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IL PROGETTO PER MIGLIORARE LA CURA CON IL COINVOLGIMENTO DEI PAZIENTI

Il 26 marzo scorso si è svolto un webinar per la presentazione dei risultati del progetto “Parole in emofilia”, condotto dal Centro di ricerca EngageMinds HUB-Consumer, Food & Health Engagement Research Center dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con FedEmo (Federazione delle associazioni emofilici), Fondazione Paracelso, Aice (Associazione italiana centri emofilia) e con il supporto non condizionato di Kedrion Biopharma.


Lo studio è stato presieduto dalla Prof.ssa Guendalina Graffigna, direttrice del Centro di ricerca “EngageMinds HUB, e dalla Dr.ssa Serena Barello, ricercatore di EngageMinds HUB, ha avuto inizio in aprile 2020 coinvolgendo 50 pazienti e 22 ematologi.
A supportare il progetto era stato previsto un board multidisciplinare di esperti nel campo dell’emofilia, composto dalla Dr.ssa Biasoli (membro di AICE e Responsabile del Centro Emofilia Clinica Ospedale M. Bufalini di Cesena), da Andrea Buzzi (Presidente della Fondazione Paracelso) e da Cristina Cassone (Presidente di FedEmo – Federazione delle Associazioni Emofilici).
L’obiettivo, in particolare, era di dare voce all’esperienza di malattia e di cura dei pazienti emofilici e di comprendere le condizioni che ne favoriscono la motivazione ad aderire alla terapia e ne sostengono il coinvolgimento attivo (engagement) nel processo di cura.
La finalità ultima dunque era quella di indagare, attraverso la narrazione, gli aspetti più significativi e le eventuali problematiche della relazione tra un paziente emofilico e il proprio ematologo.
Partendo dalle parole narrate, mirare a una migliore interazione, al fine di rendere quanto più solida ed efficace l’alleanza medico-paziente, è fondamentale per l’aderenza e l’alleanza terapeutica in Emofilia.
Il progetto “Parole in Emofilia” prevedeva un primo momento volto a raccogliere storie e narrazioni dei pazienti con emofilia legate al vissuto della malattia e della terapia; parallelamente è stata svolta una raccolta presso gli ematologi la loro esperienza di relazione e comunicazione con il paziente, per cogliere gli aspetti su cui essi si sentono efficaci e le aree di miglioramento e di bisogno non soddisfatto.
La prima parte del progetto, dunque è stata qualitativa e ha raccolto le narrazioni tramite un form on line semi-strutturato.
Al termine di questa fase di compilazione dei questionari, è stato organizzato un workshop dedicato a pazienti ed ematologi, nel quale sono state presentate e discusse le principali evidenze raccolte con l’obiettivo di tradurle in indicazioni operative per ottimizzare i processi comunicativo-relazionali tra medici e pazienti nel contesto del percorso di cura.

Cristina Cassone, presidente di Fedemo, nel presentare l’incontro del 26 marzo ha affermato:
“Le parole sono uno strumento fondamentale soprattutto quando si parla di una patologia come l’emofilia, quindi sarà interessante ascoltare non solo le parole dei pazienti ma anche quelle dei medici, che nel nostro ambito hanno già una componente eccezionale, cioè una sinergia tra medico e paziente. Questa sinergia noi vorremmo migliorarla il più possibile e renderla elemento fondamentale anche nella valutazione della qualità del Centro perché la comunicazione è importante, ha degli effetti diretti nei confronti dei pazienti sia adulti che adolescenti e anche effetti indiretti sui genitori e caregivers.
Quindi la comunicazione viene fatta all’inizio con questa parole emofilia dove ci possono essere delle variabili importanti nelle prospettive future anche per la cura e l’efficacia della cura in emofilia”.

Andrea Buzzi, presidente di Fondazione Paracelso, intervenendo ha affermato che:
…”la Fondazione ama definirsi come una cerniera tra il mondo clinico e il mondo sociale perché noi proviamo a ricomporre dell’unità a quello che di fatto è uno: all’interno dei bisogni della persona, di un paziente, non esiste la distinzione tra il bisogno clinico e il bisogno sociale.
Quindi provare a far dialogare e ritrovare reciprocità in questo rapporto è fondamentale, promuoviamo volentieri questo progetto perché riteniamo che il coinvolgimento attivo dei pazienti possa produrre un miglior esito anche come indicazione sulle strategie per meglio affrontare il bisogno di salute.
Perché un paziente con emofilia avrebbe dovuto partecipare a questa ricerca?
Noi riteniamo che sia stato importante perché il coinvolgimento dei pazienti è la chiave per la riuscita di tutti gli interventi di assistenza clinica.
Senza la collaborazione dei pazienti, che spesso vengono definiti la risorsa meno utilizzata dei sistemi sanitari, l’intervento è per forza di cose “monco”.
È importante che i pazienti collaborino non soltanto per quello che riguarda la propria condizione ma anche per restituire tutto quel mondo di bisogni anche extra clinici senza i quali l’offerta assistenziale può incontrare la domanda dei bisogni delle persone”.

Guendalina Graffigna Coordinatrice del progetto Parole in Emofilia – Università Cattolica del Sacro Cuore ha spiegato cosa hanno cercato di fare dal punto di vista metodologico.
“Lo studio – ha affermato – si è basato su due punti: raccolta narrativa di esperienze dal punto di vista sia dei pazienti sia dal punto di vista degli ematologi proprio per comprendere che cosa significa convivere con l’emofilia, che cosa significa convivere con l’emofilia e soprattutto che cosa significa avere una buona comunicazione, e quindi una buona relazione di cura, aperta non soltanto agli aspetti medio-scientifici di trattamento della terapia e della gestione della patologia ma anche agli aspetti psico sociali che necessitano di essere presi in carico.
Che cosa abbiamo fatto metodologicamente?
Si tratta di uno studio di medicina narrativa che si è basato sulla raccolta di storie, storie che abbiamo raccolto sia con interviste in profondità a pazienti e medici, sia che abbiamo raccolto tramite un questionario online dove vi erano alcune domande aperte proprio per raccogliere parole chiave, brevi storie, brevi esperienze legate alla patologia e alle situazioni positive o negative di comunicazione.
Una serie di indicatori di domande più strutturate di natura scientifica ci ha permesso di avere anche un peso di quello che è l’impatto della patologia sulla qualità di vita del paziente, qual è il livello di coinvolgimento attivo, qual è il livello di empatia e sintonizzazione che il paziente e dall’altra parte il clinico sentono.
È una ricerca che ha messo allo specchio, da un punto di vista qualitativo e quantitativo, gli ematologi con i loro assistiti per dare alcune prime pennellate, che la prof.ssa Barella vi racconterà in una sintesi dei principali risultati, e cercano di darci un’enucleazione di quelli che sono non soltanto i vissuti degli uni e degli altri ma soprattutto di quali possano essere degli spazi per un allineamento ulteriore soprattutto per un miglioramento della comunicazione, delle relazioni, nell’emofilia.
Il tempo che viene impiegato nella relazione, nella comunicazione va ad impattare, quasi come la terapia farmacologica, sul livello non solo di resilienza psicologica del paziente ma anche sul suo benessere concreto”.

Serena Barello Ricercatrice in Consumer & Health Psychology presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha spiegato la metodologia ed elencato i risultati.
Hanno partecipato circa 50 pazienti e 22 ematologi.
L’insieme dei risultati emersi dalla ricerca a livello qualitativo e quantitativo sembra indicare un buon allineamento fra medici e pazienti nella rappresentazione della patologia e della terapia.
E’ emersa anche una disponibilità relazionale di entrambi nella gestione del percorso terapeutico e dei problemi ad esso connessi.
Si osservano in particolare dei bisogni specifici del paziente emofilico in merito alla gestione della malattia, della terapia e della relazione terapeutica non totalmente riconosciuti dall’ematologo e utilizzabili per un miglioramento del patient journey.
Appare in ogni caso evidente come la realizzazione di un buon percorso terapeutico oggi si sviluppi non soltanto su tecnicalità cliniche ma anche sulla capacità di costruire una pratica di cura aperta alla soggettività e unicità delle esperienze dei pazienti e che sappia promuovere engagement e coinvolgimento attivo sul piano relazionale per ambedue gli attori.

RELAZIONE CON LA MALATTIA ED IL FARMACO
I risultati mostrano come la relazione con la malattia non sia scevra da fatica e ambivalenze, ma come d’altra parte ci sia un forte attaccamento emotivo alla terapia e il farmaco appare simbolicamente vissuto come un salvavita.
La malattia condiziona fortemente la quotidianità nel corso dell’esistenza, con un impatto significativo sulla vita del paziente e limitazioni rispetto alle attività quotidiane. I pazienti con emofilia A percepiscono come più limitante la loro malattia maggiori rispetto a chi è affetto da Emofilia di tipo B o altro tipo. agli altriQuelli I pazienti con basso livello di coinvolgimento tendono a considerare l’emofilia maggiormente limitante rispetto a chi invece risulta più coinvolto.
Il pensiero di abbandonare le cure è raro confermando la fiducia che i pazienti ripongono nella terapia come salvavita. Nonostante questopazienti con Emofilia A hanno pensato più di frequente di abbandonare le cure rispetto agli altri. . a chi è affetto da emofilia di tipo B o di altro tipo.I pazienticon minor coinvolgimento incontrano più difficoltà a mantenere una compliance alla terapia.
I pazienti risultano fortemente in accordo che il farmaco sia un salvavita (su una scala da 1 a 7, punteggio medio: 6.79).
I pazienti con emofilia di tipo A attribuiscono al farmaco un valore salvavita inferiore rispetto agli altri pazienti
I pazienti ad alto livello di engagement (“progetto eudaimonico”) tendono ad avere una più moderata percezione salvifica del farmaco.

LA QUALITA’ PERCEPITA DELLA RELAZIONE EMATOLOGO-PAZIENTE
I pazienti intervistati riferiscono di sentirsi pienamente capiti ed accolti dal proprio ematologo che nella maggior parte dei casi adotta un approccio autonomizzante ed empatico.
In particolare i pazienti riferiscono di sentirsi particolarmente accolti ed accettati dal proprio medico e di riporre in lui/lei grande fiducia.
Gli ematologi ritengono di mettere in atto abbastanza strategie atte a coinvolgere attivamente i loro pazienti nella relazione terapeutica. Inoltre, ritengono di fornire adeguata comprensione empatica ai loro pazienti così come ritengono che possano condividere liberamente preoccupazioni e dubbi.
Tuttavia, sebbene gli ematologi emergano come sufficientemente confidenti nella loro capacità di comprendere empaticamente i pazienti, colpisce il fatto che essi sottostimino la loro competenza se confrontata con le valutazioni dei loro pazienti, decisamente più positive.

IL WEB COME FONTE INFORMATIVA PER I PAZIENTI
La ricerca ha inoltre rivelato un atteggiamento “cauto” dei pazienti verso l’utilizzo di internet come fonte informativa per la gestione della malattia e della cura, ad eccezione dei pazienti con emofilia di tipo A e dei “meno ingaggiati”.
In generale i pazienti non sembrano considerare questa risorsa come una fonte attendibile, dichiarandosi poco in accordo con l’affermazione “Internet è per me un valido aiuto per reperire informazioni sull’emofilia” (su una scala da 1 a 7, punteggio medio: 4,55).
Tuttavia dalla ricerca emerge come ad Internet è riconosciuto un ruolo di maggiore rilevanza da parte dei pazienti con emofilia di tipo A… ed anche da parte dei pazienti meno ingaggiati.

GLI INGREDIENTI DELLA “BUONA COMUNICAZIONE” IN EMOFILIA
Infine, pensando al futuro della comunicazione tra ematologi e pazienti, emergono tre principali aspettative:
1) Una più esplicita condivisione di obiettivi da parte di pazienti e del medico;
2) La chiara definizione di compiti reciproci all’inizio del trattamento, mediante un atteggiamento di ascolto e trasparenza;
3) La costruzione di una relazione basata su il rispetto e stima reciproci, in cui il paziente si sente pienamente legittimato nel suo coinvolgimento attivo.
La ricerca evidenzia buon allineamento fra ematologi e pazienti nella rappresentazione della patologia e della terapia ed anche in merito ad una reciproca disponibilità relazionale nella gestione del percorso terapeutico e dei problemi ad esso connessi.
Tuttavia, si osservano atteggiamenti positivi riferiti dai pazienti (esperienza di malattia, valore della terapia…) non totalmente riconosciuti dall’ematologo e utilizzabili per un miglioramento del patient journey.
Dall’altra parte, la relativa fiducia degli ematologi nelle loro competenze empatiche e comunicative risultano sottostimate rispetto al giudizio espresso dai pazienti.

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