“Emofilia: malattia più unica che rara!”
È la parola d’ordine ribadita dalla Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo), in occasione della XV Giornata Mondiale dell’Emofilia, ed è anche il tema dell’incontro che si è svolto a Roma per celebrare l’evento mondiale.
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità sono 10.434 i pazienti affetti da Malattie Emorragiche Congenite (MEC), di cui 6.960 maschi e 3.474 femmine. Di questi, circa 4000 sono affetti da Emofilia A e quasi 900 da Emofilia B. Una vera e propria comunità ma ovunque si lamenta un ritardo e una scarsa attenzione in quasi tutte le fasi, dall’emergenza al Pronto Soccorso, dal processo di cura alla diagnosi e trattamento delle complicanze.
A sei anni dalla firma, l’Accordo sulle MEC è infatti stato recepito dalla maggior parte delle regioni ma solo quattro, Emilia Romagna, Liguria, Lazio e Piemonte, hanno mosso passi concreti in direzione di un’attuazione dei contenuti. Sono stati attivati dei tavoli tecnici per organizzare la rete assistenziale regionale ma, delle quattro regioni, solo l’Emilia-Romagna si trova in una fase più avanzata.
Il Lazio ha avviato una fase di riordino dei Centri di Emofilia regionali, mentre Liguria e Piemonte non hanno ancora dato seguito alle attività subito dopo la costituzione del tavolo tecnico.
IL RITARDO NELL’APPLICAZIONE DELL’ACCORDO SULLE MEC
“La mancata attuazione dell’Accordo sulle MEC causa difficoltà nell’accesso alle cure per i pazienti e riduce gli standard di assistenza, rendendo di fatto meno efficiente la programmazione sanitaria con una conseguente carenza di servizi e prestazioni adeguate – ha affermato Cristina Cassone, Presidente FedEmo, Federazione delle Associazioni Emofilici – Questo ritardo comporta differenze sostanziali nell’offerta assistenziale tra le regioni e, in molti casi, anche all’interno della stessa realtà regionale. Ciò alimenta, tra l’altro, il fenomeno del pendolarismo sanitario che ha come ricaduta un aumento dei costi sanitari e sociali per i pazienti e le loro famiglie, con ripercussioni in ambito lavorativo, scolastico e relazionale”.
ASSISTENZA OMOGENEA IN TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE
Riconoscere le esigenze specifiche dei pazienti e garantire assistenza e servizi omogenei su tutto il territorio nazionale, rispettando i termini dell’Accordo, è dunque una necessità e una priorità che attiene al settore delle politiche sanitarie e sociali del Paese.
Garantire la piena attuazione dell’accordo non significa solo un’ottimale presa in carico del paziente ma anche un più efficace e razionale controllo dei costi sanitari.
“Sono tre gli obiettivi su cui lavorare subito – ha dichiarato la senatrice Paola Boldrini, componente della XII Commissione Igiene e Sanità – Verificare lo stato dell’arte sull’attuazione omogenea in tutte le regioni dell’Accordo MEC, soprattutto sul fronte della riorganizzazione dei percorsi assistenziali di qualità per i pazienti.
In seconda battuta, verificare quanti e quali programmi di sostegno socio-sanitario per i pazienti emofilici siano stati o potranno essere inseriti nel Piano Nazionale della Cronicità predisposto dal Ministero della Salute sulla base di un accordo Stato-Regioni del 2016, in modo da programmare con maggiore efficacia soprattutto gli interventi a sostegno dei pazienti anziani.
Inoltre è necessario lavorare ancora molto sulla formazione dei giovani medici di famiglia, dei pediatri e dei geriatri.
Infatti, se la ricerca va avanti a passi spediti, non si può dire lo stesso per la formazione specialistica che deve recuperare ancora qualche gap”.
MATTEO ARZENTON, UN GIOVANE MEDICO IMPEGNATO NEL VOLONTARIATO
A proposito di giovani medici, al dibattito che ha concluso la giornata è intervenuto Matteo Arzenton, giovane laureando in medicina e presidente dell’AVEC, l’associazione Emofilici del Veneto, che ha puntualizzato: “Non è tanto la mancanza di laureati a preoccupare per il futuro quanto più il pesante divario tra le borse di specializzazione offerte dal Ministero, ampiamente insufficienti, e il numero di laureati annui.
I giovani medici volonterosi e desiderosi di imparare e specializzarsi in un campo della medicina, così come può essere quello della cura dell’emofilia, esistono. Quello che manca è la possibilità di fargli intraprendere questi percorsi. Addirittura vengono richiamati medici dal pensionamento per ricoprire posti vacanti che potrebbero essere invece opportunità di lavoro per giovani medici!”.
Un argomento importante di cui si è discusso è stato anche quello sulla cronicizzazione delle patologie emofiliche, che, se da una parte la cura garantisce un livello più alto di aspettativa e di qualità della vita, dall’altra espone il paziente a una serie di rischi legati a comorbidità tipiche dell’invecchiamento, come malattie cardiovascolari, tumorali e metaboliche, che hanno un impatto significativo sulla gestione clinica del paziente emofilico.
Da qui l’importanza di un approccio sempre più multidisciplinare nell’ambito dei Centri per la cura dell’emofilia, che dovrebbero avvalersi anche di figure specialistiche come il geriatra, l’oncologo, il genetista.
Un approccio multidisciplinare, oggi reso più facile dall’istituzione del Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
IL REGISTRO NAZIONALE DELLE COAGULOPATIE CONGENITE
La dottoressa Elena Santagostino, Presidente AICE e Responsabile dell’Unità Emofilia, Centro Angelo Bianchi Bonomi, Fondazione Ca’ Grande dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in riferimento a questo specifico e delicato argomento ha affermato in proposito:
“I dati presenti sul Registro Nazionale tenuto presso l’ISS si riferiscono ai 48 Centri affiliati all’Associazione Italiana Centri Emofilia e distribuiti in modo abbastanza omogeneo sul territorio
La problematica più urgente è proprio quella di assicurare ai Centri il supporto da parte delle regioni. Da qui la necessità di rendere pienamente operativo l’Accordo MEC. Fortunatamente la ricerca, in particolare sul fronte dei farmaci, procede con buoni risultati.
Oggi contiamo su prodotti che hanno una durata maggiore nel tempo e, dunque, richiedono minori somministrazioni, in qualche caso anche una sola volta a settimana.
Stessa metodologia vale anche per i nuovi farmaci sottocutanei, poco invasivi e utili soprattutto nella fascia pediatrica”.
L’AICE DIVENTA SOCIETÀ SCIENTIFICA
La ricerca scientifica e farmacologica portata avanti dall’Associazione dei Centri Italiani può contare su un importante riconoscimento: l’inserimento come società scientifica, presso il Ministero della Salute, nell’elenco degli Enti, pubblici e privati, che dovranno osservare i principi e le norme del Sistema Nazionale delle Linee Guida, istituito con decreto ministeriale subito dopo la Legge Gelli del 2018 su responsabilità professionale e sicurezza delle cure.
Concludendo il suo intervento la dottoressa Santagostino ha affermato: “Questo riconoscimento è indubbiamente un punto di forza per il lavoro dei Centri e una garanzia ulteriore per i pazienti, per le famiglie e per i medici specialisti.
Non bisogna dimenticare, infatti, che l’AICE si occupa di ricerca ma anche di assistenza e i Centri di cura per l’emofilia devono avvalersi di competenze cliniche specialistiche, supportate dall’applicazione di Linee Guida efficaci, trasparenti e scientifica mente solide, in grado di rafforzare sempre di più il rapporto di fiducia tra medico e paziente”.
Il 17 aprile, presso la sala della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, circondati da quadri rinascimentali e dai manoscritti di Leonardo da Vinci, si è svolto il tradizionale simposio che Fondazione Paracelso organizza in occasione della Giornata mondiale dell’emofilia. Quest’anno abbiamo voluto portare l’attenzione della platea su una questione che a nostro avviso viene sottovalutata: le emozioni di chi cura.
In nome della razionalità, ma nell’irrazionale timore che l’emotività possa incidere negativamente sulla professionalità, il personale sanitario viene spinto a rimuovere ogni aspetto emotivo dalla relazione con il paziente.
Colpisce infatti che proprio i professionisti sanitari, esposti giornalmente alla sofferenza fisica e morale, non abbiano un supporto, né formativo né psicologico, che collabori a un confronto equilibrato con le inevitabili reazioni che questa esposizione suscita naturalmente nella persona.
Ciò va in direzione contraria alla costruzione di quel rapporto empatico fra medico e paziente che pur si riconosce come elemento fondamentale del percorso di cura.
Ne abbiamo parlato con Paola Arcadi, un’infermiera e docente che abbiamo conosciuto per caso attraverso i social e che ci ha colpiti fin da subito per l’umanità con cui affronta ogni aspetto della propria professione.
Il suo intervento ci ha invitato a riflettere, ad esempio, sulla morte. O meglio, sul come si muore. Se prima questa avveniva circondati dall’affetto dei propri cari, oggi deleghiamo l’Istituzione ospedaliera affinché accompagni il nostro caro verso la fine della vita.
Dovrebbe far pensare il fatto che ormai la morte avvenga quando si è circondati da perfetti sconosciuti che continuano le proprie attività come se nulla fosse.
Per riportare l’attenzione sul paziente, la lettura di Alessandro Marchello ci ha immersi nella testimonianza del padre di un bambino emofilico, che racconta quali emozioni lo abbiano attraversato nel corso delle vicissitudini che inevitabilmente devono affrontare le persone che entrano in contatto con la malattia.
Nella fase conclusiva della giornata sono stati presentati il nuovo progetto di Fondazione Paracelso, che porterà dieci emofilici a percorrere parte del cammino di Santiago, il libro di Francesco Squillace, Il ragazzo di cristallo, e quello di Salvo Anzaldi, nato dall’esperienza che ci ha portati a correre la Maratona di New York nel 2015.