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L’UNITA’ COMPLESSA IMMUNOTRASFUSIONALE DEL POLICLINICO DI MODENA

La Struttura Complessa Immunotrasfusionale del Policlinico di Modena, diretta dal dott. Giovanni Ceccherelli è composta dai seguenti medici: Mirco Bevini, Monica Lunghi, Roberta  Malavolti, Teresa Mariano, Patrizia Artusi, Marco Savarino, Donatella Venturelli
e dalla coordinatrice infermieristica Giuliana Ferrari.

Questa la notevole attività che viene svolta:
Ambulatorio donatori
gestisce la raccolta multicomponente,
la consulenza dei donatori di sangue,
Centro donatori ed il Centro prelievi di cellule staminali eritropoietiche.
Le prestazioni vanno dalla trasfusione di emocomponenti alla infusione di emoderivati, la terapia aferetica elettiva e di urgenza, la raccolta di cellule staminali da sangue periferico, la raccolta di cellule mononucleate sempre da sangue periferico, la fotochemioterapia extracorporea, i salassi terapeutici, i prelievi venosi a scopo diagnostico per i laboratori.
Ambulatorio prevenzione MEN (Malattia Emolitica del Neonato)
Ambulatorio screening delle emoglobinopatie,
l’assegnazione e la distribuzione degli emocomponenti,
laboratori diagnostici,
Ambulatorio per anamnesi MEN,
Tipizzazione HLA,
Marcatori sierologici di infettività,
Esecuzione HBsAg,
Predepositi ed emocomponenti ad uso topico.

Inoltre il personale medico svolge incarichi di insegnamento ed attività didattica tutoriale per gli studenti dei Corsi di Laurea di Tecnico sanitario di laboratorio biomedico e scuole di specializzazione in ematologia, patologia clinica, biochimica clinica.

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Abbiamo incontrato il primario e la dottoressa Venturelli ai quali abbiamo rivolto alcune domande sul funzionamento del Centro e sullo screening neonatale in atto delle sindromi falciformi.

Dott. Ceccherelli può descriverci in breve quando è nato questo servizio e quali sono i compiti?
“Il Centro come servizio trasfusionale nasce in questo nel 1968-69 con quello che è stato il primo fondatore, il prof. Baldini che anche come trasfusionista è stato una figura di estrema importanza a livello nazionale.
Da allora le attività sono andate incrementandosi con nuove metodiche, e siamo cresciuti sia come lavoro di attività che come genere di attività.
Mi spiego dicendo che prima la trasfusione era legata alla produzione di sacche, esami e assegnazione delle sacche, oggi ci sono stati conferiti altri compiti alcuni per legge, poi abbiamo aggiunto la parte dell’ambulatorio partendo dalle aferesi.
Una volta si scambiava esclusivamente plasma poi abbiamo iniziato con apparecchiature più nuove a sottrarre globuli bianchi, per giungere poi alla raccolta di cellule staminali, al trapianto di midollo con raccolta tramite aferesi.
Abbiamo una sezione dedicata ai donatori dove però vengono a donare solo piastrine, cioè donazioni cosiddette multi component.
L’attività di assegnazione di emocomponenti è piuttosto intensa perchè dobbiamo supportare 8 ospedali e alcuni sono lontani come Pavullo che si trova a  40 km ed è in montagna, Mirandola 35 km verso nord. La provincia di Modena ha una rete con due ospedali “hub”: Baggiovara e Policlinico che costituiscono l’azienda Ospedaliero Universitaria di Modena.
Facciamo inoltre parte del programma i trapianti di midollo che  richiede un grosso impegno”.

Quanti pazienti talassemici seguite?
“In provincia di Modena circa 40. Inoltre in ottemperanza al progetto regionale per i talassemici inviamo sacche di sangue al Centro regionale per talassemici di Ferrara”.

I pazienti falcemici quanti sono?
“Tra pediatrici e adulti sono 106.
I pazienti pediatrici sono in netta maggioranza, circa 90.
Gli adulti vengono seguiti presso la  Medicina II-CEMEF del prof. Pietrangelo e vengono trasfusi presso il nostro ambulatorio che ha le competenze per eseguire le eritrocitoaferesi.(scambiamo tutti i globuli rossi del paziente con i globuli rossi del donatore e per eliminare l’eccesso di globuli rossi a falce durante le crisi).  
I  pazienti pediatrici sono seguiti dal dott. Palazzi Oncoematologia Pediatrica anche dal punto di vista trasfusionale.
Noi garantiamo il supporto trasfusionale ed è un grossissimo lavoro, perché il paziente drepanocitico richiede più tempo rispetto al talassemico.
Ha più problemi di immunizzazione e dobbiamo cercare  sacche con un cross mach più esteso (si riferisce alla compatibilità – n.d.R.).
Per i pazienti falcemici, la maggior parte dei quali proviene dal continente africano, cerchiamo ottenere la massima compatibilità anche tipizzando a livello molecolare i donatori”.

Come vi comportate quindi per l’assistenza tra la diagnosi, la cura e la trasfusione?
“In linea di massima siamo autonomi  dal punto di vista trasfusionale pur essendo in contatto con i colleghi della clinica.
Con loro condividiamo le linee guida e  la gestione  del paziente .
Quando il paziente emoglobinopatico viene da noi e evidenzia dei problemi, facciamo riferimento ai colleghi della medicina e della pediatria”.

Sappiamo che in questo periodo soprattutto quello estivo c’è carenza di sangue soprattutto al sud, voi qui con il lavoro che fate avreste magari un’idea, una proposta su come ovviare a queste carenze?
“I donatori sono volontari e devono essere convinti di quello che fanno, devono avere la voglia e la generosità di collaborare.
Qui in provincia di Modena abbiamo molti donatori ma non saprei come trasferire questa volontà su altre provincie e regioni perché è questione di appartenenza, di senso civico, di far parte di una collettività che qui esiste ma non è cosi in tutta  Italia.
A volte anche noi abbiamo problemi di sangue d’estate.
Quest’anno invece è andata bene  vuoi perché è stata fatta una campagna efficace o  perché meno  gente è andata  in ferie.
Questo è tutto merito dell’AVIS, sono loro che gestiscono i donatori,.
Esiste uno stretot rapporo tra AVIS e Servizio Trasfusionale: ci sentiamo telefonicamente più volte al giorno per programmare prelievi in base alle nostre  esigenze.
La nostra  forza è stata di  riuscire a tenere aperte le piccole sedi, di raccolta  di difendere la scelta di avere la capillarizzazione sul territorio.
È vero che è più facile gestire poche  grosse sedi rispetto alle  quarantasette della nostra provincia ma secondo noi ridurre le sedi puo comportare  la perdita di donatori”.

Dopo le discussioni che ci sono state in regione su casi di talassemici che hanno lamentato differenze sostanziali nelle quantità nelle sacche di globuli rossi tra il vostro Centro e quello di Ferrara si è deciso di chiarire attraverso uno studio in collaborazione con la Regione per chiarire ulteriormente sia i risultati che le metodiche.
Infatti anche noi di EX in gennaio abbiamo pubblicato un articolo con il prof. Rebulla dove parlavamo come sono cambiate le tecniche della lavorazione del sangue e del plasma con o senza il Buffy coat ecc..
Voi come agite in questo senso?
“Abbiamo un sistema estremamente flessibile che ci permette di separare il sangue nella maniera piu adeguata rispetto alle necessità.
Tutto parte dalla sacca di prelievo: disponiamo di 2 kit: uno che ci permette di filtrare il sangue in toto, l’altro che ci permette di filtrare solo i globuli rossi dopo la centrifugazione/separazione.
In questo caso possiamo produrre anche i pool di piastrine”.

A Ferrara c’è questo studio denominato “over cross”, voi cosa vi aspettate da questo studio, oppure collaborate con loro?
“Facciamo parte di questo studio insieme a tutti Centri Trasfusionali della regione  e vedremo i risultati”.

Che cos’è esattamente questo studio?
“È lo studio per valutare l’efficienza delle trasfusioni con eritrociti filtrati  da sangue intero  rispetto alle unità filtrate  solo sugli eritrociti.
Abbiamo avuto un’esperienza con i nostri pazienti talassemici che ci porta a credere che la filtrazione del sangue in toto comporti dei vantaggi”.

A che punto siete?
“Lo studio di Ferrara non è ancora partito che io sappia. Comunque Da due anni  qui a Modena utilizziamo le sacche filtrate su sangue in toto per tutti i pazienti emoglobinopatici”.

Interviene a questo punto anche la dottoressa Venturelli che afferma:
“Abbiamo fatto dei controlli di qualità sulle sacche filtrate dal sangue intero e dai nostri risultati si evidenzia che contengono il 12% in piu  di emoglobina rispetto alle sacche di eritrociti filtarte dopo la centrifugazione.
Alcuni dei nostri pazienti nostri erano sensibili a questa variazione  per cui avevano un intervallo trasfusionale  allungato”.

Dottoressa Venturelli, perché in tutta questa discussione si parla anche dell’utilizzo o meno del Buffy coat?
Cerchiamo di spiegare, ancora una volta, per capire di che cosa si tratta.
“Il Buffy coat è una frazione di sangue che si ottiene dopo centrifugazione tra emazie e plasma e contiene principalmente leucociti e piastrine. Viene  utilizzato per produrre pool di piastrine.
Parliamo ora dello screening neonatale delle sindromi falciformi  dove lei è coordinatrice di un gruppo di lavoro che comprende anche la prof.ssa Lucia De Franceschi del Dipartimento di Medicina Interna del Policlinico di Verona, la dottoressa Laura Sainati dell’Onoematologia pediatrica dell’Azienda Universitaria di Padova e della prof.ssa Giovanna Russo della Emato-oncolo Pediatrica del  Policlinico Universitario di Catania.
“In questi ultimi anni  ci siamo trovati in una situazione particolare dovuta ad un’immigrazione specifica nella nostra provincia di popolazioni  provenienti da Ghana e Nigeria.
In questa parte dell’Africa la percentuale di portatori di emoglobina S (responsabile dell’anemia falciforme) puo arrivare anche al 40%.
Più del 50% della popolazione ghanese residente in Emilia-Romagna vive provincia di Modena.
Si è rilevato un incremento costante di pazienti pediatrici affetti da anemia falciforme la cui diagnosi veniva effettuata solo alla comparsa dei sintomi piu gravi della malattia ed in genere con un accesso in pronto soccorso pediatrico.
È stato riportato in letteratura che se la malattia viene identificati molto precocemente quindi alla nascita e se i pazienti vengono sottoposti ad una profilassi antibiotica e vaccinale, già dal secondo mese di vita, la mortalità e la morbilità si riducono dell’86%.
Questo trattamento è quindi importantissimo.  
È evidente la necessità quindi di eseguire lo screening sui neonati.
Allo screening si deve associare una informazione alla famiglia e una gestione multidispilinare del bambino: in questo modo si arriva ad una sopravvivenza del 94% a 18 anni. In assenza di questa terapia la mortalità è altissima nei primi 5 anni di vita.
A Modena abbiamo cercato di sviluppare questo modello americano pur non avendo finanziamenti specifici.
Il gruppo di lavoro SITE-AIEOP che ho coordinato ha prodotto delle raccomandazioni riguardo alle modalità tecniche dello screening e alle caratteristiche specifiche  di centri di reiferimento per la gestione multidiscipinare.
In Italia il problema dell’aumento di questa patologia in eta pediatrica si sta estendendo a molte regioni”.

Lei sta parlando di Modena e dell’Emilia-Romagna, ma vedo che ci sono anche Padova e Catania.
“Un nostro progetto di screening è Partito autonomamente nel 2012 finanziato dall’azienda Policlinico di Modena studiando i neonati di donne provenienti da Ghana e Nigeria.
I neonati affetti sono stati sottoposti a profilassi  
Il follow up è molto lungo.
Dal 2014 lo screening non è piu uno studio pilota ma è offerto a tutte le donne e ai neonati di madri portatrici di emeoglobinopatia gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale.
In altri Centri Italiani sono in corso studi pilota con differenti  modalità”.

Avete avuto a tutt’oggi delle difficoltà?
“Le difficoltà sono state tante ad esempio far capire alle famiglie l’importanza dello scrrening  e della terapia preventiva.
Altro problema la scarsità di risorse.
Non abbiamo avuto finanziamenti o risorse umane da dedicare a questo progetto e abbiamo sfruttato quello che è un presupposto di tutti i Centri trasfusionali italiani, quello di determinare il gruppo sanguigno sui neonati e lo studio immuno-ematologico madre-neonato.
Tutti i giorni riceviamo i prelievi delle mamme e dei bambini delle nostra provincia.
Su questo prelievo cordonale facciamo il test per le emoglobine patologiche al bambino.
In realtà nella nostra regione sono state applicate le raccomandazioni ministeriali sulla gravidanza fisiologica  che consigliano di offrire entro il primo trimestre di gestazione a tutte le donne in gravidanza il test delle emoglobinopatie.
Abbiamo ottenuto la collaborazione dei consultori provinciali coordinati  dott.ssa Borsari.
I test viene eseguito in un unico laboratorio che è interfacciato con il servizio trasfusionale per cui possiamo verificare al momento del parto  se la  puerpera è portatrice di una emoglobina anormale.  
Eseguiamo il test per l’identificazione dell’emoglobine patologiche solo sui neonati delle mamme che hanno un alterazione nell’emoglobina: facciamo quindi uno screening selettivo”.

Avete avuto riscontri positivi dalle direzioni sanitarie?
“Si, perché le direzioni sanitarie dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico e USL hanno recepito l’importanza clinica e il vantaggi costo-beneficio di questo tipo di programma”.

Redazionale

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