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INTERVISTA AL PROF. DI MINNO

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A Firenze, nel mese di novembre dell’anno scorso, al convegno triennale dell’emofilia è stato eletto il nuovo Consiglio Direttivo della Associazione dei Centri Emofilia.
Il nuovo presidente per i prossimi tre anni sarà il Prof. Giovanni Di Minno.
E’ una presidenza che riteniamo molto difficoltosa per il periodo che stiamo vivendo, non tanto per i livelli di cura che, nel nostro Paese, sono pre fortuna ancora ottimi, ma per le incertezze nel futuro della sanità italiana.Una serie di problematiche legate anche alla stessa sopravvivenza dei Centri e la difesa della professionalità acquisita in anni di impegno e studi.
Un compito difficile e di grande impegno che il neo presidente ha ereditato.
Gli abbiamo rivolto alcune domande per fare il punto della situazione, ma soprattutto gli abbiamo chiesto una scheda delle sue eperienze professionali.


“Mi sono laureato nel 1976 a Napoli con una tesi sul tromboembolismo venoso. A distanza di pochi mesi dalla laurea, mi sono trasferito presso l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano dove ho trascorso quattro anni durante i quali mi sono occupato di funzione piastrinica e di malattie emorragiche legate alla funzione piastrinica (quindi fondamentalmente di piastrinopatie congenite e acquisite).
Durante quel periodo ho conosciuto il dott. Silver (che nel ’78 era venuto in Italia per un anno sabbatico) e che mi ha condotto con sé negli Stati Uniti dove ho iniziato a fare “il medico dell’emostasi” con il dott. Murphy e il dott. Shapiro.
Quest’ultimo, a quell’epoca, descriveva gli inibitori acquisiti della coagulazione, in particolare l’anticoagulante tipo lupus e gli inibitori nell’emofilia.
Questo tipo di lavoro l’ho ripreso appena rientrato a Napoli nel 1985. Gli ematologi all’epoca attivi nell’università napoletana, il prof. Rotoli e il prof. Bruzzese, entrambi discepoli del nostro maestro comune il prof. Magrassi, di fatto  non si occupavano se non occasionalmente di malattie emorragiche. Così ho iniziato ad occuparmene presso la Clinica Medica, e negli anni ’90 il Centro del Policlinico è diventato Centro di Coordinamento Regionale per le Emocoagulopatie.
Abbiamo iniziato, presso il nostro Centro e nella più assoluta collaborazione con i pazienti, primo fra tutti, il Dr. Giovanni Nicoletti,  una gestione della emofilia (e, più in generale, delle malattie emorragiche), nella quale conoscere i problemi dell’emofilico doveva valere per l’ematologo o l’internista tanto quanto per l’odontoiatra, il chirurgo il  pediatra, l’infettivologo (all’epoca era scoppiato il problema dell’AIDS). L’ematologia di Napoli e le malattie infettive provengono dallo stesso ceppo, e questo in qualche modo ha favorito la creazione di una nucleo di medici  che si occupa a 360° dei pazienti emofilici e che da allora ha proseguito il proprio lavoro fino ad oggi.
Già da quegli anni, ho interagito con il prof. Mannucci in prima persona e con il suo gruppo oltre che con i medici di altri Centri come quello della “Sapienza” di Roma e quello di Parma della dott.ssa Tagliaferri (quest’ultima collaborazione è stata intrattenuta in particolare da un mio collaboratore, il dott. Coppola, attuale segretario AICE).
Abbiamo così allargato i nostri interessi di ricerca, e, agli inizi dell’anno 2000, è partito da Napoli il progetto noto come Registro Italiano dell’immunotolleranza con il quale abbiamo cominciato a raccogliere i dati di come si praticava (e si pratica al momento) l’immunotolleranza in Italia. Questo registro ci sta insegnando molte cose. Raccoglie i dati della gran parte dei Centri Italiani; sta dando una serie di informazioni importanti,  ed è oggetto di importanti pubblicazioni”.

Quali sono gli obiettivi dell’AICE per i prossimi tre anni e quale pensa possa essere il futuro dei Centri, in considerazione delle nuove misure organizzative delle Regioni?
“Il rischio di chiusura di molti Centri diventa sempre più reale e questo è dovuto non solo alle carenze croniche di personale e di risorse  Regionali, in particolare in alcune parti d’Italia, ma  soprattutto al fatto che il numero di persone che si occupano attivamente di emostasi si sta riducendo drammaticamente.
Per questa ragione, proponiamo un progetto che offre borse di formazione  a  laureati in medicina che abbiano interesse per l’emostasi e che siano indirizzati non solo ad “imparare il mestiere” ma anche a  rendere omogenea sul territorio nazionale la gestione della diagnosi e del trattamento del paziente con malattie emorragiche congenite. Questo programma è quindi finalizzato a fornire, soprattutto ai piccoli Centri, giovani preparati e capaci di mantenere in piedi nel futuro i Centri stessi.
Altro progetto che noi proponiamo, riguarda la messa in opera di un “servizio” di farmacocinetica. Sempre di più comprendiamo che la farmacocinetica è importante per definire strategie appropriate di profilassi nei pazienti e per iniziare a ragionare sui nuovi farmaci. Chi vorrà, potrà utilizzare questo “servizio” di AICE per i propri pazienti. Ovviamente la  farmacocinetica, per la quale ci gioveremo della grande esperienza del prof. Morfini, non può non tenere conto della disponibilità di un laboratorio di analisi che sia assolutamente credibile. Ormai in oltre l’80% dei Centri Italiani, la diagnostica di laboratorio viene eseguita nei  laboratori centralizzati. Bisogna quindi agire in modo concreto e compatto sui laboratori centralizzati affinché la diagnostica che viene effettuata per i pazienti afferenti ai Centri sia la più vicina possibile alle reali  necessità.Il terzo progetto è di potenziare la diagnostica genetica non solo dell’emofilia A e B ma anche di altre malattie emorragiche congenite. Accanto allo sforzo che già è stato fatto e che continuerà per ciò che riguarda la caratterizzazione molecolare dell’emofilia, ci gioveremo dell’esperienza di alcuni dei nostri Soci nella caratterizzazione molecolare di altre malattie emorragiche congenite con l’obiettivo di arrivare, appena possibile, a definire interventi “su misura” per ciascuno dei nostri pazienti”.

Puntate decisamente alla personalizzazione della cura.
“Certo. E siamo convinti che ciò non può non essere un obiettivo dichiarato delle future Linee Guida per il trattamento delle malattie emorragiche congenite.
L’aggiornamento delle linee guida AICE avuto luogo nel 2013. Nella pubblicazione di quel documento, AICE si è assunta l’impegno di pubblicare nuovi aggiornamenti ogni 3 anni. Questo garantirà a tutti i Soci di mantenersi sempre aggiornati e di praticare strategie comuni d’intervento. Ho concluso la prima riunione ristretta dell’AICE dicendo che ormai è necessario che i soci credano in questa associazione.
È importante sostituire l’essere con l’esserci se realmente AICE deve andare avanti”.

Come procede l’accreditamento dei Centri emofilia collegato con l’accordo dei Centri Malattie Emorragiche Congenite?
“È necessario un confronto con le Regioni. Esiste la necessità dell’accreditamento dei Centri e c’è bisogno che le Regioni abbiano programmi unici per l’accreditamento delle malattie emorragiche congenite. Cosa che ha una serie di ovvii vantaggi per ciò che riguarda la gestione dei pazienti emofilici.
È chiaro infatti che se chi è già accreditato non perderà il proprio accreditamento, cercare di capire quali sono i concreti requisiti di ciascuna Regione per l’accreditamento e cercare di avere uniformità di comportamenti in un Paese che ha ventuno differenti tipi di sanità, è fondamentale  per garantire al paziente uguali livelli di assistenza”.

Torniamo alla sanità regionale, all’ormai definito federalismo.
Ha combattuto o ha peggiorato l’assistenza a macchia di leopardo. Non si è pensato magari di proporre un ritorno alla centralità? Mi sembra che lei sia molto sensibile a questo problema?
“In effetti sono soprattutto convinto che il Ministero della Salute non debba limitare i propri interventi a leggi e decreti che rappresentino solo una cornice entro la quale le singole Regioni debbano muoversi. Temo però che questa mia sia una posizione velleitaristica, perché le Regioni non sono disposte a perdere il controllo della sanità e delle risorse a tale settore destinate.
L’unica maniera quindi per garantire uniformità di assistenza per i nostri pazienti è una fortissima alleanza medico-paziente con condivisione degli obiettivi da raggiungere. In settori sensibili come il nostro, questo diventa infatti un modo forte per  imporre  a tutte le Regioni livelli minimi di assistenza  uniformi e non dettati solo dall’ottica del risparmio hic et nunc. Probabilmente questo indurrebbe il Ministero, anche per altre condizione cliniche, a proporre  ragionamenti un po’ meno scontati. Faccio sempre un esempio per capire questo concetto “differente” di centralità. Esiste una serie di ospedali, i così detti istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, che pur facendo parte delle logiche regionali, di fatto entrano in una rete più controllata, più verificata da parte del Ministero. Ciò consente a questi istituti di avere comportamenti comuni su specifici argomenti pur nel rispetto dell’individualità delle Regioni e delle scelte regionali”.

L’assistenza in Campania, la sua Regione, mette il paziente al centro dell’organizzazione?
“L’assistenza in Campania è partita da quest’obiettivo. Non solo per volontà dei responsabili dei Centri, ma anche perché l’Associazione è stata sempre molto solida e concreta nelle cose che ha chiesto. L’associazione in Campania è capace attiva e viva nelle scelte: ricordo quando, nel periodo nel quale vi fu una riduzione importante della disponibilità di farmaci ricombinanti, l’Associazione ha preso in modo compatto e condiviso con i Responsabili dei Centri la decisione di chi eventualmente dovesse “tornare” all’utilizzo di prodotti plasma-derivati.
Un modello ed un esempio di come le cose possono andare avanti in modo condiviso.
E un chiaro messaggio agli amministratori di come organizzare gli interventi quando dall’altra parte vi è un corpo unico costituito dal paziente e dal medico. L’uno e l’altro decisi a fare un percorso di strada insieme; convinti,  gli uni, che la malattia e la sofferenza fanno parte del proprio percorso umano, gli altri, che a loro tocca il  compito di essere veri compagni di cammino del paziente”.

E parliamo infine del Rapporto Rodin.
Qual è l’attuale posizione dell’AICE? È cambiato qualcosa dopo l’ultimo comunicato ufficiale?
“La posizione dell’AICE non è cambiata. La sorveglianza va fatta per tutti i farmaci che i nostri pazienti usano, non solo per alcuni. Noi tutti dobbiamo convincerci che la vigilanza è indispensabile per non abbassare il livello di guardia.
La vigilanza deve essere obbligatoria e quotidiana per il paziente come per il medico; lo deve essere per l’inibitore e per la sicurezza virale; lo deve essere per plasma-derivati e per ricombinanti. Questo è l’atteggiamento che noi riteniamo indispensabile.
E uno dei progetti che AICE intende implementare è di aprire un registro per tutti i nuovi trattamenti che vengono iniziati, indipendentemente se si utilizzino plasma-derivati o ricombinanti. Questo Registro nel tempo, raccoglierà i dati concernenti i nuovi ricombinanti long-acting, proprio con l’obiettivo di avere informazioni prospettiche  di sicurezza e di efficacia che devono servire a tutti i pazienti”.

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