articoli

GRANDI RISULTATI DALLA RICERCA FONDAZIONE TELETHON

In che modo Telethon sostiene la ricerca scientifica?
Fondazione Telethon da anni sostiene la ricerca sulle malattie genetiche rare attraverso il finanziamento dei migliori progetti scientifici italiani.
La selezione di questi progetti è fatta sulla base di criteri specifici quali la qualità scientifica, l’impatto sul paziente inteso come la possibilità che i risultati della ricerca aiutino a trovare una terapia o una diagnosi.
Come si selezionano i migliori progetti?
Per garantire rigore e oggettività nel processo di selezione è utilizzato il metodo della revisione tra pari o “peer review”, un concorso bandito dall’ufficio scientifico consente di presentare i progetti che verranno poi esaminati da esperti individuati ad hoc per ogni progetto.
Il progetto di selezione coinvolge ricercatori esterni, in maggior parte stranieri, al fine di evitare qualsiasi conflitto di interesse.
Il processo di selezione che richiede alcuni mesi si completa con un confronto diretto tra i revisori durante il quale si discutono apertamente i  progetti finalisti con l’obiettivo di minimizzare gli errori di valutazione e trovare un consenso sui progetti di ricerca più meritevoli.
Questo perchè la ricerca rappresenta il nostro futuro, promuoverla e sostenerla è una sfida importante, soprattutto quando si parla di malattie genetiche rare.


In questo inizio 2019, tutte le più importanti testate hanno parlato di due risultati straordinari della ricerca di Fondazione Telethon.
Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica di Milano, è stato insignito del premio Louis-Jeantet 2019 per la medicina traslazionale. Un riconoscimento internazionale molto prestigioso che celebra il contributo fondamentale del nostro scienziato e direttore d’istituto nel portare la terapia genica dal laboratorio al trattamento dei pazienti con gravi malattie genetiche rare.

NEWS DALLA RICERCA
La terapia genica, soprattutto se somministrata in giovane età, potrebbe costituire una strategia di cura efficace per la beta talassemia. È questo il risultato del primo trial clinico di terapia genica realizzato sia in pazienti adulti che pediatrici, frutto di oltre dieci anni di lavoro del gruppo di ricerca di Giuliana Ferrari, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano e possibile grazie all’alleanza strategica tra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics.
Lo studio, pubblicato su Nature Medicine, è stato svolto grazie alla sinergia tra ricercatori di base e clinici, e in collaborazione tra l’Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica e quella di Ematologia e Trapianto di Midollo dell’Ospedale San Raffale, dirette rispettivamente da Alessandro Aiuti e Fabio Ciceri, insieme al Centro malattie rare diretto da Maria Domenica Cappellini del Policlinico di Milano.
Lo studio, con il coordinamento clinico della dottoressa Sarah Marktel, si è avvalso della partecipazione di altri centri italiani esperti di talassemia e della collaborazione con associazioni dei pazienti.
Lo studio ha coinvolto 9 soggetti di diversa età – 3 adulti sopra i trent’anni, 3 adolescenti e 3 bambini sotto i sei anni di età – tutti con forme di beta talassemia gravi da renderli trasfusione dipendenti. I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata all’SR-Tiget per altre malattie rare del sangue, come ADA-SCID (il cui trattamento è diventato il primo farmaco salva-vita di terapia genica approvato al mondo), la leucodistrofia metacromatica (MLD) e la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS).
Il protocollo prevede innanzitutto la raccolta delle cellule staminali dal sangue periferico dei pazienti. Per ristabilire il corretto funzionamento di queste cellule e dei globuli rossi in cui possono differenziarsi, i ricercatori hanno quindi inserito al loro interno una copia funzionante del gene della beta-globina, utilizzando un cosiddetto vettore lentivirale: virus della stessa famiglia dell’HIV, svuotato del suo contenuto infettivo e trasformato in vero e proprio mezzo di trasporto per la terapia.
Infine le cellule staminali corrette sono state re-infuse nei pazienti direttamente nelle ossa, così da favorire il loro attecchimento nel midollo osseo.

I PRIMI RISULTATI DELLO STUDIO CLINICO
A distanza di oltre un anno dal trattamento (i soggetti adulti sono stati trattati per primi, ormai quasi 3 anni fa) la terapia risulta sicura ed efficace: in 3 dei 4 pazienti più giovani con un follow-up sufficiente per la valutazione si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei tre pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza. Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo.
«È la prima volta che la terapia genica per la beta talassemia viene utilizzata in pazienti pediatrici. I risultati raccolti fino ad ora dimostrano non solo la sua sicurezza in questo contesto, ma anche la sua maggiore efficacia», spiega Giuliana Ferrari. «Dal momento che la malattia compromette in modo progressivo l’integrità del midollo osseo, intervenire in giovane età permette di ottenere risultati migliori». Oltre al fattore età, un altro elemento chiave è l’efficienza del “trasferimento genico”, ovvero la capacità dei vettori virali di inserire con successo nelle cellule dei pazienti il gene terapeutico. «In patologie complesse come la beta talassemia può giocare un ruolo importante, ecco perché la messa a punto di protocolli innovativi, capaci di massimizzare l’efficacia dei vettori, è una delle nostre priorità», conclude Giuliana Ferrari.

Tag: