articoli

TERAPIA DELL’EMOFILIA IN ITALIA

Prima di Pubblicare un editoriale del Prof Mannucci che commenta gli studi di farmacoeconomia apparsi sulla rivista Recenti Progressi in Medicina numero di Maggio ad opera di Marano (ISS e Aifa) e altri, cerchiamo in questo breve articolo di riassumere le due pubblicazioni a riguardo, non potendole pubblicare totalmente per motivi di spazio.
Nei due lavori ci viene descritto in modo minuzioso che negli ultimi anni la terapia in emofila si sia spostata da farmaci a emivita standard a farmaci a lunga emivita, con una riduzione importante del numero di infusioni, soprattutto per chi utilizza il fattore IX. Un altro importante cambiamento avvenuto nel corso degli ultimi anni è l’avvento dell’anticorpo monoclonale emicizumab, disponibile sia per emofilia A con inibitori che senza inibitori, e che sarà possibile utilizzare tra pochissimo anche per quelli con emofilia moderata.
L’avvento di queste nuove terapie, l’incremento dell’età media e della qualità di vita dei pazienti ha sicuramente contribuito all’aumento dei costi per la cura delle MEC. Tale incremento dei costi è stimato nell’ordine del 3% annuo nel periodo che va dal 2014-21, passando dai 440 milioni di euro (del 2014) ai 541 (del 2021) con una spesa pro capite di 9,14 euro in Italia.
Nell’altro interessante lavoro si cerca di prevedere gli scenari futuri dei costi, analizzando gli ultimi dati disponibili nel 2022 sui consumi dei farmaci e ipotizzando due scenari limite.
Il primo, ipotizzando una riduzione del 25% dei consumi dei fattori ricombinanti short-acting con ridistribuzione proporzionale rispetto ai consumi registratisi nel 2022, per i fattori ricombinanti long- acting, aumenterebbe la spesa generale relativa del 3,3% (circa 10 milioni di euro). Aggiungendo i valori di spesa dei plasmaderivati e dell’emicizumab si arriverebbe a una spesa totale di 423 milioni di euro con un potenziale aumento del 2,4% rispetto alla stima per l’anno 2022. Per arrivare allo scenario 2 si utilizza una metodologia basata sulla stima del numero di pazienti con emofilia A in trattamento e la spesa per loro è di circa 457 milioni di euro. Partendo da tale dato, sono state quantificate differenti ipotesi di spesa, assumendo che tutti i nuovi pazienti con forma moderata e grave di malattia inizino la profilassi con emicizumab e che vi sia uno switch dai fattori ricombinanti verso l’emicizumab. In particolare, è stata stimata la variazione di spesa in relazione a differenti percentuali di pazienti che passino dai fattori ricombinanti (short oppure long-acting) all’emicizumab.
È stato ipotizzato dunque un incremento di spesa che va da un minimo di +8% nel caso di switch del 20% dei pazienti a un massimo di +28,1% nel caso di switch del 70%. In pratica, per ogni 10% di pazienti che passeranno da terapia ricombinante, sia essa standard che long, ad emicizumab ci sarà un incremento di spesa pari a circa 18,4 milioni di euro.

I due articoli di Giuseppe Marano e dei colleghi dell’Istituto superiore di sanità e dell’Agenzia italiana del farmaco, pubblicati sul numero di maggio di Recenti Progressi in Medicina, forniscono quadri accurati sullo stato della terapia delle malattie emorragiche congenite in Italia, con particolare analisi delle due più frequenti, l’emofilia A e l’emofilia B. Il primo articolo1 mostra come negli ultimi due-tre anni vi siano stati sostanziali cambiamenti riguardo l’uso dei principali prodotti terapeutici. Inizialmente vi è stato un marcato incremento di concentrati ricombinanti di fattore VIII (FVIII) e fattore IX (FIX) caratterizzati da una più estesa permanenza nel plasma (emivita) rispetto ai prodotti ricombinanti e plasmatici tradizionali. Tale cambiamento è stato determinato dal vantaggio dei prodotti a emivita estesa nel ridurre le iniezioni endovenose necessarie per la profilassi de- gli episodi emorragici: da 3-4 volte a settimana per il FVIII standard a due volte per i prodotti ricombinanti a emivita estesa, ma con vantaggi ancora più evidenti per il FIX: da due volte a settimana a una frequenza settimanale e anche ogni 10-15 giorni. A partire dal 2021 e ancora di più nel 2022 e tuttora in corso di incremento, vi è stato in Italia il nuovo utilizzo, per la profilassi dei pazienti con emofilia A, dell’anticorpo monoclonale emicizumab, che riproduce l’attività coagulante del FVIII attivato con l’enorme pregio di essere somministrato per via sottocutanea invece che per via venosa, a intervalli che variano da una volta a settimana a ogni 15 giorni fino a dosi mensili.
Marano et al. hanno analizzato nel loro secondo articolo anche lo scenario dei costi associato a questa vera e propria rivoluzione avvenuta in Italia attraverso i progressi terapeutici appena descritti. L’aumento ancora in corso per l’uso di emicizumab, soprattutto nei pazienti con emofilia A grave e quelli con inibitore, potrebbe raggiungere solo per questo prodotto 115 milioni di euro all’anno, con una spesa totale per l’emofilia A superiore ai 450 milioni di euro.
Con tali premesse e risultati sulle pubblicazioni di Marano et al., mi sembra di poter contribuire delineando lo scenario che potrebbe materializzarsi nel prossimo futuro quando anche in Italia verranno rese disponibili le terapie geniche per l’emofilia A e B, nonché un nuovo prodotto di FVIII a emivita ben più marcatamente prolungata rispetto a quelli attualmente disponibili.

Terapia genica per l’emofilia A
Con il nome commerciale di Roctavian, valoctocogene roxaparvovec è stato già approvato dall’agenzia europea per i medicinali (Ema) per i pazienti adulti con emofilia A grave senza inibitore. Riassumendo brevemente i risultati principali degli studi che hanno portato all’approvazione, dopo 2 anni o più questa terapia basata su una singola somministrazione endovenosa di un vettore virale adenoassociato, si mantengono nei pazienti livelli mediani di FVIII di 5-7%, tali da trasformare l’emofilia grave in una forma lieve. Questi risultati di laboratorio hanno portato dal punto di vista clinico a una marcata diminuzione non lontana dall’azzeramento degli episodi emorragici rispetto al periodo in cui gli stessi casi venivano profilassati con terapia sostitutiva tradizionale. Se questi risultati positivi hanno permesso l’approvazione da parte dell’Ema, vi sono alcuni problemi. Il maggiore, a mio avviso, è la poca prevedibilità dei livelli di FVIII plasmatico raggiunti. Inoltre, un valore mediano di 5-7% vuol dire che metà dei casi hanno livelli più bassi, al di sotto quindi della soglia che definisce l’emofilia lieve (5% o più). Un altro problema è che più di due terzi dei casi trattati accusano un incremento delle transaminasi nel siero che necessita la somministrazione anche prolungata di corticosteroidi. Solo i risultati dell’uso clinico prolungato in vita reale potranno poi dissipare i dubbi teorici sulla genotossicità e in particolare sull’oncogenicità della terapia.

Terapia genica dell’emofilia B
Con il nome commerciale di Hemgenix, l’etranacogene dezaparvocec è stato approvato sia dalla Fda che dall’Ema. La singola somministrazione ha raggiunto livelli medi o mediani di FIX di 30-40%, con una trasformazione dell’emofilia B da grave a lieve e una riduzione marcata e vicina all’azzeramento delle emorragie, ben maggiore di quella ottenuta precedentemente negli stessi casi con un trattamento profilattico con FIX ricombinante.
Nonostante i livelli plasmatici di FIX raggiunti e mantenuti nel tempo siano più alti di quelli ottenuti con la terapia genica dell’emofilia A, anche con questo prodotto vi è stata una notevole variabilità individuale, per cui alcuni pazienti rispondevano poco mentre altri rispondevano oltre i livelli plasmatici normali di FIX: come esempio, da un minimo di 5% fino a 99% di FIX plasmatico.
Si è osservato un incremento delle transaminasi ma in percentuali minori che nell’emofilia A, nel 20% circa dei casi, e in genere con più breve durata dell’aumento.

Una nuova classe di FVIII a emivita marcatamente estesa
I prodotti di FVIII attualmente disponibili prolungano in maniera limitata l’emivita plasmatica e sono quindi necessarie almeno due iniezioni endovenose settimanali, a differenza dei corrispondenti prodotti di FIX che si possono somministrare una volta o anche più raramente. Questa differenza è dovuta al fatto che in condizioni fisiologiche il FVIII circola nel sangue legato al fattore von Willebrand, per cui la sua emivita plasmatica dipende da quella di questo fattore.
Per rendere il FVIII indipendente da questo legame, e quindi prolungare ulteriormente l’emivita, è stato prodotto un farmaco ricombinante altamente ingegnerizzato che consente la somministrazione solo una volta alla settimana.
Il prodotto efanesoctocog alfa è stato valutato in studi di fase 2 e 3 che hanno recentemente permesso la sua approvazione da parte di Fda con il nome commerciale di Altuviio per la profilassi di adulti e bambini con emofilia A.
Una somministrazione settimanale ottiene livelli plasmatici di almeno il 40% e soprattutto non inferiori al 10% dopo 7 giorni. Gli studi clinici hanno poi dimostrato che i pazienti trattati settimanalmente si comportano come emofilici lievi e che lo sviluppo di emorragie spontanee viene sostanzialmente azzerato. Al momento efanesoctocog non è ancora approvato da Ema, probabilmente in attesa dei risultati finali dello studio nei bambini.

Scenario previsto in Italia nel prossimo futuro
Naturalmente le scelte vanno personalizzate a seconda del tipo di emofilia, dell’età del paziente e suoi stili di vita. Nell’emofilia A emicizumab probabilmente non ha ancora raggiunto il picco della sua utilizzazione in Italia, tenendo conto che sarà presto utilizzabile anche per la profilassi dell’emofilia A moderata.
Per quanto riguarda la terapia genica va considerato che è approvata dall’Ema solo per gli adulti, mentre ne sono esclusi i bambini, nonché i casi con inibitori del FVIII e quelli con anticorpi preesistenti verso il vettore adenovirale (ben 40-50% in Italia). Roctavian non è ancora approvato dall’Aifa. Per i casi che preferiscono continuare con la terapia sostitutiva endovenosa di FVIII vero e proprio, un prodotto come Altuviio è destinato a superare largamente l’uso degli attuali prodotti ricombinanti, per la marcata riduzione delle iniezioni endovenose che rende possibile.
Per l’emofilia B, non vi sono ancora prodotti a lunga emivita che si possano somministrare per via sottocutanea.
Prescindendo dal costo, la terapia genica sembra più promettente come durata e meno gravata da eventi avversi che nell’emofilia A, pur tenendo però conto che i prodotti di FIX a emivita estesa attualmente disponibili sono molto utilizzati con ottimi risultati.
Anche per questa emofilia il numero di casi potenzialmente eleggibili si riduce per l’esclusione dei bambini, di quelli che hanno sviluppato l’inibitore FIX nonché di coloro che hanno titoli molto alti di anticorpi verso il vettore adenovirale.
Con queste premesse, non poco rilevante è il problema del costo della terapia genica in un sistema sanitario come quello italiano che già deve affrontare i continui incrementi di spesa che si sono verificati in questi ultimi anni come conseguenza dei progressi di cui sopra, come ben evidenziato dal lavoro di Marano et al. Il problema è soprattutto per le due terapie geniche, mentre si vedono meno problemi per Altuviio, che è creato dallo stesso produttore di Elocta (efmoroctocog alfa), che ha dichiarato di non voler superare il costo annuale attuale di questo prodotto, il primo a essere approvato e quindi assai utilizzato in Italia.

Per questo riguarda le terapie geniche, per ora sappiamo solo da comunicazioni alla stampa che ambedue i prodotti costeranno negli Usa e in Europa 2,5 milioni di dollari o euro o più. Né vi sono esempi di come venga gestito il loro costo in paesi che hanno un sistema sanitario universale come il nostro e quello inglese. Sappiamo solo che in Germania, dove vige un sistema di assicurazione obbligatoria, sono in corso trattative con i maggiori enti assicurativi per un sistema di pagamento che viene chiamato Oba (outcome based agreement), per cui sono previsti rimborsi se la terapia non soddisfa le promesse di durata, sicurezza ed efficacia. Si tratta di un approccio ben difficile da applicare nel nostro sistema sanitario, ma non sono ancora note le negoziazioni in corso a livello di Aifa.

Le previsioni ipotizzabili sono che il problema dei costi delle terapie geniche potrebbe essere in parte mitigato dal fatto che vi sarà un numero molto limitato di pazienti realmente trattati: sia perché una proporzione importante è esclusa dalle attuali limitate indicazioni (bambini, soggetti con inibitori e portatori di anticorpi antiadenovirus, soprattutto per l’emofilia A) sia perché questo approccio, pur potenzialmente curativo, non sarà sicuramente richiesto da tutti i pazienti eleggibili.