L’anno 2000 inizia per noi e per molti nostri lettori con un tema vecchio, quello delle cause e dell’indennizzo. Una storia che si trascina ormai dalla fine degli anni ’80 ma che non accenna a risolversi.
FACCIAMO IL PUNTO SULLE CAUSE PER L’INDENNIZZO
In gennaio facciamo il punto con un’intervista all’avvocato Umberto Randi, colui che per primo assieme ad altri avvocati ha aperto le nostre battaglie per un riconoscimento.
Tutti ormai sanno della causa delle 380 persone (373 emofilici e 7 talassemici) nella quale il Giudice di Roma emanò una condanna nei confronti dello Stato condannandolo al risarcimento in base a quattro tipologie di danno.
“Biologico, morale (di reato), materiale ed alla vita di relazione”.
“Dopo la sentenza era stata aperta una trattativa – ci ha detto – con il Ministero della Sanità, nel dicembre 1998, per cercare di ottenere una rapida e soddisfacente soluzione ma fu interrotta dal ministero. In seguito poi, su intervento della Federazione delle Associazioni Emofiliche, di parlamentari, di altre associazioni e dell’Unione Forense per i Diritti dell’Uomo, sono state riaperte le trattative su “due tavoli”.
Il primo per la transazione delle cause civili.
Il secondo per la riforma delle leggi 210 e 238, sia per il miglioramento delle stesse, sia per la riapertura dei termini per la presentazione delle domande per il rifinanziamento delle leggi ed il potenziamento degli uffici”.
Ma torniamo alla prima causa per la quale l’avvocatura dello Stato ha interposto appello.
“In quella data – ha affermato l’avvocato Randi – faremo la precisazione delle conclusioni, ma prima eravamo stati convocati dal Consigliere che ha in mano attualmente la prima causa.
In quella riunione fu chiesto un breve rinvio dovuto al fatto che è stato riaperto il tavolo delle trattative che sembrano a buon punto. Nel frattempo abbiamo portato avanti la seconda causa, quella cioè di coloro che non avevano potuto aggregarsi alla prima, per la quale abbiamo chiesto la riduzione dei termini.
Il Giudice fisserà l’udienza intermedia per eventuali nuove documentazioni o per memorie di tipo istruttorio. Intanto si è riaperta la trattativa, dopo nove mesi di interruzione..
Nella commissione ci sono tre alti funzionari del Ministero e tre avvocati designati dalla Federazione delle Associazioni Emofiliche in base a decreto ministeriale.
Son rappresentati non soltanto gli emofilici ma altri politrasfusi che facciano parte delle cause e rientrano nelle leggi 210 e 238.
I compiti della commissione sono quelli di verificare se esistono le condizioni ed i modi per una transazione fra Ministero ed aventi diritto, oltre alla quantificazione delle cifre.
Stabilire inoltre come condizione, la rinuncia alla sentenza nei confronti del Ministero e l’impegno dello stesso ad allearsi e costituirsi parte civile nel procedimento penale di Trento.
Nel caso di accordo ci si presenterà al giudice per sottoscrivere la transazione con la procura delle singole persone. In questo contesto di lavori le associazioni e la Federazione hanno un’importanza notevole perché dovranno parallelamente stabilire una linea politica contattando e informando i parlamentari su quanto si sta facendo”.
Altro è il secondo tavolo, cioè quello delle associazioni che ha il compito di riaprire i termini per le domande sull’indennizzo e sui diritti negati.
All’avvocato Randi abbiamo rivolto un’altra domanda a proposito dell’altro problema rappresentato (per coloro che già percepiscono l’indennizzo), dalla richiesta di retroattività che la 238 assegna soltanto agli infettati da vaccinazioni antipolio.
“La situazione stava in questi termini – ci ha risposto – attendere che la Corte Costituzionale si pronunci sull’incostituzionalità dello specifico articolo della 238 ed in caso affermativo fare i ricorsi per ottenere la retrodatazione al fine di evitare le enormi lungaggini del Ministero in questo campo. Senonché la stessa Corte con la mole di lavoro attuale non potrà entro breve tempo riunirsi nel merito e decidere sulle ordinanze dei Giudici ex Pretori.
Esiste inoltre una possibilità teorica che la Corte Costituzionale decida anche contro la retrodatazione.
A questo punto prende corpo l’altra ipotesi, rivolgersi subito ad un Giudice.
Questo significa un’altra causa previdenziale per ottenere la retrodatazione. Se dovesse succedere questo, coloro che avessero fatto una causa poi vinta, dinanzi ai giudici di 1° grado, otterrebbero gli arretrati, tutti gli altri no”.
Aumenta così l’importanza anche del secondo tavolo di trattativa, quello cioè che potrebbe fare in modo di cambiare la legge attraverso il Parlamento, anche in favore di coloro che purtroppo non sono riusciti a fare le domande per decorrenza dei termini.
ASSISTENZA ALLA POPOLAZIONE EMOFILICA IN EMILIA-ROMAGNA
Sempre nel numero di gennaio ci occupiamo di un’altra importante iniziativa. In Emilia-Romagna nasce una collaborazione fra le associazioni di categoria (nel caso gli emofilici) e l’autorità sanitaria per creare un progetto comune di assistenza che semplifichi il lavoro dei medici e chiarisca cosa fanno o meglio, cosa dovranno fare e dove, i Centri di cura.
L’anno che si è chiuso è stato caratterizzato da un forte impegno per sensibilizzare gli amministratori regionali sui problemi concreti connessi all’assistenza.
Primo fra tutti l’accesso alla terapia con farmaci ricombinanti, poi ultimo in ordine di tempo, ma non di importanza, la global care, l’assistenza globale, in tutte le fasi della malattia attraverso un approccio multidisciplinare che risulta essere vincente sia per la qualità di vita dei pazienti, sia per il risparmio sui costi della malattia.
Il punto di partenza per affrontare in maniera organica questi problemi è nell’approvazione di un documento dal titolo: “Assistenza alla popolazione emofilica in Emilia Romagna”.
È il frutto degli incontri che si sono svolti presso l’Assessorato alla Sanità tra la Federazione delle Associazioni Emofiliche, i referenti dei Centri di trattamento ed i responsabili del CRAT (coordinamento regionale delle attività trasfusionali).
In particolare sono stati presi in esame i seguenti temi: significato del piano terapeutico, modalità di distribuzione dei prodotti antiemofilici, consenso informato, corsi per l’autoinfusione, rete dei centri regionali per la cura dell’emofilia, centri di riferimento regionali, assistenza nell’emergenza, registro regionale delle coagulopatie congenite.
NON CI DOVRA’ ESSERE DIVERSITA’ DI TRATTAMENTO
Un dato certo oggi è che essere emofilici è diverso da una città all’altra nella regione: non solo per il tipo di farmaco da assumere, ma anche per l’assistenza che si riceve.
Per evitare qualsiasi equivoco, ciò non è dovuto alla mancanza di professionalità dei medici, ma a carenze superiori, di carattere organizzativo e gestionale.
Quelle a cui si vorrebbe porre rimedio attraverso il reale avvio del programma regionale.
C’è tra i medici, chi ha tenuto i gomiti alti per difendere la professionalità e l’esperienza acquisite nella cura dell’emofilia a servizio e a tutela dei pazienti, rubando il tempo alla propria vita privata per poterne disporre nei confronti di questi malati.
C’è chi ha dovuto arrendersi alle logiche del reparto o dell’ospedale o dell’Azienda di appartenenza, che gli hanno “imposto” di dover rinunciare al tempo necessario all’assistenza di pazienti tanto “scomodi”.
Logiche misere di razionamento della spesa, ma soprattutto miopi perché incapaci di riconoscere i reali benefici a lungo termine di una cura adeguata dell’emofilia anche in termini economici.
Non a caso sarà presto emanato a livello ministeriale un regolamento in grado di tutelare le malattie rare, tra cui l’emofilia, che prevede tra l’altro un impegno delle Regioni nel riconoscimento di una rete di presidi regionali per i trattamento di queste condizioni.
Adesso che un nuovo entusiasmo traspare dall’attività di questi medici e si accompagna ad una concreta disponibilità a spendere altro tempo nella “cura” degli emofilici, come ad esempio attraverso la collaborazione alla costituzione di un registro regionale, l’organizzazione di corsi per l’autoinfusione e si arricchisce di una veste nuova attraverso l’impegno “politico” (nel senso più valido del termine) negli incontri di quest’ultimo anno, spetta a chi ha responsabilità decisionale non deludere le aspettative dei medici e la domanda di salute degli emofilici.
IL SUO NOME È SASHA LA SUA CASA È IN BIELORUSSIA, MA POSSIAMO AIUTARLO
Il nostro giornale è letto in tutto il mondo e noi spesso ci occupiamo delle problematiche di coloro che una cura ancora non l’hanno. L’editoriale di marzo infatti è dedicato ad un ragazzo in rappresentanza di tanti che non hanno la possibilità di curarsi.
Il nostro mestiere, che è essenzialmente quello di informare, ci permette di conoscere molte realtà in tutto il territorio nazionale, associative e di cura, che spesso cambiano da regione a regione, quasi a formare un mosaico chiaro/scuro che però tende a diventare più uniforme ad ogni anno che passa.
I nostri medici sono sempre più messi in condizione di svolgere un lavoro in tranquillità, con meno “zone d’ombra” per quanto riguarda l’assistenza e la terapia.
Questo li porta a guardarsi attorno, e, attraverso i congressi internazionali, comprendere e conoscere le realtà di molti Paesi che non hanno un minimo di assistenza.
L’ultimo di questi medici, in ordine di tempo, rispondendo alle mie domande, parlando della cura e della vita degli emofilici conclude con un richiamo in riferimento ad un bambino albanese la cui mamma è fuggita in Italia esclusivamente per poterlo curare.
Conclude poi con questa frase: “Trova il tempo per guardarti intorno: la vita è troppo breve per essere egoisti”.
Il quadro che riproduciamo è stato dipinto da Sasha, un ragazzo emofilico A grave, bielorusso, di quindici anni. Per chi capisce un poco di pittura, dalle immagini che ci mostra della sua terra, c’è tristezza ma anche una luce che esprime speranza, e non potrebbe essere altrimenti.
La sua vita è limitata non soltanto dall’immobilità per la mancanza di concentrati per curarsi (ha anche l’inibitore), ma anche dal dover essere sottoposto ad un delicato intervento chirurgico e nel suo Paese non sarà possibile farlo, soprattutto perché non può avere una copertura adeguata alla complessità dell’intervento.
Altri emofilici che non hanno la possibilità di essere trattati con i concentrati.
Ora, proviamo per un attimo tutti, a cercare di dimenticare i nostri problemi: le battaglie per l’indennizzo, le cause contro lo Stato, la retroattività e quant’altro, per vedere se in qualche modo, tutti insieme, possiamo aiutarli.
Quali possono essere le strade da percorrere?
Intanto per quanto riguarda Sasha, un’adozione temporanea che gli permetterebbe di usufruire di un trattamento come se fosse italiano.
Ci siamo attivati con la Regione Emilia Romagna, ma vi chiedo, per chi può farlo, di rivolgervi presso le vostre strutture ospedaliere ed i Centri di cura, informandoli ed informandovi.
Vi chiedo di creare una catena informativa con la nostra redazione, attraverso la quale conoscere le ultime notizie sullo stato di salute di Sasha. Anche sul nostro sito internet potrete avere notizie in tempo reale a partire dal mese di aprile.
Voi tutti sapete che il maggior costo di questo intervento è legato al prodotto per la copertura dell’intervento chirurgico.
Sapete che non sarà facile averlo, ma sapete anche che si può formare una catena di solidarietà che può superare qualsiasi barriera.
Basta soltanto volerlo!
Non dovranno esserci barriere doganali, di lingua, burocratiche, politiche o economiche ad ostacolarci.
Guardate in volto i vostri figli, accarezzateli e vedrete in loro il volto di Sasha o di chi, come lui, è costretto a stare immobilizzato a letto come avveniva con gli emofilici fino agli anni ’70, quando non esistevano i concentrati.
Sono trascorsi trent’anni. Non pensate sia giunto il momento che anche gli altri debbano godere dei progressi della scienza per vivere una vita vivibile?
Abbiamo la cura sicura, una prospettiva di guarigione futura, i Centri che ci assistono, ma non dobbiamo dimenticare che: “Siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare se stiamo abbracciati”.
Le tematiche di EX sono sempre molto varie perché ci occupiamo anche dei talassemici.
Infatti sempre in marzo parliamo di ricerca.
LA STIMOLAZIONE ERITROIDE PER LA PRODUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE NELLA TALASSEMIA
Il 28 gennaio un seminario organizzato dal Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell’Università di Ferrara e dalle Associazioni Talassemiche di Rovigo e Ferrara.
Presentato dal prof. Roberto Gambari, ha parlato il prof. Eitan Fibach dell’Università di Gerusalemme.
Abbiamo posto alcune domande al prof. Gambari, che fa parte del Comitato di Consiglieri Scientifici che è stato costituito appositamente per seguire i progetti scientifici di ricerca finanziati dalle due Associazioni.
Ne fanno parte il prof. Vullo (coordinatore), i professori Borgna, Cappellini, De Sanctis, Galanello, Locatelli, Piga e Schilirò.
“Induzione di emoglobina fetale (HbF) significa fare in modo, attraverso trattamenti di tipo farmacologico, che un soggetto adulto affetto da emoglobinopatia riesca a produrre livelli di emoglobina fetale che gli permettano di essere indipendente dalle trasfusioni. Per ottenere questo effetto, stiamo studiando molecole di varia natura che siamo in grado di indurre cellule eritroidi a differenziare e a produrre HbF.
Dati disponibili nella letteratura internazionale suggeriscono che basterebbe un aumento del 30% di emoglobina fetale per rendere il paziente indipendente da quelle trasfusioni che provocano accumulo di ferro causa, dei danni che tutti ormai conosciamo”.
Lei prof. Gambari, come da noi pubblicato nel marzo ’99 (vedere EX di marzo alle pagine 18 e 19 – n.d.R.) sta curando quattro progetti sugli induttori del differenziamento eritroide. Qual è il suo compito specifico?
“Cerchiamo di identificare molecole che abbiano la capacità di indurre in vitro il differenziamento, nel sistema di cellule che stiamo studiando nel nostro laboratorio e che possono produrre emoglobina embriofetale.
In prima approssimazione, possiamo pensare a due grandi classi di composti.
La prima comprende molecole che vengono concepite e progettate basandosi su dati strutturali o sperimentali.
La seconda strategia invece consiste nell’uso di molecole già utilizzate per la terapia di altre patologie, per le quali esiste già una farmacocineica dettagliata e studi preclinici.
L’obiettivo di questo ultimo tipo di ricerca è verificare se farmaci utilizzati per la terapia di altre patologie, possano essere utili per il trattamento della talassemia”.
Le associazioni di Rovigo e di Ferrara finanziano anche tre progetti del prof. Catelani. In che cosa questi progetti possono essere collegati al suo lavoro?
“Catelani (Dipartimento Università di Pisa) è un chimico organico che sta studiando, progettando e sintetizzando composti che possiamo definire analoghi ai butirrati. Queste molecole vengono trasferite al mio laboratorio per gli opportuni saggi di attività biologica. Contemporaneamente a questo lavoro noi stiamo portando avanti la ricerca anche su altri composti che stiamo progettando e sintetizzando presso il Dipartimento BBM (molecole che legano il DNA, molecole di DNA ecc.).
In proposito alle altre ricerche condotte in Italia su questi argomenti, in qualità di ricercatore, auspicherei una sinergizzazione più che una frammentazione.
Avere una visione d’insieme, a mio parere, sarebbe quanto mai importante in modo che ci possa essere un team di industrie ed uno di ricercatori che possa completare esperienze e competenze differenti.
Questo vorrebbe dire investimenti e coordinazione del lavoro tra biologi molecolari, biologi cellulari e strutturisti”.
Le associazioni di volontariato. Quanto peso hanno o potranno avere per un futuro nella cura della talassemia?
“Le azioni delle associazioni sono strategiche, perché svolgono un ruolo fondamentale nel reclutare persone per la ricerca attraverso finanziamenti mirati, riuscendo a portare sempre maggiore interesse in questo settore tra gli scienziati ed i ricercatori, soprattutto a livello universitario.
Un altro modo, altrettanto importante, è quello di diffondere il concetto di strategie e terapie alternative, cercando di trasferire le conoscenze dal mondo scientifico al mondo sociale.
Le associazioni dovrebbero sempre più lavorare ad esempio insieme a riviste scientifiche, sponsorizzare numeri monografici sulla talassemia.
Questo potrebbe portare ad interessare a queste problematiche anche piccole e medie industrie che potrebbero essere coinvolte in una strategia di questo tipo.
Creare un rapporto di collaborazione tra chi deve utilizzare i dati della ricerca e chi li produce.
È deciso per concretizzare l’utilizzo pratico dei risultati delle ricerche.
Faccio notare che sino a pochi anni fa si brevettava molto poco nelle Università e molte tra le ricerche più interessanti erano di fatto bloccate nel loro eventuale trasferimento tecnologico.
Brevettando i risultati delle ricerche esse possono essere sfruttate dal mondo industriale.
È ovvio che le associazioni hanno l’interesse a favorire la traduzione delle ricerche in brevetti da presentare alle industrie per cercare di finalizzare la ricerca.
Sotto questo aspetto stiamo vivendo un momento positivo, visto che la legislazione europea sta considerando le così dette malattie rare e quanto più si riuscirà a mettere a conoscenza delle industrie i risultati coperti da brevetto, tanto più sarà possibile aumentare la sperimentazione e quindi aumenterà la possibilità di trovare un efficace cura per la talassemia”.
In aprile documentiamo l’avvio di un progetto dedicato alle famiglie degli emofilici.
PROGETTO P.U.E.R. PER UN’EMOFILIA RITROVATA
Puer vuol dire bambino fin dall’origine della nostra lingua, ma PUER significa molte cose in seno alla Federazione. Sempre partendo dal bambino.
PUER è un acronimo ma prima di tutto è un’idea, un progetto.
Con PUER la Federazione è tornata alle radici, è tornata a rivolgersi a coloro che affrontano l’emofilia da principianti, da inesperti; ai genitori di bambini emofilici.
Così il progetto PUER è nato prima di tutto ascoltando i novelli mamma e papà e raccontare dei problemi quotidiani, delle paure e delle ansie, dei crocevia davanti ai quali non sempre era facile scegliere la strada giusta, non perché ne esista una unica, ma perché non esisteva la possibilità di valutarne altre.
Mettere in contatto esperienze diverse ha significato offrire più possibilità di scelta a chi le cercava, ma anche aiutare a cambiare, a rasserenarci, a trovare soluzioni pratiche a problemi irrisolvibili.
E da un esperimento è nata un’esperienza nazionale, che da qualche settimana cammina da sola.
In poco meno di un anno siamo arrivati alla terza e ultima fase del progetto, la più complessa e la più lunga.
In tutta Italia sono partiti gruppi composti da numerose famiglie che si incontrano per parlarsi, per arricchirsi e per arricchire.
In Sicilia, Lazio, Campania, Marche, Abruzzo, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Piemonte, Valle D’Aosta, Liguria le mamme ed i papà si sono incontrati e hanno subito cominciato a entusiasmarsi, a scoprire cose sensazionali, a non sentirsi più unici e soli.
E che sorpresa per qualcuno scoprire che un emofilico può essere un individuo normale, che può diventare campione di nuoto, pagaiare nell’acqua, vincere il torneo di calcio dell’oratorio e magari mettere KO un altro bambino con una mossa di karate.
Abbiamo incontrato oltre 100 famiglie di tutte le provenienze e tutti ci hanno comunicato sensazioni forti, ci hanno emozionati e soprattutto ci hanno arricchiti confermandoci di aver intrapreso una strada importante.
D’ora in avanti il loro compito sarà di non perdersi, di non disperdere questo patrimonio singolo che deve diventare comune e dovrà essere lo stimolo per cambiare sempre, per portare alla luce questioni nascoste che magari avrebbero potuto risolvere le Associazioni se solo ne fossero state a conoscenza.
EFFETTI COLLATERALI DEL DESFERAL NEL TALASSEMICO
Nel 1989 il supplemento di “Haematologica” vol. 5 – n. 1, pubblicò uno studio epidemiologico sull’intolleranza al Desferal, a cura di un gruppo autorevole di studiosi della talassemia, del quale fecero parte i prof. De Mattia, Sabato, Ferilli, Burattini, Del Vecchio e Schettini, tutti referenti e collaboratori dell’Istituto di Pediatria Clinica e Preventiva dell’Università di Bari.
Siamo in tempi, come dire, “non sospetti”, in quanto il Deferiprone L1, non ha fatto la sua comparsa sullo scenario della talassemia. Ad onor del vero lo studio dell’Università barese era incentrato su fenomeni di intolleranza locali e generali e non sugli effetti tossici del Desferal.
Ma in ogni caso, lo studio di per sé era estremamente interessante, perché furono valutati ben 656 bambini talassemici major che già assumevano da qualche tempo il Desferal.
Gli effetti indesiderati indagati riguardavano l’indurimento nel luogo di infusione, l’eritema, i ponfi, l’eritema perivasale da infusione e poi disturbi generali quali le cefalee, l’orticaria, febbre, sintomi gastrointestinali, shock.
Tutti i casi furono trattati farmacologicamente con repressione dei fenomeni e in due casi si rese necessaria la sospensione definitiva del Desferal.
Naturalmente non ci è dato sapere che fine abbiamo fatto i due ragazzi talassemici. L’articolo precisa che sono noti (1989) gli effetti tossici del Desferal e li enumera nella successione che qui di seguito diamo: “danni oculari e cioè cataratta, emeralopia, riduzione dei campi e dell’acuità visiva fino alla cecità improvvisa, perdita della visione dei colori, scotoma e/o perdita dell’acuità visiva centrale. Riduzione dell’udito, tintinnio invalidante, insufficienza renale acuta di tipo prerenale, leuco e piastrinopenia”.
L’uso prolungato di alte dosi di Desferal è stato correlato alla riduzione della velocità di crescita in età prepubere.
Reazioni avverse immediate riconducibili a meccanismi istamino-liberatori si esprimono sia con quadri clinici generalizzati (lipotimia, sudorazione, sensazione caldo/freddo) che locali (eritemi, ponfi e rush).
Ma il comparire del Deferiprone L1 indusse ad una generalizzata “perdita della memoria” in tanti medici e, cosa ancor più grave, in tanti responsabili di associazioni.
Dopo tante battaglie, con il rischio di essere additati al pubblico ludibrio, se non addirittura a dover difendere la propria onorabilità e libertà personale in Tribunale, il Deeferiprone L1 ha vinto la sua guerra.
E non poteva essere altrimenti, perché non solo il farmaco è di facilissima assunzione, ma è anche efficace per l’abbattimento degli accumuli di ferro e l’effetto collaterale da evitae, la neutropenia, è facilmente controllabile con l’analisi periodica dell’emocromo, ogni due trasfusioni.
Quindi nessun reale pericolo, ad onta di tutti quei tromboni e cassandre, di qua e di là dall’oceano Atlantico, che continuano le lamentose litanie contro questo farmaco.
Non me ne vogliano i difensori ad oltranza del Desferioxamina, non sono facilmente controllabili e i danni che vengono continuamente accertati, spesso sono ormai irreversibili.
Io non so se i talassemici chiederanno, per il passato, la resa dei conti ai loro medici, che hanno rifiutato l’assunzione dell’L1 e che hanno determinato il prolungarsi di tante sofferenze e di tanti rischi evitabili.
So però che oggi, ogni medico dovrà attentamente valutare le conseguenze legali di un rifiuto all’uso del farmaco regolarmente registrato in Italia e delle opportunità che si aprono per i pazienti di chiamare in causa i medici per i danni da Desferal che sarebbero stati evitati con un opportuno e doveroso passaggio al Deferiprone.
Nel mese di giugno pubblichiamo il testo della sentenza della Corte Costituzionale che non riconosce il pagamento dell’indennizzo dal momento dell’infezione, ma da quello della presentazione della domanda.
SCANDALOSA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE. PROTESTANO LE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI
La Corte Costituzionale non riconosce ad emofilici e politrasfusi il diritto al pagamento dell’indennizzo al momento dell’infezione.
Nella motivazione della sentenza si allude agli aspetti finanziari: in poche parole, è ancora e soltanto una questione di soldi.
La Federazione delle Associazioni Emofilici e la Fondazione “Futuro senza Talassemia” hanno emesso due comunicati che riproduciamo di seguito.
IL COMUNICATO DELLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI EMOFILICHE
Milano, 27/6/2000
“Le associazioni di emofilici protestano sdegnate per la palese ingiustizia, considerato anche che la stessa Consulta aveva solo due anni fa riconosciuto tale diritto ai vaccinati.
Nelle motivazioni della sentenza, oltre a un fugace quanto ipocrita accenno alla sensibilità umana della Corte, ne troviamo un altro, ben più sincero agli aspetti “finanziari, la cui ponderazione rientra nell’ambito della discrezionalità” della Consulta.
Con questa decisione si crea una iniqua sperequazione fra cittadini, anche considerato che alcuni emofilici si sono visti riconoscere il diritto dai Pretori a cui si erano rivolti.
La remissione della materia alla Corte Costituzionale, promossa dal Movimento Cittadinanza Attiva e dalle Associazioni di emofilici, puntava proprio a evitare di costringere i singoli ad ulteriori, costose azioni giudiziarie”.
IL TESTO DELLA SENTENZA CHE NEGA IL DIRITTO ALLA RETROATTIVITÀ
Il testo prende in esame inizialmente i giudizi di incostituzionalità del Pretore di Milano nei confronti della legge 238 del 25 luglio 1997, all’articolo 1 comma 2 nel quale si riconosceva: “per soggetti che abbiano contratto la menomazione considerata nella legge del 1992 a seguito di vaccinazioni antipoliomielitiche obbligatorie anteriormente alla legge stessa, la corresponsione di un assegno una tantum pari – per ciascun anno compreso tra l’evento e l’ottenimento della prestazione definitiva – 30% dell’indennizzo quale stabilito (a regime) dalla stessa legge del 1992”.
Facciamo notare che il testo cita sempre di “emofilici”, ma gli eventuali benefici della sentenza che parla anche di trasfusioni di sangue, sarebbe andata a beneficio anche dei talassemici o politrasfusi.
Il testo della sentenza, sempre per quanto concerne la disamina della Corte, che prende in esame la documentazione presentata, dice ancora: “Ora, rileva il Pretore, la condizione di tali ultimi soggetti, non costretti ma semplicemente incentivati a praticare la vaccinazione, può dirsi assimilabile, sotto il profilo della coercizione a ricevere un dato trattamento sanitario, a quella di chi si sia sottoposto a somministrazioni di sangue o emoderivati per evitare il decorso dannoso e talvolta letale di una malattia come l’emofilia: nell’uno come nell’altro caso la facoltà di scelta individuale è fortemente compromessa, alla luce della gravità delle conseguenze che potrebbero derivare dall’omissione del trattamento sanitario, e anzi la compressione della libera determinazione appare ancora più evidente nel secondo capo, giacché le persone affette da emofilia non hanno, allo stato, valide alternative rispetto a costanti somministrazione di sangue, per la loro stessa sopravvivenza.
Inoltre, rileva il Pretore, la Costituzione, nell’art. 32, tutela l’integrità fisica dell’individuo come bene, appunto, individuale, più che come interesse della collettività; il diritto alla salute, assoluto e primario, fa sì che a esso debba darsi adeguata tutela “anche quando la collettività non ne tragga (dal trattamento individuale) un beneficio immediato”.
È alla stregua di tale connotazione che si deve dunque proteggere il diritto garantito dall’art.32 della Costituzione, in connessione con il principio di solidarietà – desumibile dagli articoli 2 e 38 – che impone la cura, da parte della collettività, delle esigenze del singolo.
Ciò anche al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento, come quella ulteriormente e conclusivamente prospettata del rimettente in base all’art. 3 della Costituzione, tra soggetti che abbiano contratto l’infezione (HIV o HCV) rispettivamente prima o dopo l’entrata in vigore della legge 210 del 1992: una diversa decorrenza dell’indennizzo, per le suddette categorie, si risolverebbe non soltanto in una differente commisurazione dell’indennità, certamente rimessa alla discrezionalità del legislatore, ma in un’arbitraria riduzione legale del danno indennizzabile, a favore di una delle due.
Nel giudizio così promosso si è costituito il ricorrente nel giudizio di merito. Nell’atto di costituzione si rileva in particolare che l’estensione della prestazione patrimoniale, derivante in via di principio dalla sentenza n. 118 della Corte Costituzionale e poi specificata (con la previsione dell’assegno una tantum al 30% dell’indennizzo “a regime”) dalla legge 238 del 1997, è stata delimitata a un caso specifico, quello dei soggetti menomati da vaccinazione obbligatoria antipolio; ne sono dunque rimasti esclusi tutti coloro che, come il ricorrente, hanno riportato analoghe menomazioni per qualsiasi altra causa e che, come ha rilevato la citata decisione della Corte, sono stati “rimessi nei termini della legge 210 solo proceduralmente, non sostanzialmente”, cioè con la proposizione della domanda di indennizzo ma non per la correlativa estensione quanto al tempo.
Ci sono poi nel testo vari passaggi che fanno riferimento alle situazioni, attraverso la descrizione di una serie di documentazioni riguardanti i motivi delle richieste di incostituzionalità facendo riferimento al decreto 118 del 1996 della stessa Corte che diceva: “…il dovere di aiutare chi si trova in difficoltà per una causa qualunque” può essere adempiuto dal legislatore secondo criteri di discrezionalità e sulla base della “necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale”.
La rilevanza della questione sta nel fatto che altrimenti, applicando la disciplina denunciata nel suo attuale contenuto, la domanda giudiziale dell’interessata dovrebbe essere respinta”.
La parte finale della sentenza, per quanto concerne le memorie presentate dal Pretore e dalla Associazione di Milano dice quanto segue: “…la situazione dei vaccinati, obbligatoriamente o meno è comparabile a quella di coloro che si sono sottoposti a emotrasfusioni “obbligate” per evitare conseguenze, talvolta letali, di gravi patologie, e che hanno ricevuto una menomazione, trattandosi anche in tali ipotesi di danni derivati al singolo da un trattamento sanitario diretto alla protezione della salute, giacchè in entrambe le situazioni la libera determinazione individuale è compromessa dalla gravità delle possibili conseguenze in caso di mancata sottoposizione al trattamento sanitario; pertanto anche nelle evenienze come quella oggetto della causa andrebbe riconosciuto il diritto a una speciale prestazione assistenziale allorché il singolo riceva un danno da terapia o comunque da un trattamento diretto alla protezione della salute ma che sia al contempo occasione di rischio per la stessa, rischio preventivabile in astratto ma imprevedibile quanto al suo concreto verificarsi.
La restrizione dell’indennizzo per gli emotrasfusi risulterebbe perciò in contrasto con il carattere assoluto del diritto tutelato dall’art. 3 della Costituzione, diritto a garantire – in connessione con il principio di solidarietà: artt. 2 e 38 della Costituzione – anche a prescindere dal collegamento con decisioni prese nell’interesse della collettività, tanto più che il danno patito in simili casi implica, normalmente, uno stato di bisogno che è la ragione di fondo dell’intervento pubblico”.
Mentre la Corte Costituzionale pronunciava la sentenza, i Giudici di merito (a Parma, a Firenze ed a Roma) rimettevano – alcuni – di nuovo alla Corte Costituzionale la questione o addirittura decidevano favorevolmente ad alcuni ricorrenti.
Sembra quindi proponibile “non arrendersi” e percorrere la strada dei Giudici, insieme alla strada della modifica della legge, ossia quella dei parlamentari.
Infine, in dicembre, a conclusione di un anno particolarmente cruciale e negativo, pubblichiamo un resoconto delle informazioni date nel corso del 2000.
PARLIAMO DI SENTENZE: STRASBURGO, CAUSA CIVILE, CIVILE BIS, TRENTO
La Corte Europea non ha sanzionato lo Stato italiano rispetto al danno e dunque non interferisce in alcun modo con gli altri procedimenti in corso, ma per i tempi troppo lunghi.
Questi soldi quindi (se saranno 60 milioni o meno lo sapremo in seguito) verranno dati a coloro che, essendo presenti nella causa civile iniziata nel 1993, hanno fatto ricorso alla Corte d’Europa.
Le cifre non saranno uguali per tutti perché i ritardi sono diversi, essendo diversi i periodi in cui le persone sono intervenute in causa.
Per il momento sono 80, ma è ragionevole ritenere che otterranno lo stesso risultato coloro che si sono rivolti alla Corte Europea. Perché 60 milioni?
Perché lo Stato è intervenuto proponendo una composizione amichevole attraverso questa cifra di massima.
Ognuna delle persone interessate quindi è libera di accettare o meno, procedendo fino al giudizio.
LA PRIMA CAUSA CIVILE
Torniamo alla prima causa civile che ha provocato questo intervento.
Eravamo fermi alla sentenza del ’98, favorevole alle 385 persone.
Nell’ottobre di quest’anno c’è stata la sentenza d’appello che è stata favorevole per 90 persone. La motivazione del perché 90 e non 385, si può tentare di capire leggendo la sentenza.
Il Giudice esclude la responsabilità colposa del Ministero della Sanità per le patologie indotte da virus HIV, HBC, HBV, HCV, presenti nel sangue da emoderivati o trasfusioni di sangue, verificatesi prima che fossero acquisite le sufficienti conoscenze scientifiche e prima ancora che fossero approntati i rimedi immunologici idonei ad impedire il contagio per emotrasfusioni.
La responsabilità del Ministero va posta:
- per l’epatite B nell’anno 1978 (tempo nel quale furono approntati i test diagnostici.
- Per l’infezione da HIV va posta nel volgere dell’anno 1985, data in cui furono approntati i test Elisa e Western Blot, nonché i procedimenti di inattivazione virale, attraverso termotrattamento nella produzione di emoderivati (lo stesso Ministero ammette che con provvedimento del 5/8/1985 fu imposto l’impiego del termotrattamento nel processo produttivo degli emoderivati).
- Quanto all’epatite C, il dato va posto nell’anno 1988, seppure i test rivelatori dell’HCV siano stati approntati dell’anno 1989, perché lo stesso Ministero ammette di aver imposto il termotrattamento contro il rischio di trasmissione di quella che allora veniva qualificata come epatite non A non B.
Successivamente alle dette date non può che essere ritenuta la responsabilità del Ministero della Sanità per le patologie acquisite dai vari soggetti per infezioni HBV, HCV, HBV, in quanto ente istituzionalmente preposto alla tutela della salute pubblica e di ente perché preposto al controllo, alla sorveglianza e alle autorizzazioni concernenti l’approvvigionamento, produzione e distribuzione delle sostanze medicinali tra le quali rientrano il sangue umano ed i suoi derivati, consentito negligentemente la circolazione di sangue ed emoderivati infetti.
Inoltre il Ministero non ha provveduto immediatamente al ritiro dei prodotti incriminati.
Va pertanto riconosciuto il diritto risarcitorio sancito dal Giudice di primo grado con rigetto dell’appello del Ministero della Sanità per i soggetti infettati da HIV, HBV, HCV, dopo che erano stati scoperti e messi in atto i test rilevatori delle infezioni.
Per tutti gli altri soggetti per i quali viene negato il diritto risarcitorio, viene accolto il ricorso del Ministero “perché non esistono le date di diagnosi delle relative infezioni ed i tempi per i quali sono state attuate le trasfusioni.
Per cercare di capire le azioni delle associazioni e fare il punto esatto rivolgiamo alcune domande ad Andrea Buzzi Segretario Generale della Federazione delle Associazioni emofilici.
A CHE PUNTO SONO LE DOMANDE PER L’INDENNIZZO
Tra coloro che hanno fatto e stanno facendo le cause civili ci sono anche persone che non hanno ottenuto l’indennizzo per decorrenza dei termini o perché il loro stato di salute è stato considerato buono (!).
Quindi ancora oggi, volendo si può fare la domanda, pur sapendo che verrà rifiutato l’indennizzo.
“Rispetto ai primissimi tempi dell’applicazione della legge 210 c’è stato un miglioramento, soprattutto per coloro che sono stati infettati con l’HCV e che avevano tre anni di tempo a partire dal 1992, per presentare la domanda.
Da circa due anni c’è un orientamento diverso, per cui le persone vengono mandate alla visita, ottengono il “nesso causale”, pur non ottenendo l’indennizzo per decorrenza dei termini.
Questo è un miglioramento perché le persone interessate ottengono il riconoscimento da parte dello Stato che quell’infezione dipende effettivamente da quell’evento trasfusionale.
Questo apre la strada ad eventuali azioni giudiziarie perché lo Stato riconosce indirettamente la propria responsabilità pur constatando che sono scaduti i termini per ottenere i benefici di legge.
Le persone interessate quindi possono rivolgersi ad un avvocato per informarsi se sia opportuno iniziare un’azione legale.
Dall’altro lato, la persona è comunque tutelata perché nel caso sopravvenga un aggravamento della patologia, si ha già il riconoscimento del nesso causale.
Le nostre associazioni non hanno mai cessato di fare pressione sul Ministero della Sanità perché riapra i termini relativi alla possibilità di fare domanda per l’epatite.
Il problema non sussiste per gli infettati da HIV perché la scadenza è di dieci anni a partire dal 1992”.
Ribadiamo ancora una volta anche la questione della non assegnazione della retroattività da parte della Corte Costituzionale a coloro che percepiscono l’indennizzo dalla data di presentazione della domanda e non dalla data di avvenuto contagio.
“La nostra Federazione aveva presentato ricorso con lo scopo di ottenere un risultato positivo per tutti, nel senso che una sentenza della Corte Costituzionale avrebbe prodotto una modifica della legge e quindi avrebbe regolamentato l’accesso alla retroattività per tutte le persone, senza la necessità di fare ulteriori cause. Comunque il fatto che Corte ci abbia dato torto, non vuol dire la fine.
Innanzitutto perché le altre singole persone hanno fatto ricorso in Pretura ed il giudice in questo caso, se lo ritiene, può riconoscere direttamente al ricorrente la retroattività..
Inoltre, sappiamo che in almeno un caso, il Giudice ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale. Vi sarà quindi una nuova pronuncia.
Nulla vieta che questa volta vi sia una sentenza favorevole che produrrebbe il cambiamento legislativo e la correzione della legge”.
In conclusione, due parole anche sul processo penale di Trento, perché molti fanno ancora confusione con il processo civile.
“Il processo penale è un’azione iniziata autonomamente dalla magistratura di Trento dopo un’inchiesta della Procura iniziata nel 1994 e sostenuta dalle denunce querela presentate da numerosi emofilici.
È un’inchiesta sul sangue infetto che sta aprendo un procedimento che inizierà il 12 dicembre con l’udienza preliminare. Sono due cose assolutamente separate e distinte.
L’udienza preliminare è quel momento in cui il Giudice valuta se esistono o meno gli elementi per aprire il processo.
Considerata l’importanza e la mole delle persone sulle quali pende la richiesta di rinvio a giudizio, questa fase potrà durare a lungo.
Verranno esaminate e chiarite le posizioni dei vari “imputati”. Esaminate anche le parti civili, cioè coloro che si sono costituiti come parti danneggiate che saranno singole persone ed anche associazioni.
Partendo dal presupposto che il processo si faccia, il procedimento giudiziario avrà tre gradi di giudizio con una durata certamente non breve (diversi anni!).
Possono costituirsi quindi tutte le persone che ritengono di essere state danneggiate da sangue infetto e sono in grado di produrre una documentazione, indipendentemente dal fatto che percepiscano l’indennizzo o abbiamo fatto una delle due cause civili”.