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QUALE FUTURO PER L’EMOFILIA NEL NOSTRO PAESE – intervista alla dott.ssa Rocino

La Dott.ssa Rocino nel messaggio allegato al programma per il Triennale 2020 ha scritto che durante il Convegno verranno affrontati, in special modo, quattro punti importanti: la gestione dell’emergenza, il ruolo dei laboratori specialistici, le scelte riproduttive delle carrier di emofilia e la promozione della ricerca scientifica.
Vediamo di esaminarli nel dettaglio.

Che cosa significa la gestione dell’emergenza e il ruolo dei laboratori specialistici?
“Sono problematiche affrontate nell’Accordo Stato-Regioni per la gestione delle MEC (Malattie Emorragiche Congenite) del 2013.
Purtroppo, quell’Accordo non è mai stato applicato in tutte le sue implicazioni e diverse sfaccettature.
Innanzitutto, perché non tutte le Regioni lo hanno recepito e anche quelle che lo hanno fatto, non sono poi passate alla fase applicativa.
Abbiamo istituito una commissione congiunta tra AICE e FedEmo per cercare di portare avanti questo discorso in maniera uniforme in tutte le regioni; quindi, con iniziative coordinate da questa commissione per, poi, essere sottoposte ai vari organi regionali attraverso i referenti AICE in ciascuna regione, con la collaborazione delle associazioni locali.
Ancora poco è stato realizzato.
Per scarso impegno da parte di AICE o delle Associazioni locali?

Per sordità da parte degli organi regionali?
Non glielo so dire.
So solo dirle che l’impegno da parte di AICE e delle associazioni locali deve essere continuo e costante al fine di realizzare questo obiettivo.
Ciò che per AICE è più importante e indispensabile è che le azioni intraprese nelle singole regioni siano tutte, se non esattamente identiche fra di loro, almeno quanto più possibile simili.

Non è possibile che una Regione si comporti in una maniera e un’altra in altra maniera.
Ciò rappresenterebbe il presupposto per creare disparità di trattamento e di gestione tra pazienti che vivono in regioni diverse. Come medico e come Presidente dell’AICE, certa di rappresentare anche il parere dei nostri Soci, ciò è inaccettabile”.

Questo si collega al punto due dove lei scrive: tra i temi affrontati “le scelte riproduttive delle carrier di emofilia”?
“Non vi è una correlazione diretta, almeno apparentemente, ma cerco di spiegare meglio.
Porre su un tavolo di discussione questo argomento è una richiesta avanzata da FedEmo.
Erano, infatti, giunte loro domande, richieste di informazione su questo argomento.
Non risultava, infatti, ben chiaro presso quali Centri, nelle singole regioni, fosse possibile avviare e portare a termine un percorso per le scelte riproduttive, soprattutto utilizzando le tecniche di procreazione assistita associate alla diagnosi genetica pre-impianto.

Sembrava che questi Centri fossero estremamente lontani, in termini geografici, non facilmente contattabili e non sempre realmente disponibili. In altri termini, la situazione era piuttosto fumosa e, come AICE, non eravamo in grado di fornire informazioni precise. Abbiamo, allora, avviato un’indagine a cura del Gruppo di Lavoro “ Genetica” dell’AICE, coordinato da Giancarlo Castaman e da Francesco Bernardi, con lo scopo di identificare, non solo i Centri in grado di aiutare le carrier a portare a termine un tale percorso, ma soprattutto identificare i Centri che appartengono a strutture pubbliche. Altrimenti, i costi per le donne interessate, sarebbero notevoli.
Costi che non solo derivano dal doversi spostare dalla propria regione, affrontando spese di viaggio, eventuali pernottamenti fuori casa per non so quante sedute di informazione, test di laboratorio, visite specialistiche ma anche il pagamento della procedura stessa, se non fornita da una struttura pubblica.
La dott.ssa Federica Riccardi, biologo genetista del Centro Emofilia di Parma si è occupata, personalmente, di svolgere un’indagine conoscitiva e, grazie alla sua caparbietà ed impegno, abbiamo oggi molte più informazioni.
che purtroppo, non sono confortanti.

I Centri in grado di prendersi cura delle donne che vogliano eseguire una diagnosi genetica pre-impianto sono pochi.
Al Sud sembrerebbe non essercene, almeno sulla base delle informazioni in possesso dell’Istituto Superiore di Sanità.
Ecco, quindi, che si ripropone il problema dell’uniformità dell’assistenza su tutto il territorio nazionale.
Anche questa problematica dovrà essere affrontata e se al Sud non c’è possibilità di intraprendere questo tipo di percorso, bisognerà attivarsi presso le Regioni affinché ciò sia reso possibile. In ogni caso, abbiamo stilato un nuovo opuscolo informatvo circa diagnosi di portatrice, diagnosi prenatale, tecniche di procreazione assistita e diagnosi genetica pre-impianto che sarà distribuito in occasione del Triennale proprio per cercare di rendere disponibili quante più informazioni possibili alle donne interessate”.

Lei inserisce nel programma futuro un ampio spazio alla promozione della ricerca clinica che resta per AICE un obiettivo fondamentale.
“Questo è un altro argomento spinoso. Partiamo dalla considerazione che la ricerca clinica indipendente in Italia non esiste, o se esiste si riesce a fare ben poco, a causa della scarsità di fondi erogati dagli organi governativi centrali e regionali.
Personalmente, ho anche paura che, con l’emergenza Covid, i pochi fondi disponibili possano essere dirottati, in gran parte, sulla ricerca relativa a questa problematica.
D’altra parte, l’AICE non può fermarsi; deve continuare a guardare avanti per le prospettive future di trattamento, ma anche per accrescere le conoscenze sull’emofilia e le altre MEC sfruttando le informazioni che possono derivare dalla ricerca di base.

Quello che auspicherei di poter realizzare nel prossimo triennio è creare un fondo AICE per la ricerca indipendente. Ovviamente, dovrà esserci un supporto anche da parte di terzi che, in primo luogo, saranno i nostri partner, aziende farmaceutiche che operano nel settore. Ma, la mia intenzione, che condividerò con il prossimo Consiglio Direttivo, è sensibilizzare le aziende che già ci supportano, da tempo, a finalizzare il loro supporto non soltanto a determinate linee di ricerca che potrebbero loro risultare di maggiore interesse, ma a supportare l’AICE nella creazione di un tale fondo, indipendentemente da interessi particolari in specifici campi”.

Lei afferma in un altro punto che “questa promozione della ricerca clinica sarà rivolta in particolare ai giovani ricercatori”.
“L’AICE sta diventando un po’ “vecchiotta”; già da parecchi anni stiamo cercando di inserire quanti più giovani possibile nella nostra Società, in vista del ricambio generazionale che ormai è alle porte.
Questo impegno, intrapreso già da tempo, deve continuare ad essere attuale e costante.
Ovviamente, i giovani dovranno anche essere spronati e non soltanto perché si occupino di ricerca clinica, ma anche di ricerca di base.
Quest’anno al Triennale, ad esempio, oltre a premiare giovani ricercatori che hanno presentato abstract su argomenti attinenti alla clinica dell’emofilia, abbiamo istituito due premi destinati a giovani ricercatori, autori di progetti di ricerca da portare avanti nel prossimo triennio: uno dedicato a progetti di ricerca clinica e l’altro alla ricerca di base: genetica, immunologia, nuovi approcci di supporto alla clinica e questi premi sono stati supportati con fondi esclusivamente AICE”.

Le ho rivolto questa domanda perché alla presidente che l’ha preceduta, ad una precisa domanda di qualche anno fa, lei mi disse che soprattutto per i giovani per cercare di creare una “scuola”, c’era la difficoltà quasi insuperabile rappresentata dalle strutture sanitarie nei confronti dei giovani. Non davano loro la possibilità di usufruire di permessi per frequentare eventuali corsi. La situazione è ancora questa?
“La difficoltà principale è rappresentata dal fatto che i giovani che cominciano a frequentare un Centro Emofilia, generalmente iniziano con un impegno volontario, sperando di poter raggiungere, in seguito, un’occupazione stabile, un “posto sicuro”.
Ed è qui che non si realizza una collaborazione da parte delle amministrazioni, perché non vengono banditi concorsi.
Cosa succede? Succede che ematologi, pur entusiasti di lavorare nell’ambito della coagulazione, lasciano i Centri per andare ad assumere un impiego stabile o, anche soltanto più duraturo, magari un incarico di qualche anno, in un’altra struttura dove non c’è interesse per le patologie della coagulazione ma ci si dedica precipuamente alle patologie di interesse onco-ematologico. Questo è il problema”.


Lei ha accennato al Covid nella sua presentazione del congresso triennale, affermando che “nell’anno della pandemia che ha duramente colpito il nostro Paese, il mondo dell’emofilia italiano non poteva non confrontarsi sullo stato delle conoscenze in questo ambito e sulle implicazioni che potrebbe avere.
Le ricadute sulla gestione dell’assistenza specialistica integrata. Su questo versante abbiamo avuto delle assicurazioni da parte delle autorità politiche sanitarie che cambierà molto, sarà così anche in questo caso?

“Noi, fino ad ora, non abbiamo sufficienti informazioni circa quanto l’emergenza Covid influisca sulla gestione dei pazienti emofilici.
Ci sono due aspetti da prendere in considerazione: da una parte sembrerebbe che l’infezione non colpisca gli emofilici più di quanto avviene nella popolazione generale ma, se i casi tra gli emofilici dovessero aumentare, sicuramente ci sarebbe bisogno di un’assistenza integrata, differente da quella che viene prestata ad un paziente non emofilico. L’emofilico avrebbe bisogno di supporto per le eventuali complicanze emorragiche, ma anche per le eventuali complicanze trombotiche.
Ci sarebbe bisogno di una stretta collaborazione tra le strutture deputate a prendersi cura degli ammalati con infezione da Coronavirus ed il Centro che ha in cura il paziente emofilico e che conosce le problematiche emorragiche quanto quelle trombotiche cui potrebbe andare incontro ma, soprattutto, saprebbe come bilanciare le due possibili complicanze, nettamente ai due poli opposti.
La mia impressione è che non sarà facile attuare una collaborazione di questo genere.
I Centri Emofilia non sono, per il momento, in collaborazione diretta con le Unità di Terapia Intensiva, le Rianimazioni o, per lo meno, non lo sono sempre.

Lo sono laddove nella stessa struttura ospedaliera esiste un Centro Emofilia e un’unità COVID, ma laddove le due unità non coesistono, una stretta collaborazione potrebbe essere più difficile da realizzare.

Questo è un primo aspetto del quale si dovrà tenere conto. Dall’altra parte, conosciamo ancora poco delle complicanze a breve e lungo termine dell’infezione e non sappiamo quali potrebbero essere le specifiche ricadute sulla salute degli emofilici e dei coagulopatici congeniti in generale.
Proprio per cercare di capire meglio quale potrebbe essere l’impegno dei Centri, in caso aumentassero i casi di infezione negli emofilici e pazienti affetti da altre MEC nonché l’impatto dell’infezione sui pazientu, abbiamo avviato due iniziative complementari tra loro: uno studio AICE, lo “Studio MECCOVID” (MEC, Malattie Emorragiche Congenite e COVID, il virus) ed una indagine epidemiologica attraverso una Survey diretta agli stessi pazienti.
Il primo rappresenta uno studio prospettico e solo in parte retrospettivo, poiché parte il 1° febbraio 2020, volto ad analizzare le problematiche cliniche presentate dai pazienti, la loro gestione, le eventuali complicanze e come esse vengono affrontate nei diversi pazienti e nelle diverse realtà.
C’è poi un’altro studio varato dal Centro di Milano, cui AICE e FedEmo stanno prestando la loro collaborazione, che consiste in un questionario rivolto ai pazienti, per raccogliere informazioni sull’impatto clinico e psicologico determinato dall’insorgere della pandemia.
Diciamo che stiamo cercando di orientarci in questo nuovo scenario e siamo pronti ad intervenire, ma se le dovessi delineare oggi un programma preciso e dettagliato non potrei farlo; bisognerà agire passo dopo passo, a seconda dell’evolversi delle diverse questioni, man mano insorgono nel difficile momento che stiamo vivendo. Personalmente, però, ho grande fiducia nelle possibilità di reagire efficacemente a ogni difficoltà.
Abbiamo superato il difficile momento dell’infezione da HIV. Con dolore ma determinazione abbiamo affrontato insieme, medici e pazienti, quel drammatico momento.
Sono sicura che difronte all’emergenza Covid sapremo agire con altrettanta determinazione e che, anzi, la nostra alleanza e fiducia nelle conoscenze scientifiche ne uscirà rafforzata”.

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