in impegno di lavoro personale dei vari medici nei centri, era stato affrontato inizialmente attraverso un processo di accreditamento tra pari o accreditamento professionale per cui quel programma a suo tempo si chiamava “Improve AICE” ed era un programma dove sostanzialmente i vari Centri avevano fatto un percorso di qualità, individuato tra noi professionisti per mettersi tutti sullo stesso piano, dotarsi o migliorare i propri processi interni o per rispondere a quelli che sono i requisiti di qualità che servono per rispondere ai requisiti di un Centro emofilia moderno.
Questo processo è durato diversi anni e ha portato all’accreditamento della maggior parte dei Centri stessi.
Tutti noi abbiamo imparato una serie di cose che prima non sapevamo, cercando di digerire questi processi finalizzati alla qualità che spesso all’interno degli ospedali vengono considerati ostici.
Siamo riusciti a capire l’impatto che potevano avere sui nostri Centri e quindi è stata un’esperienza che è valsa la pena fare ed ha anche lasciato basi stabili fatto grazie alla creazione di un manuale con i requisiti da andare a verificare,  i marcatori di qualità per le varie attività del Centro.
Questo manuale è stato per noi un po’ la base per i contenuti di quanto poi è stato riportato ed è stato effettivamente dichiarato come requisito anche nell’ambito della conferenza Stato-regioni.
Adesso il problema che ha AICE e che hanno le associazioni di pazienti è quello della messa in atto di questi requisiti.
La priorità di AICE è di proseguire in questo percorso di accreditamento e di istituzionalizzazione dei Centri ma proseguire non tra noi, tra medici a livello di professione, ma con le istituzioni per arrivare appunto al riconoscimento istituzionale.
Questo è il progetto prioritario di collaborazione tra AICE e le associazioni di pazienti, FedEmo, Paracelso ecc., per arrivare a questo obiettivo quello che ci proponiamo e che stiamo discutendo in riunioni ripetute che stiamo facendo con le associazioni dei pazienti e che io sto facendo nel frattempo con il direttivo di AICE, siccome la sanità in Italia è organizzata a livello regionale, è inevitabile dover andare ad agire a livello di ciascuna regione per avere il riconoscimento istituzionale dei centri, per avere i centri attrezzati, come devono essere attrezzati in base all’accordo Stato-regioni.
Questo richiede un impegno enorme, importante e capillare, perché dobbiamo andare in tutte le Regioni.
è anche ovvio che è impossibile andare in tutte le regioni contemporaneamente nel giro di pochi mesi per cui l’idea che sta prendendo piede e sulla quale ci stiamo confrontando, l’associazione dei pazienti da una parte e AICE dall’altra, è quella di procedere con un gruppo di regioni.
Per esempio nel 2018 concentrando il nostri sforzi su un certo numero, un altro numero nel 2019, in modo da avere delle prime Regioni dove si ottiene un risultato che poi fanno da traino rispetto ad un secondo gruppo che subentra.
Questo è un lavoro che verrà fatto a livello regionale dalle associazioni dei pazienti e da AICE contattando le personalità che formalmente rispondono di politica sanitaria a livello regionale”.

Tutto questo lavoro si collega anche all’altro punto, quello dell’organizzazione nei Pronto Soccorso?
“Certamente si collega all’emergenza perché per le associazioni dei pazienti e anche per noi, è un punto cruciale.
Già dall’anno scorso ci siamo resi conto che l’organizzazione delle emergenze è la punta dell’iceberg che rispecchia quanto i servizi per l’emofilia sono organizzati in quel territorio, ma naturalmente fa parte di un’organizzazione più grande che è l’organizzazione dell’assistenza all’emofilico ed è difficile organizzare l’emergenza se non è organizzata tutta l’assistenza, perché non si può fare bene l’emergenza se non c’è un buon laboratorio ed un buon Centro che assiste.
Dall’altra parte non esiste un buon Centro se non si è in grado di provvedere alle emergenze e quindi sulla rete territoriale queste diverse facce dell’assistenza all’emofilico vanno affrontate e vanno affrontate comprendendo che sono legate.
Questo è lo step successivo che  va oltre l’organizzazione dell’emergenza, perché negli argomenti dell’accordo Stato-regioni c’è tutta una parte riguardante proprio questo argomento.
Però è soltanto una parte e noi vogliamo che si affronti in maniera un po’ più globale il problema e far sì che a livello regionale questi Centri vengano riconosciuti e supportati anche perché abbiamo assistito negli ultimi anni allo scomparire di alcuni di questi Centri, al pensionamento di molti professionisti e alla perdita di molte risorse non solo in senso medico, ma anche di infermieri, personale che serve all’interno dei Centri.
Questi temi verranno ulteriormente lanciati e discussi durante la giornata mondiale dell’emofilia organizzata da Fedemo.
Questi sono concetti generali, idee di cui stiamo discutendo sia in AICE che in FedEmo e in Paracelso come attività da fare in collaborazione”.

In questo scenario che ci ha descritto, come si inserisce l’argomento del  “Registro”?
“Questo è l’altro versante che però in parte si collega perché da tempo abbiamo un’attività di raccolta dati in AICE che riguarda tutti i pazienti con emofilia e con le altre malattie ereditarie rare della coagulazione.
Questa raccolta dati ha sempre contribuito da un lato a mantenere il nostro livello di attenzione come medici a quelli che erano e sono i bisogni assistenziali dei malati man mano che emergono.
Negli anni ’80 l’emergenza era rappresentata dall’HIV, poi c’è stato il grosso dilagare delle epatiti e le cirrosi conseguenti.
Ora vediamo il successo delle terapia dell’epatite, la vediamo scomparire dall’epidemiologia dei nostri pazienti, però emergono nuovi bisogni.
Ci stiamo focalizzando sulla situazione ortopedica, sulla salute articolare, sulla prevenzione delle emorragie, sul livello di salute e la qualità della vita e in parallelo, sull’utilizzo dei farmaci, sui consumi non solo in termini di consumo e di costo ma di consumo, che d’altra parte dà salute.
è chiaro che se guardiamo soltanto i costi come spesso viene fatto in politica sanitaria senza guardare i benefici in termine di salute, diventa un esercizio abbastanza sterile.
Questi dati sono sempre stati raccolti in AICE e condivisi con l’Istituto Superiore di Sanità, infatti un membro dell’Istituto è anche membro del nostro direttivo proprio per siglare una collaborazione che continua, si aggiorna e si ammoderna in base alle esigenze che abbiamo e quelle che abbiamo adesso sono sicuramente di avere una raccolta dati puntuale, che sia centrata sulle tematiche di interesse attuale, come l’inibitore, lo stato articolare, l’utilizzo dei farmaci, la qualità della vita.

L’IMPORTANZA DELLA COLLABORAZIONE FRA AICE E ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’
Per quanto riguarda l’Istituto Superiore di Sanità naturalmente anche a livello di politica sanitaria sono interessati a questi aspetti, ma lo sguardo con il quale analizzano i dati è da esperti di sanità pubblica e non da clinici, quindi noi pensiamo che la collaborazione tra Istituto Superiore di Sanità e AICE se integrata ci dia il panorama complessivo e ci permetta anche di fare una buona politica sanitaria.
AICE sta rimodernando la sua modalità di raccolta dati e stiamo impegnando fondi ed energie per farlo, in parallelo l’Istituto Superiore di Sanità ha avuto riconosciuto per decreto ministeriale il registro delle MEC proprio istituzionalizzato presso l’Istituto Superiore di Sanità, quindi sono stati investiti in maniera ufficiale per legge e sono i detentori del Registro e stiamo cercando di concordare i flussi dei dati tra i Centri emofilia, AICE, l’Istituto Superiore di Sanità e le Regioni. Per ciò che riguarda queste ultime i Centri già forniscono dati essenziali per la gestione sanitaria a livello regionale dei nostri pazienti e tali dati dalle regioni possono convergere verso l’Istituto Superiore di Sanità.
Lo sforzo che vuole fare AICE è che i Centri questi dati li raccolgano una volta sola e che il flusso sia organizzato in modo da  condividere i dati rilevanti con le regioni per ciò che è di loro pertinenza, con l’Istituto Superiore di Sanità per ciò che è di sua competenza e di gestire e analizzare in AICE quei dati più prettamente clinici che ci competono.
Se riusciamo ad organizzare il flusso di dati in questa maniera riusciamo ad ottimizzare la raccolta dei dati  dirigendo il frutto di questo lavoro verso le varie istituzioni a cui compete.
Tutto questo flusso di dati serve a rappresentare sia presso le Regioni che presso l’Istituto Superiore di Sanità e quindi anche a livello politico-sanitario, la mappa dei Centri e dei pazienti e di conseguenza la mappa dei bisogni, cioè com’è organizzata l’assistenza all’emofilia in Italia, attraverso quali Centri, il flusso di pazienti, il carico di lavoro. Speriamo che questa attività che si svolge in parallelo rispetto a quella volta al riconoscimento istituzionale dei centri sia recepita a livello di politica sanitaria, di stanziamento di risorse per supportare la sopravvivenza di questi Centri.
Per ora tutte queste iniziative non vedono un finanziamento ne regionale ne nazionale, e questo è un problema”.

Vorremmo evidenziare con questa domanda, un argomento che ci sta molto a cuore e del quale lei ha accennato rispondendo alla domanda sull’organizzazione: il rischio di perdita di una professionalità che oggi ha raggiunto un altissimo livello.
Esiste da parte di AICE tra gli obiettivi che vi siete prefissi, l’istituzione di una di scuola per formare in modo capillare professionisti esperti di emofilia?
Anche al Triennale di Napoli sono stati stati premiati diversi giovani, ma sono convinti che siano nella maggioranza dei casi, precari, nel senso che molti lavorano nei Centri con borse di studio, quindi in una sorta di precariato.
è possibile che AICE istituisca una scuola, questo perché il suo predecessore, il prof. Di Minno, quando fu da noi intervistato ne aveva parlato come una concreto iniziativa da portare avanti nel suo triennio.
“Abbiamo fatto di recente una esperienza abbastanza sconcertante, nel senso che nella precedente presidenza AICE, con il prof. Di Minno, si dibatteva dell’esigenza formativa della nuova generazione di medici e anche del personale sanitario preposto all’assistenza all’emofilia quali fisioterapisti, infermieri, ortopedici.
Per fare questo avevamo organizzato degli stage disegnati per giovani medici presso Centri esperti affinché potessero imparare sul campo, fare un training, vedere casistiche rare, dato che nelle malattie rare il corso di un paio di giorni può essere utile per dare delle informazioni teoriche ed AICE stessa organizza convegni educativi di uno, due giorni ma ci rendiamo conto che è l’esperienza sul campo che manca e questa esperienza va fatta presso Centri che hanno tanta casistica.
Pertanto avevamo disegnato un progetto destinato ai giovani medici dove AICE supportava il costo della trasferta in un’altra città per il medico che quindi avrebbe frequentato un grosso centro Emofilia durante due periodi di sei mesi.
Purtroppo questa esperienza per i medici è risultata fallimentare perché i giovani che  lei ha descritto come precari, in effetti lo sono, ma hanno anche estrema difficoltà ad allontanarsi dal loro precariato perché se si allontanano rischiano di perdere il posto.
Faccio l’esempio del Centro che ha un giovane medico che opera con un contratto a tempo determinato o con una borsa di studio.
Se dice mi allontano per sei mesi perché vado in un grosso Centro a fare esperienza sulla chirurgia ortopedica o sull’inibitore o altro, quel piccolo Centro che bisogno di lui perché non ha personale, non lo autorizza e gli dice che la borsa di studio la deve dare a qualcun altro perché non si può lasciare scoperto il servizio.
Questa è la drammatica situazione dei giovani medici nel nostro settore quello dell’emofilia, in Italia.
Ora stiamo cercando di ridiscutere in che modo poter rilanciare l’iniziativa ma vogliamo ovviamente escogitare un sistema che sia più fattibile.
Mentre invece per altre figure professionali come i laboratoristi, per esempio, sempre nel mandato precedente abbiamo fatto la stessa cosa presso grandi Centri dove molte metodiche di laboratorio sono in uso e quindi questi laboratoristi potevano imparare.
Probabilmente erano più garantiti come posizione ed hanno potuto assentarsi temporaneamente per questo tipo di addestramento pratico; ,quel quindi in questo settore il progetto ha funzionato ed ora stiamo pensando di  ripeterlo.
Vedremo sui fisioterapisti che cosa fare.
è una tematica molto difficile perché anche passando da una figura professionale all’altra si possono incontrare problematiche molto diverse.
Alla luce di queste esperienze si comprende ancor meglio perché vogliamo puntare all’istituzionalizzazione dei Centri; infatti  finché l’assistenza si fonda sui precari è anche molto difficile garantire l’adeguata  formazione professionale di tutto il personale e ciò può incidere negativamente  sulla qualità dei nostri servizi e dell’assistenza che possiamo erogare”.

Come si potrebbe risolvere il problema della precarietà dei medici nelle strutture dei Centri emofilia?
“Questo è un lavoro da fare insieme perché le associazioni dei pazienti sono molto più ascoltate rispetto ai medici stessi. I pazienti sono gli utenti, coloro a cui il servizio è destinato.
Sono i primi in grado di giudicare e di portare i problemi all’attenzione dei manager e degli amministratori.
Per esempio, FedEmo può analizzare il flusso dei pazienti in Italia e seguendo tali flussi si ottengono dati reali sui quali si possono sollecitare interventi per organizzare meglio i servizi sanitari sul territorio.
Questo tipo di lavoro presso le istituzioni può essere fatto insieme, perché noi come AICE possiamo portare le esigenzedei clinici.
Voi come pazienti potete portare le vostre esigenze ed, in particolare, cosa manca nell’assistenza o cosa si rischia che venga a mancare nel prossimo futuro.
Anche se pensiamo alla prospettiva dei nuovi farmaci dobbiamo riuscire ad avere uno sguardo al domani, e non intendo al futurolontano perché in realtà le nuove strategie terapeutiche si stanno avvicinando  e noi dobbiamo attrezzarci”.

A proposito dei nuovi approcci terapeutici, ciò che ha destato più scalpore, soprattutto a Napoli, è stato il farmaco per coloro che sviluppano l’inibitore che è il vero grande problema attuale dell’emofilia. Può spiegarmi con parole semplici come viene somministrato questo farmaco, in che modo, agisce e quali sono i benefici?
“Penso che lei si riferisca al primo farmaco per via sottocutanea.
Per i pazienti con inibitore è quello più avanzato nelle sperimentazioni cliniche e attualmente è stato commercializzato negli Stati Uniti.
Altri farmaci che per certi versi possono assomigliare sono in studio; quindi certo, il primo farmaco per via sottocutanea per l’emofilia fa scalpore, ma ci saranno altri farmaci per via sottocutanea che sono allo studio.
Hanno tutti meccanismi di azione diversi però hanno in comune la somministrazione sottocutanea.
Per quello che riguarda l’emicizumab, il più avanzato di cui stiamo parlando, si somministra per via sottocutanea con frequenza che può essere una volta alla settimana.
Ora in certi studi viene usato anche ogni due settimane o una volta al mese; il principio attivo è costituito da un anticorpo monoclonale che mima l’azione del fattore VIII senza essere fattore VIII e di conseguenza non essendolo non viene riconosciuto dall’inibitore, funzionando quindi nei pazienti con l’inibitore”.

La possiamo considerare quindi una sorta di profilassi?
“Sì perché non funziona per il trattamento dell’emorragia acuta e non può funzionare per la copertura chirurgica di grossi interventi, però garantisce una copertura profilattica e una protezione dalle emorragie.
Questa protezione può anche in taluni casi ridurre la necessità di trattamento chirurgico per piccoli interventi e se l’intervento è molto piccolo può non esserci bisogno di altri farmaci.
Per gli altri nuovi agenti terapeutici il meccanismo di azione è diverso in quanto sbilanciano l’emostasi a favore della coagulazione, cioè facilitano la coagulazione del sangue e questo chiaramente per l’emofilico produce un vantaggio e cioè una protezione dall’emorragia.
Anche questi farmaci probabilmente non serviranno per curare l’emorragia acuta e nella chirurgia maggiore.
C’è molta aspettativa per questi nuovi farmaci ovvio sottocute tuttavia ci sono stati anche effetti collaterali importanti di tipo trombotico, sono farmaci che vanno usati sotto stretta sorveglianza, che richiedono delle metodiche particolari per il monitoraggio di laboratorio.  quindi anche i laboratori si devono attrezzare perché questi nuovi farmaci pongono degli aspetti di laboratorio completamente diversi rispetto a quelli che ormai noi siamo abituati a gestire.
Sono sicuramente una grossa promessa per i pazienti con inibitore, però non sono la panacea di tutti i mali e l’uso di questi farmaci richiede una grossa esperienza da parte dei medici che li usano ed anche i pazienti vanno adeguatamente informati e preparati ad usarli”.

Ma se insorge un’emorragia?
“Si devono usare gli agenti bypassanti perché questi farmaci non funzionano nell’emorragia acutae quindi puoi aver bisogno di usare altri farmaci per curare l’emorragia e questo può rendere complicata la gestione del paziente.
Ancora una volta il medico deve essere ben preparato, esperto, il paziente molto ben educato, molto informato perché il modo di usare gli agenti bypassanti in associazione a questi nuovi farmaci è diverso, il dosaggio è diverso e quindi da un lato questi farmaci danno un vantaggio al paziente con inibitore però richiedono una grossa opera di informazione, educazione e monitoraggio pertanto di nuovo la stretta collaborazione tra medico e paziente è essenziale”.

La settimana scorsa abbiamo avuto un incontro al Tiget di Telethon, che studia i difetti genetici alla base di alcune malattie ereditarie, ed a Milano, presso l’Istituto San Raffaele,  sviluppa i protocolli di terapia genica.
Erano presenti, oltre a noi di EX,  i rappresentanti dei pazienti Fedemo e Paracelso per fare il punto sulla terapia genica.
I ricercatori hanno ribadito con forza la collaborazione con gli ematologi.
Avete incontri periodici con loro e come si svolge questa collaborazione?
“Si, abbiamo avuto scambi periodici.
Ci teniamo reciprocamente aggiornati perché i progressi vanno valutati giorno per giorno.
Facciamo riunioni per consentire gli aggiornamenti, poi è chiaro che noi ematologi ci teniamo a far presente le nostre esigenze di cura cioè che cosa è importante ottenere in senso clinico per il paziente con emofilia. Io trovo molto importante questo incontro che si è verificato tra pazienti e ricercatori perché è necessario che i bisogni del paziente non passino sempre attraverso la voce del medico. Noi medici cerchiamo di interpretare i vostri bisogni attraverso la nostra professione e attraverso le nostre competenze ma il paziente è il primo che può dire quali sono esprimendoli anche ai ricercatori che a volte sono considerati lontani dalla realtà clinica.
Questi specialisti rappresentano  ulteriori figure professionali che si aggiungono allo staff che serve per curare l’emofilia.
Noi abbiamo sempre detto che la cura dell’emofilia è multidisciplinare, le diverse specialità che oggi contribuiscono alla salute dell’emofilico aumentano sempre più.
Abbiamo bisogno del geriatra, del genetista, addirittura, in questo caso, dell’esperto in terapia genica perché la terapia genica arriverà, per ora intanto è già in fase di sperimentazione clinica negli adulti anche se certamente è difficile al momento prevedere i tempi di una diffusione più larga di questo promettente approccio”.

———————-
L’evolversi della cura dell’emofilia, le novità terapeutiche ed i nuovi farmaci, rappresentano un ulteriore passo avanti nel panorama sanitario nazionale, ma allo stesso tempo, come rilevato durante il colloquio, c’é la preoccupazione per il rischio di non avere un numero suffiente di medici esperti in grado di sostituire gli attuali.
è evidente poi che la collaborazione fra medici e rappresentanti dei pazienti sia uno dei punti fondamentali per incidere nei confronti delle autorità sanitarie nazionali per il riconoscimento ufficiale dei Centri di cura (MEC).

Redazionale

Tag:,