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GABRIELE CALIZZANI NELL’ESEMPIO E NEL RICORDO

Sono trascorsi due anni da quando Gabriele ci ha lasciato, 17 agosto 2020, e in tutti noi rimane un grande vuoto, anche se i ricordi e la sua “eredità morale” ce lo rendono sempre presente.
Chi era Gabriele?
Solo unendo in un grande mosaico le testimonianze di tutti coloro che lo hanno conosciuto si potrebbe rispondere a questa domanda.
Per me è stato un compagno di strada, un amico, negli anni in cui frequentavamo da studenti l’Università di Bologna, compagno in quel gruppo, “Impegno Universitario”, che voleva rompere gli schemi di allora, fare gli interessi degli studenti senza condizionamenti esterni, che credeva nel dialogo e nel valore di costruire “ponti” e non muri, che si batteva per una didattica partecipata (i questionari di valutazione dei corsi e dei docenti), che credeva nella trasparenza.
Anche Gabriele lottava per tutto questo, in particolare nel gruppo della Facoltà di Medicina da lui frequentata.
Il suo impegno da studente si esprimeva anche nel Centro Studi Donati di don Tullio Contiero, realtà attenta ai bisogni degli ultimi sia vicini, sia lontani, per esempio coi viaggi in Africa.
Un’idea di studio che fosse a servizio degli altri.
Era allegro e sempre pronto allo scherzo e alla battuta: univa rigore e serietà a un atteggiamento “goliardico”.
Gabriele aveva scelto il corso in Medicina, approfondendo la preparazione in politica sanitaria, perché aveva in mente di impegnarsi nelle istituzioni sanitarie pubbliche per far sì che quanto capitato a tanti emofilici non si ripetesse.
Per poter aiutare i pazienti delle “malattie rare”, spesso considerati di “serie B”. Questo ammiravo in lui: di saper fare di ogni problema personale un’occasione di impegno a favore di altri, a favore di chi si trovava a subire lo stesso problema.
Da Presidente di FedEmo, la federazione nazionale delle associazioni emofilici, Gabriele – fra le tante cose – si impegnò nei progetti internazionali a favore degli emofilici di quei Paesi in cui l’assistenza era carente se non nulla.
Un giornale ha scritto dopo la sua morte: “Il medico che salvò 460 bimbi a Kabul”, ricordando come Gabriele avesse sviluppato un progetto con l’ospedale pediatrico di Kabul. In ciò si può scorgere il “filo conduttore” che ha legato tutta la vita di Gabriele.
Ero consulente legale di FedEmo negli anni della sua presidenza e posso testimoniare la sua grande volontà a risolvere i problemi: talvolta era testardo, non si arrendeva.
Era anche esigente e “pretendeva” dagli altri analogo impegno e disponibilità. Ti coinvolgeva.
La sua insistenza era figlia del motto evangelico “bussate e vi sarà aperto”.
Lottava per la Giustizia, con la G maiuscola: non si tirava mai indietro.
La sua competenza lo portò, da un punto di vista professionale, ad importanti incarichi all’Istituto Superiore di Sanità e al Centro Nazionale Sangue: la sua “missione” coinvolgeva la sua vita a 360 gradi.
Gabriele non ostentava ciò che faceva, la tua mano sinistra non sappia che cosa fa la destra, e neppure si sentiva una “vittima”: anzi, aveva una forza d’animo e una gioia di vivere che non lasciavano minimamente trasparire le sue problematiche di salute.
Il suo essere “per gli altri” aveva fatto sì che, insieme alla moglie Francesca, donasse anche una nuova vita, la piccola Sofia: moglie e figlia erano la sua famiglia, a cui tanto amore ha dedicato, rivelandosi un marito e un padre affettuoso e premuroso. Altri, come ho scritto all’inizio, potrebbero aggiungere molte tessere al “mosaico”, raccontando per esempio anche di Gabriele da bambino e ragazzo.
Grazie a Gabriele sono stato accolto nella grande comunità degli emofilici, fatta di persone coraggiose, forti, che sanno che la vita va conquistata giorno dopo giorno. Gabriele è stato un esempio per tutti noi, di come si debba vivere con gioia, combattere con coraggio ogni battaglia, non arrendersi.
Il suo sorriso rimarrà per sempre nella nostra memoria.

Marco Calandrino