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DREPANOCITOSI COME CAPIRLA E VIVERLA SENZA PAURA

Dopo l’esperienza del I convegno tenutosi a Ravenna nel 2016, del II a Padova nel 2017, si era deciso di fare il III convegno a Modena (decisione presa dai pazienti di comune accordo a fine convegni).
L’idea nata dal dott. Giovanni Palazzi (oncoematologo pediatrico del Policlinico di Modena) per questo convegno era quello di coinvolgere tutti.
Non solo i pazienti, ma genitori, medici, psicologi, infermieri, associazioni.
Al mattino genitori e pazienti hanno ascoltato gli interventi dei relatori con la possibilità di discussione e domande. I bambini intanto hanno potuto giocare con i volontari delle varie associazioni.
La novità è stata rappresentata dall’iniziativa del pomeriggio dedicato ai gruppi di lavoro. Si sono formati tre gruppi di studio e discu
ssione fra genitori e pazienti adulti; giovani e adolescenti; adolescenti e bambini.
Con la presenza dei medici, psicologi e infermieri, per rispondere alle domande e discutere dei problemi specifici visti dal punto di vista del genitore, dell’adulto del ragazzo e del bambino.
Strutturato in questo modo il convegno è stato molto “sentito” dai partecipanti.

CHE COS’E’ IL DREPANOCITOSI LAB
Ha aperto i lavori la Dott.ssa Donatella Venturelli del Servizio Immunotrasfusionale di Modena, parlando del progetto dell’alternanza scuola-lavoro denominato “Drepanocitosi LAB” degli alunni e le alunne dell’Istituto Selmi di Modena, che prevedeva esperienze di stage presso il laboratorio del Servizio Immunotrasfusionale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.
Gli studenti hanno potuto seguire il processo trasfusionale, dalla donazione sino alla lavorazione e poi all’assegnazione degli emocomponenti e comprendere così l’importanza della donazione di sangue per aiutare questi pazienti.
Nonostante esistano farmaci per trattare questa patologia, la donazione di sangue riveste tuttora un’importanza fondamentale per la soluzione di eventi acuti di questa malattia.
Si è parlato ampiamente dello stato di portatore sano.
La drepanocitosi o anemia falciforme o Sickle Cell Disease (SCD) è una malattia ereditaria autosomica recessiva caratterizzata da anemia cronica con episodi dolorosi più o meno frequenti in varie parti del corpo, causati dall’occlusione dei vasi sanguigni.
È particolarmente diffusa nelle regioni temperate ed equatoriali, ma in conseguenza dei flussi migratori degli ultimi decenni si è diffusa a livello globale. Le sue principali manifestazioni cliniche acute possono rappresentare delle vere emergenze, a causa della loro rapida evoluzione e della loro elevata mortalità.
L’anemia falciforme si trasmette geneticamente con una modalità chiamata autosomica recessiva. In altre parole, un individuo presenta i sintomi della malattia solo se possiede un’alterazione in entrambe le copie del gene per l’emoglobina beta che possiede.
Chi invece ha una copia del gene normale e una alterata è portatore sano e non presenta alcun sintomo.
Questo significa che un bambino malato può nascere solo se entrambi i genitori sono portatori sani dell’alterazione genetica che provoca la malattia. Una coppia di portatori sani avrà una probabilità del 25%, ad ogni gravidanza, di concepire un figlio o una figlia malati; del 50% di avere un figlio o una figlia portatori sani; del 25% di avere un figlio o una figlia sani e non portatori.
I portatori sani sono facilmente identificabili con un esame del sangue ed è anche possibile effettuare la diagnosi prenatale. Per le coppie in cui uno dei partner appartenga ad una famiglia a rischio, un colloquio con un consulente genetista è indispensabile per valutare le possibilità di dare alla luce figli affetti dalla malattia.
Altra cosa molto importante da fare in caso di portatore sano è fare l’elettroforesi dell’emoglobina per sapere se ci sono altre malformazioni o difetti nelle emoglobine.
Lo stato di portatore sano non significa essere malato a tutti gli effetti; si ha una vita assolutamente normale. Infatti molti portatori scoprono per caso di esserlo anche in età adulta.
La gravidanza per queste pazienti rappresenta sempre un momento molto delicato. Durante la gestazione si può registrare un aumentato rischio di complicanze sia legate alla patologia stessa (tra le quali: l’anemia, le crisi vaso-occlusive, le infezioni materne, la sepsi, il distacco placentare, le emorragie, il parto pre-termine, la rottura prematura delle membrane, il ritardo di crescita intrauterina, il basso peso alla nascita e la mortalità perinatale).
È stato documentato come l’entità del rischio clinico dipenda sia dalla gravita dell’anemia sia dal genotipo materno; più specificamente, le pazienti con Hb SS sembrano presentare un aumentato rischio di complicanze.
Inoltre, la frequenza di pregresse crisi vaso-occlusive è in genere predittiva del numero di crisi che si svilupperanno in corso di gravidanza, benché alcune pazienti presentino un’incidenza di episodi dolorosi superiore al previsto.
Nell’ambito della gestione multidisciplinare della patologia, in particolare gli avanzamenti nella medicina trasfusionale e nel trattamento neonatale, hanno portato ad una marcata riduzione della morbilità e della mortalità materna e perinatale.
L’impostazione del programma profilattico e/o terapeutico in gravidanza deve basarsi sulla valutazione del trattamento in atto prima del concepimento e dei fattori di rischio della paziente.
 È importante avere in gravidanza un inquadramento clinico iniziale da parte di un team multidisciplinare composto da ematologi, ostetrici, anestesisti e pediatri esperti nel trattamento della patologia e dal medico curante della paziente. Va ricordato che le pazienti che sviluppano crisi in corso di gravidanza dovrebbero beneficiare di un piano terapeutico personalizzato.
Per i genitori sapere che i propri figli possono fare sport (con moderazione) è stato un sollievo.
Spesso si pensa che avendo figli con una patologia così importante si debba essere iperprotettivi.
Purtroppo psicologicamente è sbagliato per il ragazzo che si vede negare le cose che fanno normalmente i coetanei.
Quando si è parlato della scuola molti non sapevano che dopo 30 giorni di assenze (anche non consecutivi) si può chiedere l’istruzione domiciliare.
Uno degli argomenti più discussi è stato quello sulla indennità di frequenza, legge 104 e agevolazioni fiscali.                                                                                                                                                                                                                                                                                         Questo perché dalla platea è emerso che a questi pazienti non vengono riconosciuti gli stessi diritti che hanno i pazienti con il Morbo di Cooley (Thalassemia Major) da parte dell’INPS nonostante ci siano le stesse condizioni cliniche.

Le linee guida per le emoglobinopatie redatte dall’INPS citano:
Pagina 1: Le seguenti brevi note cliniche sono tratte da Anemie Ereditarie
“Percorso Diagnostico- Terapeutico Assistenziale” (a cura dei centri di riferimento – AO San Camillo-Forlanini/Azienda Policlinico Umberto I – Università Sapienza/Ospedale pediatrico Bambino Gesù/Fondazione Policlinico Gemelli-Roma) elaborato nell’ottobre 2016 e raccomandazioni della “Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie” (SITE) www.site.org
 a pagina 7 viene riportato:
“Valutazione Medico-Legale a fini  di handicap e invalidità civile”.
Occorre premettere che il Legislatore ha previsto specifici benefici di natura assistenziale a favore dei lavoratori affetti da talassemia major o drepanocitosi ovvero talassodrepanocitosi o talassemia intermedia in teattamento trasfusionale o con idrossiurea” (art. 39, comma1 Legge 448 del 2001 – art. 3, comma 131 Legge 350 del 24 dicembre 2003).
I Pazienti hanno chiesto come devono fare per avere questi benefici, il consiglio che è stato dato è quello di rivolgersi alle associazioni di categoria o sindacati.
Altro argomento molto dibattuto è stato quello del trapianto.
Per essere candidati al trapianto allogenico, soprattutto se effettuato tempestivamente, quindi prima dell’insorgenza di un danno d’organo irreversibile, rappresenta ancora l’unica strategia terapeutica potenzialmente in grado di curare definitivamente i pazienti con drepanocitosi.
Tuttavia, spesso, la scelta di sottoporre al trapianto un bambino affetto può essere particolarmente difficile dal momento che la malattia stessa non espone il paziente ad un immediato pericolo di vita.
La drepanocitosi è caratterizzata da quadri clinici eterogenei e di differente gravità, sia tra pazienti diversi, sia nello stesso paziente in tempi differenti.
Crisi dolorose frequenti, episodi di sindrome toracica acuta o l’insorgenza di complicanze neurologiche cerebrali identificano un sottogruppo di pazienti con prognosi particolarmente sfavorevole ed un significativo peggioramento della qualità e dell’aspettativa di vita.
Purtroppo, ad oltre 30 anni dal primo impiego del trapianto per la cura della
drepanocitosi, non è stato condotto nessuno studio clinico prospettico randomizzato che confronti il trapianto con trattamenti convenzionali quali l’idrossiurea o la terapia trasfusionale.
Ciò e probabilmente dovuto alla complessità ed eterogeneità della condizione clinica che ha reso non realizzabili o non etici studi clinici controllati.
A tutt’oggi sono stati riportati nella letteratura medica alcune centinaia di trapianti da
donatore familiare HLA-identico effettuati in soggetti affetti da drepanocitosi.
La maggior parte dei pazienti aveva un’età al momento del trapianto inferiore ai 16 anni e molti di loro avevano presentato importanti complicanze tipiche della malattia, in particolare a carico del sistema nervoso centrale.
La sopravvivenza globale post-trapianto  superiore al 90%, una sopravvivenza libera da eventi compresa fra l’82 e l’86%, una mortalità trapianto-correlata del 7-8% ed un rischio di rigetto dell’8- 10% circa.
 Nel pomeriggio dopo la pausa pranzo i bambini/ragazzi si sono riuniti con i genitori.
Ai bambini mentre erano con i volontari è stato chiesto di scrivere in alcuni pannelli i loro timori, come vivono la malattia, cosa fanno quando stanno bene, come si curano. Hanno fatto diversi cartelli con i loro disegni, la cosa più bella è che anche i bambini hanno dimostrato che la malattia la conoscono molto bene e che capiscono anche le preoccupazioni dei genitori.
È stato un momento estremamente commovente. I bambini si vergognavano a leggere quello che avevano scritto, e i genitori erano orgogliosi e allo stesso tempo estremamente emozionati.
Si è venuta a creare una energia e un equilibrio fra tutti i presenti di comprensione e scambi di informazioni che a volte non si riesce ad esprimere.
Ed infine si è andati tutti in cortile a lanciare i palloncini colorati.
Un ringraziamento particolare alla Fondazione Italiana Leonardo Giambrone e alla BlueBirdBio che hanno finanziato il convegno.

Maddalena Quattrocchi

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