“Riflettori puntati su talassemia ed emoglobinopatie, dalla presa in carico del paziente alla terapia genica”.
Era il titolo di un programma televisivo che in qualche modo prendeva lo spunto da un meeting che si è svolto il 5 dicembre organizzato dall’Associazione per la Lotta al Talassemia “Rino Vullo” di Ferrara, che aveva come titolo: “Curarsi bene oggi…per guarire domani” e che come ogni convegno del 2020 si è svolto a “distanza” in collegamento televisivo tra i partecipanti.
Aveva aperto i lavori il presidente dell’Associazione di Ferrara Valentino Orlandi ribadendo l’importanza di questi incontri.
Nello specifico si era registrata la presenza di illustri rappresentanti del mondo sanitario, politico e istituzionale.
Inevitabile a questo punto, per rendere più facile ai nostri lettori l’informazione sui vari interventi, abbiamo scelto quelli che in qualche modo facevano riferimento all’argomento dell’incontro senza però dimenticare che si è svolto un dibattito su specifiche domande rivolte dai partecipanti al meeting.
Si è in proposito registrata una massiccia presenza di rappresentanti di associazioni e di pazienti da ogni regione del nostro Paese a riprova del notevole interesse che stanno assumendo questi incontri.
Fare i nomi sarebbe come fare torto a quelli che inevitabilmente non sarebbero citati, quindi cercheremo di seguire un ordine cronologico degli interventi e “servendoci” del programma televisivo, finalmente all’altezza del compito, sia per lucidità che per argomenti.
Sono stati coinvolti il prof. Franco Locatelli primario di Ematologia pediatrica e oncologia presso il IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma che aveva svolto il tema: “Una nuova prospettiva terapeutica per il paziente talassemico: la terapia genica”;
il dott. Gianluca Forni presidente della SITE (Società Italiana Talassemie e Emoglobinopatie);
il prof. Aurelio Maggio primario della U.O.C di Ematologia e Malattie Rare del Sangue e degli Organi Ematopoietici – P.O. dell’ospedale Cervello di Palermo;
la dott.ssa Alessandra Mangia, responsabile dell’Unità Dipartimentale di Epatologia presso la Casa Sollievo della Sofferenza di S. Giovanni Rotondo
la dott.ssa Susanna Barella del DH Talassemici dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico “A. Cao” Cagliari.
Sono intervenuti anche il Direttore del Centro Nazionale Sangue, il prof. Antonio Piga che ha parlato delle terapie innovative ed ha anche illustrato quello che dovrebbe essere un Centro di cura ideale.
Altri temi trattati sono stati quello della comunicazione; le difficoltà in un centro nuovo da organizzare.
Per la clinica si è parlato di chelazione, indagini sui depositi di ferro; il cervello e funzionamento cerebrale nella talassemia; l’endocrinologia, il paziente con problemi cardiologici; i pazienti in Pronto Soccorso; l’indagine sulla presa in carico svolta dalla dottoressa Mangolini.
“L’obiettivo del meeting – aveva affermato la dottoressa Rita Gamberini, Dirigente Medico presso la U.O. di Pediatria Ospedaliera della Azienda Ospedaliero Universitaria di Cona di Ferrara, titolare dell’incarico professionale di alta specializzazione “Trattamento delle Talassemie e delle loro complicanze” – era soprattutto incentrato sul cercare di fare chiarezza o comunque di fare il punto sulla situazione attuale nel campo della cura e dell’assistenza ai talassemici ed ai drepanocitici ad iniziare in particolare dalle notizie sui farmaci innovativi approvati recentemente dall’EMA (European Medicines Agency – Agenzia Europea per medicinali) e in approvazione dall’AIFA sia per i talassemici che per i pazienti con drepanocitosi.
Si è svolto poi una sorta di interrogatorio o interrogazione rivolti all’AIFA per mettere a punto l’uso di questi farmaci ma anche sulla terapia genica.
La terapia genica che è in parte bloccata dalla pandemia Covid, per cui si è anche detto che probabilmente non sarebbe questo il periodo per rischiare di eseguirla.
Ad ogni modo anche in questo campo, come ha riferito direttamente la dottoressa Gamberini, esistono ancora discussioni che va dal prezzo dell’intervento ai Centri in cui potrà essere eseguita; quanti pazienti si prevede che potranno essere sottoposti a trapianto per anno.
E questo – ha affermato testualmente la dottoressa Gamberini – è un aspetto importante”.
Gli altri punti hanno riguardato l’emergenza Covid, con una sessione dedicata alle esperienze che sono state acquisite in vari Centri italiani.
Si è parlato di terapia trasfusionale, attraverso i dati del studio “crossover” ma anche di un progetto di terapia trasfusionale su misura, una parte che riguarda la presa in carico dei pazienti, le caratteristiche del day hospital ideale, quali sono i punti che non devono mancare in un Centro che tratta i pazienti con emoglobinopatie.
Evidenziare quindi il divario tra quanto è riconosciuto che deve esistere e che esiste sulla carta e quanta è la fatica nella pratica clinica ad acquisire dei Centri che abbiano per esempio un personale che sia corrispondente al carico dei pazienti che ogni Centro ha, quindi anche della rete del sangue, della rete delle emoglobinopatie, e ancora tra i problemi clinici quelle delle epatopatie.
La dottoressa Gamberini ha anche affrontato il tema della presa in carico del paziente talassemico e del sostegno delle istituzioni ospedaliere e dei Centri come quello da lei diretto, dove c’è la possibilità di applicare la ricerca clinica.
“All’interno del nostro Centro – ha affermato – abbiamo istituito in questi anni un nucleo di esperti in altre discipline come endocrinologo, epatologo, trasfusionista, cardiologo che collaborano con noi nella gestione dei pazienti.
La ricerca clinica che noi facciamo coinvolge principalmente noi e l’endocrinologia, il centro trasfusionale per quanto riguarda la terapia trasfusionale e poi abbiamo una ricerca in collaborazione con altri centri e con altri Istituti al di fuori del nostro ospedale.
È una ricerca di tipo osservazionale cioè vuol dire vediamo cosa succede nei nostri pazienti così trattati, altri invece sono delle vere e proprie sperimentazioni che vedono l’immissione e lo studio di nuove terapie e a questo punto abbiamo uno studio che riguarda l’utilizzo di un farmaco che si chiama Sirolimus come induttore dell’emoglobina fetale che stiamo studiando insieme all’istituto del prof. Gambari”.
Parlando del Centro di Ferrara che è un Hub regionale ed anche uno dei tre Centri più importanti a livello nazionale, ha affrontato anche il tema della sinergia con l’associazione ALT Rino Vullo di Ferrara, associazione dei pazienti affetti da talassemia.
“Secondo me – ha concluso – è fondamentale perché in questi anni il supporto che il Centro ha avuto dall’associazione è stato molto forte sia per quanto riguarda l’integrazione del personale all’interno dei day hospital quindi borse di studio per i ricercatori che sono state finanziate anche dall’associazione, e sia la discussione con le direzioni che si sono succedute all’interno del Sant’Anna.
Devo dire che non è stato facile far capire la quantità e la qualità del lavoro che noi stiamo facendo in modo tale da riconoscere un organico all’interno del reparto medico indispensabile per svolgere un’attività clinica dignitosa e ben fatta e anche un’attività di ricerca clinica.
Devo dire molte grazie all’associazione, alla tenacia con cui persegue gli obiettivi che si pone e che ci poniamo e per il supporto che ci è stato dato in questi anni”.
GIANLUCA FORNI
UN EFFICACE SISTEMA DI SORVEGLIANZA
Leghiamo a questo punto, gli argomenti trattati nella presentazione con gli interventi specifici partendo da quello del dott. Forni il quale in apertura, parlando del problema Covid ha affermato: “Ciò che temevamo all’inizio quando è scoppiata la pandemia, essendo i pazienti talassemici pazienti cronici e quindi più fragili, il non sapere come si sarebbero comportati se infettati.
Abbiamo come società scientifica attivato un sistema di sorveglianza dei casi con una scheda che è sul sito della nostra società, attualmente abbiamo registrato circa 150 casi di pazienti che si sono infettati.
La scheda e i risultati sono ben visibili sul sito quindi leggibili da chiunque e abbiamo potuto vedere che il paziente talassemico e drepanocitico non si comportano in modo diverso dalla popolazione normale, quindi il rischio che avessero una evoluzione catastrofica a causa dell’infezione possiamo dire che non è avvenuto”.
Ha poi risposto ad una domanda specifica riguardante il Registro di Patologia della Rete nazionale esordendo così:
“Si tratta di un ulteriore passo avanti verso la tutela dei malati.
Un passo importantissimo e saranno proprio i pazienti che avranno i maggiori benefici da tutto questo perché significherà, istituendo una rete nazionale delle emoglobinopatie, di andare a consolidare una rete che di fatto esiste già ma non è riconosciuta e molti Centri sono in grande sofferenza.
La rete è stata già riconosciuta dalla legge ma non sono stati ancora prolungati i decreti attuativi.
Il Ministro della Salute li ha preparati ad agosto e devono essere approvati definitivamente.
Speriamo che tutto questo vada in porto proprio perché i maggiori interessati sono i pazienti e il registro nazionale di patologie ed emoglobinopatie che è stato istituito per legge e che fa capo al Centro Nazionale Sangue è un altro tassello importante. Non può esserci una politica sanitaria senza avere dati epidemiologici sicuri che attualmente non abbiamo”.
ALESSANDRA MANGIA
LA PATOLOGIA EPATICA NEI TALASSEMICI
Un argomento, quello dell’assistenza ai pazienti che in qualche modo è stato affrontato anche dalla dottoressa Mangia che nel suo intervento ha osservato come in questi ultimi anni l’aumento della aspettativa di vita nei talassemici abbia portato alcune delle complicanze della talassemia e della patologia epatica a manifestarsi.
“Una delle manifestazioni più pesanti dal punto di vista delle conseguenze – ha affermato – è la neoplasia del fegato; conseguenza della cirrosi.
Nonostante vi siano state terapie innovative, rivoluzionare nell’ambito dell’epatite C che è la prima causa della cirrosi indipendentemente dalla talassemia o no, è stata fino a poco fa in tutti i pazienti italiani e non, nonostante queste cure rivoluzionarie, nonostante il controllo dell’epatite B, nonostante la tecnologia più avanzata nella diagnosi, adesso ci aspettiamo per il futuro addirittura un aumento dei carcinomi sia nei pazienti non talassemici ma anche nei pazienti talassemici che appunto essendo più giovani degli altri e essendosi infettati con l’epatite C quando hanno iniziato a trasfondersi fin da bambini, hanno maggior rischio di sviluppare nel corso degli anni le complicanze.
Allora è chiaro che fattori come il sovraccarico di ferro ma anche l’accumulo di grasso nel fegato stanno incominciando a diventare più importanti di quelle che erano le eziologie più tradizionalmente associate alla cirrosi ovvero l’epatite C, l’epatite B o l’alcool.
Il problema del carcinoma è che questa neoplasia ha una sopravvivenza non molto elevata a cinque anni dalla diagnosi però quando diagnosticata in uno stadio precoce il 60% dei pazienti sopravvive a 5 anni quindi il nostro obiettivo in tutti i pazienti ma soprattutto in quelli con talassemia è quello di riuscire ad arrivare ad una diagnosi precoce.
Come facciamo questa diagnosi precoce?
La facciamo attraverso la sorveglianza che consiste in una semplice valutazione ecografica del paziente cirrotico o talassemico o non talassemico ogni sei mesi, associata ad una valutazione dell’alfa beta proteina che è l’unico bio-marcatore cioè esame del sangue che ci possa dire se ci siano attraverso variazioni che un esperto coglie molto più che magari chi legge il risultato e se ci sono variazioni predittive o suggestive del rischio che si stia sviluppando qualcosa nel nostro paziente cirrotico.
Questo permette di diagnosticare la neoplasia quando è ancora trattabile chirurgicamente o quando ancora si possa fare insieme ai colleghi nell’ambito di un team un programma di trattamento di questo paziente per l’immediato o per il lungo termine.
È chiaro che ci sono delle differenze tra pazienti talassemici e pazienti cirrotici che non hanno la talassemia e queste differenze sono date dal fatto che l’accumulo di ferro nel fegato sottostate è un fattore aggiuntivo casuale che accelera la progressione, che mantiene il rischio anche in assenza di virus.
Quando un paziente viene radicato per l’epatite C rimane il rischio e questo si può dire forse anche quelli che cirrotici conclamati non sono e stanno andando verso la cirrosi. Un rischio rimane perché lì c’è del ferro in più che non ci dovrebbe essere”.
L’essere entrata nel dettaglio per spiegare un percorso specifico e preciso che comporta la composizione di una equipe come il radiologo, gastroenterologo, l’epatologo era necessario che chiarisse alcuni altri concetti.
Infatti ha continuato affermando che: “È fondamentale un lavoro di equipe ma vorrei ricordare che il nostro gruppo di esperti che ha collaborato a questo lavoro è stato supportato dall’associazione ALT Rino Vullo di Ferrara che con lungimiranza ha identificato questo come un problema emergente nei pazienti talassemici e abbiamo elaborato delle indicazioni per gli esperti che nascono dalla nostra esperienza ma anche dall’aver consultato tutta la letteratura disponibile al momento in cui abbiamo incominciato a lavorare più di un anno fa e il lavoro è uscito quest’anno, è chiaro che per queste cose i tempi sono lunghi, per uscire fuori con delle indicazioni che sono 13 punti salienti che sono stati discussi e motivati per giustificare quali conclusioni abbiamo raggiunto e perché.
Questo è un periodo particolarmente stimolante nell’ambito delle patologie neoplastiche del fegato, in particolare perché vi sono delle nuove tecniche diagnostiche basate sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale che stanno emergendo, penso al profiling genetico delle varie neoplasie e insieme ci sono anche nuovi farmaci che stanno emergendo per il trattamento sistemico delle forme avanzate, penso solo all’associazione con emicizumab che dovrebbe essere approvata dalle autorità europee che segneranno dei cambiamenti importanti nel futuro dei pazienti che questa patologia abbiamo contratto o continuino a contrarre”.
SUSANNA BARELLA
L’IMPORTANZA DEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
La dottoressa Barella dirige un Centro per la talassemia ed è quello di Cagliari, uno dei più grandi che ci sono in Italia e che segue circa mille pazienti dei quali 500 politrasfusi che provengono anche da altre regioni italiane.
Ha esordito in proposito dei rapporti medico-paziente insistendo su quanto sia importante la comunicazione.
“Credo che sia il primo passo fondamentale – ha continuato – per stabilire la relazione medico-famiglia e medico-paziente, dalla modalità con cui noi riusciamo a rapportarci con la famiglia o direttamente con il paziente se questo è adulto, dipende poi il successo dell’alleanza terapeutica, della fiducia che il paziente ripone in noi e i risultati che possiamo ottenere nella gestione di una patologia cronica complessa e che richiede un grosso impegno sia per quello che riguarda il legame con il Centro per le trasfusioni regolari sia per quello che riguarda l’impegno giornaliero che il paziente deve porre nella terapia soprattutto per quello che riguarda la terapia per eliminare il ferro in eccesso che si accumula nelle trasfusioni quindi la comunicazione penso che possa essere considerata veramente il primo strumento terapeutico che noi possiamo mettere in campo con il paziente e dal quale poi conseguono tutti i risultati positivi che riusciamo a ottenere”.
Ha poi parlato dell’argomento della condivisione di azione, di metodologie e quant’altro all’interno di una società scientifica.
“Faccio parte del comitato direttivo della società scientifica – ha affermato – ed è un passo in avanti estremamente importante questo perché ci ha permesso di avere una sua società scientifica attiva con tante iniziative e che comunque ha costituito e sta costituendo una rete permettendo di ottimizzare cure su tutto il territorio nazionale e condividere a livello nazionale anche internazionale tutte le nuove innovazioni anche nel campo delle terapia per la talassemia e poi il grossissimo passo avanti che abbiamo fatto e che speriamo di portare a compimento è quello di realizzare una rete sul territorio nazionale dedicata a queste patologie e che ci permetterà di ottimizzare e di armonizzare le cure perché non tutti i Centri sono grandi come il mio e quelli in tante altre città sono Centri piccoli che necessitano di avere dei Centri con una grossa esperienza che facciano da riferimento”.
Parlando poi di terapia genica, anticipando in qualche modo l’intervento del prof. Locatelli, l’ha definita:
“Un sogno che si sta realizzando anche se non può interessare tutti i pazienti ma si sta realizzando anche se io resto convinta che non esiste la terapia della talassemia ma esistono le terapie perché non tutti i pazienti avranno la possibilità di accesso alla terapia, non tutti al trapianto di midollo, non tutti ai nuovi farmaci che stanno venendo fuori per ridurre il fabbisogno trasfusionale e quindi rimane il fatto che questi grandissimi orizzonti che si stanno aprendo ma dobbiamo essere consci e onesti con i pazienti e dirgli che è possibile che rimanga una fetta di pazienti che rimarranno trattati con terapia trasfusionale ferrochelanti ormai ottimizzati che garantisce loro una buona aspettativa di vita.
Abbiamo pazienti ultra sessantenni e già alcuni nonni, l’aspettativa di vita dei pazienti con talassemia ben curati presso Centri di esperienza si avvicina speriamo sempre più a quella della popolazione normale o meglio non talassemica ma soprattutto la qualità di vita che migliorando tanto e quindi vivono più a lungo ma soprattutto vivono molto meglio e questo è fondamentale”.
FRANCO LOCATELLI
Una nuova prospettiva terapeutica per il paziente talassemico:
LA TERAPIA GENICA
Eccola quindi la terapia genica raccontata dal prof. Locatelli; e questa volta o ancora una volta dalle sue parole:
“La terapia genica consiste nell’introdurre nelle cellule del sangue dotate di capacità di auto rinnovamento e differenziazione, una copia sana del gene responsabile della malattia talassemica.
Questo processo si chiama trasduzione e viene effettuato impiegando un vettore, cioè uno strumento che porta questa sequenza genica all’interno delle cellule, in particolare un vettore cosiddetto lentivirale.
Effettuata questa manipolazione, che viene detta ingegnerizzazione delle cellule, le stesse vengono infuse nel paziente preparato in anticipo con una distruzione del suo midollo osseo.
Il tempo che intercorre tra la raccolta delle cellule e l’ingegnerizzazione è di circa 12 settimane, quindi un po’ meno di 3 mesi.
Una volta infuse le cellule è possibile ottenere l’indipendenza trasfusionale già a partire dai 35-50 giorni dall’infusione.
Sono stati condotti due studi importanti a livello internazionale nella popolazione dei talassemici, diversificati in funzione del genotipo, cioè della visione molecolare responsabile della malattia talassemica.
Possiamo dire che il 90% dei pazienti che hanno un genotipo non beta 0 beta 0 è più o meno all’83-85% dei genotipi beta 0 beta 0 hanno raggiunto l’indipendenza trasfusionale. In particolare 10 pazienti sono stati trattati dai noi all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma e tutti e 10 questi pazienti hanno smesso di fare trasfusioni con livelli di emoglobina decisamente più che considerevoli perché oscillano tra i 10 e addirittura 14 grammi; quindi valori di emoglobina addirittura superiori a quelli dei genitori di questi soggetti che sono portatori per definizione dal carattere.
Aggiungo che il grande vantaggio della terapia genica è che evidentemente può essere applicata in tutti i soggetti; non ha bisogno di un donatore compatibile con il trapianto di midollo osseo ed è molto più sicura perché possiamo stimare il rischio di complicanze che è largamente inferiore all’1%.
E’ stata impiegata in differenti contesti di lesioni molecolari responsabili della malattia talassemica in soggetti adulti fino ai 40 anni di età così come in adolescenti o in bambini sotto i 12 anni di età.
È attualmente approvata da un’agenzia regolatoria europea e prestissimo lo sarà anche da quella nazionale quindi da AIFA nei pazienti con un genotipo non beta 0 beta 0 di età superiore ai 12 anni ma l’estensione alle altre categorie è una questione di tempo.
Oltre alla terapia genica c’è anche l’editing del genoma in cui il meccanismo è un pochino diverso perché attraverso un sistema enzimatico che si chiama CRISPR-Cas9 si va ad agire direttamente sul DNA delle cellule staminali del paziente in maniera tale da indurre cambiamenti che pongono risoluzione a quello che è il problema della talassemia.
Per quel che riguarda l’editing del genoma, c’è in corso questa sperimentazione che è attiva in Italia all’ospedale dove ho il privilegio di dirigere il dipartimento di ematologia e oncologia pediatrica e abbiamo già incluso nello studio otto pazienti talassemici e tre pazienti con anemia falciforme. Potremmo includerne altri sei perché le sperimentazioni prevedono anche un bilanciamento con inclusione di pazienti trattati in altri centri esteri, mentre per quel che riguarda la gene terapy, al Bambin Gesù è già approvato.
Sugli altri Centri credo che sarà oggetto di una negoziazione tra l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e il Centro Nazionale Trapianti e immagino anche le regioni in cui hanno sede le strutture che hanno interesse a sviluppare questo tipo di approcci terapeutici.
Ovviamente il tutto non è sotto il mio governo quindi come tutte le previsioni su un qualcosa che uno non controlla direttamente c’è un margine di aleatorietà ma credo che sarà questione di qualche mese”.
Ha poi rilevato quanto sia importante il rapporto tra i ricercatori e i pazienti e le associazioni affermando che: “È assolutamente fondamentale, imprescindibile.
È fondamentale il dialogo, è fondamentale il confronto, è cruciale trasferire informazioni”.
AURELIO MAGGIO
LA RETE NAZIONALE DELLA TALASSEMIA ED EMOGLOBIMOPATIE
Il prof. Aurelio Maggio che abbiamo scelto per concludere questo servizio, soprattutto in riferimento a quanto affermato dal prof. Locatelli sulle strutture attrezzate per eseguire un trapianto, ha ricordato quanto il Centro da lui diretto sia uno dei candidati soprattutto perché hanno una certa esperienza in questo campo ed una casistica ampia di pazienti trattati con trapianto di midollo.
Il prof. Maggio inoltre ha proposito di quanto affermato anche dal dott. Forni e ricordando che Alcuni mesi fa il Ministro Speranza ha firmato la proposta di un decreto ministeriale per l’istituzione della rete nazionale della talassemia e delle emoglobinopatie con un registro di patologie, si stanno aspettando i decreti attuativi e quant’altro ha ricordato che sono assolutamente cruciali, anzi…” vorrei ringraziare – ha affermato – le associazioni di talassemici come United, Site e tutti i colleghi che si sono prodigati per portare avanti questa iniziativa.
Oggi la talassemia in Italia è ben curata ma ha bisogno di essere strutturata.
Il tutto oggi si basa sulla volontà, sugli sforzi di singoli colleghi che ad oggi hanno fatto della talassemia in Italia un fiore all’occhiello, ma con questo decreto si mette nero su bianco l’esistenza di questa patologia e la necessità che le regioni provvedono a fornire le adeguate risorse sia in termini di personale sia in termini di attrezzature e terapie innovative perché non scordiamoci che terapie innovative significa costi più alti.
Quindi occorre che come per le cardiopatie o come per il diabete o come un’altra malattia rara la fibrosicistica, le regioni abbiano delle direttive ben precise dal Ministero e degli obblighi nel momento in cui disegnano la loro rete ospedaliera, di tenere conto della presenza di questi pazienti e di organizzare in maniera efficiente i loro servizi”.
Ha poi concluso ricordando l’importanza della sinergia tra i clinici e i rappresentanti delle associazioni come l’ALT “Rino Vullo” di Ferrara che ha ospitato questo incontro:
“È assolutamente cruciale. L’ALT che è l’associazione che sta promuovendo questa iniziativa è una della associazioni più attive.
La sinergia tra le associazioni e i pazienti per me è cruciale perché stiamo parlando di una malattia cronica e quindi abbiamo necessità di un’alleanza, quella che il prof. Vullo di Ferrara chiamava “alleanza terapeutica”, un’alleanza tra paziente e medico.
Il medico deve spiegare con esattezza e obiettività che cosa propone anche in termini di terapie innovative e il paziente ha la necessità di avere conforto e di avere le corrette informazioni da parte del medico”.