L’Università Vanvitelli di Napoli ha ospitato lo scorso 13 aprile, un incontro sul tema della talassemia ed emoglobinopatie oggi.
Fondamentale è stata per la giornata la presenza non solo dei pazienti provenienti da diverse regioni italiane, ma anche la competenza dei relatori, molti dei quali giovani, che sono intervenuti.
è per noi fonte di grande soddisfazione vedere il succedersi di nuovi medici nel mondo delle patologie che seguiamo, perchè questo rappresenta la maggior garanzia di continuità e crescita per nuove ed efficaci terapie.
Assistere dunque ad eventi in cui la competenza si affianca all’entusiasmo, ci fa ben sperare su prossimi successi.
Abbiamo apprezzato molto l’intervento della dottoressa Danesi, endocrinologa dell’Istituto Auxologico di Milano, la quale ha fortemente sostenuto che, per il paziente talassemico, dopo il problema della sopravvivenza, è arrivato quello della sessualità. Argomento tabù di cui pochissimo si parla e non solo nella sfera delle emoglobinopatie, che va sostenuto con l’aiuto psicologico, perchè non basta più intervenire con i farmaci per lo sviluppo.
m.s.r.
UNITED, in collaborazione con A.O.U. – Università degli Studi della Campania “L.Vanvitelli”, i clinici di Napoli, Salerno, Milano, l’Associazione Piera Cutino – Sez.ione di Napoli e le associazioni di pazienti di talassemia ed emoglobinopatie della Campania, hanno organizzato un convegno dal titolo “Talassemia ed Emoglobinopatie oggi”.
È intervenuto il presidente di UNITED Valentino Orlandi. Erano presenti i rappresentanti delle Associazioni dei pazienti e del direttivo della Federazione.
EMOGLOBINOPATIE: DAI NUOVI FARMACI ALLA TERAPIA GENICA
La Dott.ssa Immacolata Tartaglione (Pediatra, Dottoranda Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli) ha aperto i lvori con l’argomento “Emoglobinopatie oggi: dai nuovi farmaci alla terapia genica”, illustrando alcune terapie innovative e parlando di buoni risultati scientifici riguardo la sperimentazione del farmaco Luspatercept, “un agente di maturazione eritroide – ha detto testualmente – per il trattamento di pazienti adulti con rischio da molto basso a medio da sindromi mielodisplastiche (MDS) associate all’anemia che hanno sideroblasti ad anello e richiedono trasfusioni di globuli rossi (RBC) e per il trattamento di pazienti adulti con anemia associata a beta talassemia che richiedono trasfusioni di globuli rossi”.
L’età media dei pazienti di questa sperimentazione è stata di trent’anni in entrambi i bracci del trattamento.
I dati erano stati presentati dalla Prof.ssa Domenica Cappellini nel corso di una sessione orale al 60° meeting annuale dell’American Society of Hematology (ASH) a San Diego, California, e, suggeriscono che Luspatercept possa aiutare i pazienti a ridurre la dipendenza dalle trasfusioni (33% riduzione del fabbisogno trasfusionale con una riduzione di almeno 2 unità di RBC nel corso delle settimane 13–24 rispetto al valore baseline riferito al fabbisogno trasfusionale nell’intervallo di 12 settimane precedente alla randomizzazione).
Celgene è una società biofarmaceutica americana, con sede centrale a Summit, nel New Jersey, e attività in diversi paesi.
È completamente integrata: scopre, sviluppa e commercializza farmaci per diverse patologie e alla luce dei risultati positivi ottenuti ha presentato una domanda di licenza biologica. un ormone peptidico prodotto dal fegato, e, che, sembra essere il principale regolatore dell’omeostasi del ferro.
Si annovera tra i nuovi farmaci innovativi l’epcidina che è una piccola proteina responsabile della regolazione del riciclo del ferro e dell’equilibrio del ferro corporeo.
L’epcidina regola l’assorbimento del ferro dall’intestino ed il suo rilascio dai macrofagi (le cellule di deposito coinvolte anche nel sistema immunitario); sembrerebbe essere il regolatore dei depositi di ferro a lungo cercato, pertanto i livelli di epcidina anormalmente bassi causati da mutazioni genetiche o patologia secondaria possono essere sostituiti con epcidina per ripristinare l’omeostasi (parametri normali) del ferro. Agisce insieme ad altre proteine che regolano il metabolismo del ferro, ma non è ancora completamente noto come queste proteine interagiscano (comunichino) tra loro.
È però chiaro, oggi, che l’epcidina è la proteina chiave che dà il segnale ad altre all’interno del metabolismo del ferro.
Quando tutte le proteine che regolano il ferro funzionano bene e ricevono il segnale corretto dall’epcidina, una quota di ferro appropriata per il fabbisogno corporeo sarà trasferita nel sangue, in modo da evitare un eccessivo accumulo di ferro nei tessuti.
L’eccesso o la riduzione di epcidina è la causa delle alterazioni a valle di questo fine meccanismo di regolazione del ferro: la mancanza di epcidina determina sovraccarico di ferro, mentre un eccesso di epcidina causa anemia.
Per il trattamento della Sickle cell la Dottoressa Tartaglione ha parlato di un nuovo farmaco: il Crizanlizumab (Studio SUSTAIN presentato durante il 60° Meeting di San Diego).
Il trattamento consiste nell’infusione di anticorpi monoclonali anti P-selectina umanizzata per una volta al mese con evidente riduzione delle crisi vaso-occlusive; è terminato a marzo 2019 e sono stati arruolati 132 pazienti per 52 settimane.
Attualmente si stanno approntando nuovi studi di sperimentazione clinica per generare una serie di dati aggiuntivi sul ruolo svolto da Crizanlizumab nella gestione della drepanocitosi.
CHE COS’E’ L’ASPLENIA
La relazione della dott.ssa Maddalena Casale (Pediatra, Ricercatrice, Emato-Oncologia Pediatrica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli) si è incentrata sulla tematica dell’“Asplenia” che è un grave deficit funzionale della milza, che molto spesso comporta rischi infettivi di grave entità.
Milza Iposplenia o iposplenismo, invece, sono i termini usati per descrivere il ridotto funzionamento splenico; in tal caso, la milza è meno compromessa rispetto all’asplenia.
“Un soggetto splenectomizzato o con iposplenismo funzionale (es: drepanocitosi), – ha affermato – ha una maggiore suscettibilità ad infezioni da parte di alcuni micro-organismi quali: streptococco pneumoniae, haemophilus influenzae o neisseria meningitis; pertanto, è indispensabile, in caso di febbre, e/o segni e sintomi che possano indirizzare verso uno stato infettivo, iniziare immediatamente la terapia antibiotica (con ceftriaxone o amoxicillina-clavulanico oppure levofloxacina o moxifloxacina) e richiedere la valutazione clinica.
I morsi di animali e le punture di insetti devono essere trattati con particolare prontezza ed attenzione, in quanto possono costituire la porta d’ingresso di microrganismi patogeni.
Sulla base di queste premesse nel soggetto splenectomizzato/asplenico sono fortemente raccomandate la vaccinazione anti-pneumococcica (PCV13 e PS23), anti haemophilus, anti meningococcica (MenC+ e MenACWY coniugato Nimenrix) ed antinfluenzale. La profilassi antibiotica nei bambini asplenici nei primi 5 anni di vita ha un’indicazione assoluta; nei soggetti asplenici oltre i 5 anni d’età se vi è stato precedente episodio di batteriemia o condizioni di particolare rischio infettivo e nei primi due anni successivi alla splenectomia; nei soggetti asplenici adulti non vi è indicazione alla profilassi, ma attenta educazione del paziente all’assunzione precoce di terapia antibiotica se febbre e/o segni o sintomi d’organo (es. tosse, cefalea, dolore dentale).
Al momento non esistono evidenze scientifiche solide che permettano di stabilire quale, tra i diversi regimi raccomandati sia il più sicuro ed efficace”.
La dottoressa Casale ha poi messo in evidenza come la splenectomia sia una procedura che può avere una indicazione in quasi tutte le forme di anemie congenite e come sappiamo in forme di emoglobinopatie quali la drepanocitosi si ha un iposplenismo funzionale.
“Il paziente splenectomizzato o con un iposplenismo funzionale – ha concluso – richiede essere oggetto di una particolare attenzione al fine di prevenire l’evoluzione rapida di infezioni. Trattandosi di eventi non prevedibili ed i cui presupposti si presentano prevalentemente in ambiente extraospedaliero, è di fondamentale importanza una accurata educazione del paziente finalizzata a mantenere sempre alto il livello di guardia ed il passaggio di informazioni ai curanti sul territorio. Fondamentale è la copertura vaccinale”.
LA TERAPIA TRASFUSIONALE
La dott.ssa Elisa De Michele (AOU San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona – Salerno) ha parlato della “Terapia trasfusionale”, illustrando in un primo momento in modo schematico il perché bisogna saper conoscere e fare bene la terapia trasfusionale per il paziente talassemico affermando che “L’emotrasfusione continua ad essere fino ad oggi il presidio fondamentale nella cura della talassemia e rappresenta una “scelta obbligata” che consente la sopravvivenza dei pazienti; non rappresenta una terapia “sostitutiva” per ridurre lo stato anemico ma agisce modificando i meccanismi patogenetici responsabili delle manifestazioni cliniche.
L’alterato rapporto tra catene alfa e catene beta, determinato dal difetto genetico, determina una eritropoiesi inefficace causa dello stato anemico ed ipossico del paziente. È necessario mantenere un intervallo regolare che può variare tra 2 e 5 settimane per ottenere il mantenimento di un Hb pretrasfusionale compresa tra 9 e 10,5 g/dl e di una Hb post-trasfusionale mai superiore a 14 g/dl.
L’emocomponente da trasfondere è ben descritto dalle raccomandazioni SITE-SIMTI.: CE di età <10 gg dal prelievo; concentrato Hb > 56 gr/unità; leucodeplezione < 100.000 per Unità; basso contenuto di citochine (filtrazione pre-storage); contenuto proteico a 0,5 gr/unità (per i pazienti allergici alle proteine plasmatiche emazie lavate manualmente o in automatico).
La quantità di sangue da trasfondere dipende da molti fattori tra cui: il peso del paziente, il valore di Hb che si vuole raggiungere, Ht della sacca, età del paziente, complicanze; il volume: non superiore ai 10/15 ml/kg, nei cardiopatici 5ml/kg. Il tempo ideale di trasfusione della singola unità di globuli rossi concentrati è di circa 60 minuti e comunque non superiore a 90 minuti.
Un altro aspetto molto importante è la sicurezza della trasfusione all’atto dell’identificazione emocomponente-paziente.
Infatti, oltre ad essere registrata la richiesta e l’assegnazione della sacca al paziente in dispositivi come la cartella elettronica ora è anche necessario il riconoscimento del paziente mediante bracciale che può essere anche elettronico”.
Concludendo ha poi affermato che alla terapia trasfusionale è strettamente legata la terapia ferro-chelante in quanto una unità di sangue può contenere 200 mg di ferro e in genere per mantenere una Hb di 12 g/dl sono necessari 100-200 mL/kg/anno di eritrociti puri portando all’introduzione di 0.3-0.5 mg/Kg/giorno di ferro.
Si è visto come la terapia ferro-chelante se praticata correttamente sia efficace e aumenti fortemente la sopravvivenza del paziente.
I TRAPIANTI E LE POSSIBILI OPPORTUNITA’
La Prof.ssa Francesca Rossi (Pediatra, prof. Associato Emato-Oncologia Pediatrica AOU Policlinico Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli) ha parlato di “Trapianti e possibili opportunità”.
Affrontando subito l’argomento ha affermato che: “Ci sono due aspetti da considerare relativamente a questa tecnica:
1) la maggior reperibilità del donatore: non più solo il fratello compatibile;
2) supporto nella scelta di ricorrere al trapianto: il trapianto è una tecnica comunque rischiosa e la thalassemia è attualmente una patologia a basso rischio quando trattata in modo adeguato.
Quindi è necessario ridurre il rischio di rigetto, mortalità, di contrarre malattie di peggior gestione rispetto alla malattia di partenza.
Il fattore limitante è la fase di condizionamento pre-trapianto che è ancora troppo severa soprattutto nell’adulto.
Si cercano comunque continuamente protocolli di condizionamento che possano ridurre la mortalità, anche puntando al chimerismo (coesistenza di cellule del midollo derivate dal trapianto e cellule proprie del paziente) anziché alla totale sostituzione del midollo.
Si cerca anche di ampliare il bacino dei possibili donatori non solo il fratello HLA compatibile ma anche familiari (soprattutto dove la consuetudine di matrimonio fra consanguinei è elevata) fino ad includere donatori da registro.
La filosofia recente è che si può abbassare moltissimo il rischio di mortalità o malattia linfocitaria data dal condizionamento accettando un maggior rischio di rigetto (anche il 43%), eventualmente a questo punto si può ripetere il trapianto successivamente sfruttando la coda di immunosoppressione successiva al primo trattamento.
Il trapianto aploidentico (cioè da registro) è l’alternativa al trapianto da fratello o familiare.
Il rischio di sviluppo di tumore a causa del condizionamento per il trapianto al momento non è valutabile perché servono ancora studi specifici e una valutazione a lungo termine.
Ha ripercorso l’esperienza di Terapia Genica della BLUEBIRD BIO (Prof. Locatelli). L’obiettivo della terapia genica è instaurare la produzione di catene γ (gamma) dell’emoglobina, queste catene non avendo la mutazione che affligge invece le catene β sono efficaci nel trasporto dell’ossigeno.
Si usa un vettore lentivirale per il trattamento del sangue periferico del paziente.
Poi il paziente deve essere monitorato per circa 15 anni.
Dopo l’introduzione dell’elemento geneticamente modificato il picco di emoglobina è di almeno 6 gradi e resta costante sia nei β0 (beta zero) che nei β+.
A 18 mesi di follow up i β+ sono diventati indipendenti da trasfusione con emoglobina di 9,5/12 mentre nei pazienti β0 si ha una riduzione delle trasfusioni o riduzione del fabbisogno di sangue trasfuso.
La terapia genica viene utilizzata anche per trattare il paziente adulto mentre la terapia trapiantologica ordinaria è applicabile solo in ambito pediatrico.
In un secondo momento si fa riferimento all’esperienza del CHOP, ove, il vettore utilizzato non si era rivelato abbastanza sicuro in precedenti studi però ha aperto il filone di ricerca.
È stato necessario quindi ingegnerizzare il vettore, oltre a trovare un metodo di screening più rapido ed efficace per selezionare i vettori. L’obiettivo era identificare i vettori capaci di aumentare significativamente l’Hb con un basso numero di coppie vettoriali”.
In conclusione ha fatto riferimento all’esperienza del TIGET, affermando che il bersaglio ideale è la cellula ematopoietica prelevata dal midollo, trattata e reintrodotta nel paziente.
L’approccio si è rivelato sicuro, stabile (7 anni di follow up).
“Nella talassemia – ha concluso – ci sono voluti molti anni per ottenere il giusto bilanciamento nella produzione di β-globina al fine di avere Hb corretta.
I molti anni di ricerca sono stati necessari per trovare il corretto vettore, affrontare la fase preclinica su topo talassemico poi la fase clinica sui pazienti.
Il condizionamento è a bassa tossicità, viene comunque preso un campione di midollo del paziente e tenuto come backup nel caso del non attecchimento delle cellule trattate, anche se nel paziente thalassemico si assiste di solito ad un ripristino spontaneo del proprio midollo.
Il trattamento viene effettuato su pazienti con specifiche caratteristiche di età (fino ai 35 anni) con funzione cardiaca-polmonare non compromessa e senza infezioni HCV, HIV, accumulo di ferro assente, alto bisogno trasfusionale.
Il follow up raccomandato è di 2 anni.
Al momento i pazienti trattati sono tutti vivi. Buoni dati di attecchimento con reinfusione intra-ossea”.
COINVOLGIMENTO CEREBRALE NELLE EMOGLOBINOPATIE
Il Prof. Renzo Manara (Neurologo e Neuradiologo, Prof. Associato Università degli Studi di Salerno Scuola medica salernitana sezione di Neuroscienze, Salerno) nel suo breve intervento su “Coinvolgimento cerebrale nelle emoglobinopatie”, ha mostrato uno studio sugli aspetti cognitivi nella talassemia, illustrando le metodiche dello studio, nel quale si escludono complicanze a livello celebrale dei pazienti (meno di 20) che hanno partecipato allo studio e di una paragonabile risposta cognitiva dei pazienti talassemici confrontata con un gruppo di controllo non talassemici.
La valutazione degli aspetti cognitivi ha preso in esame anche aspetti non prettamente clinici, quali il grado di istruzione, il tipo di lavoro svolto, inserimento sociale e concludendo, il ferro non sembra influenzare e nuocere sugli aspetti cognitivi dei pazienti.
Occorre sicuramente approfondire ulteriormente gli studi.
IL PROBLEMA DELLA SESSUALITA’ NELLE EMOGLOBINOPATIE
La dott.ssa Leila Danesi (Endocrinologa Istituto Auxologico Italiano, Milano) su “Il problema della sessualità nelle anemie congenite”, argomento sempre molto sentito e partecdipato, ha illustrato l’apparato endocrino mettendo in evidenza le complicanze endocrine nella talassemia: ipoparatirodismo, GHD nell’adulto, ipotiroidismo, diabete mellito, iposurrenalismo, bassa statura, ipogonadismo, osteopenia/osteoporosi.
Nel dibattito che ne è seguito si è poi discusso del problema della sessualità, e, di conseguenza, della fertilità (capacità di riprodursi).
“Le cause possono essere di origine organica, di origine psicologica e di origine mista – ha affermato la dottoressa Danesi – Tra le cause di origine organica si evidenzia l’ipogonadismo: ipogonadotropo o centrale + ipergonadotropo o primario.
Tra le cause: accumulo marziale nelle cellule ipofisarie secernenti gonadotropine e a livello gonadico; ipossiemia cronica; epatopatia cronica; predisposizione genetica; carenze nutrizionali e di zinco miglioramento dello sviluppo testicolare in corso di terapia con zinco in pazienti non talassemici carenti; stress psicofisico.
L’ipogonadismo nell’uomo talassemico presenta: ridotte dimensioni testicolari, scarso o assente sviluppo dei caratteri sessuali secondari (peli pubici, barba, tono di voce, distribuzione e tono muscolare), ridotti desiderio e potenza sessuale, ridotta fertilità da danno genetico del dna degli spermatozoi, alterata motilità degli spermatozoi; nella donna talassemica presenta: ipoplasia uterina, amenorrea (assenza di ciclo mestruale), scarso o assente sviluppo dei caratteri sessuali secondari (ghiandola mammaria, distribuzione ginoide dell’adipe), ridotta libido e secchezza vaginale.
Nella donna la fertilità diminuisce con l’avanzare dell’età, dopo i 31 anni.
Nell’uomo la riduzione di fertilità con l’avanzare dell’età è meno evidente.
La fecondazione si verifica se sono soddisfatte alcune condizioni: corretta ovulazione; corretta qualità, frequenza e timing dei rapporti sessuali; capacità fecondative del seme; integrità delle vie genitali femminili, soprattutto tube.
La spermatogenesi:
alterazioni di forma+riduzione di motilità e numerosità degli spermatozoi rispetto ai soggetti sani; danno del DNA; maggiori difetti di cromatina in relazione alle basse concentrazioni di spermatozoi; associazione negativa tra i valori di ferritina e la morfologia degli spermatozoi.
Si fa riferimento all’induzione di spermatogenesi: gonadotropina corionica; gonadotropina umana della menopausa oppure ormone follicolo-stimolante.
Durata massima del trattamento senza interruzioni 2 anni; all’induzione di ovulazione: (adeguamento soggettivo della dose) valori di estradiolo plasmatico, comparsa e sviluppo di follicoli nelle ovaie (monitoraggio ecografico), rottura del follicolo con liberazione dell’ovulo, consigliati rapporti sessuali nella stessa giornata e nel giorno successivo, fecondazione, e, alle tecniche di fecondazione assistita:
inseminazione in vivo.
Grazie ai progressi ottenuti nel campo delle trasfusioni e della terapia chelante si è verificato nei pazienti talassemici un significativo aumento della durata e della qualità di vita.
È possibile ottenere la fertilità sia nell’uomo che nella donna con tecniche di induzione di spermiogenesi e di ovulazione nelle situazioni clinicamente compatibili”.
COME SI TRASMETTONO LE POSSIBILI MUTAZIONI E LA DIAGNOSI FINALE
La dott.ssa Martina Caiazza (Biologa, Assegnista di Ricerca Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Napoli) concludendo la parte medica ha trattato il tema: “Talassemia, come si trasmettono, le possibili mutazioni e la diagnosi definitiva”, affermando che le cause della talassemia sono esclusivamente genetiche ed è determinata da una mutazione del gene HBB, il gene predisposto alla formazione della proteina beta-globina, componente immancabile nelle proteine adulte di emoglobina, formate da due unità identiche di beta-globina e altrettante di alfa-globina. La beta-globina è fondamentale nella formazione dell’emoglobina adulta.
“Il difetto genetico – ha ribadito testualmente – impedisce all’organismo di produrre sub unità di beta globine; la loro totale assenza si indica con il nome di beta-zero.
Altre mutazioni al gene HBB consentono invece una ridotta produzione di beta globuline. In questo caso si tratta di una talassemia Beta-più.
Possiamo distinguere l’anemia mediterranea in tre differenti tipologie, sulla base della sua gravità: talassemia major o morbo di Cooley, talassemia intermedia e talassemia minor.
A seconda della forma da cui siamo colpiti, la complessità dei sintomi spazia da estremamente complessi ad assenti.
In una coppia se uno dei partner è un portatore sano, ma l’altro non ne è affetto, non sussiste la possibilità di mettere al mondo bambino con talassemia.
Vi è però il 25% di probabilità che il bambino sia portatore sano a sua volta.
Le cose cambiano qualora entrambi i partner abbiano l’anemia mediterranea.
In questo caso vi è un 25% di possibilità che il neonato sia talassemico grave, un 25% che non abbia alcun tratto della malattia e il 50% che erediti solamente uno dei tratti difettosi e che dunque nasca con la forma minore di questo male.
La diagnosi di anemia mediterranea, oltre che sulla base dei sintomi, è eseguita mediante esame del sangue.
Gli individui affetti da questa malattia hanno i globuli rossi di dimensioni più piccole rispetto alla norma.
Queste cellule sono anche numericamente meno presenti e al microscopio palesano forma irregolare e pallore.
La talassemia può inoltre essere diagnosticata anche con test molecolari, che possono essere eseguiti in qualsiasi momento, inclusi i mesi prima della nascita con un test prenatale, al fine di scoprire se il bambino nascerà talassemico o meno.
I test prenatali effettuati in laboratorio sono: l’amniocentesi si effettua fra la sedicesima e la diciottesima settimana di gravidanza, e, la con la quale, invece del liquido amniotico si preleva una parte del tessuto dove sono contenuti i villi coriali, e, deve essere eseguita fra l’undicesima e la tredicesima settimana di gravidanza”.
L’ultima sessione ha affrontato problematiche inerenti gli aspetti normativi utili per i pazienti affetti da malattia rara con l’intervento di Enrico Martinelli, e i Clinici intervenuti, in una tavola rotonda con i pazienti, hanno risposto alle varie domande poste dalla platea riguardanti le tematiche affrontate.
Luana De Gioia
“Associazione Thalassemici Brindisi”
Andrea Tetto
Associazione “AMAMI” Torino