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I VENT’ANNI DI FEDEMO

emoex

UN MESSAGGIO PER CHI VUOLE ASCOLTARE
Qualcuno oggi discute ancora se far partecipare i pazienti ai convegni medici.
Perché lo scrivo in apertura di questo editoriale che commemora i vent’anni della Federazione delle Associazioni degli Emofilici (Fedemo), nata il 21 settembre 1996, dopo che per oltre 25 anni gli emofilici stessi e le loro associazioni erano stati rappresentati dalla Fondazione dell’Emofilia?
Lo faccio soprattutto per guardare avanti, ricordando quel giorno del 1996, quando già allora i medici ed i pazienti affetti da emofilia discutevano “insieme”.
Lo faccio ricordando che il giorno prima, il 19 settembre  a Sorrento, alla conferenza stampa di presentazione del IX Convegno triennale sui problemi clinici e sociali dell’emofilia, avevano partecipato a pieno diritto oltre al prof. Mannucci, al dott. Morfini, al prof. De Biase ed al prof. Ciavarella, il Segretario Generale della Federazione Andrea Buzzi.
Ma non era la prima occasione che i pazienti partecipavano al fianco dei loro medici perché già da diversi anni si era superata quella sorta di “gelosia” dettata dalla consapevolezza che il paziente non dovesse ascoltare ciò che si dicevano i medici.

Più vicino a noi, nel settembre dell’anno scorso a Cagliari, ad un convegno sulla talassemia, il prof. Aurelio Maggio, in apertura del suo intervento, aveva affermato testualmente: “È la prima volta in tanti anni, che vengo invitato ad un convegno medico dai pazienti e gli stessi pazienti che mi assegnano il tema su cui parlare.
Questo significa che qualcosa sta cambiando, che questi giovani sono veramente con noi, alla pari e le loro associazioni stanno incidendo sempre più nel contesto socio-politico ed anche medico perché il loro livello culturale per quanto riguarda la conoscenza delle loro patologie è veramente importante.
Non mi meraviglierei, a questo punto, se in futuro me li trovassi a tenere anche relazioni mediche.
E questo lo dico con un poco di orgoglio perché mi sento parte in causa”.

Sì, in questo caso parliamo di talassemia ed i nostri lettori si chiederanno perché il direttore di questo giornale mischia le carte inserendolo in un editoriale dedicato ai vent’anni della Federazione degli emofilici, coinvolgendo l’altra parte alla quale dedichiamo la nostra informazione.
Lo faccio innanzitutto, per dirla con un famoso scrittore: “…siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare soltanto se stiamo abbracciati”.
Abbracciati significa anche che possiamo seguire l’esempio di chi ci ha preceduto e lo ha fatto prima di noi.

* * *

Tornando a quel 1996, il nostro giornale, per l’occasione aprì con un editoriale firmato dall’allora Segretario Generale, Andrea Buzzi, che descriveva il lavoro svolto e gli obiettivi che ci si poneva.

“Ecco, abbiamo fatto riunioni, incontri, consultazioni, assemblee ed alla fine siamo arrivati ad uno statuto che garantisce un’operatività ampia e agile, il che significa efficienza e nello stesso tempo un vigile controllo collettivo delle decisioni prese, il che significa democrazia.
La Federazione delle Associazioni Emofilici (allora prese il nome di F.A.E. – N.d.R.) funziona così: l’assemblea delle associazioni elegge un Direttivo (il presidente e due vice presidenti che costituiscono il Consiglio di Presidenza e il Segretario Generale), con il criterio che proporziona la capacità elettiva delle singole associazioni al numero degli emofilici iscritti nel Registro Nazionale Coagulopatici.
Questo meccanismo ci investe di una rappresentatività reale, in quanto gli organi eletti riflettono direttamente la volontà e le scelte di un numero preciso di emofilici italiani.
L’assemblea sceglie inoltre gli obiettivi che il Direttivo si incarica di portare a compimento.
In che modo lavorerà il Direttivo?
Il Presidente, che ha la rappresentanza legale, opera attraverso la Segreteria Generale, che è tenuta ad informare regolarmente il consiglio di Presidenza e che fa a questo un dettagliato rapporto quadrimestrale sulle attività svolte.
Presidente e vice Presidenti esercitano dunque una funzione di controllo sull’attività del Segretario.
Per di più ogni iniziativa della Segreteria che preveda un impegno economico superiore a tre milioni di lire dovrà essere valutata e approvata dal consiglio di Presidenza.
Infine, l’Assemblea, che può essere convocata dal Presidente, dai due vice Presidenti o da un terzo dei soci collettivi (le associazioni aderenti), ha facoltà di revocare le cariche elettive, se ciò si rendesse necessario.
È questo dunque l’assetto che alla luce dei contributi apportati da tutti coloro che hanno ritenuto di partecipare a questo lavoro, appare il più idoneo ad accontentare gli esigenti e a rassicurare i garantisti.
Infine, ricordiamoci che gli statuti non sono gabbie senza uscita e che se alla prova dei fatti si dimostrano carenti ed inadeguati, li si può sempre cambiare.
Il risultato raggiunto, comunque, ci sembra più che soddisfacente, tenuto conto che far felici tutti è cosa che, come disse un Papa, non sempre riesce nemmeno a domineddio.
Forti di questa consapevolezza e della serietà del lavoro svolto, ci sentiamo ora pronti ad affrontare i nostri veri problemi, quelli di ieri e di oggi, perché non siano anche quelli di domani”.

A quella prima assemblea avevano partecipato le associazioni di Milano, Verona, Bari (Arpafe), Bari (Teo Ripa), Firenze, Parma, i Comitati regionali di Campania, Lazio e Sardegna, Trento, Brescia, Genova, Sondrio, Catanzaro, Reggio Calabria, Cosenza, Ravenna, Bologna, Palermo, Catania, Padova, Pavia, Perugia.

Al C.T.O. DI MILANO
UN PROGETTO A MISURA DEL PAZIENTE
Non il primo progetto realizzato  ma il più importante, venne annunciato il 19 giugno 2001.
La Federazione delle Associazioni Emofilici annunciò l’inaugurazione, presso la Divisione di Clinica Ortopedica del CTO di Milano, del Centro per la cura dell’artropatia emofilica “Maria Grazia Gatti Randi”.

Si trattava del primo reparto italiano di permanenza e riabilitazione destinato esclusivamente a pazienti emofilici.
Si era provveduto alla riqualificazione funzionale e strutturale di uno spazio ospedaliero e di un servizio di chirurgia che, negli ultimi anni, si era distinto nell’assistenza dei pazienti emofilici, particolarmente con impianti di artroprotesi, con il supporto economico di una casa farmaceutica.
Il primo obiettivo raggiunto fu quello di migliorare la ricettività della struttura, portando da uno a sei i posti letto disponibili. Ciò favorì la riduzione dei tempi di attesa per sottoporsi a un intervento, fino a quel momento superiori ad un anno.
Questo, non solo per un importante miglioramento della qualità della vita di chi necessita di una protesi per recuperare autonomia e serenità nella vita quotidiana, ma anche una maggiore e più certa efficacia dell’intervento stesso.

“L’altro obiettivo fondamentale del progetto” – dichiarò l’allora segretario generale di Fedemo Andrea Buzzi – colma una grave lacuna della struttura odierna, e consente che il paziente venga seguito all’interno della stessa unità in tutto il suo percorso, dalla prima visita alla riabilitazione post-operatoria”.
La mancanza di posti letto costringeva, infatti, a dimettere i pazienti una volta completata la fase chirurgica, ossia circa dieci giorni dopo l’operazione.
La discontinuità fra l’intervento chirurgico e quello riabilitativo spesso rischia di compromettere l’esito complessivo e non consente di ottenere risultati uniformi, né tantomeno di migliorare nel tempo.

NASCE LA FONDAZIONE PARACELSO
Negli anni si sono susseguiti altri direttivi, i rapporti sono stati a volte anche molto vivaci, sia fra gli esecutivi che tra le associazioni iscritte, ma il lavoro svolto è stato notevole.
Poi, sulla base di un accordo raggiunto ai primi di ottobre del 2003 fra la Federazione e la Baxter Healthcare Corporation, venne istituito un fondo di solidarietà a favore degli emofilici infettati da HIV.
L’accordo prevedeva la costituzione di una Fondazione il cui scopo primario era quello di fornire un sostegno a chi si trovasse in questa condizione o agli eredi delle persone decedute.
Siccome oltre l’80% degli aventi diritto aderì all’iniziativa, la Fondazione venne dotata di 5 milioni di euro destinati alla ricerca scientifica e alle attività sociali.

La Fondazione nacque nel 2004.
A tutti coloro che aderirono fu erogato un assegno di 40.000 euro.
Il 21 aprile di quello stesso anno, a Palazzo Giustiniani a Roma, di fronte a ministri e parlamentari, in occasione della celebrazione della “Giornata Mondiale dell’emofilia”,

Isabella Moavera, componente del primo consiglio di amministrazione della stessa Fondazione affermò tra l’altro: “Perché è stato scelto questo nome? Paracelso era un filosofo alchimista vissuto nel 1500 ed aveva compreso che non si deve guardare solo alla malattia ma alla persona nella sua interezza.
Da quando è nata FEDEMO (ed era la prima volta che acquisiva questo acronimo – n.d.R.) ha sposato questo concetto di universalità della cura del paziente che poi altro non è che il principio, molto in voga, di “global care”.
Una lettera ricevuta poco tempo fa dalla mamma di un emofilico deceduto a causa delle infezioni contratte, ci ha convinti che siamo nella giusta strada.
Questa donna, forte del suo dolore che l’accompagna, ha scritto che avrebbe aderito al fondo convinta che un’istituzione pensata non solo per chi non c’è più ma anche e soprattutto per le nuove generazioni, per il raggiungimento della miglior cura e per far sì che la qualità della vita dei singoli pazienti possa costantemente migliorare, rende il sacrificio della vita di suo figlio non vano.
Ci piace pensare alla Fondazione come ad un ponte che dal buio del passato si protende positivo verso il futuro”.

Fondazione Paracelso è stata dedicata a tutti coloro che hanno creduto al progetto e a questa idea di solidarietà.
Voluta dai pazienti per i pazienti, è una cerniera fra mondo clinico e mondo sociale, nella consapevolezza che per il benessere della persona non è sufficiente curare la malattia.
I programmi per le famiglie Hope, Cpì e BarrieraZero, l’attività di supporto ai Centri emofilia e il lavoro che svolge in collaborazione con l’équipe di chirurgia ortopedica presso il Policlinico di Milano sono l’applicazione pratica di questo concetto.
Fondazione Paracelso elabora, finanzia, sostiene e attua progetti scientifici e sociali per l’emofilia e i deficit ereditari della coagulazione.

Conduce programmi di aiuti umanitari in Italia e all’estero, in coerenza con i propri valori etici e la propria missione sociale, riconoscendone l’importanza al fine di aumentare la conoscenza della patologia presso l’opinione pubblica.

IL PROGETTO “PASSO DOPO PASSO”
Il progetto “Passo dopo passo”, rivolto alle persone con emofilia che necessitano di ricorrere alla chirurgia ortopedica, è nato nel 2009 con il trasferimento presso il Policlinico di Milano del dottor Solimeno, indiscussa autorità mondiale nella chirurgia ortopedica per emofilici e riferimento per i pazienti di tutta Italia.

La vicinanza con il Centro emofilia rendeva più agevole l’assistenza ematologica, ma la nuova divisione aveva bisogno di un aiuto segretariale.
Fondazione Paracelso, partendo ancora una volta da un bisogno e da una richiesta circoscritta, ha costruito un progetto che ruota attorno alla persona del paziente e contemporaneamente favorisce l’attività dei clinici: contribuisce alla gestione dell’intero percorso ospedaliero, coordinando il lavoro di ematologi e chirurghi, l’organizzazione del pre-ricovero, la degenza operatoria e il trasferimento in strutture riabilitative di eccellenza (Domus Salutis a Brescia); ha donato all’ospedale un kinetek (apparecchio per mobilizzare l’arto operato) e un polarcare (apparecchio per la terapia del freddo che riduce il dolore e il gonfiore, agevolando sensibilmente il decorso postoperatorio), destinati ai pazienti emofilici per sgravarli dell’impegno e dei costi del noleggio;
mette a disposizione di pazienti e familiari che arrivano da altre parti d’Italia una foresteria allo scopo di abbattere i costi di un eventuale soggiorno.

Seguire questo percorso richiede partecipazione e competenza e viene fatto con cura, consapevoli delle esitazioni che spesso affiancano un intervento, all’occasione distribuendo qualche parola rassicurante o qualche pacca di incoraggiamento.
Dall’inizio del progetto sono stati seguiti 457 pazienti (ultimo aggiornamento: agosto 2016).

IL PROGETTO “F.O.R.T.E.”
Lo stesso anno partì un altro importante progetto che prese il nome di F.O.R.T.E., un acronimo che significava: “Formazione Operatori Riabilitazione per il Trattamento degli Emofilici”, ideato dall’allora segretario Generale di FEDEMO Alessandro Marchello.

Obiettivo quello di formare e sensibilizzare un gruppo di fisioterapisti, motivandoli al trattamento del paziente emofilico, per il mantenimento di una buona condizione fisica, sia per la preparazione ad un intervento chirurgico che per il necessario periodo riabilitativo post chirurgico.
Era una sorta di collaborazione fra Federazione, Fondazione Paracelso, Centro Bianchi Bonomi e Casa di Cura Domus Salutis di Brescia.
I risultati di quel progetto che si è concluso nel 2010, si vedono ancora oggi attraverso il gruppo di coloro che vi parteciparono e si occupano con successo delle articolazioni degli emofilici.

Sono soltanto una parte di tutte le attività svolte in questi vent’anni.
Ora siamo a pieno diritto soci della Federazione Mondiale (WFH) e delle EHC (La Federazione Europea).

* * *

In conclusione voglio ricordare che questo è un riassunto breve di ciò che una Federazione di pazienti, può fare, sempre naturalmente discutendo e partecipando anche con i medici, senza barriere di nessun tipo ma con l’obiettivo del bene del paziente.
Tutto questo nonostante le difficoltà, nonostante le diversità di idee e di vedute, nonostante coloro che spesso remano contro, nonostante qualcuno si sia perso per strada, nonostante il tempo che passa e la stanchezza che inevitabilmente  si sente.

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