Corretto dall’Università di Ferrara il gene che causa la forma più grave e diffusa, nell’area del Mediterraneo, della talassemia.
Anemia, continue trasfusioni di sangue, scompensi che interessano diversi organi: la quotidianità di chi soffre delle forme gravi di anemia mediterranea o talassemia è fortemente inficiata dalla scarsità di emoglobina nel sangue.
E se oggi Il trapianto di midollo osseo è l’unica speranza per queste persone, le possibilità di trovare un donatore o una donatrice compatibile sono piuttosto rare.
All’Università di Ferrara il team di scienziate/i coordinato dalla professoressa Alessia Finotti della Sezione di Biochimica e Biologia Molecolare del dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie, è riuscito, per la prima volta, a riparare la mutazione genetica che causa la forma di B-talassemia più comune e grave del nostro territorio.
I ricercatori si sono avvalsi di una tecnica innovativa di ingegneria genetica chiamata Crispr-Cas9, che permette di correggere in maniera mirata una sequenza di dma.
Una sorta di “taglia e cuci” genetico, oggetto del Nobel per la Chimica nel 2020.
“Con la tecnica del Crispr-Cas9 si effettua quello che viene definito editing del genoma – spiega Finotti -: specifiche proteine ingegnerizzate tagliano il gene bersaglio esattamente nel punto in cui è presente l’errore.
Il Dna viene quindi corretto grazie ai naturali meccanismi di riparazione della cellula e all’aggiunta di alcune molecole che forniscono la sequenza corretta”.
Gli esperimenti hanno portato a un ottimo livello di correzione del Dna e non si sono verificate modificazioni non programmate in altre aree del genoma al di fuori della regione d’interesse.
“Abbiamo valutato la bontà dei nostri risultati analizzando il Dna corretto con differenti tecniche – precisa Lucia Carmela Cosenza, prima autrice dello studio e artefice principale degli esperimenti – . Così abbiamo dimostrato la presenza del gene corretto nelle cellule, in grado di produrre una quantità normale di emoglobina”.
L’intervento è stato effettuato in provetta su campioni di cellule precursori dei globuli rossi ottenute da otto pazienti talassemici colpiti dalla forma più grave della malattia.
Le ricerche hanno anche tratto beneficio da una biobanca prodotta insieme al Dht Talassemia dell’Arcispedale S. Anna di Ferrara, in collaborazione con le dottoresse Maria Rita Gamberini e Monica Fortini.
“Lo studio – aggiunge Finotti – è un primo passo verso un’applicazione terapeutica che potrebbe essere ottenuta dalla combinazione di questo approccio con altre strategie che il gruppo sta validando.
Inoltre, sarà necessario lavorare sul protocollo per tradurre quello che è un risultato ‘in vitro’ in un’applicazione di rilevanza clinica”.
UN PROGETTO CHE SI E’ AVVALSO ANCHE DELLA COLLABORAZIONE DI DUE ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI
“Questo lavoro è uno dei traguardi di un percorso che nasce da lontano e che ha trovato la proficua collaborazione dei pazienti e delle loro associazioni come l’Associazione ‘Rino Vullo’ per la Lotta alla Talassemia di Ferrara, Alt e l’Associazione Veneta per la Lotta alla Talassemia di Rovigo, Avlt”, continua Roberto Gambari che per anni ha diretto il Laboratorio di Ricerca sulla Terapia Farmacologica e Farmacogenomica della Talassemia, e che è tra gli autori dello studio.