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PASSATO, PRESENTE E FUTURO DELLE ASSOCIAZIONI TALASSEMICHE

Il 2020 sarà senz’altro ricordato come un anno bisestile targato “Covid 19”, un virus che cambierà il mondo, anche se molti di noi non ne sono molto convinti, fermi come sono nella baldanza ossessiva del “profitto” e del “progresso”.
Comunque l’obbligo di non potersi spostare ha aguzzato l’ingegno favorendo gli incontri virtuali, attraverso i sistemi di comunicazione come skype, facebook o altro.
In pratica ci si è incontrati da tutti gli angoli della penisola seduti comodamente a casa propria.
Per quanto riguarda il mondo della talassemia il nostro giornale ha cercato di documentare al meglio e questo che descriveremo, nel quale siamo stati direttamente coinvolti però, organizzato il 13 novembre dall’Associazione di Ferrara e dall’Associazione Fasted di Catania dal titolo: “Le associazioni talassemiche: passato, presente e futuro”, ha avuto un sapore particolare perché ci si è raccontati come si era e come potrà essere il nostro futuro attraverso le parole di chi ha vissuto il passato e vive ancora presente.

L’argomento è stato introdotto da Valentino Orlandi presidente dell’Associazione di Ferrara il quale ha esordito dicendo che fare volontariato può sembrare impegnativo e e soprattutto quali potrebbero essere le motivazioni per impegnarsi.
“Ad esempio il potenziamento – ha affermato – o il miglior funzionamento del Centro dove ci si cura e quindi avere a che fare con la Direzione generale, sanitaria, medica, dell’ospedale e se necessario anche dell’assessorato regionale della sanità.
Perché tutto quello che si riuscirà ad ottenere aiuta a rendere possibile al clinico avere gli strumenti o il personale per poter lavorare nelle condizioni migliori.
Non abbiamo tempo o voglia di impegnarci? Allora dovremo accontentarci di ciò che il sistema ci offre o mette a disposizione ma poi non lamentiamoci perché non è detto che tutto ti sia dovuto senza un minimo impegno”.
“Diventa fondamentale – ha continuato – in ogni ambito possibile, la nostra presenza, ad esempio ai tavoli regionali della rete delle emoglobinopatieo nelle consulte regionali del sangue. Avere continui confronti con organi istituzionali, ospedalieri, organizzazioni dei donatori, società scientifiche”.
Ha continuato poi insistendo sulla necessità di divulgare… informare… rendere partecipi sulle norme di legge, sulle disposizioni che riguardano tutti.
In definitiva il suo messaggio è stato che fare volontariato è un impegno per far sì che le cose vadano per il meglio.
“Ognuno di noi ha un suo meglio – ha concluso – ma è proprio lo scopo dell’Associazione far capire e indirizzare o aiutare affinché il meglio possibile si concretizzi.
Un’associazione deve cercare di essere presente, tenace e soprattutto concreta, darsi degli obiettivi e centrarli, sempre per il bene dei pazienti e del loro Centro di cura”.

UNA STORIA LUNGA CINQUANT’ANNI
E proprio in questo caso, parlando di impegno nel volontariato, vale la pena mettere in risalto soprattutto un partecipante che ha aperto l’incontro, il prof. Giuseppe Masera ed un giornalista che si rispetti deve ricordare ai suoi lettori meno informati che si è laureato a Pavia nel 1962 e si è occupato dal 1965 di emato-oncologia pediatrica presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Milano, promuovendo la creazione e lo sviluppo del Centro di Emato-Oncologia Pediatrica che dal 1984 ha proseguito la sua attività presso la Clinica Pediatria di Monza.
Ha fondato nel 1984, e diretto fino al 2009, la Clinica Pediatria di Monza presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Milano-Bicocca. Inoltre, non si può dimenticare la Fondazione De Marchi, impegnata nella lotta alle più gravi malattie dell’infanzia quali tumori, leucemie, talassemie e altre malattie del sangue.
Dai lontani anni 70 esiste un volontariato attivo che si impegna anche nella formazione di volontari che si dedicano all’intrattenimento dei piccoli pazienti in cura presso il reparto di onco-ematologia pediatrica e che mettono a disposizione tempo e fantasia con lo scopo di non far sentire i bambini prigionieri dell’ospedale ma bambini che vivono anche momenti piacevoli e sereni durante il periodo di degenza.
Era importante raccontare questa realtà perché è proprio da questo punto che Giuseppe Masera ha iniziato il suo intervento ricordando che L’associazione genitori era partita negli anni che vanno dal 1970 al 1972 a Milano con l’obiettivo di affrontare il problema della talassemia e tutte le malattie del sangue compresa la leucemia creando un’alleanza fra genitori.
“… Perché allora – ha affermato testualmente – per certe malattie esistevano soltanto bambini, e quindi serviva l’approccio ad un problema che non era solo per raccogliere fondi attraverso i genitori ma per coinvolgerli ad affrontare tutti i problemi che ci si ponevano. Era nata una sorta di alleanza fra medici e famiglie dei pazienti”.
(Vogliamo ricordare che poi il prof. Masera diventerà un nostro editorialista e scriverà nel 1981 uno dei primi articoli sul trapianto di midollo nei bambini malati di leucemia – N.d.R.)
E qui, inaspettatamente, in questa alleanza si inserisce un personaggio che noi tutti abbiamo conosciuto e che Masera coinvolge affermando che:
“…uno dei primissimi personaggi di spicco che venne a Milano per condividere la nostra esperienza fu il prof. Vullo con il quale nacque una collaborazione non soltanto con la zona di Ferrara ma anche con tutto il sud dell’Italia perché già in quel periodo molti talassemici dal sud andavano a Ferrara, stanti le notevoli difficoltà ad affrontare questa patologia legata sì alla trasfusione di globuli rossi ma soprattutto alle complicanze derivate in primis dall’accumulo di ferro nel sangue.
Abbiamo viaggiato per l’Italia ed in Sicilia conoscemmo Leonardo Giambrone, ma soprattutto la forza empatica di Rino Vullo di comunicare con i pazienti talassemici perché lui ci insegnò che dovevamo non solo curarli ma conoscerli come persone.
Infatti nei primi anni 90 avevamo fatta nostra una sua frase che così lo rappresentava: “Ha saputo trasfondere nei talassemici non solo i globuli rossi ma soprattutto fiducia, ottimismo e forza d’animo”.
Concludendo il suo intervento Giuseppe Masera ha ricordato come quelle parole siano state di stimolo per coloro che oggi guidano le associazioni e fanno sì che i diritti del talassemico vengano rispettati.

UN ESEMPIO DA RICORDARE E DA SEGUIRE
Anche l’intervento del dott. Antonino Mancino è iniziato nel ricordo di quando è entrato in servizio da giovane medico nel 1974, in questo caso nella città di Ravenna e la difficoltà soprattutto da parte delle pediatrie nel seguire i bambini talassemici.
Il dott. Antonino Mancino, direttore medico del nostro giornale ha curato i talassemici per oltre trent’anni ed anche in questo caso molti non sanno che il suo pensionamento ha rappresentato un altro impegno nel mondo del volontariato che svolge tutt’ora.
“I bambini con talassemia – ha ricordato – erano ricoverati per tre giorni per fare una trasfusione di sangue ed il Primario di Pediatria aveva incontrato quello del Centro Trasfusionale dove io lavoravo ed aveva preso in considerazione la possibilità di organizzare un lettino al Centro per le trasfusioni in day hospital (parlo di day hospital ma allora non esisteva) e poi mandarli a casa.
Fu così che si iniziò a trattare con trasfusioni di globuli rossi i bambini talassemici”.
A questo punto che rispunta ancora una volta dal ricordo di un giovane medico senza esperienza, per il quale era difficoltoso seguirli adeguatamente al di là delle trasfusioni, il prof. Rino Vullo.
“Sapevo che esisteva la clinica pediatrica di via Savonarola a Ferrara – ricorda – dove avrei avuto la possibilità di frequentare tutti gli specialisti.
In più, il prof. Vullo organizzava incontri che avevano una durata di un’intera settimana, rivolti ai medici che volevano occuparsi di questa patologia.
L’importanza della lezione poi non era tanto nell’apprendere come si curavano i talassemici al meglio ma il lato umano. Lui insisteva sul fatto che noi avevamo di fronte pazienti sì ma persone. Ci insegnava ad essere in mezzo a loro ed a seguirli nell’intento di migliorare la loro qualità di vita.
Lui è stato per me e per molti medici un vero maestro di vita.
Anni certamente difficili legati anche a quello che era il farmaco salva vita e cioè il Desferal, con tutte le luci e le ombre che questo farmaco comportava.
Certo parlare oggi di questo quando sappiamo che dagli anni 90 il cambiamento soprattutto per l’eliminazione del ferro a livello cardiaco e quindi il talassemico la sua vita è migliorata al punto che l’aspettativa di vita è sovrapponibile a tutta la popolazione e non si parla più di prognosi infausta, è importante soprattutto per ricordare ai giovani le grandi figure che hanno contribuito a migliorare la loro qualità di vita”.

INFORMAZIONE E PARTECIPAZIONE
Brunello Mazzoli, direttore del nostro giornale, ha aperto il suo intervento in modo alquanto pittoresco.
“Quando partecipo a questi incontri – ha esordito – spesso mi definisco un “infiltrato” perché faccio parte di quelle persone coinvolte, in questo caso delle cosiddette malattie rare, da un personaggio che di questo mondo fa parte perché ha una malattia genetica, nel mio caso l’emofilia prima e la talassemia poi.
Oggi stiamo parlando di volontariato, così detto informato
Le associazioni di categoria in Italia non hanno un equivalente in tutto il mondo per l’impegno e la determinazione che hanno messo e mettono, coprendo le manchevolezze di uno Stato che spesso è assente.
Queste associazioni hanno fatto la storia ed a me, infiltrato, hanno anche insegnato a vivere in un altro modo.
Il mio coinvolgimento è stato provocato da un altro grande uomo di nome Vincenzo Russo Serdoz e dopo aver fatto nascere questo giornale nel quale oggi scrivo e dirigo fin dal primo momento, uscito come me nel 1974, mi sono reso conto che oltre alla vita che vivevo normalmente con la mia famiglia, c’era un’altra vita, quella delle persone che combattevano giorno per giorno contro la malattia e parliamo ancora degli anni ’70, quando la talassemia era ancora considerata una malattia molto grave e quindi si combatteva per la vita. Allo stesso tempo questo entusiasmo e questa volontà di entrare nella società da persone normali mi ha talmente coinvolto che sono ancora qui dopo quasi 50 anni.
Qualcuno mi definisce la memoria storica ma io continuo a dire ed a scrivere che sono cresciuto con queste persone, le quali oltre a combattere la malattia combattono anche per migliorare la vita di tutti gli altri.
Quindi da questo “pulpito” vorrei lanciare un messaggio; come il dottor Mancino ha iniziato ad occuparsi di queste patologie nel 1974 da neo laureato, anch’io nello stesso anno sono diventato neo laureato… in questo caso alla vita.
E se lo faccio ancora oggi è perché c’è un momento di crisi soprattutto nei giovani. Ecco il punto ed il motivo di questo incontro voluto da Valentino Orlandi che ci dà la possibilità di lanciare un messaggio ai giovani.
Pensate quanto possa essere importante usare un po’ del vostro tempo.
Se oggi la vita, la vostra e di tanti altri come voi, è comparabile alle persone normali lo si deve certo alla ricerca ai medici, agli scienziati ma anche all’impegno costante del volontariato.
Mai abbassare la guardia per i propri diritti. Inoltre noi del giornale EX e dell’Associazione di Ravenna sicuramente saremo al vostro fianco e continueremo a dare informazioni ma voi dovete affiancare lavorare insieme ai nostri medici e questo è un messaggio che continueremo a dare”.

La presenza dell’architetto Loris Giambrone coordinatore di Fasted Sicilia, fci ricorda cosa rappresenta questo cognome per tutti i talassemici, quello del padre Leonardo.
Infatti ha iniziato il suo intervento parlando della sua famiglia che dalla Sicilia si era trasferita in Piemonte per lavoro, come tanti in quegli anni, dovenasce nel 1971 e gli viene diagnosticata la talassemia.
Poi, nel 1974, quando ha appena tre anni decidono di rientrare in Sicilia. Tornano a Caltanissetta, la loro città di origine e subito il padre si rende conto di quanto sia precaria la situazione dei talassemici in quella Regione.
Il gesto di Loris è quanto mai eloquente quando parla di come venivano trattati i pazienti talassemici attraverso una bottiglia di sangue per la quale spesso dovevano attendere anche molti giorni ed essere trasfusi in regime di ricovero ospedaliero.
“Spesso la bottiglia – ha affermato – veniva donata da un famigliare o addirittura acquistata direttamente fuori dall’ospedale o dalla porta del Centro trasfusionale dove stazionavano i cosiddetti “aguzzini del sangue.
Mio padre non si è mai arreso alle difficoltà e non ha mai accettato che le cose dovessero rimanere come erano e in questo senso si è buttato a capofitto, cercando di radunare alcuni di questi genitori che erano distrutti dalle vicende dei propri bambini per creare la prima Associazione dei donatori di sangue.
In quegli anni parlare di associazione di donatori di sangue era quasi una bestemmia. Si scontrò con un mondo difficilissimo, un mondo in cui sia il sistema sanitario di allora sia la società civile erano refrattari e la Sicilia degli anni ’70 non è quella di oggi.
Ci si doveva scontrare con un mondo intriso di sospetti e di avversione.
Nel 1974 costituì l’associazione dei donatori di sangue, nel 1977 l’associazione dei dei genitori con bambini talassemici ed anche in seguito quelli con anemia falciforme abbastanza numerosi in Sicilia anche in quell’epoca”.
A questo punto Loris fa un’affermazione che farà scalpore ma che illustra molto bene il clima nel quale si viveva.
“Gli amici dell’ambiente della sanità gli avevano consigliato di non insistere nel voler istituire queste realtà associative che avrebbero creato problemi di organizzazione.
I fatti poi hanno dimostrato come mio padre non abbia mai accettato ed ha continuato a lavorare per formare associazioni sia di famiglie di talassemici e drepanocitici che di donatori di sangue ed in pochi anni l’assistenza nella nostra Regione è nettamente migliorata. Soprattutto le famiglie non si sentivano più sole e abbandonate e finalmente non ci si nascondeva più vergognandosi della malattia.
Ha combattuto l’indolenza delle strutture pubbliche a volte anche in modo violento.
Una delle battaglie più cruente poi l’ha combattuta contro i cosiddetti aborti terapeutici ma voleva già allora cercare il modo di debellarla attraverso le cure o i trapianti di midollo, perché già in quegli anni si parlava anche di questo.
Finché nel 1985, durante un convegno lanciò uno slogan: “Dall’utopia alla speranza, dalla speranza alla…… quei puntini volevano dire guarigione ma era ancora prematuro fare di questi proclami quando ancora il vero problema era difendere la sopravvivenza.
Sempre lo stesso anno radunò i primi genetisti e si iniziò a parlare anche di terapia genica.
Ad inizio degli anni 90 istituì la “Fondazione per la Guarigione dalla Talassemia” attraverso la quale i talassemici conquistarono visibilità.
Per concludere devo ricordare poi che la talassemia italiana, pur essendo passata attraverso la Lega, non ha più avuto una vera e propria rappresentanza nazionale fino a pochi anni fa, grazie all’amico Orlandi e ad altri è nata UNITED.
Terminando vorrei lanciare un appello per il futuro ed è che sarebbe piacevole vedere in queste tavole rotonde spuntare ventenni e trentenni.
Sappiamo che se non continuiamo a imporre la nostra presenza perderemo quello che si è conquistato.
Bastano due colpi di penna da parte del legislatore per cui dormire sugli allori non si può.
È un suicidio pensare che domani potremmo vivere anche se le associazioni non ci sono più.
Ho la sensazione che i giovani non vogliono stare a contatto con il dolore. Avendo fatto insegnamento vedo che i ragazzi cercano di fuggire in tutti i modi da quello che presenta dolore e questo vale per mettersi un ago in braccio per donare sangue, vale per i talassemici giovani lo stare nell’associazione dove nel bene o nel male devi stare a contatto con la malattia, con le problematiche che essa comporta.
Questa giovane generazione vuole una vita quanto più spensierata possibile, che secondo me è un totale diritto però dobbiamo fare un lavoro di grande didattica all’associazionismo.
Abbiamo la capacità di parlare ai giovani e dobbiamo trovare il linguaggio giusto e il modo giusto per farlo”.

APPELLO ALL’UNITA’ FRA TUTTE LE COMPONENTI ASSOCIATIVE
Tony Saccà, presidente di FASTED Sicilia, che ha condotto il dibattitto, riprendendo l’appello del direttore del nostro giornale rivolto ai giovani ha affermato che: “In questo periodo storico molto complicato che stiamo vivendo abbiamo ancora più necessità della vicinanza dei nostri fratelli per aiutarci tutti insieme. Solo uniti possiamo risolvere alcune battaglie come stiamo cercando di risolvere, ma siamo ancora pochi. C’è necessità dell’aiuto di tanti altri perché soltanto così riusciremo ad aprire certe porte chiuse. A scardinare quella burocrazia che ci sta limitando. Se restiamo insieme uniti allora possiamo riuscire a fare tanto”.

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