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CONVEGNO TRIENNALE DELL’EMOFILIA
La voce degli addetti ai lavori

Gli argomenti con cui proseguire la nostra informazione sul triennale di Napoli certo non mancano.
Avevamo ed abbiamo tutt’ora l’imbarazzo della scelta, soprattutto sulle novità che ci sono state presentate in campo medico.
Molte novità importanti ma una in particolare che ci aspettavamo venisse comunicata era quella, da parte del nuovo Consiglio di AICE, che finalmente si prendesse
atto del pericolo reale che le eccellenze nazionali rappresentate dai medici che curano gli emofilici rischiano di perdersi, nonostante i molti premi assegnati ai giovani medici e si creasse un progetto di “scuola” che non fosse legata alla precarietà dei ruoli che rivestono molti di questi giovani medici.
Questo non è successo.
Proprio su questo punto la normale riunione di Redazione si è trasformata in un accanito dibattito.
La prima scelta quindi è caduta sull’appello che il nostro direttore aveva lanciato in una intervista durante i giorni del convegno.

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Queste le sue parole:
“Dal lontano 1974 seguo e informo i pazienti emofilici – ha dichiarato Brunello Mazzoli –  soprattutto ho seguito i progressi che sono stati fatti nell’assistenza e nello sviluppo delle professionalità per seguire al meglio i pazienti emofilici, al punto da essere ancora più convinto oggi che la cura dell’emofilia in Italia è sicuramente una delle migliori se non la migliore in assoluto, al mondo.
Ci sono poi novità importantissime per quel che riguarda i farmaci, i long acting e per l’inibitore e lo abbiamo ascoltato nelle relazioni.
Però il rischio che corriamo è reale, ed è quello di perdere queste professionalità.
Ripeto che i medici italiani sono i migliori al mondo, hanno raggiunto un’altissima professionalità, i nostri pazienti sono trattati in modo perfetto, però, purtroppo, molti Centri in Italia rischiano di perdere definitivamente queste professionalità perché i medici vanno in pensione e non ci sono i ricambi, non c’è una scuola che li indirizzi.
Quando un medico viene assunto in un Centro emofilia, quasi sempre deve essere pagato attraverso una borsa di studio e gli esempi non mancano.
Un anno, due anni ad anche di più e poi quando la borsa di studio non viene rinnovata questo medico se non ha la possibilità di avere un ruolo, un posto fisso, è costretto ad andarsene”.

Sentiamo ora la dichiarazione di chi nei prossimi tre anni avrà la responsabilità di AICE.

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In una intervista concessa dalla dottoressa Elena Sant’Agostino
LE NOVITA’ TERAPEUTICHE ED I FUTURI IMPEGNI DI AICE
L’argomento che riprenderemo in un prossimo articolo con la neo presidente di AICE (Associazione Italiana Centri Emofilia), la dottoressa Elena Santagostino, non ci esime comunque dal pubblicare la sua prima intervista concessa in occasione del triennale, nella quale mette in rilievo quello che è il momento e quali sono le novità nella cura e quali i progetti futuri anche a livello di politiche sanitarie.
“Ogni tre anni – ha affermato – questo convegno viene fatto con le associazioni dei pazienti per cui noi medici abbiamo spesso occasione di confrontarci fra noi sulle novità, ma questa è un’occasione nella quale condividiamo con i pazienti stessi, sia le novità in campo medico ed ascoltiamo le loro richieste e le loro novità in ambito associativo e sociale; per cui diciamo nel 2017 le novità sono state tantissime. Per l’emofilia è un momento d’oro con tanti farmaci innovativi che però destano non solo curiosità e fiducia nei pazienti ma anche un’aspettativa che va però gestita. Destano voglia di informazione e quindi il convegno è stato molto dedicato a questi nuovi approcci terapeutici, a nuove molecole, fino alla terapia genica.

C’è un particolare fermento dal versante dei pazienti perché l’emofilico, via via che è curato meglio, acquisisce autonomia, potenzialità professionali, sociali.
Gli argomenti di punta che vogliamo affrontare nel triennio sono appunto da un lato il riassetto e l’organizzazione dei Centri alla luce dei nuovi bisogni dei pazienti ma soprattutto il riconoscimento dei Centri perché chiaramente le istituzioni non solo devono riconoscere questa rete di Centri specialistici ma anche supportarla in modo che il paziente trovi sul territorio risposte alle sue esigenze di assistenza e quindi lavoreremo molto con le istituzioni non solo a livello regionale ma anche a livello nazionale, del Ministero, dell’Istituto Superiore di Sanità per far sì che questa rete di Centri venga riconosciuta e venga supportata.

L’altro argomento importante è il registro di patologia, in particolare il registro delle malattie emorragiche congenite. Questo registro è frutto di una collaborazione tra i Centri emofilia, l’Istituto Superiore di Sanità e l’AICE.
Esiste da molti anni ma ora è stato istituzionalizzato con decreto ministeriale e noi ci aspettiamo maggior supporto ai Centri in modo da poter fornire in maniera puntuale i dati epidemiologici e anche di terapia che servono a chi governa, a chi fa salute, quindi in sostanza al Ministero oltre che alle Regioni appunto per riuscire a dare riposta sempre più tempestiva.

Non ultimo è affrontare il problema del Pronto Soccorso e delle emergenze emorragiche in questo tipo di malattia perché non bisogna dimenticare che queste malattie emorragiche ereditarie e l’emofilia sono malattie rare non note a tutti per la quale è necessaria non solo una continua educazione e formazione sul territorio quindi presso i dipartimenti di emergenza, presso i Pronto Soccorso, ma anche nuovamente un’organizzazione in rete affinché il paziente venga soccorso nella maniera appropriata sul suo territorio e poi eventualmente riferito a Centri più specialistici a seconda della necessità che ha e anche il processo di triage, per la gestione tempestiva delle emergenze, venga fatta senza intralci, perché ne va la vita del paziente”.


Poi abbiamo ricevuto questa lettera da un padre impegnato nel volontariato e che conosciamo molto bene perché suo figlio partecipa da tre anni alla nostra vacanza in Romagna, e che ha partecipato al convegno di Napoli, alla luce di ciò che ha ascoltato, soprattutto si lega molto bene su quanto affermato dalla dottoressa Sant’Agostino a proposito dei pazienti e delle associazioni.

“Essere malati vuol dire cambiare. Ma, cambiare significa quasi divenire un’altra persona, o forse rimanere se stessi ma “in un altro modo”. Infatti, cessare di essere se stessi significherebbe perdersi”, scriveva Bensard nel 1978.  
Accettare il cambiamento vuol dire riconoscere l’impatto inevitabile che la malattia avrà da un punto di vista fisico e psicologico.
Rimanere se stessi ma in “un altro modo” è la più ardua delle sfide. Il progresso scientifico permette ai nostri pazienti di migliorare la loro qualità di vita e i farmaci di ultima generazione consentono benefici impensabili fino a qualche decennio fa ma i nostri pazienti non sono solo “corpi” da curare. Patch Adams affermava “quando curi una patologia puoi vincere o perdere. Quando ti prendi cura di una persona…vinci sempre”.
Se da un lato controlli periodici, prelievi obbligatori, sport forzati, visite specialistiche imposte e fisioterapie indispensabili assicurano una buona qualità di vita ai pazienti emofilici, dall’altra percorsi psicologici e supporti psicoterapeutici permetterebbero una loro maggiore serenità interiore.
L’emofilia è una patologia che richiede un approccio multidisciplinare che tenga in considerazione non solo le condizioni fisiche del paziente ma anche la sua sfera emotiva.
È solo attraverso percorsi intrecciati che si può raggiungere quella “salute” tanto desiderata. Una “salute” definita da alcuni come “la vita nel silenzio degli organi” o come “l’inconsapevolezza del nostro corpo” (Calguilhem). “Stare bene” significherebbe non accorgersi di avere un corpo.
Normalmente il corpo passa sotto il silenzio, ma nel dolore, nella fatica, nella malattia il corpo diventa opaco, pesante, non più trasparente, estraneo e minaccioso. Al suo interno una dialettica tra attività e passività: “io subisco questo corpo che governa”, affermava Ricoeur. Il corpo, da amico, ossia da messaggero della propria identità presso gli altri, diventa un nemico da sottoporre a sorveglianza, perché sempre pronto a tradirci e a sfuggire al controllo.
Il concetto di “salute” è un concetto caro tanto ai classici quanto ai moderni e ai post-moderni.
Se per la cultura greca la salute è il giusto equilibrio delle forze dell’organismo, la misura e la proporzione conveniente: “né maggiore né minore del necessario, né troppo poco temperati”, come scriveva Ippocrate, per i moderni la malattia viene considerata sempre più come un’alterazione quantitativa rispetto a una norma (deficit funzionale), da ricondurre in ogni caso ad una disfunzione fisiologica mentre per i postmoderni il concetto di salute è imperniato su una nozione di salute che oscilla tra lo star-bene e il ben-essere.
Ma il senso della salute è oltre la salute, si trova in quel progetto di vita buona che ciascuno si propone di realizzare. La malattia non rende vano un progetto di vita ed è proprio per questo che è necessario “prendersi cura” della “persona” nella sua interezza e non solo da un punto di vista fisico.
La salute è un equilibrio che riguarda tutta la persona, è “il ritmo della vita, un processo incessante in cui l’equilibrio si ristabilizza sempre” (Gadamer).  L’equazione salute=salvezza può condurre alla disperazione di fronte alla prospettiva di una malattia cronica o mortale; la consapevolezza, invece, che la salute è un bene penultimo, cioè relativo, può esser favorita proprio dalla scoperta che, anche in una situazione di evidente limitazione come quella della malattia, si è capaci di, ossia si conserva la possibilità di volere e di amare.
Ed è per questo che andrebbero intensificati i percorsi psicologici, ed è per questo che l’associazione dovrebbe farsi carico di quegli aspetti “interiori” che permettono ai nostri pazienti di accettare, riconoscere e affrontare la malattia nel migliore dei modi possibili.
Di sicuro i progressi scientifici permettono agli emofilici condizioni di vita qualitativamente ottimali ma è solo l’equilibrio psicologico che assicura una serenità interiore rispetto a una patologia con la quale è necessario convivere.
Inoltre le ultime ricerche scientifiche dimostrano come sia necessario e indispensabile che i pazienti si approccino in maniera serena e ottimistica alla patologia.
Dobbiamo fornire loro strumenti psicologici affinché la malattia non diventi invalidante per i loro progetti di vita.
I concetti di salute e malattia vanno rapportati a tutta la persona.
Sono quattro le dimensioni della salute che fra loro si intersecano e si compenetrano: la dimensione organica, la dimensione psichica e mentale, la dimensione ecologica-sociale e la dimensione etica.
La medicina non è più da intendersi soltanto come cure, ma soprattutto come care, ossia non semplice prescrizione e terapia, ma relazione curativa vera e propria, in cui il malato e chi lo cura formano una alleanza terapeutica.
La precisazione di Richard Siebeck è efficace: “il concetto di salute non è completo senza la domanda: salute, a che scopo? In fin dei conti, non viviamo per stare sani, ma siamo e vogliamo essere sani per vivere e agire. La salute non è un bene che ci è stato affidato soltanto per determinate funzioni e capacità.
La salute non è un fine ultimo, ma è determinata e limitata dal significato della vita stessa. E il significato della vita è disposizione, donazione e sacrificio”.

Lettera firmata

2) Continua

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