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RICORDO DI GABRIELE CALIZZANI

Marco, puoi darci una mano?
Furono queste le parole che nel 1996 mi rivolse Gabriele: assistere e aiutare gli emofilici.
Ma facciamo un passo indietro. Conoscevo Gabriele dagli anni universitari a Bologna: lui studiava medicina ed io giurisprudenza.
Frequentavamo lo stesso gruppo studentesco: “Impegno Universitario”.
Un gruppo politico indipendente che animava la vita dell’Ateneo di Bologna presentando liste alle elezioni.
E Gabriele era attivo soprattutto nel gruppo della Facoltà di Medicina.
Era solare, allegro, sempre pronto allo scherzo e alla battuta: univa rigore e serietà a un atteggiamento “goliardico”.
Un tipo in gamba.
Mai parlò dei suoi problemi, ma trasmetteva solo gioia e fiducia.
Ecco perché quella domanda del 1996 mi spiazzò.
Avevo appena superato l’esame da avvocato.
Era sera, ancora lo ricordo, e stavamo camminando in via Ugo Bassi, a Bologna.
Lo guardai stupito.
E Gabriele mi raccontò di essere emofilico, mi spiegò che cosa voleva dire e che cosa comportava.
Mi raccontò della tragedia che aveva colpito i tanti emofilici italiani che, assumendo farmaci salvavita, emoderivati, si erano infettati di epatite e/o di aids.
Molti erano morti. Tanti erano i problemi, anche di rapporti con le istituzioni per poter garantire le terapie più idonee a tutti.
Ed io, mi disse, avrei potuto dare una mano, come avvocato.
Risposi di sì, senza esitazione.
Quel “sì” ha dato un senso alla mia vita professionale che stavo per intraprendere.
Da quel momento e per tanti anni l’assistenza legale agli emofilici, sotto vari profili, è stata una delle materie prevalenti di cui mi sono occupato.
Dapprima solo in collaborazione con le associazioni emiliano romagnole e col giornale “EX” di quel personaggio che è Brunello Mazzoli, ma successivamente, quando Gabriele divenne Presidente di FedEmo, la Federazione delle associazioni emofilici, mi impegnai anche come consulente nazionale di FedEmo stessa.
L’ho vissuta come una “chiamata” che mi ha permesso di realizzare un desiderio.
Don Tullio Contiero, anima di quel “Centro Studi Donati” che Gabriele frequentava da studente, sacerdote a servizio degli ultimi, quel don Contiero che Gabriele, anche in anni recenti, mi citava e ricordava, una volta mi chiese: tu sei un avvocato dei ricchi o un avvocato dei poveri?
E mi guardava con occhi indagatori.
Domanda che mi imbarazzava. Posso dire che Gabriele mi ha permesso di essere un avvocato “dei poveri”, cioè di persone ammalate, con difficoltà, molte danneggiate dagli emoderivati infetti, familiari di deceduti, e quindi richiedenti indennizzi e risarcimenti.
Tante cause, cause “giuste”, per fare davvero Giustizia, con la G maiuscola.
Grazie, Gabriele!
Grazie, come dico sempre ai convegni, per avermi accolto nella grande famiglia degli emofilici, fatta di persone coraggiose, forti, magari anche testarde.
Che sanno che la vita va conquistata giorno dopo giorno.
Io mi sento piccolo piccolo di fronte a Gabriele e alla sua forza.
Una cosa in particolare ammiravo in lui: di saper fare di ogni problema personale un’occasione di impegno a favore di altri, a favore di chi si trovava a subire lo stesso problema.
Quando Gabriele si sposò, “imposi” a mia moglie e alle tre figlie, allora piccole (e una anche febbricitante), di recarci tutti nel Lazio per condividere con lui questo momento di felicità. Dissi: per Gabriele questo ed altro.
Francesca e Sofìa, dovete essere orgogliose di avere Gabriele come marito e come papà: dal Cielo vi segue e vi protegge.
Per me Gabriele è stato un amico, un esempio: vivere con gioia, combattere con coraggio ogni battaglia, non arrendersi.
Il tuo sorriso rimarrà per sempre nella nostra memoria.
Con te muore un pezzo di me.

Marco Calandrino