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INTERVISTA ALLA DOTT.SSA RITA GAMBERINI

Oggi vogliamo raccontarvi la storia di una dottoressa che certamente molti dei nostri lettori conosceranno perché si tratta di Maria Rita Gamberini Responsabile del Day Hospital della Talassemia e delle Emoglobinopatie (DHTE) presso l’Azienda Ospedaliero/Universitaria di Ferrara.
Il suo percorso lavorativo si è concluso nel giugno il 2022, dopo oltre 35 anni e con lei si chiude un altro capitolo della grande storia del Centro per la cura delle talassemie di Ferrara.
Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Ferrara nel 1981, specialista in Pediatria e Genetica Medica, la dott.ssa Gamberini viene assunta nel 1988 al S. Anna come dirigente medico nella Divisione di Pediatria diretta prima dal prof. Vullo e poi dal dott. De Sanctis.
Dall’ottobre 2010 è stata responsabile della rete “Hub and Spoke” della Regione Emilia-Romagna per le emoglobinopatie.
Dal 3 gennaio 2022 il DHTE è stato inserito tra i Centri di riferimento della rete europea per le malattie ematologiche rare (ERN Euroblood Net).

Presso il Day Hospital dove lei ha svolto il suo lavoro sono seguiti regolarmente 250 pazienti con emoglobinopatia, la maggioranza dei quali affetti da talassemia trasfusione dipendente; inoltre annualmente viene fornita un’attività di consulenza per circa 100 pazienti esterni provenienti da altre regioni e province. In questi anni, in continuità con le linee di indirizzo già delineate in passato, la dott.ssa – assieme al team del suo Servizio – ha cercato di migliorare l’assistenza globale al paziente con talassemia, sia in età pediatrica e sia in età adulta, attraverso un approccio multidisciplinare. Ha promosso la stesura di protocolli diagnostici e terapeutici condivisi con i diversi specialisti coinvolti nella diagnosi e cura delle varie complicanze ed attualmente sono stati definiti percorsi clinici per l’accesso del paziente in Pronto Soccorso e per il ricovero, per i problemi oculistici, per le complicanze endocrine, cardiologiche ed epatiche. Inoltre, in collaborazione con i radiologi, è stato attivato dal 2009 un protocollo specifico per la valutazione dei depositi di ferro epatici, cardiaci e pancreatici nell’ambito della rete nazionale MIOT (Myocardial Iron Overload in Thalassemia).
Considerando la ricerca clinica fondamentale per mantenere elevato il livello della qualità assistenziale e per consentire l’accesso precoce dei pazienti a nuove possibilità terapeutiche, negli ultimi anni, ha partecipato a studi clinici per la sperimentazione di nuove molecole che hanno consentito l’immissione in commercio del deferasirox ( chelante orale del ferro) e del luspatercept (attivo sul midollo, in grado di correggere lo stato di anemia e quindi ridurre la necessità delle trasfusione di globuli rossi).
In collaborazione con il Centro Trasfusionale di Ferrara e del Centro Regionale Sangue dell’Emilia-Romagna è stato inoltre condotto nel 2018 uno studio per identificare il miglior emocomponente eritrocitario da trasfondere ai pazienti con talassemia.
In collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie m dell’Università di Ferrara, diretto dal prof. Roberto Gambari, ha partecipato alla costituzione di una biobanca per i pazienti con emoglobinopatia, allo scopo di studiare in vitro l’attività di farmaci e molecole induttori di emoglobina fetale; inoltre è stato promosso uno studio clinico multicentrico, tuttora in corso, per valutare l’efficacia in vivo di uno di questi farmaci (sirolimus).


La dottoressa Maria Rita Gamberini, con la gentilezza e la disponibilità che l’ha sempre contraddistinta ha accettato di rivivere con noi il suo percorso lavorativo ma soprattutto le sue emozioni a contatto con i pazienti in una vita di lavoro ultra trentennale.
Inizieremo il racconto dell’incontro partendo dalla fine e cioè dal come ha voluto concludere, non senza una pausa ed un momento di commozione, affermando:
“La mia vita professionale non la cambierei con nessun’altra.
Non mi sono mai pentita della mia scelta.
E’ stata un’esperienza professionale e umana molto bella , sia per i colleghi che ho conosciuto e con cui ho collaborato , sia per i tanti pazienti che ho incontrato e che ho cercato di curare sempre al meglio delle mie possibilità.
Sono felice di essermi occupata di questi pazienti, di essermi dedicata non solo all’assistenza ma anche alla ricerca clinica, rendendo la mia professione di medico molto appagante”.

* * *
Le abbiamo quindi chiesto di elencarci brevemente il suo percorso negli anni e poi le abbiamo rivolto alcune domande anche su come vede il suo futuro.
“In chiusura degli studi universitari, nell’ottobre del 1981, presentai una tesi di laurea in medicina del lavoro perché mi interessava l’argomento, ma poi decisi di conseguire la specializzazione in pediatria e così approdai nel reparto pediatrico e al day hospital della talassemia diretti dal prof Vullo.
Da allora iniziai a frequentare regolarmente il reparto; vorrei ricordare i colleghi con cui ho maggiormente collaborato e cioè il dott. Vincenzio De Sanctis, dot.ssa Annunziata Di Palma, dott. Marco Lucci, Dott. Luigi Borgatti.
Dal 1988 sono entrata stabilmente nella divisione pediatrica e dal 1998 mi sono dedicata quasi esclusivamente al DH della talassemia.
Nel 1997, con il pensionamento del prof. Vullo, la responsabilità del DH della talassemia passò al dott. De Sanctis fino al 2010; dal 2013 il DH è stata riconosciuto come struttura semplice dipartimentale e da me diretto fino al recente pensionamento”.

Lei dottoressa, soprattutto negli ultimi anni, ha cercato di migliorare l’assistenza globale al paziente con talassemia, attraverso un approccio multidisciplinare.
Può illustrare meglio tutto questo nuovo percorso?
“Nel corso degli anni, l’aumento della età dei pazienti oltre la età pediatrica e adolescenziale, ha reso necessario allargare la collaborazione a specialisti con competenze per l’età adulta e in una ottica multidisciplinare.
Questo processo era già iniziato sotto la direzione del dot De Sanctis, ma in questi ultimi anni è stato meglio definito e tradotto in documenti ufficiali , in cui sono condivisi e precisati i criteri diagnostici/terapeutici e le modalità organizzative per l’accesso alle consulenze.
Attualmente, presso il Day Hospital, sono stati definiti percorsi clinici per l’accesso del paziente in Pronto Soccorso e per il ricovero, per i problemi oculistici, per le complicanze endocrine, cardiologiche ed epatiche.
Altri percorsi, altrettanto importanti relativi alle complicanze ginecologiche, renali, ortopediche, rimangono da completare.
Vorrei sottolineare che in questo approccio multidiscilinare il medico del day hospital ha un ruolo fondamentale, poiché tiene le fila del paziente con elevata complessità clinica con il compito di coordinare e promuovere il dialogo tra più specialisti coinvolti”.

In Italia molti Centri di cura della talassemia non hanno personale specificamente specializzato.
La domanda è se ci deve essere una stretta integrazione fra strutture universitarie e ospedaliere affinché vengano formati attraverso insegnamenti specifici.
“In Italia i medici che lavorano nei centri per la cura della talassemia e delle emoglobinopatie sono di solito specialisti in pediatria, in medicina trasfusionale , in medicina interna o in ematologia, che hanno acquisito una formazione specifica sul campo.
Presso la università di Ferrara, non sono attivi corsi specifici dedicati a questa patologia, tantomeno è prevista la frequenza di studenti/specializzandi presso il DH della talassemia.
Questo è sicuramente un limite al reclutamento e alla formazione di nuovi medici che potranno occuparsi in futuro di questa patologia.
La mancanza di una esperienza diretta del futuro medico o del medico specializzando nel reparto con i medici e i pazienti con emoglobinopatia preclude la eventuale scelta di investire il proprio futuro professionale in questa patologia.
A questo riguardo , è di particolare rilievo la organizzazione periodica di master nel campo della talassemia e della drepanocitosi promossi dalla SITE dedicati all’aggiornamento e alla formazione di giovani medici che si occupano o si occuperanno di bambini e/o adulti con emoglobinopatie”.

Il medico ed il paziente.
Abbiamo visto come lei dottoressa ha privilegiato il rapporto diretto, quindi a questo punto nasce forse da qui la leggenda, se così vogliamo chiamarla, del paziente informato?
“Vi racconto un aneddoto a proposito di questo.
Un giorno una ragazza mi dice: “dottoressa, tutte le volte che vengo a parlare con lei mi fa una specie di lezione di medicina”.
Io penso che il coinvolgimento del paziente sia fondamentale sia nella fase di valutazione della storia clinica e delle condizioni attuali, sia nella scelta e nella definizione degli obiettivi terapeutici.
Per realizzare quella che è definita come alleanza o condivisione tra medico e paziente.
Il paziente informato, cioè consapevole delle scelte terapeutiche e diagnostiche, è nella condizione migliore per aderire in modo ottimale al pèrogramma terapeuticio/diagnostico prescritto e quindi anche per conseguire i risultati prefissati.
Per esempio, se si utilizza un nuovo farmaco o un nuovo schema terapeutico, il paziente deve conoscerne le caratteristiche e modalità d’azione , nonché i possibili effetti collaterali , quali accertamenti periodici sono necessari per monitorare efficacia ed eventuale tossicità.
D’altra parte, il medico deve impegnarsi ad eseguire un attento follow-up del paziente , tramite colloqui periodici in cui ascoltare le eventuali difficoltà ad eseguire la terapia, comunicare i risultati, e adeguare i dosaggi dei farmaci se necessario”.

In questo momento, lei è in pensione.
Pensa in futuro di impegnarsi in qualche iniziativa nell’ambito della talassemia?
“Mi piacerebbe rendermi utile e per questo metto a disposizione le conoscenze e la esperienza conseguite in questi anni di studio e di lavoro nel campo della talassemia e delle emoglobinopatie.
Rimango pertanto disponibile ad una collaborazione con il DH, con la fondazione per lo studio delle talassemia del prof Gambari . Inoltre prenderò contatto con la AVIS di Ferrara per un aiuto nella raccolta di emoderivati”.

Tornando al suo attuale stato di quiescenza come si definisce, quindi non strutturata e in qualche modo costretta da legami professionali lei pensa di poter partecipare ad eventuali gruppi di lavoro come già esistono in Regione mettendo così a frutto a livello politico l’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro.
“La mia risposta a questa domanda è senz’altro sì, è mia intenzione rimanere al fianco ed essere di supporto alla associazione ALT di Ferrara” .

Lei ha pronunciato la parola che aspettavamo: l’associazione.
In tutti questi anni di lavoro che ruolo ha avuto l’associazione nel supportarla quando è stato necessario?
“Dalla sua fondazione, nel corso degli anni, l’associazione ALT Ferrara ha sempre contribuito con finanziamenti destinati a borsisti e giovani ricercatori alla realizzazione degli studi clinici.
L’intervento della associazione è stato inoltre fondamentale e determinante affinché il numero dei medici fosse adeguato alla casistica seguita nel centro.
Non potrò mai dimenticare quando nel 2013 alle mie richieste di potenziamento, documentate dalla numerosità dei pazienti, visite effettuate, ricerche cliniche in corso, mi veniva risposto che per tutte le attività svolte era sufficiente un unico medico che tra l’altro era anche coinvolto nelle guardie nel PS pediatrico.
Sono stati necessari alcuni anni e numerose lettere e incontri, e il costante supporto di ALT , per arrivare alla situazione odierna , in cui sono 3 i medici riconosciuti in organico al DHTE”.

Il futuro. Cosa vede per quanto riguarda le nuove tipologie di cure o anche la terapia genica?
“C’è una nuova molecola, il luspatercept, già in commercio e prescrivibile, che ha la capacità di correggere l’eritropoiesi (è il processo di formazione dei globuli rossi attraverso una serie di elementi cellulari immaturi) e di migliorare la produzione di emoglobina nel midollo del paziente stesso, e quindi di ridurre e in alcuni casi di abolire la frequenza delle trasfusioni.
L’utilizzo di questo farmaco nella pratica clinica è appena iniziato ma i risultati sembrano confermare la elevata efficacia osservata negli studi sperimentali .
Inoltre sono in corso sperimentazione cliniche con nuovi molecole (ad esempio il mitapivat) in grado di migliorare la vitalità e la sopravvivenza del globulo rosso, con l’effetto di migliorare i livelli di emoglobina e di ridurre il numero di trasfusioni.
Per la terapia genica cosiddetta additiva sono note le vicende che purtroppo hanno portato nel 2021 alla sospensione della commercializzazione in Europa del vettore lentivirus di Bluebird Bio.
Attualmente la terapia genica ottenuta con il genoma editing è molto studiata e rappresenta la terapia del futuro.
I risultati del trial clinico in corso al Bambin Gesù di Roma (citando il nome del prof. Locatelli ci si rende conto dell’importanza del trial – n.d.R.) sono molto interessanti, promettenti e direi straordinari, ma saranno necessari ancora alcuni anni per concludere la sperimentazione e per conseguire la commercializzazione del farmaco.
Per molti pazienti il trattamento di base , la terapia trasfusionale e la terapia chelante, rimangano terapie fondamentali , da seguire con regolarità e al meglio, per mantenere uno stato di salute ottimale ed essere pronti al salto di qualità con nuove cure disponibile”.

In conclusione di questa intervista citiamo brevemente le parole del presidente dell’associazione di Ferrara Valentino Orlandi il quale ha affermato:
“Voglio concludere facendo riferimento al lavoro svolto dalla dottoressa Gamberini come direttore di un reparto, come clinico ma anche in qualche modo come psicologa, perché non si è mai imposta ma in qualche modo ha parlato, discusso con i singoli pazienti, al punto che soltanto valutando la buona aderenza da parte del paziente questo poteva essere il motivo di istituire un tipo di cura invece di un altro e questo oggi la chiamiamo “personalizzazione della cura”.
E poi, per quel che riguarda il nostro ruolo di rappresentanti dei pazienti, non ci ha mai ostacolato nelle nostre azioni, ma ha cercato sempre di stimolarci e quindi ciò che lei ha detto in proposito di una sua futura collaborazione ci rende particolarmente felici e certamente sapremo valorizzare questo suo nuovo eventuale ruolo”.