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PARLIAMO DI MALATTIA DI VON WILLEBRAND

Augusto Bramante Federici è Professore Associato di Malattie del Sangue presso l’Università degli Studi di Milano.
Si è laureato in Medicina e Chirurgia presso la stessa Università di Milano e si è specializzato in Ematologia, Medicina Interna ed Oncologia presso l’Università di Pavia.
Dal 2009 ad oggi è Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Ematologia e Medicina Trasfusionale della ASST-Fatebenefratelli-Sacco con sede accademica presso il Polo Ospedaliero Universitario Luigi Sacco di Milano.

Prof. Federici, nel suo intervento al convegno di Torino del 12 e 13 novembre scorso lei ha affermato di avere organizzato nel Dipartimento di Ematologia e Medicina Trasfusionale dell’Ospedale Sacco di Milano un Servizio multidisciplinare per la cura della Malattia di von WILLEBRAND (VWD) in collaborazione con i ginecologi.
Quando le donne con VWD hanno bisogno dell’ematologo e del ginecologo?
“Il coinvolgimento dei ginecologi nella cura delle pazienti con VWD si spiega facilmente col fatto che questa malattia ereditaria è stata riconosciuta originariamente proprio in una adolescente.
La VWD prende il nome dal suo scopritore Erik von WILLEBRAND (EVW), Direttore del Dipartimento di Medicina dell’Ospedale di Helsinki, medico famoso durante il primo quarto del secolo scorso per i suoi studi sulle malattie emorragiche e sull’emofilia.
Siamo nel 1924: dopo un lungo viaggio da FOGLO, un’isola dell’arcipelago delle ALAND nel mar Baltico, si presentano nel reparto di EVW due genitori con la loro figlia di 10 anni di nome HJORDIS.
Entrambi soffrono di emorragie mucose ricorrenti anche se i loro sintomi non sono così gravi come quelli dei loro figli.
In particolare HJORDIS aveva presentato non solo emorragie da naso, dalla bocca e dopo estrazioni dentarie ma anche emartri alla caviglia come quelle degli emofilici. HJORDIS é la nona di 11 figli, di cui 7 affetti dagli stessi sintomi: per le gravi emorragie 4 figli erano già morti nei primi anni.
Anche HJORDIS muore dopo qualche anno, alla sua quarta mestruazione per una menorragia inarrestabile.
Con l’aiuto dei colleghi di FOGLO, EVW raccoglie le informazioni cliniche di tutti i familiari di HJORDIS e pubblica nel 1926 una dettagliata descrizione di questa nuova malattia che definisce “pseudo-emofilia ereditaria”.
Il paragone si pone fin dall’inizio con l’emofilia.
Rispetto all’emofilia, nota da molti secoli, la VWD viene descritta dunque solamente da meno di 100 anni.
Dal 1926 ad oggi le conoscenze sulla VWD sono progressivamente migliorate, ma ci sono voluti molti decenni per capire che la proteina alterata quantitativamente e qualitativamente nella VWD non era il fattore VIII carente nei pazienti con emofilia A (HA).
Oggi tutti riconosciamo questa proteina come fattore di von WILLEBRAND (VWF), attribuendola a chi ha identificato i primi casi di VWD”.

Se la VWD si trasmette in entrambi i sessi, perché le donne vengono più frequentemente diagnosticate?
“Il difetto ereditario che causa la VWD è localizzato in un gene del cromosoma 12.
Nella maggior parte dei casi la trasmissione è autosomica dominante, cioè basta un difetto molecolare in uno dei due alleli ricevuti dai genitori per avere la VWD.
La trasmissione autosomica recessiva è molto rara (5% di tutti i casi di VWD) e si presenta con storia emorragica grave come quella dei primi casi descritti da EVW.
Tuttavia, anche se il difetto genetico si trasmette in uguale misura nei due sessi, sono le donne in età fertile (dai 12 ai 45 anni) che giungono più frequentemente all’attenzione dei medici.
Le emorragie in età pediatrica dalla nascita fino alla pubertà sono del tutto sovrapponibili tra maschi e femmine.
Se non ci sono eventi a rischio emorragico fino alla adolescenza molti VWD di sesso maschile vengono diagnosticati solo in età adulta dopo traumi o interventi chirurgici maggiori.
Nelle adolescenti e giovani donne l’evento critico che porta alla diagnosi di VWD è quasi sempre rappresentato dalle mestruazioni abbondanti (menorragie) perché provocano l’anemia da carenza di ferro con una ridotta qualità della vita.
Il servizio multidisciplinare con i ginecologici per la cura della VWD comincia a questo punto della vita di una giovane donna con la diagnosi confermata dall’ematologo mediante i test di laboratorio: ematologo e ginecologo dovranno seguire la paziente non solo nella gestione della menorragia ma anche in seguito durante la gravidanza ed il parto.
Anche i ginecologi possono essere in prima linea nella diagnosi di VWD. Voglio ricordare a questo proposito il lavoro originale dei ginecologi inglesi che hanno voluto studiare i test dell’emostasi in una coorte di pazienti con menorragie: ebbene più del 10% di quelle pazienti avevano una forma lieve di VWD”.

Una delle criticità più evidenti non è la presa in carico dei pazienti quanto la loro individuazione, ovvero come possiamo arrivare alle nuove diagnosi. Quali figure allertare?
“Alla diagnosi di VWD si deve arrivare attraverso una attenta raccolta della storia emorragica personale e familiare seguita dall’esecuzione di esami di laboratorio per la determinazione delle attività emostatiche del VWF.
Per la raccolta della storia emorragica sono stati preparati questionari standardizzati che permettono di ottenere un punteggio numerico (score emorragico) che indica la presenza di una sintomatologia significativa, compatibile con la diagnosi di VWD.
Come è noto a tutti, per la diagnosi di HA sono richiesti solamente due test: PTT e dosaggio del fattore VIII. Per identificare e caratterizzare un paziente con VWD sono necessari invece numerosi esami di laboratorio che valutino le diverse attività emostatiche del VWF.
Il VWF non è infatti una proteina della coagulazione, anche se il VWF funziona da proteina vettrice del fattore VIII, legandosi ad esso in un complesso circolante nel sangue.
Il VWF è una glicoproteina adesiva sintetizzata dalle cellule endoteliali e gioca un ruolo determinante nelle prime fasi dell’emostasi interagendo da una parte con le piastrine e dall’altra con le strutture della parete esposta delle cellule endoteliali. Tre sono quindi i criteri essenziali per una diagnosi corretta di VWD: 1) una storia positiva di emorragie mucose in diverse sedi fin dalla prima infanzia; 2) la ridotta attività del VWF misurata nel plasma; 3) la presenza di altri membri familiari con la medesima storia emorragica.
Questi concetti sono stati riportati da tempo in due lavori del 2014 e 2016 pubblicati dall’ASH, la Società Americana di Ematologia (Figura 1 e 2) in cui si descrive l’approccio corretto da condividere con tutti i colleghi che possono gestire pazienti con emorragie.
Mi riferisco infatti ai medici di base, ai pediatri ed ai ginecologi. Scopo degli esperti di VWD, malattia ancora oggi poco e mal diagnosticata, è quello di promuoverne e migliorarne la conoscenza (il termine inglese è AWARENESS).
La VWD è una malattia davvero complessa ma non diventa complicata da gestire quando la si conosce”.

Nel report dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il numero di VWD registrati è inferiore a quello degli emofilici. Data la trasmissione autosomica dominante della VWD dovrebbe essere esattamente il contrario. Mi può spiegare perché questo avviene e se è vero che tra i VWD registrati ci sono più donne?
“Rispondo a questa domanda con i dati della Tabella 2 A (Figura 3) estratta dal Registro Nazionale delle Malattie Emorragiche Congenite (MEC) pubblicato nel 2018 dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Come ho detto in precedenza, il confronto deve essere fatto tra VWD ed HA.
I numeri assoluti sono certamente inferiori nella VWD (3245 casi, pari al 31% delle MEC) rispetto a quelli dell’HA (4109, pari al 39% delle MEC).
Inoltre i casi gravi tipo 3 di VWD che corrispondono all’HA grave sono veramente rari (103 contro 1801).
Nella VWD prevalgono invece i pazienti con VWD tipo 1 che corrispondono ai casi di HA lieve (2942 contro 1750).
La frequenza dei pazienti con VWD tipo 2 è invece del tutto sovrapponibile a quella degli HA moderati (650 contro 558). Per quanto riguarda la distribuzione per sesso dei VWD, i dati del registro sono molto chiari: 6 VWD su 10 sono donne.
Questo è dunque il motivo della necessità di centri multidisciplinari con i ginecologi.
Da questi dati si evince inoltre che le forme di VWD grave tipo 3 sono molto rare ma facilmente riconoscibili per gli episodi emorragici frequenti.
I pazienti con VWD moderata e lieve hanno meno sintomi e sfuggono quindi alla diagnosi.
Nei registri di VWD il loro numero è certamente sottostimato.
Questi aspetti sono in gran parte legati alla fisiopatologia complessa della VWD.
La storia clinica personale rispetto a quella degli HA si presenta dunque per i pazienti VWD con qualche vantaggio ma anche con considerevoli svantaggi.
Il vantaggio consiste certamente in una minore frequenza alle emorragie ma gli svantaggi sono notevoli: esposizione al rischio di emorragie anche gravi per le diagnosi in età avanzata; scarsa abitudine ai controlli periodici ed ai trattamenti per la bassa frequenza di emorragie annuali.
Anche nei VWD gravi i trattamenti con i concentrati di VWF di origine plasmatica sono molto meno frequenti rispetto a quelli necessari per la terapia degli HA e la profilassi primaria utilizzata nei HA non è indicata nei VWD.
In rarissimi casi di VWD si può organizzare se mai una profilassi secondaria.
I pazienti di VWD vanno dunque seguiti e vanno educati a gestire bene la loro malattia”.

Quale deve essere il ruolo delle Società Scientifiche e delle Associazioni dei pazienti con Malattie Emorragiche Congenite (MEC) per la divulgazione di questa informazione sulla VWD?
“Negli ultimi 10 anni alcune Società Scientifiche Internazionali si sono interrogate su come promuovere le conoscenze sulle MEC a trasmissione autosomica come la VWD e le altre Malattie Rare della Coagulazione (RBD) che colpiscono anche le donne.
Dal 2015 sono Membro del Comitato VWD e RBD organizzato dalla Federazione Mondiale dell’Emofilia (WFH).
Negli ultimi 5 anni la WFH si è aggiunta alla Società Americana di Ematologia (ASH) ed alla Società Internazionale Trombosi ed Emostasi (ISTH) nella preparazione di Linee Guida Internazionali sulla diagnosi e terapia della VWD.
Per quanto riguarda le Società Scientifiche Italiane, l’Associazione Italiana dei Centri Emofilia (AICE) ha promosso di recente con la Società Italiana di Ematologia (SIE) e la Società Italiana per lo Studio Emostasi e Trombosi (SISET) un adattamento alla situazione italiana di queste linee guida internazionali pubblicate nel 2021. Si è organizzato un Gruppo di Lavoro composto dai migliori esperti italiani di VWD.
Dopo le riunioni preliminari del 2021, è iniziato questo programma di lavoro che porterà entro la fine del 2022 alla finalizzazione e registrazione nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità delle Linee Guida Italiane sulla VWD.
Alla stesura di queste Linee guida Italiane parteciperanno sia membri di altre Società Scientifiche (Medicina di Base, Interna e di Laboratorio, Ginecologia, Pediatria) sia le rappresentanti delle pazienti con VWD.
Per quanto riguarda il ruolo delle Associazioni pazienti che sono state create da decenni per migliorare le conoscenze e la qualità dell’assistenza per i pazienti emofilici, è indubbio che il loro ruolo è importantissimo.
Non serve crearne di nuove.
All’interno delle proprie organizzazioni le Associazioni e Federazioni per l’Emofilia dovrebbero promuovere le medesime iniziative dedicate ai pazienti con emofilia anche alla VWD, tenendo conto ovviamente che questa malattia richiede particolari attenzioni per le donne.
Basterebbe coinvolgere nelle Associazioni e Federazioni le stesse pazienti con VWD che conoscono le reali necessità per averle vissute direttamente nelle varie fasi della loro vita.
L’obiettivo finale che dobbiamo raggiungere è quello di portare la cura della VWD entro il 2026, quando ricorrerà il centenario della sua scoperta, agli stessi livelli attualmente raggiunti per i pazienti con l’emofilia
Sono sicuro che tutti insieme riusciremo a raggiungere questo obiettivo.
Per ora vi ringrazio per la vostra considerazione e l’interesse che dimostrate per la salute dei nostri pazienti con VWD”.

Redazionale

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Il nostro incontro con il prof. Federici non si esaurisce con questa intervista perchè è intenzione di questa Redazione di iniziare una capillare e corretta informazione, sempre attraverso la sua esperienza, occupandoci di una patologia molto spesso sottovalutata e ancora poco conosciuta.