Dodicesima puntata della rubrica psicologica.
Questa volta Anita affronta l’argomento nel momento in cui una coppia decide di avere un figlio.
Le dinamiche “normali” che si svolgono fra genitori e quelle in una famiglia con un figlio emofilico.
Una coppia può oggi decidere se diventare genitore o meno.
Al momento in cui due persone pensano di assumersi il ruolo di padre e di madre devono iniziare un processo di pensiero che genera, già prima della nascita del figlio, la possibilità di formarsi un’immagine.
Questo significa che possono spingersi verso un atto creativo che lascia spazio nella mente alla figura di un bambino: come sarà, quali caratteristiche porterà del padre e quali della madre, cosa si farà con lui, come ci si sentirà nel ruolo genitoriale.
Le nuove tecniche e i nuovi esami di accertamento della crescita del feto riducono in parte la possibilità di lasciare spazio a questa fantasia. Tuttavia ciò che ritengo importante è iniziare a pensarsi nella relazione a tre.
Già nel periodo di gestazione sarebbe auspicabile che la futura madre offra la possibilità al padre di entrare in questo ruolo rendendolo partecipe delle sensazioni, dei movimenti del bambino, delle paure, ecc.
Quello che voglio sottolineare è che la coppia deve contemporaneamente oscillare tra l’essere a due e l’essere a tre.
Subito dopo la nascita, il bambino passerà con la madre molto del suo tempo e questo è necessario perché si compia un buon attaccamento.
Questo significa costruire una “base sicura” che protegga il bambino nel suo sviluppo.
Questo concetto di “base sicura” è stato introdotto da Bolwby (1989, p.25) che ci dice “… per una persona, il fatto di sapere che una figura d’attaccamento è disponibile e pronta a rispondere è un fatto che fornisce un forte e pervasivo senso di sicurezza, e incoraggia a dare valore alla relazione e continuarla. Il comportamento di attaccamento è evidente soprattutto nella prima infanzia, ma può essere osservato nell’ambito dell’intero ciclo di vita, specialmente nei momenti di emergenza” e anche “perché una relazione tra individui proceda armoniosamente ciascuno deve essere consapevole del punto di vista dell’altro, delle sue mete, dei suoi sentimenti e delle sue intenzioni, e ciascuno deve adattare il proprio comportamento in modo che venga negoziata una certa unificazione delle mete”(1989, p.126).
Se si crea questa condizione, il bambino sentirà di essere amato, ma anche di potersi allontanare durante la sua crescita per il raggiungimento delle sue competenze d’individuazione perché avrà messo all’interno di sé l’immagine di una madre presente nelle sue assenze. Non è l’onnipresenza che permette un buon funzionamento, ma la capacità di tollerare anche l’assenza materna.
Questo è possibile se si è creata costanza, empatia, soddisfazione nel rapporto madre-bambino.
Tuttavia la coppia genitoriale deve anche ritrovarsi come coppia uomo e donna e ricercare il proprio spazio d’intimità differente da quello costruito con il figlio.
Questa separazione è molto importante per permettere la differenzazione tra generazioni e ruoli.
Caillot e Decherf hanno descritto una condizione in cui la madre e il padre costruiscono una dinamica attraverso la quale la madre è l’unica a rapportarsi con il figlio in modo fusionale estromettendo il padre da ogni tipo di rapporto.
Questo produce la fantasia di auto-generazione che crea l’impossibilità di fare entrare la diversità.
Se c’è fusionalità, se manca la figura paterna, allora non c’è diversità: io sono te e non lascio spazio al terzo paterno con le sue caratteristiche.
Si creerà così un’inseparabilità se non a costi molto elevati per la psiche.
La mente ha bisogno per il suo buono sviluppo del processo di separazione.
Per associazione mi viene in mente un libro che sto leggendo in questo momento di Wolfson “Le schizo et les langues” che sottolinea come un giovane uomo schizofrenico (soggetto con un’incapacità di riconoscere pienamente la realtà costruendone una parallela) inventa una sua lingua usando il francese, l’ebraico, il tedesco per non sentire e pronunciare la lingua materna: l’inglese.
La madre si presenta molto invasiva nel rapporto con il figlio, tanto che lui la sente violenta.
La costruzione di un diverso modo di comunicare serve per lasciare fuori la madre dal rapporto con lui e non farla intrudere.
Tutto questo è molto significativo se pensiamo che sia la madre che porta e insegna la lingua al figlio. Per questo è la stessa madre che deve anche permettere l’entrata della figura paterna nella relazione con il bambino.
Piera Aulagnier sottolinea l’importanza che i genitori presentino ai bambini il mondo esterno e che questo non sia rappresentato in maniera troppo ostile perché ne comporterebbe la chiusura e l’estraneazione.
Io penso che quando ci troviamo di fronte a genitori che hanno figli con patologia organica cronica si possa verificare un’incapacità di permettere la separazione da parte della madre escludendo dalla relazione il padre.
Naturalmente la dinamica è giocata a livello familiare.
Questo significa che in fondo il padre si fa escludere.
Leggere questo a livello psicoanalitico non significa colpevolizzare uno o l’altro dei genitori, ma comprendere quello che accade all’interno dei rapporti familiari per modificarli quando questi sono portatori di eccessiva sofferenza che blocca lo sviluppo del bambino e dell’intera famiglia.
In questo caso ci si potrebbe domandare perché è successo questo. Ad esempio si potrebbe arrivare a desumere che la madre cerca di essere completamente efficiente per il figlio per riparare al “danno” trasmesso.
Nel caso di famiglie con bambini emofilici potrebbe essere il bisogno di colmare la mancanza del fattore. L’esclusione paterna da parte della madre potrebbe servire a costruire un rapporto esclusivo con il figlio per riparare alla sofferenza e gestire in questo modo il senso di colpa.
Da parte del padre, la sua aderenza a questo meccanismo potrebbe significare discolparsi a priori e permettere alla madre l’espiazione della colpa, ma anche punirla. Quello che è importante sottolineare è che il comportamento e la comunicazione hanno una loro lettura più profonda e va considerata caso per caso.
Quello che bisogna comprendere è il senso di colpa e la sua origine e non incolpare.
La mente umana è complessa e le dinamiche interattive agiscono sul gruppo e sul singolo.
Per questo penso che sia importante osservarle, esplorarle darne una chiave di lettura perché certi funzionamenti si modifichino al fine di rompere un circolo vizioso che a lungo andare crea patologia.
Un traguardo è riuscire a vedersi separati, individui, ma in interazione investendo continuamente sulle proprie diversità come elemento di ricchezza nella relazione con l’altro.
Anita Gagliardini
agagliardini@libero.it
Bibliografia
Aulagnier P. (2005), “La violenza dell’interpretazione”, Ed. Borla
Caillot J.P., Decherf G. (1989), “Psychanalyse du couple et de la famille”, Ed. A.PSY.G.
Bolwby J. (1989), “Una base sicura”, Ed. Raffaello Cortina
Wolfson L. (1970), “Le schizo et les langues”, Ed. Gallimard