storia
1992: CIAO ZIO BRUNO

Il 1992 si apre con un invito al dibattito rivolto, attraverso una lettera al giornale del Segretario Esecutivo dell’Associazione Emofilici della Campania, Giovanni Nicoletti, inviata in seguito all’incontro delle associazioni aderenti alla Fondazione dell’Emofilia tenutosi a Riccione a fine 1991.
Sono passati vent’anni, ma è sempre di un’attualità sorprendente, come se le problematiche e il dibattito intorno a queste fosse rimasto fermo a quegli anni. Ricordiamo ai nostri lettori che la Federazione non è ancora che un’idea che ha fatto capolino nelle menti dei rappresentanti delle associazioni.

Caro direttore, durante la recente riunione della Fondazione dell’Emofilia di Riccione è stato appena sfiorato un argomento meritevole, secondo noi, di un più ampio dibattito: il ruolo delle associazioni emofiliche. Tema che va sicuramente approfondito perché la recente legge sul “volontariato” ne rende attuali le problematiche. Come tu sai, in Italia c’è una situazione molto variegata: al di là della Fondazione, per sua natura e libera scelta, di carattere nazionale, esistono le realtà più disparate. Vi sono associazioni che vivono solo in funzione dei Centri medici, altre che operano al di fuori di questi; come vi sono Centri medici che lavorano senza il supporto delle associazioni o associazioni dove non esiste assistenza sanitaria.
Su base territoriale si notano poi realtà associative a livello regionale, provinciale, locale o più gruppi nella stessa zona. Molto spesso esse non si conoscono, non hanno rapporti né collaborano o, quanto meno, si scambiano notizie o informazioni. Tale situazione trova la sua origine nel principio ispiratore che vede la nascita o la necessità di un’associazione emofilica esclusivamente in funzione di supporto all’attività di un Centro di assistenza medica agli emofilici. Idea meritoria: grazie ad essa molti di noi trovano assistenza altamente qualificata in diverse città italiane. Lungi da noi quindi pensare che esso non debba essere tra gli obiettivi principali da perseguire. Ma se questa o la primitiva struttura dei Comitati regionali potevano trovare la loro giustificazione nella scarsa conoscenza e assistenza medica per gli affetti da emofilia (peraltro ancor presente in molte realtà italiane), le problematiche che oggi la categoria si trova ad affrontare sono tali che occorre pensare ad altre forme aggregative. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che i progressi della scienza medica hanno fatto aumentare la quantità di vita degli emofilici. Ci deve bastare questo o dobbiamo lavorare per migliorare anche la qualità? Noi siamo convinti di doverlo fare; ecco perché non ci possiamo preoccupare solo di assistenza medica, ma dobbiamo necessariamente ampliare il nostro raggio di azione. Caso lampante è la recente lotta per il riconoscimento del danno biologico, i cui aspetti peculiari sfociano sicuramente nel sociale. È questo solo un esempio: basti pensare alla scuola, alla visita militare (dove ancora si ricorre alla prova del laccio o del pizzicotto), alla conquista o alla difesa del posto di lavoro, alle famiglie degli amici deceduti, ecc. Noi pensiamo che una maggiore cooperazione associativa, con strutture ed organismi ben definiti, possa portare notevoli benefici omogenizzando realtà “lontane anni luce”. Vantaggi che possono estendersi anche al campo medico dove, sempre nel rispetto dell’autonomia dei vari Centri, si possono esportare potenzialità ed esperienze. Cosa ne pensi? Cosa ne pensano le nostre associazioni?.

Che dire a distanza di tanti anni, se non che il dibattito acceso, si è protratto fino alla decisione di istituire la Federazione Nazionale?

Nello stesso numero interviene Umberto Randi in qualità di Presidente della Fondazione dell’Emofilia, con uno scritto che illustra le osservazioni, le critiche e i suggerimenti su due temi: i trattamenti sanitari e gli indennizzi per danni da infezioni e quello della legge sul “danno biologico”.
Si parla di estendere l’indennizzo ai famigliari in caso di decesso di chi lo percepisce, che in molti casi è già successo.
Il nostro Direttore Responsabile prende posizione con questo scritto dal titolo:

Non siamo d’accordo

Non siamo d’accordo con questa norma. È un’offesa a chi per anni ha sofferto accanto al suo uomo. Penso alle tante, troppe, mogli degli emofilici sieropositive anch’esse e perciò doppiamente ferite, che vengono ulteriormente violentate. Una violenza triplice, bestiale, crudele. La morte del proprio uomo a cui hanno dedicato e sacrificato tanto, la sieropositività che le aggredisce a causa di un profondo atto d’amore e una norma che le ferisce ulteriormente. Credo che tutti gli emofilici in difesa di questa memoria d’amore debbano lottare contro questa iniquità. Io credo che, con dignità, dobbiamo difendere le nostra donne. È molto più equo abolire la limitazione dei 10 anni che lottare per elevare l’assegno da 15 a 25 milioni. Se non faremo questo, in difesa delle nostre donne noi prostituiremo veramente la nostra dignità e allora l’AIDS avrebbe veramente vinto! Ricordiamolo e meditiamo su quanto andremo a fare. Diamo testimonianza vera di solidarietà.

Riproporre questi scritti sulle infezioni da HIV e HCV e le conseguenti battaglie per la sopravvivenza e per il riconoscimento, a distanza di tanti anni, potrebbe sembrare inopportuno visto che gli anni bui sono passati. Ma nella nostra storia e in quella di tutte le persone alle quali è rivolta la nostra informazione quel periodo nero è ancora vivo e questo numero di gennaio dedica ancora una volta molte pagine alla questione delle infezioni e alla corretta informazione perché nonostante siano passati molti anni dal primo tragico impatto si continua a preferire il silenzio.

Il nostro editoriale titola: Perché tacere per non sapere?

Torniamo alle polemiche mai sedate in riferimento a quando pubblicammo per primi la notizia sul pericolo di infezioni, nel 1983.

Ricordiamo inoltre che EX, a differenza di altri giornali tesi allo scoop, dà informazioni corrette perché attinge a comunicazioni che giungono in redazione e all’Associazione direttamente dal Ministero della Sanità, da incontri e convegni con esperti in epidemiologia, dall’attenta lettura della bibliografia internazionale specializzata, come ad esempio il Lancet.

L’Associazione di Ravenna e la Direzione di EX, nel rispetto della pluralità dell’informazione, decidono di continuare su questa via, in quanto convinti (e il tempo ci darà ragione, come ammesso molto diplomaticamente dalla stessa Fondazione) dell’importanza del nostro operato.

Da quel primo articolo, anche se contestato, EX iniziò, con sempre maggiore competenza e correttezza, non solo nel rispetto dell’informazione – rinunciando allo scoop facile – ma della persona che leggeva, a trattare il problema AIDS.

Ecco appunto l’informazione corretta, puntigliosa, attenta. Non si poteva più dire, come alcuni tuttora provano a fare, che non si sapeva.

Quanto silenzio, quante bugie. Tacere non per non sapere ma, ancora più squallido, tacere per non fare sapere.

Squallido nel dire che il “test non era obbligatorio” ma il test era disponibile fin da gennaio 1985.

Squallido nel non comunicare che il donatore che veniva al Centro Trasfusionale aveva contagiato tante persone, non avvisarle e fare, così, aumentare il contagio.

Squallido citare assurde e umilianti statistiche quasi che la vita umana si possa quantificare in numeri che nulla dicono e che non danno un’idea del vissuto delle gioie e delle sofferenze di una persona e dei suoi sogni. Forse chi parla così è uno che non è capace di sognare.

Squallido non fare un test per motivi economici ma allora quanto vale, mi chiedo, una vita umana? Quanto costa, quanto paga?

Squallido o forse non sarebbe giusto dire criminale? Cosa diremo ai familiari di chi è morto?

Non abbiamo fatto il test perché ci avrebbero aumentato il costo del reparto? Non abbiamo fatto il test perché non era obbligatorio? Non abbiamo avvisato le persone contagiate perché avevamo dei buoni motivi per non farlo? Non chiediamo se ha avuto rapporti sessuali a rischio perché altrimenti il donatore potrebbe turbarsi? Tacere per non fare sapere che cosa? La gente muore ora!

Non ci si può trincerare dietro “Il test non era obbligatorio”.

Tacere per non fare sapere, ma che cosa?

Interviene anche Angela Venturini, allora Vice Direttore.

Ripensandoci ora, quando le rutilanti luci consumistiche del Natale sono ormai spente, credo che l’immagine che più mi ha colpita sia stata senza dubbio quella dei miseri alberelli sloveni e croati carichi di mine, bombe a mano e bossoli di cartucce. Non c’erano stelle d’argento, candeline accese, pacchi dono scintillanti e preziosi sotto quei rami poveri anche di verde.

E quegli abeti-ricordo mi ferirono il cuore come aghi di ghiaccio.

Davanti al televisore, su cui scorrevano, secondo un cliché ormai consolidato, i miliardi di fotogrammi sul Natale ricco e felice delle capitali del mondo, quegli alberelli mi fecero rabbrividire.

Ne ebbi la stessa, agghiacciante impressione di dolore, di rabbia e di impotenza che mi fecero le docce di disinfestazione nel campo di sterminio di Dackau.
Anche quella mattina che visitai le baracche degli ebrei e i forni crematori, sentii il freddo penetrarmi sotto la pelle, fino al cuore. E non valse a scaldarmi la bollente tazza di cioccolato con cui al bar cercai di affogare i pensieri.

Ancora un Natale di guerra, un Natale che ha riproposto a tutti l’incredibile imbecillità umana nell’anteporre la violenza a qualsiasi altra ragione.

Ma non c’è stupida violenza solo in Jugoslavia, c’è anche nelle nostre città. È una violenza subdola, ma non per questo meno pericolosa, quella continuamente perpetrata a danno delle categorie più deboli, degli ammalati, dei diversi.

Quante false informazioni sono state diffuse, anche in quest’ultimo periodo, ad esempio sugli emofilici e sui sieropositivi? Informazioni e messaggi che hanno scatenato una serie di reazioni negative contro chi, senza colpa alcuna, si è trovato svantaggiato nei confronti della vita.

E le lacrime di una persona fatta ingiustamente soffrire per ignoranza, per incompetenza o più spesso – e mi dispiace dirlo – per semplice cattiveria, non sono un Natale di guerra? Quella guerra silenziosa, ma altrettanto devastante che tanti combattono alla ricerca di una speranza di vita.

No, il mio non è stato un Natale felice, ma pieno di delusioni. Poi, scorrendo le pagine di EX, le pagine di un anno di battaglie in nome della vita, ho capito che forse la felicità era proprio lì: nel ritrovare la fiducia nell’uomo e nella sua capacità di amare, troppo spesso nascosta sotto la scorza violenta del quotidiano, ma che è la ragione più valida per andare a dormire la sera, e la ragione più valida per svegliarsi al mattino.

A febbraio una triste perdita, Bruno Serdoz, per tutti noi zio Bruno. Una persona unica e irripetibile che ci lascia un insegnamento, più che di parole, di esempi.

Lo ricordiamo così:

Il pensiero di tutti noi poi è andato verso quella sedia vuota, (un’altra…) dove sedeva Bruno Serdoz

Parlare di questo “UOMO” è come desiderare una boccata d’aria fresca, pura, in mezzo a tanto marciume, miserie, meschinità, bugie, viltà…

Bruno è stato il “padre adottivo” di tutti noi e se la voce di tante gente in questi anni è passata attraverso queste pagine lo dobbiamo soprattutto a lui.

Bruno è stato la guida di tutte le nostre azioni, la “mente pensante” delle decisioni.

Nei momenti importanti e difficili abbiamo “sempre” cercato rifugio nel suo sguardo sereno e abbiamo capito i suoi silenzi. Abbiamo una consolazione: quest’ultima vergogna dell’epatite gli è stata risparmiata, sarebbe stata una sofferenza in più per lui.

Molti di voi non lo conoscono ma la vita di questo “UOMO” è un patrimonio inestimabile da non perdere, un esempio per noi ma soprattutto per chi continua a calpestare la dignità della persona e quando si parlava di libertà, lui sradicato traumaticamente dalla sua terra, diceva: “la mia libertà finisce dove comincia la tua”.

 

Nello stesso mese un articolo della nostra corrispondente dalla Sicilia, Marisa Russo Zappalà ci parla delle problematiche legate alla talassemia.

Per una legge che non arriva troppi bambini se ne vanno

In Italia vivono 5000 talassemici e ogni anno ne nascono 250. 8 siciliani su 100 sono portatori sani.

Regioni italiane, quali la Sardegna, sono riuscite grazie alla prevenzione ad azzerare le nascite di talassemici.

In Sicilia, nonostante un certo impegno delle istituzioni e del volontariato, molto rimane ancora da fare per sconfiggere questa malattia.

La terapia convenzionale permette al talassemico una qualità di vita accettabile, ma la condiziona per la sua complessità.

Un’alternativa valida è il trapianto di midollo osseo, che è uscito dalla fase pionieristica.

Al Parlamento è fermo da anni un disegno di legge per abilitare i Centri Trapianto italiani quali Istituti ad alta specializzazione, dipendenti direttamente dal Ministero della Sanità e non più dalle USL che ne limitano le capacità operative.

Uno dei Centri più qualificato è quello del prof. Guido Lucarelli di Pesaro.

Dal 1981 ad oggi vi sono stati trapiantati 410 bambini talassemici provenienti da tutto il mondo. La mancata approvazione della legge costringe il Centro a rimandare indietro ogni anno 100 bambini, che si vedono preclusa la possibilità della guarigione.

Il volontariato di Pesaro ha ideato e promosso una campagna nazionale di sensibilizzazione che si è concretizzata con la spedizione di cartoline all’On. Nilde Iotti perché solleciti il Parlamento a legiferare in tempi brevi salvando così dalla paralisi il Centro di Pesaro, e dia anche agli altri la possibilità di lavorare al meglio.

LA CRONACA

Pigra, calda domenica nel mio paese, Fiumefreddo di Sicilia. Sono le otto del mattino. Si torna a respirare dopo lo strombazzare dei giorni scorsi: la campagna elettorale è finalmente conclusa. Esco di casa pronta alla “Giornata di solidarietà pro ragazzi talassemici”.

La gente mi darà fiducia? Verrà a firmare?

Mio marito sta preparando il tavolo per appoggiarvi le cartoline, i volantini, le penne. I nostri scouts, appartenenti ai due reparti aironi ed aquile, sono già impegnati a distribuire con certosina pignoleria i volantini alla gente che affluisce in Chiesa per la S. Messa. Io vado all’altra piazza, di un quartiere periferico del paese, dove già mia sorella e un amico, anche lui scout, stanno curando la raccolta delle firme.

E LA CHIAMANO PAZZIA DI MADRI

La gente quasi si sommerge tra domande incalzanti e parole d’affetto per mio figlio: m’hanno vista crescere, non hanno ancora dimenticato la mia pazzia di madre.

Appena riesco a liberarmi ritorno in piazza centrale dove già le firme non si contano più, mentre Olga, la mia secondogenita di sette anni, in uniforme da scout, sta svolgendo un appassionato e tenacissimo lavoro di volantinaggio.

È UNA GIORNATA DI ARIA PURA

Qualche vecchietto è un po’ perplesso! Solo una firma? Come mai? Se il Centro ha tanto bisogno di ampliare la sua potenzialità perché non mandare dei soldi? Lo rassicuro traendolo in disparte per spiegargli con calma le motivazioni della campagna di cartoline.

Alla fine pur titubante…firma.

Momento di attenzione generale in piazza: arriva la neonata emittente locale. Atteggiamento da esperto cameraman, l’operatore si muove tra il serio e il faceto, non senza partecipare attivamente con la sua adesione personale.

Dove sono gli uomini politici che qualche domenica fa tuonavano le loro sentenze ai partiti avversari, promettendo benessere economico e rinascita morale? Hanno preferito disertare – eccetto qualche eccezione – una giornata di “puro volontariato” dal momento che non c’era alcuna possibilità di strumentalizzazione: io sto al di sopra delle parti. Oggi in paese non corrono discorsi inquinati da ideologie. Si respira aria pura. Si parla di trapianto…di talassemia…della solidarietà che con una firma si può dare a chi spera nella guarigione. Le gente è commossa. Legge i volantini quasi con soggezione. In silenziosa fila si avvicina al tavolo per firmare, silenziosamente si allontana con l’orgoglio di aver partecipato.

Si vivono momenti di viva partecipazione – io stessa mi sento turbatissima – mentre tutti i ragazzi come per incanto si stringono attorno a Rosario e le sue due sorelle, Nadia non compatibile con lui per la donazione del midollo e la piccola Vanessa, nata per dargli una possibilità di guarigione.

LA GENTE CAPISCE E AIUTA

A sera la gente si raccoglie attorno a noi. Siamo stanchi. Vorremmo tornare a casa, ma la gente non va via, sembra saziarsi alla nostra presenza. Restiamo ancora un poco a chiacchierare e tutto il paese vuole partecipare alla nostra voglia di scuotere l’indifferenza di uno Stato sempre più assente.

L’editoriale di marzo è un documento redazionale che in realtà era nato da una riunione del Comitato Esecutivo nella quale si decise di rispondere a coloro che a volte anonimamente, altre volte in modo aperto agli incontri, ci accusavano di non essere imparziali perché “pagati” da un’azienda.
Sono passati quasi vent’anni da questo fondo e tuttora capita che qualcuno, che si erge occasionalmente a “paladino” e poi regolarmente scompare, ci accusi di qualche cosa.
Noi rispondiamo anche oggi come allora:

Quando ci sentiamo insicuri e la nostra fede vacilla, ci guardiamo alle spalle, al lavoro svolto in questi anni e ritroviamo così il significato delle parole dette e messe in pratica e…dopo esserci guardati allo specchio, dopo aver perso tanti “amici” per strada ed essere usciti in mezzo agli altri, alla società del nostro tempo non possiamo non partecipare a tutti gli avvenimenti o non denunciare ingiustizie.

Abbiamo sentito parlare dal podio della dirittura morale persone che, nel momento stesso in cui vi salivano, ci accusavano di essere stati troppo onesti, perché la “troppa onestà genera confusione”.

Abbiamo sentito accuse di aver lavorato male, di non aver lavorato, di non conoscere il “problema”, e queste accuse venivano da persone che il problema non si sono degnate di approfondire, dando per scontato che il nostro atteggiamento fosse legato ad interessi particolari, non certo quelli dei nostri figli, dei nostri amici o di noi stessi.

Abbiamo più che altro sentito il tentativo di distruggere e non di costruire, il desiderio di liberare la rabbia per una situazione non accettata, il desiderio di ricavare ciò che si può, con qualsiasi mezzo, in qualsiasi modo e alla malora tutti.

Abbiamo sentito le miserie dell’animo umano uscire allo scoperto. Sarebbe facile dimostrare la cattiveria, la irrazionalità, la stupidità e la malafede di certi atteggiamenti, ma riteniamo che non servirebbe. Piuttosto conviene mettere bene in chiaro alcuni punti per evitare che sorgano ulteriori malintesi:

PRIMO: la testata di EX è proprietà dell’Associazione di Ravenna, al Comitato Esecutivo di questa associazione ci sentiamo di dover rendere conto oltre che alla nostra coscienza, sempre dopo aver sondato il parere della gente e vagliato i fatti meticolosamente.

SECONDO: la suddetta Associazione ha sempre perseguito, e persegue, certi suoi scopi particolari, ed EX ne costituisce un ulteriore strumento, per rendere l’ammalato, il disabile, chiunque, uomini liberi e dare a tutti la possibilità di attuare le terapie più moderne; obiettivi che la Associazione stessa ha sempre palesato senza peli sulla lingua.

TERZO: chiunque ritenga che questi siano obiettivi di persone che ricercano l’utile particolare venga da noi, e saremo lieti di fornirgli l’elenco di quanto abbiamo pagato per le nostre idee.

EX di aprile si occupa di nuovo di “indennizzo”.
A Napoli, a marzo, l’Assemblea delle Associazioni aderenti alla Fondazione dell’Emofilia, aveva inviato un documento nel quale chiedeva di cambiare gli articoli 3 e 4 della legge a riguardo.

Si diceva:

Ed in particolare le disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 della legge stessa, altrimenti del tutto inapplicabile ai soggetti emofilici e coagulopatici infettati da HIV e da epatite a causa del trattamento obbligato antiemorragico con sangue ed emoderivati, con le seguenti:

NORME DI INDENNIZZO

1. Art. 3 – comma 3, comma 4, comma 6, comma 7.

a) Dette malattie congenite hanno dato luogo alla emissione del D.M. Del 12/6/72 che, dichiarando le malattie “sociali”, ha reso applicabile il D.P.R. n.249 del 11/2/61 con la istituzione dei centri e servizi per la lotta alle specifiche malattie, con tutti i compiti in detto D.P.R. Previsti, ampliati dopo il verificarsi del contagio da HIV anche alla diagnosi, controllo, terapia dei soggetti di che trattasi.

Funzioni e compiti che hanno necessitato la creazione presso l’Istituto Superiore di Sanità del Registro Nazionale dei coagulopatici congeniti, in collaborazione con l’Ente “Fondazione dell’Emofilia” i cui delegati sia a livello medico, sia a livello sociale sono stati chiamati da questo Ministero a far parte della commissione nazionale sangue, Commissione nazionale AIDS e Consulta nazionale delle associazioni per la lotta all’AIDS.

b) Detti centri sono quindi i presidi più qualificati per la formazione della documentazione richiesta dall’art. 3 della presente legge.

c) Che il “Registro Nazionale dei coagulopatici” dell’Istituto Superiore di Sanità, in ausilio ed a integrazione della documentazione fornita dai Centri medici di emofilia, è l’istituzione in grado di documentare il numero degli emofilici e coagulopatici infettati prima del 1985, 29 soggetti nel 1985, 9 soggetti nel 1986 e 3 soggetti nel 1987, prima dell’emissione del D.M. del 15/1/88 sulla obbligatorietà dei controlli del dono del sangue e plasma in Italia sul singolo donatore e prima della emissione del Prontuario terapeutico nazionale dei farmaci virucidici di seconda generazione con pastorizzazione, e metodo di più efficace virucidicità.

2. Art. 4 – Art. 6 – Conseguentemente ai fini della espressione dei giudizi di cui alle predette norme, atteso che le coagulopatie congenite prevedono l’esenzione dal servizio militare e conseguentemente il giudizio e i compiti delle commissioni medico ospedaliere nel caso dei coagulopatici congeniti non ha possibilità di essere espresso sia per quanto riguarda il nesso di casualità che per quanto riguarda le conseguenze, come risulta evidente dal n. 1 del presente indirizzo nonché dal fatto che le conseguenze stesse sono:

a) L’infezione da HIV con la condizione di sieropositività, uguale per tutti, come accertato in sede OMS.

b) Lo sviluppo delle malattie da AIDS nell’arco di un periodo predeterminato dalla casistica internazionale e come accertato in sede OMS.

c) Il sopravvenire entro un periodo di tempo risultante dalla casistica internazionale della perdita della vita, come accertato in sede OMS.

Sulla scorta dei lavori parlamentari si può, data l’urgenza e la gravità della situazione, istituire una sola Commissione medica presso l’Istituto Superiore di Sanità, integrata dai componenti la Presidenza del Comitato medico-scientifico della Fondazione dell’emofilia nonché di esperti, cui è affidato il compito altresì di stabilire l’ammontare della indennità omnicomprensiva.

Data l’urgenza e le aspettative degli interessati, alla Commissione così come composta viene esteso il termine perentorio di 30 giorni in cui all’art. 5 della stessa legge.

Anche nel mese di maggio il filo diretto con i lettori ci dà modo di rispondere e anche di ribadire alcuni concetti fondamentali legati all’emotività e agli argomenti che in questi anni ci “costringevano” a essere meno allegri.

Un lettore, a questo proposito ci scrive:

Lo spirito tutto sommato allegro, e in certi casi quasi goliardico, con il quale vivevamo, parlavamo, scrivevamo anni fa sembra sparito, è sparito.

Non mi sembra giusto!


È risorto con più vitalità di prima il vecchio vittimismo che tanti danni aveva fatto negli anni sessanta; l’egoismo sembra aver dimostrato di essere più utile dell’altruismo; si fa leva sugli istinti peggiori del prossimo per ottenere soluzioni ai nostri problemi, dimenticando l’aurea massima che l’uomo è migliore di quanto non sembri (e di quanto non creda egli stesso). I capponi di Renzo erano amiconi al nostro confronto!


Non mi sembra giusto, caro EX, andare a caccia di streghe, cercando IL NOME del responsabile per qualsiasi guaio ci capiti: sarebbe tutto sommato facile la
vita se si potesse identificare il “Grande Vecchio” che sta dietro a questa situazione! Ma io non credo a nessun “Grande Vecchio”: credo nei guai che vengono fuori periodicamente e imprevedibilmente, credo negli errori di valutazione (che ciascuno di noi fa in perfetta buona fede venti volte al giorno, credo soprattutto nel vecchio aforisma di Augusto Guerrino (Ricciardetto) che ci sono solo due cose infinite nell’universo: la bontà di Dio e la stupidità dell’uomo!


E poi credo che non si debba essere schiavi di nulla e di nessuno, neppure delle proprie (peraltro ultra legittime) paure: e l’essere schiavo, in alcuni casi, è più un atteggiamento mentale che una realtà oggettiva.

La risposta del nostro Direttore Responsabile è lunga ed articolata, ma qui riproduciamo soltanto i passi salienti.

Noi non facciamo la caccia al “Grande vecchio” non crediamo negli errori di valutazione quando a pagare sono degli esseri umani che hanno già troppo sofferto. Forse il fatto di essere emofilici non ci dà diritto ad avere serenità ad essere trattati come esseri umani, come Persone?

Noi caro attento e sottile lettore non siamo schiavi di nessuno, altrimenti – se lo fossimo – non avremmo scritto quello di cui lei ci rimprovera.


Vorrà dire che diremo agli emofilici di non lamentarsi, in fondo “sono guai” che vengono fuori periodicamente, smetteremo di andare al loro capezzale a
vederli e a sentirli morire di AIDS, non parleremo più con loro, tanto sono, siamo emofilici, e allora suvvia, che cosa pretendiamo!


Lasciamo le streghe al loro lavoro, lasciamo che emergano i nostri istinti peggiori, tacciamo!


È forse questo che tu vuoi? Tacere per non sapere e per non fare sapere? NO!


EX parlerà caro lettore perché crede ancora e nonostante tutto nell’altruismo, nella solidarietà, nella verità e nella libertà. Questo vuol dire non essere schiavi.


EX crede nella Persona, nelle sue interezza, nella sua totalità e tu questo lo sai benissimo! Soprattutto il tempo non ci ha cambiati e lo verifichiamo giorno per giorno.


O tutto questo non ti sembra giusto?

Ancora a maggio il tema del trapianto di midollo nei talassemici con la lettera di un ragazzo che aveva coscientemente affrontato la malattia fino al grande passo che, non nascondiamolo, era rischioso.

Sono Angelo, un ragazzo di 25 anni che da ben 24 lotta contro quella malattia che ha nome talassemia. Sono nato in un paesino della Basilicata e ad un anno è iniziata la routine di trasfusioni. A soli 2 anni sono stato splenectomizzato (asportazione della milza) e non essendo un’operazione facile, nel ’68 i miei genitori hanno lasciato il lavoro, la casa, i parenti e il paese natio per trasferirsi a Genova per farmi seguire dall’Istituto Gaslini.

In quel tempo la trasfusione richiedeva almeno una settimana di ricovero ospedaliero, sia per la ricerca del donatore che per le analisi da effettuare; il Desferal poi si faceva 2 o 3volte la settimana per via “intramuscolare”, prima che arrivasse la pompetta. La “ben amata pompetta”, una manna per combattere l’accumulo di ferro, ma non per me che mi ero ridotto le braccia, a forza di fori, un vero e proprio campo di battaglia (ed anche il mio morale).


A vent’anni, con lo staff della Pediatra 4 dello stesso ospedale abbiamo tentato un nuovo metodo sperimentale, l’eritroexchange, in pratica “cambio del sangue” mediante la macchina della aferesi mi prelevavano totalmente il sangue, lo purificavano, lo “lavavano” e lo trasfondevano nella stessa giornata eliminando così i globuli rossi vecchi, sostituendoli con quelli sani e “giovani” di un donatore.


Sperimentazione riuscita poiché l’intervallo di tempo era passato dai 15-20 giorni ai 40 giorni ed i valori della ferritina dai 1500-2000 iniziali ai 400 circa dopo quasi un anno (grazie ovviamente alla pompetta). Non mi sono mai rifiutato di ammettere la mia malattia e non ho mai accettato la scusa del “non posso fare questo o quello perché sono talassemico” e questa è stata l’ancora di salvezza, visto che ho continuato gli studi sino a raggiungere il diploma di perito elettronico. Frequento inoltre attivamente da 10 anni gli scouts e lavoro in una officina di alluminio e ferro (lavoro fisico e non seduto ad una scrivania).


Mi sono ritenuto sempre fortunato perché in me vi era forza e ostinata volontà, cosa che molti ragazzi e ragazze non hanno, e nel vivere in mezzo agli altri nonostante la mia malattia.


Questa forza mi ha anche sostenuto nella prova più difficile, il trapianto di midollo osseo donatomi da mia sorella di 23 anni.


Tutto è successo nell’agosto del 1991 quando ho iniziato la trafila degli esami di tipizzazione tra me e il resto della famiglia. Ho eseguito quelli preliminari, poi quelli più specifici ed il risultato è stato di “compatibilità al 100%” tra il mio midollo e quello di mia sorella (sana).


Ma il centro trapianti del Gaslini non era attrezzato per il mio trapianto ed in accordo con lo staff medico mi sono recato a Pesaro dal prof. Lucarelli e, dopo aver eseguito ulteriori accertamenti, il 9 gennaio 1992 mi è stato trapiantato il nuovo midollo.


Non vi dico la gioia e la volontà di rinascere che (a distanza di una settimana dal trapianto) il nuovo midollo era perfettamente attecchito e stava “lavorando” bene.


Sono rimasto a Pesaro circa 3 mesi e mezzo e precisamente:


1 mese per i controlli pre-trapianto (dicembre) 1 mese in camera sterile (gennaio) e 1 mese e mezzo per controlli settimanali in un appartamento del volontariato di Pesaro (febbraio e marzo).


Ora sono a casa a Genova continuando sempre una volta alla settimana con i controlli al Gaslini.


Per ora so che sino al gennaio ’93 non posso riprendere il mio lavoro in officina ma posso uscire di casa, incontrare amici e parenti (anche se con la mascherina da “chirurgo”) e so che dal febbraio ’92 non mi trasfondo più sangue ma “me lo creo” da solo come i ragazzi normali.


Potete immaginare la gioia e la felicità per tutto quello che mi è successo. Con questo non voglio dire che i miei amici talassemici sono più sfortunati di me nell’essere schiavi delle trasfusioni e della “pompetta”, ma se vi è la possibilità di tentare, perché non provare almeno il test di compatibilità del midollo con i propri familiari, dopo tutto si tratta solo di un prelievo di sangue per sapere se vi è compatibilità con un fratello o uno dei genitori. Tutto questo può ridare forza e vita alla volontà di essere realmente sani.


E con questo i bambini, i ragazzi talassemici sentono questa forza nel loro cuore, vero?


In confidenza devo dire che personalmente non ero un angioletto poiché tra le tre classi delle condizioni cliniche mi sono presentato a Pesaro in classe 3, cioè con il 61% di possibilità di riuscita, poiché avevo iniziato a fumare a 17 anni e avevo alle spalle a 19 anni una epatite acuta. Ma la mia vita famigliare, scolastica, sociale e affettiva l’ho “vissuta” sempre sostenuto da quella ferrea volontà che mi faceva correre, giocare, saltare, lavorare ed amare con il sorriso sulle labbra.

In luglio, in apertura pubblichiamo la notizia della costituzione della Fondazione Italiana per la Guarigione dalla Talassemia.

In adempimento a quanto deliberato dal C.D. nella seduta del 10 maggio 1992 tenutasi a Roma presso l’Associazione Microcitemici del Lazio, sono lieto di comunicare il C.D. a tutte le associazioni aderenti alla Lega che alle ore 20 del 19 giugno 1992, presso il Notaio dott. Ielo a Caltanissetta è stata costituita la Fondazione Italiana per la Guarigione della Talassemia.

La Fondazione è retta da un Consiglio di Amministrazione composto da: dott. Calogero Vullo, Leonardo Giambrone, Aldo Di Todaro, Cataldo Giammusso, Filippo Martino, Emilio Zago, Giovanni Andrea Barra.

Scopo principale della Fondazione è quello di raccogliere fondi da finalizzare alla ricerca volta a raggiungere la guarigione di tutti i talassemici.
In tal senso la Fondazione ha avviato iniziative di raccolta fondi per la ricerca a livello nazionale.

Considerato che gli sforzi sono tutti protesi al raggiungimento dei massimi risultati conseguibili e allo scopo, quindi, di non vanificare tali sforzi, tutte le associazioni sono invitate ad attenersi alle seguenti direttive:

Tutte le associazioni dovranno utilizzare lo stesso marchio e lo stesso logo che questa presidenza sta provvedendo a stampare. Allo scopo le associazioni sono invitate a far pervenire con urgenza la loro intestazione locale che verrà abbinata alla intestazione della Lega ed a un messaggio che veicolerà la Fondazione.

Nessuna associazione, aderente alla Lega, potrà assumere iniziative locali finalizzate alla raccolta di fondi per la ricerca senza che abbia prima richiesto il benestare alla presidenza che in tali casi provvederà a mettere in contatto l’associazione richiedente con un responsabile della Fondazione il quale impartirà quelle che dovranno essere le direttive da osservarsi e le condizioni necessarie per portare avanti le iniziative e ciò nella considerazione che anche una sola iniziativa condotta autonomamente potrebbe danneggiare l’immagine della Fondazione e compromettere le iniziative di raccolta fondi per la ricerca fatta a livello nazionale.

È intenzione di questa Presidenza convocare una assemblea nazionale di tutte le associazioni per dibattere in maniera più ampia il problema; tale assemblea molto probabilmente verrà tenuta durante il periodo compreso tra settembre e ottobre di quest’anno.

Distinti saluti

IL PRESIDENTE

Aldo Di Todaro

Nel giorno della celebrazione della Giornata Mondiale dell’Emofilia pubblichiamo un documento inviato al nostro giornale dall’allora Segretario Generale della World Federation of Hemophilia.

Il 17 aprile è un giorno speciale per coloro che appartengono al mondo dell’emofilia, sia per chi ne è affetto o ha un proprio caro affetto da tale malattia, sia per chi è impegnato in tale mondo per mezzo di un legame speciale.

Si tratta della terza celebrazione del Giorno Internazionale dell’Emofilia. È inoltre l’anniversario della nascita del fondatore della Federazione Mondiale dell’Emofilia, il sig. Frank Schnabel, morto del 1987.

Nel corso dell’anno abbiamo molti tipi di celebrazioni del genere: la celebrazione del Giorno dell’Ambiente, il giorno della segretaria, la Festa della mamma e la festa del babbo, il giorno della Terra ed altre. Tutti questi giorni sono veramente meravigliosi in quanto ricchi di significato e per lo scopo e la riflessione che questi giorni istillano in noi.

Ogni giorno è una celebrazione. Il giorno internazionale dell’emofilia può essere unico se viene visto come un invito rivoltoci per un momento di consapevolezza, un momento di gratitudine, un momento di rinnovamento e di impegno.

Prima di tutto è un invito ad un momento di consapevolezza. Intanto che siamo esseri umani, nessuno di noi è tutto, nessuno è completo. Noi siamo speciali, unici e straordinari, ed è per questo che dovremmo gioire di nuovo ogni giorno. Ciononostante dobbiamo anche accettare il fatto che ciascuno di noi si porta dietro le proprie “verruche e ferite”.

Siamo viaggiatori nel tempo all’inseguimento della completezza e la pace viene solo dall’accettazione: l’accettazione di noi stessi, non come la gente vuole che siamo, non come vorremmo essere, ma semplicemente come siamo. La gioia è poter sorridere e ridere, ed amare ciò che io sono.

L’emofilia è un disordine fisico. È un’espressione fisica della nostra incompletezza. È anche, però, un invito a vincere: a sforzarsi ed a lottare e godere di tale tentativo. Il Giorno Internazionale dell’Emofilia è un invito verso una gioiosa consapevolezza di tale realtà.

È anche un momento per esprimere gratitudine. Molti hanno donato sangue con un gesto di solidarietà sincera. Madri e padri, fratelli e sorelle sono stati altruisti in momenti di bisogno. Lungo la via, medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti e altri hanno offerto una mano d’aiuto, una parola gentile, uno sguardo affettuoso, una bella risata. Un senso di gratitudine verso la vita cambia le cose.

È un modo speciale di vedere noi stessi, altri esseri umani ed il mondo intorno a noi.

In agosto il nostro corrispondente dott. Mauro De Rosa invia dall’8° Congresso Mondiale sull’AIDS ad Amsterdam un lungo servizio.

Ma ciò che più ci preme pubblicare sono due storie vere di dolore.
Mauro che noi ricordiamo con affetto e ammirazione diceva:

Vorrei raccontarvi due storie brevi.

Due settimane fa, la polizia austriaca ha circondato una società, Plasma Pharm, ed ha fatto causa penale contro il suo proprietario. I prodotti derivati dal sangue preparati in quella società avevano contaminato 100 persone in Portogallo e 18 erano già morte di AIDS. Parte di quel prodotto proveniva dagli Stati Uniti d’America.

Due mesi fa, un giovane spagnolo, che è affetto da emofilia e AIDS, desiderava visitare “Disney World”. Il suo fratello maggiore era già morto di AIDS. Quando i suoi genitori lo hanno portato all’ambasciata degli Stati Uniti a Madrid per ottenere il visto, gli è stato detto che, essendo infetto da HIV, non gli veniva permesso di entrare negli Stati Uniti.
Ma il pubblico funzionario gli ha dato una possibilità (che certamente mostrava la sua compassione): se avesse ottenuto una lettera da un dottore americano che provasse che si recava lì per un controllo medico, avrebbe potuto ottenere un visto. In altre parole, se avesse mentito, avrebbe potuto andare a “Disney Word”.

Nel numero di settembre un servizio sul primo seminario sulle problematiche medico-sociali e morali legate all’infezione da HIV svoltosi a Rimini, organizzato dall’associazione di Ravenna e dal nostro giornale. Significativa la dichiarazione di un medico presente all’incontro: “Credo nell’importanza di queste riunioni quadrimestrali per un incontro che non sia solo motivo di conoscenza ma di scambio di idee, possibilità di costruire il nostro futuro ed essere così più liberi perché più coscienti”.

La signora Chesta ha puntualizzato che non bisogna vergognarsi della propria malattia. “I genitori, non dimentichiamolo, sono lo specchio attraverso il quale si vedono i figli che sono, di conseguenza, la trasposizione delle paure o del coraggio dei genitori che a loro volta sono gli interpreti delle paure del medico. Se i genitori non accettano, assieme al medico, la malattia, il figlio non accetta se stesso, per questi motivi dobbiamo incontrarci, parlare, esporre, ascoltare”.

Verio Oliovecchio dell’Associazione di Perugia: “Noi abbiamo fatto e la ripeteremo, una bella esperienza parlando dell’AIDS nelle scuole. Il problema dell’emofilia, dell’AIDS e della sieropositività deve entrare nelle menti di tutti, nei ragazzi, negli emofilici, nei genitori, perché soprattutto sono i genitori che formano i ragazzi. È fondamentale che i genitori sappiano, si educhino ed educhino. La paura è il non partecipare, il fare finta che non stia succedendo nulla”.

NOVITÀ POSITIVE SUL RISARCIMENTO AI SIEROPOSITIVI

Mauro De Rosa, aprendo i lavori della seconda giornata, parla degli ulteriori sviluppi del riconoscimento per il danno biologico.

Il finanziamento è operante e si attendono ora le decisioni sulla formazione delle Commissioni mediche che lavoreranno anche senza aspettare la pubblicazione dei decreti sulla Gazzetta Ufficiale. È stato fissato un punto importante a favore dell’anonimato della persona, secondo cui il soggetto domandante può chiedere di effettuare la visita di controllo lontano dalla propria sede di residenza. Saranno esaminate per prime le domande che fanno riferimento alle persone decedute, poi ai sieropositivi viventi, infine agli epatici.

Soprattutto le domande delle vedove e degli orfani saranno esaminate in un periodo di tempo non superiore ai 15 giorni, così da garantire un giudizio estremamente celere.

Per semplificare questo iter obbligatorio, il Ministero della Sanità redige il testo di un verbale con domande alle quali la Commissione dovrà apporre un semplice segno. Altro punto importante è che il richiedente alla domanda può allegare un’ulteriore richiesta di visita anticipata per gravi motivi, di salute o economici, specificando: “In deroga all’ordine cronologico”.
La richiesta deve essere indirizzata al Presidente della Commissione Medica.

Il dott. De Rosa puntualizza un avviso importante: “Questo non è un risarcimento, è un indennizzo che non inficia comunque l’iter della denuncia per il danno biologico”.

L’editoriale di novembre torna su un argomento ricorrente e di triste attualità, quello delle difficoltà create alle testate del volontariato, compresa la nostra.

Vogliono “recidere” il nostro sogno di libertà

I lettori più attenti avranno notato che in questi ultimi numeri del giornale richiamiamo con insistenza l’attenzione sulla necessità di un aiuto concreto, anche minimo (10.000 lire) affinché questa “voce”, che è di tutti, non taccia. Abbiamo anche cercato di spiegare i motivi che poi si riassumono in uno soltanto: non siamo in grado di sostenere i costi di spedizione che l’amministrazione delle Poste ha aumentato esageratamente e senza discriminazione. Per sopravvivere servono almeno 1500 abbonamenti e non è un grande numero considerando le 7000 copie che mandiamo in Italia e nel mondo. Sono cifre, crude quanto si vuole, impietose, ma reali.
E come noi altre voci del volontariato rischiano di tacere, mentre altre già tacciono. In tutti questi anni di lavoro e di lotte, abbiamo definito lo Stato in molti modi, per questo crediamo non ci siano più aggettivi per descrivere un’entità, di cui noi tutti facciamo parte, che non ha tempo né voglia per “un occhio di riguardo” verso chi copre volontariamente e senza nulla chiedere, i buchi, le manchevolezze, le inefficienze di una struttura pubblica eccessivamente politicizzata e burocratizzata, percorsa poi in questi giorni dai fantasmi e dalle realtà di una classe dirigente corrotta e corruttrice. La copertina di questo EX è lo specchio del nostro animo. La forbice che taglia le ali al nostro sogno di libertà non è un’immagine soltanto astratta o “naif”.
Questo, (come altri), non è un semplice foglio che ingorga gli uffici postali, è il riassunto di battaglie quotidiane, di vite vissute, di solidarietà, di gesti d’amore. Se lo Stato non ci ascolta, ascoltateci voi che vivete queste nostre realtà, ogni giorno.

A dicembre, oltre alle notizie sugli aiuti ai bambini talassemici in Romania, il giornale parla molto dei bambini, del loro condizionamento dovuto alla malattia, ma anche della cattiva informazione.

E a proposito di questa concludiamo con un intervento nelle lettere al giornale del Segretario Esecutivo dell’Associazione Emofilici della Campania Giovanni Nicoletti.

Il titolo è:

Trasmissioni televisive che deformano l’immagine degli emofilici

Purtroppo, ancora una volta il binomio emofilia-AIDS ha avuto l’onore della ribalta televisiva (“Il coraggio di vivere” Rai due del 20 ottobre u.s.), anche grazie a personaggi che hanno poco o nulla a che fare con la nostra categoria. Sappiamo bene quale importanza abbia l’AIDS nella realtà medica e sociale e quali impatti ha causato nella vita di milioni di persone sia dal punto di vista affettivo che economico. Ci sembra però oltremodo penalizzante sentir discutere dei nostri problemi solo quando si deve collegare il “povero emofilico” al tema della sieropositività che non è stata giustamente risarcita, addirittura senza la presenza di nessun rappresentante delle numerose associazioni emofiliche italiane! Senza voler assolutamente minimizzare la sieropositività acquisita con l’uso degli emoderivati da oltre 700 dei 4500 emofilici italiani, va comunque sottolineato e detto in ogni occasione che rappresenta – grazie ai nostri scienziati – un bruttissimo capitolo chiuso da molti anni.

È un tema questo che va ripetuto fino alla noia: anche se gli attuali emoderivati non sono ancora sicuri al 100% non provocano comunque sieropositività all’HIV.

NON VOGLIAMO TORNARE AGLI ANNI DELLA PAURA

Siamo scoraggiati nel sentire di emofilici che per paura non si trattano o non vengono curati adeguatamente, correndo perciò rischi anche mortali.

Aggiungasi poi un altro effetto ancora peggiore. È noto, al di là del giudizio personale, quale sia l’atteggiamento della collettività nei confronti dei soggetti sieropositivi: le cronache sono piene di episodi ghettizzanti causati dalla paura di un male ancora sconosciuto e per molti versi altamente strumentalizzato.

Senza voler fare discriminazioni, peraltro assurde per chi come noi deve lottare quotidianamente per godere dei propri diritti, sta di fatto che la gente (?) comunque emargina e quindi gli emofilici, quale che sia la loro condizione, sono costretti dalla cattiva informazione a vivere isolandosi dalla società. È sbagliato, lo sappiamo, ma gli emofilici e i loro familiari devono essere eroi o martiri? Chiediamo quindi l’intervento della Fondazione dell’Emofilia affinché si attivi per evitare il ripetersi di simili “sceneggiate” che alla fin fine danneggiano il mondo emofilico. Non vorremmo che “per un piatto di lenticchie” dovessimo costringere intere famiglie a vivere nel terrore a causa della falsa immagine di vita che è stata pubblicizzata attraverso questo programma, quando, nella realtà, un emofilico ben curato è pienamente in grado di inserirsi nella società e lo deve fare al pari di tutti.