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LA MALATTIA DI VON WILLEBRAND DIFFICILMENTE DIAGNOSTICATA A CAUSA DELLA SUA COMPLESSITA’

Dal 24 al 28 giugno si è riunita l’International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH) durante il Congresso ISTH 2023 a Montréal, Quebec, Canada.
È stato un importante evento internazionale nel campo dell’emostasi e trombosi ed un’entusiasmante opportunità per costruire reti professionali con esperti provenienti da tutto il mondo che hanno condiviso le loro ricerche innovative.

Riceviamo dalla dottoressa Caterina Casari, PhD, ricercatrice presso l’Iserm di Parigi, un articolo sugli argomenti da lei trattati nel corso del Convegno tenutosi a Montréal sulla situazione attuale dei pazienti affetti dalla patologia di von Willebrand.
Riteniamo l’argomento di estrema importanza anche perché vorremmo dare più spazio a questa malattia di cui purtroppo ancora non si parla abbastanza e che colpisce invece un numero elevato di persone.


Prima di raccontarvi gli argomenti da me trattati al recente Congresso Interazionale di Trombosi ed Emostasi (ISTH – International Society of Thrombosis and Haemostasis) che si é svolto a Montreal, in Canada, lo scorso giugno, vorrei brevemente dirvi chi sono.

Mi chiamo Caterina, sono nata e cresciuta a Ferrara, dove ho studiato Scienze Biologiche all’Università di Ferrara. Durante quegli anni è nato e cresciuto il mio interesse per il fattore di von Willebrand e la Malattia associata alla sua mancanza o al suo malfunzionamento, la Malattia di von Willebrand.
Dal 2010 vivo e lavoro in Francia, dove, dopo una breve esperienza negli Stati Uniti, ho ottenuto una posizione da ricercatrice all’Inserm, l’Istituto Nazionale di Sanità e Ricerca Medica francese.
Il gruppo di cui faccio parte, diretto dalla Dott.ssa Cécile Denis, è storicamente impegnato nello studio del fattore di von Willebrand, ed è questo uno dei motivi per cui l’ho scelto.

La Malattia di von Willebrand è una malattia emorragica genetica o acquisita che può colpire sia uomini che donne anche se le donne sono diagnosticate più frequentemente. Nonostante i test clinici disponibili siano migliorati e in continua evoluzione, una corretta diagnosi continua ad essere talvolta difficile, anche a causa della complessità ed eterogeneità della malattia.
Si potrebbe discutere infatti dell’esistenza di una o piuttosto svariate Malattie di von Willebrand. Classicamente questa patologia è divisa in tre tipi, 1, 2 e 3 ed il tipo 2 è a sua volta suddiviso in 4 sottotipi A, B, M ed N. Le mutazioni che causano il sottotipo 2A possono appartenere a due gruppi (I e II), esiste un sottotipo 1C e più recentemente, alcuni pazienti vengono classificati come “low VWF” (“fattore di von Willendrand basso”, ovvero poca proteina nel sangue).
Queste poche righe non sono scritte per confondervi le idee ma piuttosto per illustrare la necessità di suddividere pazienti in sottogruppi e di classificarli in base alle loro caratteristiche, per tentare di facilitare la diagnosi e il trattamento. In realtà anche queste suddivisioni non sono sempre chiare e di facile interpretazione.
Ciò che è chiaro, è l’esistenza di un ampio spettro di manifestazioni cliniche, che contribuisce alla complessità della malattia e alla difficoltà di una diagnosi precoce, almeno in certi casi.
Buona parte della complessità legata alla Malattia di von Willebrand dipende anche dai tipi di emorragie associate, in quanto si tratta nella maggior parte dei casi di emorragie di tipo cutaneo e/o mucose, come mestruazioni anormali e particolarmente abbondati nelle donne, gravi epistassi (sangue al naso) o ancora emorragie gastrointestinali.

Una caratteristica che accomuna tutti questi tipi di emorragie è sicuramente la difficoltà di una valutazione oggettiva e quantitativa. La complessità della malattia e la natura delle emorragie ha determinato per molti anni una sorta di incomprensione, tra medici e pazienti.
I primi tendevano a sottovalutare la gravità della patologia per una mancata comprensione della gravità dei sintomi e del reale impatto di questi sintomi sulla vita quotidiana dei pazienti.
D’altra parte, soprattutto per quanto riguarda le emorragie ginecologiche e le mestruazioni anormali, c’era e c’è ancora oggi, un problema di comunicazione che si cela dietro al nostro bagaglio culturale e allo stigma legato a questi argomenti.
Nonostante ci sia ancora ampio margine di miglioramento, negli ultimi anni, fortunatamente, c’è stata una progressiva presa di coscienza dell’impatto della Malattia di von Willebrand sulla qualità di vita dei pazienti, anche grazie alla diffusione di studi disegnati appositamente per valutare questi parametri. Anche grazie a questi studi, la comunità scientifica oggi riconosce la necessità di sviluppare nuovi trattamenti che siano destinati a gruppi di pazienti con caratteristiche simili e capaci quindi, di correggere o prevenire emorragie di tipo diverso, in base ai bisogni di ciascuno.

Il nostro gruppo di ricerca si occupa di questo, sviluppare modelli della Malattia di von Willebrand e proporre nuove strategie terapeutiche. E all’ISTH, a Montreal, sono stata invitata a parlare di alcune opportunità terapeutiche che potrebbero essere sviluppate per i pazienti affetti da questa malattia.
Gli esempi che abbiamo studiato nel nostro laboratorio e di cui ho parlato al congresso sono essenzialmente tre.
In un primo studio che è stato recentemente pubblicato, abbiamo testato l’utilizzo di “piastrine sintetiche” sviluppate dal gruppo del Prof Sen Gupta (Università Case Western Reserve, Cleveland, USA) in modelli di malattia di von Willabrand di tipo 3 e di tipo 2B.
Queste “piastrine sintetiche” funzionano collaborando con le piastrine del paziente, aumentando quindi la capacità di formare e stabilizzare i coaguli e correggere l’emorragia.
Abbiamo dimostrato che le “piastrine sintetiche” hanno un effetto positivo e permettono di correggere il difetto in un modello di emorragia applicato al modello di Malattia di von Willebrand di tipo 3 e -anche se in misura minore- diminuiscono la perdita sangue in un modello di Malattia di von Willebrand di tipo 2B.
Questi risultati sono stati confermati utilizzando tecniche e test diversi e sono globalmente molto incoraggianti, anche grazie ai molteplici vantaggi insiti in queste “piastrine sintetiche” come la loro stabilità a temperature e condizioni diverse, la relativa facilità di produzione e la possibilità di modificarle per renderle più efficaci.

Un’altra strategia che stiamo studiando in laboratorio è la possibilità di usare emicizumab in pazienti con Malattia di von Willebrand.
I lettori di EX avranno probabilmente sentito parlare di emicizumab, un anticorpo che ha recentemente rivoluzionato il trattamento dei pazienti con Emofilia A.
Questo anticorpo mima l’azione del Fattore VIII della coagulazione, che non funziona dei pazienti con Emofilia A.
Questa possibilità sembrerebbe pertinente in quei pazienti con Malattia di von Willebrand che non solo mancano del fattore di von Willebrand, o hanno un fattore di von Willebrand che non funziona correttamente, ma hanno anche delle quantità troppo basse di Fattore VIII della coagulazione.
Si tratta principalmente di pazienti con Malattia di von Willebrand di tipo 3 o di tipo 2N, in cui alle emorragie tipiche della Malattie di von Willebrand si aggiungono spesso anche emartrosi e artropatie tipiche dei pazienti emofilici.

Poiché questi pazienti soffrono in realtà di, non una, ma ben due malattie, sarebbe importante comprendere se correggere il difetto di Fattore VIII con emicizumab, sia una strategia possibile dal punto di vista clinico.
Alcuni di questi pazienti, che non rispondevano alle terapie standard, sono già stati trattati con emicizumab, e tutti con buoni risultati.
Nonostante questi risultati siano molto incoraggianti però, rimangono ancora molte domande a cui rispondere prima che emicizumab possa essere effettivamente messo a disposizione dei pazienti con Malattia di von Willebrand.
Per esempio, i pazienti trattati fino ad ora sono solo di tipo 3 e nessun paziente – a nostra conoscenza- con altri tipi di Malattia di von Willabrand è stato trattato con emicizumab.

Inoltre, i casi riportati descrivono risultati per trattamenti di pochi mesi o al massimo di un anno e non si hanno informazioni ad oggi, per periodi più lunghi.
In attesa di studi clinici appropriati e necessari, nel nostro laboratorio abbiamo deciso di utilizzare alcuni dei nostri modelli dei diversi tipi di Malattia di von Willebrand, per cercare di capire se emicizumab potrebbe essere efficace o meno. A questo proposito vorrei sottolineare che questi modelli di studio sono piuttosto complessi e stiamo costantemente cercando di migliorarli.
Nonostante le difficoltà tecniche però, i nostri modelli sembrano confermare la capacità di emicizumab di migliorare il difetto emorragico in modelli di Malattia di tipo 3, ma sembrerebbe non migliorare il difetto in un particolare modello di Malattia di tipo 2A.

Un altro approccio che abbiamo sviluppato e stiamo testando nel nostro laboratorio, prevede l’utilizzo di un nuovo anticorpo che sarebbe in grado di aumentare la quantità di fattore di von Willebrand nel sangue, grazie a un meccanismo di “riciclaggio” proprio di un’altra proteina.
Utilizzando questo particolare anticorpo, capace di legare contemporaneamente il fattore di von Willebrand e quest’altra proteina, il fattore di von Willebrand seguirebbe l’altra proteina e verrebbe “riciclato” allo stesso modo.
Il risultato sarebbe che il fattore di von Willebrand starebbe in circolo più a lungo e quindi, la quantità complessiva aumenterebbe.
Questo approccio, promettente nei modelli fino ad ora testati, potrebbe migliorare le condizioni di un’ampia fascia di pazienti con malattia di von Willebrand di tipo 1 e “low VWF”.
Nonostante manchino ancora tantissimi passi, esperimenti e conferme prima di sapere se questo anticorpo possa davvero essere somministrato ai pazienti, i risultati ottenuti fino ad ora sono incoraggianti e ci spingono a continuare le ricerche e gli studi.
Ovviamente questi non sono gli unici studi che esplorano nuove possibilità terapeutiche per pazienti con tipi diversi di Malattia di von Willebrand, e svariati altri sono in corso di studio sia nel nostro laboratorio che in altri laboratori sparsi per il mondo.

Prima di concludere vorrei rubare ancora qualche minuto per condividere qualche riflessione personale. Da quando ho iniziato a lavorare su fattore di von Willebrand, più di dieci anni fa, quando ancora ero una studentessa, forse questo è il primo momento in cui sento che c’è un reale interesse della comunità scientifica nei confronti di questa malattia, mentre molte volte nella mia carriera mi sono chiesta se valesse davvero la pena studiare una malattia che suscitava relativamente poco interesse e per la quale ci fossero cosi poche risorse a disposizione.

Da biologa, non mi capita spesso di parlare con i pazienti e ascoltare le loro esperienze, e per molti anni questa possibilità mi era mancata. Ma è stato proprio avere la fortuna di incontrare i pazienti, parlare con loro, ascoltarli e vedere il loro interesse verso quello che facciamo e cerchiamo di fare in laboratorio, che mi spinge ogni giorno a continuare a fare questo lavoro, che ho scelto e continuo a scegliere.
Avere la fortuna di accogliere un gruppo di pazienti nel nostro laboratorio, grazie alle collaborazioni con l’associazione dei pazienti emofilici francese (AFH), è stata una delle esperienze più formative della mia carriera, e non posso fare altro che incitare altri laboratori e altre associazioni ad organizzare delle esperienze simili.

Caterina Casari, PhD, CRCN
Université Paris-Saclay, INSERM,
Hémostase inflammation thrombose
HITH U1176, 94276,
Le Kremlin-Bicêtre, France