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ESSERE GENITORI
E LA “RESILENZA”

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Questo termine l’ho ascoltato per la prima volta a Ferrara, alla presentazione del libro “Come vincere la sfida della talassemia. Resilienza e qualità della vita” (vedi EX Gennaio/Febbraio 2014).

Ma qual é il significato vero di questa parola?

Il termine resilienza deriva dal latino “resalio”, iterativ del verbo “salio”, che in una delle sue accezioni originali indicava l’azione di risalire sulla barca capovolta dalle onde del mare.
Un termine che può assumere diversi significati in un diverso contesto.

Quello che interessa noi è quello psicologico.
La resilienza viene vista come la capacità dell’uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e trasformato positivamente.
Questo concetto si può applicare non solo alla talassemia o alle malattie in genere (soprattutto quelle genetiche delle quali parla il nostro giornale), ma a tutti quegli eventi che colpiscono in modo violento la nostra vita.
Tutte le famiglie che all’improvviso si trovano ad affrontare una malattia cronica o invalidante devono fare i conti con una serie di circostanze ed emozioni nuove.

Quando a mia figlia diagnosticarono la talassodrepanocitosi all’età di tre anni, fu un colpo terribile.
Una serie di sentimenti e pensieri che giravano nella mia testa come un turbine.
Perché proprio mia figlia?
Perché proprio io a trasmetterle la malattia?
Sensi di colpa, impotenza, rabbia, disperazione.

Chissà quante persone che mi leggono si sono trovate in questa situazione.
Avevo solo due possibilità: adeguarmi o soccombere.
Scelsi la prima.
Mi rimboccai le maniche e cominciai a pensare a come adeguare tutto il sistema di vita familiare alle nuove esigenze di mia figlia.
Non mi soffermai solo a questo.
Informai parenti, amici e, soprattutto la scuola.
Volevo che tutti sapessero e che mia figlia potesse di conseguenza vivere una vita serena.

Oggi sappiamo che pur non conoscendola,  avevo messo in atto il concetto di resilienza.
Non mi sento un’eroina, o una persona speciale, ma solamente una madre che ha lottato con le unghie e con i denti per dare alla propria figlia una vita “normale”.
Cercai di arginare le mancanze di tatto quando amici o parenti (anche involontariamente) mi chiedevano: “Come sta tua figlia?”
E poi quegli sguardi pietosi..
Ed erano proprio quelli che mi facevano infuriare maggiormente.
Per non parlare poi di come poteva restare amareggiata mia figlia.
Mi diceva: “Mamma, smettila di dire le mie cose, tutti mi guardano in modo diverso, e poi cominciano a farmi un sacco di domande”.

Cosa dovevo fare?

Parlare, non parlare, sgridare lei o sgridare gli altri? Che confusione.
Non so se ho agito in maniera adeguata o meno.
L’ho assecondata e per un certo periodo ho smesso di parlare del suo stato con chiunque, per rasserenare lei prima di tutto, poi col tempo è stata lei a cominciare a parlare dapprima con i suoi amici più stretti, poi anche a persone non proprio della cerchia familiare.
Voi madri e padri sapete di cosa sto parlando, vero?
Semplicemente stare vicino ai figli sempre e comunque anche quando cercano di nascondere la malattia. Questo è uno dei momenti peggiori poiché non accettare tutto ciò è come non accettare se stessi.
Per fortuna a mia figlia passò abbastanza in fretta.
Ricordo le litigate: “Mamma ti ho detto che non devi parlare della mia malattia, non voglio, smettila!”
Le rispondevo sempre: “…di cosa ti devi vergognare? Hai forse rubato? Hai ammazzato qualcuno?”
Lei girava le spalle e andava via sbattendo la porta… ero sola.

Facevo bene?

Me lo sono chiesto per anni.
Non ho saputo darmi una risposta.
Quanti dubbi avevo.
Si dice che fare il genitore sia il mestiere più difficile, e sapete che è vero, ma oltre che ad insegnare come affrontare la vita, dover insegnare come affrontare una malattia…beh!… penso proprio che siamo tutti da Oscar.
Almeno ce la mettiamo tutta.

Che soddisfazione quando qualche mese fa ho sentito che parlava della cosa con dei ragazzi che aveva conosciuto da pochissimo.
Le ho chiesto come mai ne parlava così tranquillamente e lei mi ha risposto candidamente: “Perché, cosa c’è di male se l’ho detto subito? Di cosa mi devo vergognare?”
Non sono una scrittrice, sono un’artigiana che ha imparato ad essere mamma.
Mi piacerebbe attraverso il giornale scambiare esperienze di vita, belle o brutte non ha importanza.
Sapere che ci sono altre persone o famiglie che hanno i miei stesi problemi mi fa sentire meno sola.
La mia esperienza può aiutare qualcuno e l’esperienza di un altro può aiutare me.
Tutto è sempre reciproco.

Se lo vorrete, potrete mandare delle mail o scrivere lettere al giornale, scambiare esperienze fa bene a tutti.

Maddalena

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