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RUBRICA PSICOLOGICA – LA FAMIGLIA E LA MALATTIA PSICHICA IN ADOLESCENZA

Sesta puntata della rubrica psicologica.
La dottoressa Gagliardini parla della famiglia.
Ricordiamo che nella sua presentazione della prima puntata affermava che i temi affrontabili in questo campo sono molti: il corpo, la malattia, la genitorialità, il rapporto tra fratelli, la scolarità, la psicosomatica, il rapporto di coppia.
Questa volta affronta il tema: “La famiglia e la malattia psichica in adolescenza“.
Nel nostro giornale spesso, parlando di emofilia, tendiamo a evidenziare che è una patologia che coinvolge tutta la famiglia.
Troviamo anche qui, nel suo testo una analogia quando afferma che:
“In alcune famiglie è presente, fin dall’inizio, un doppio messaggio ad esempio “Esci, ma resta attaccato a me” che crea una forte confusione tra ciò che è percepito  a parole e il proprio sentire”.
E qui di nuovo affronta l’argomento dell’importanza del rapporto, soprattutto tra lui e la madre che lo condizionerà nel suo futuro e conclude:
“L’adolescenza è un periodo “movimentato” che ha bisogno di uno sguardo attento per valutare se quei comportamenti sono frutto di difese transitorie e passeggere o se emergono da una situazione più grave e consolidata.
è importante che non si abbia paura di contattare certi vissuti, sperando che questi non si ripresentino”.


“Perciò privato di alimento, l’essere umano non può sussistere.
E poiché ci sono tre cose: ciò che viene nutrito, ciò con cui si nutre e ciò che nutre, diciamo che ciò che nutre è la prima anima, ciò che viene nutrito è il corpo che la possiede, e ciò con cui questo si nutre è l’alimento. Ora, poiché è giusto nominare ogni cosa dal suo fine, e il fine è quello di generare un individuo simile a sé, la prima anima sarà quella che è capace di generare un essere simile a sé”
(2001, Aristotele p.141)

L’adolescenza è un momento particolare dello sviluppo di un individuo.
Normalmente è una fase che mette molto in scacco i genitori che devono confrontarsi con i propri vissuti adolescenziali passati, con l’attuale condizione e con il mondo emotivo in subbuglio del figlio.
Quando le fasi precedenti dello sviluppo sono state superate dal bambino senza che si siano manifestati troppi traumi, allora questo periodo può creare nuove capacità e autonomie.
Situazione diversa se, al contrario, qualcosa nello sviluppo psicosessuale dell’infante è andato storto compromettendo le future capacità di difesa del giovane adulto.
L’adolescenza è un periodo di forti sollecitazioni fisico-psichiche.
Molto più prepotentemente il ragazzo/a sente gli impulsi sessuali e aggressivi.
Questi ultimi serviranno per entrare in contatto con l’altro in una relazione più intima e per manifestare la conflittualità che è necessaria per lo sviluppo dell’apparato psichico.
Infatti, come ci sottolinea Bernard Chervet, il conflitto è l’effetto della liberazione di una pulsione mortifera che spinge la mente a un lavoro psichico cioè alla possibilità di costruire degli investimenti.
Il ritiro forte di certi adolescenti o l’estrema rinuncia alla conflittualità sono espressione di un eccesso di pulsione mortifera che non trova legame con l’aspetto opposto e vitale della pulsione detta libidica.

Questi ragazzi non riescono a investire positivamente sull’altro e su di sé perché avvolti da una forte angoscia di morte spesso mascherata da sintomi, agiti e comportamenti in realtà autolesivi che ostacolano la piena gratificazione e il raggiungimento della soddisfazione e degli obiettivi preposti.
Quello che a volte si scorge è la mancanza da parte del genitore di un vero investimento sul figlio come persona separata con gusti, bisogni, desideri diversi.
Questi bambini e in seguito adolescenti, si sono sempre votati al desiderio dell’altro per ottenerne lo sguardo ed evitarne il crollo.
Nei pazienti psicotici, cioè molto gravi, spesso ci troviamo di fronte a rapporti madre-bambino così fusi e confusi che il figlio si perde nella personalità del genitore.
Quest’alienazione gli fa sentire un profondo vuoto traducibile in un universale senso d’inesistenza che può sfociare anche in forme deliranti.

Il delirio può essere l’ultima difesa verso l’inesistenza del sentire, il tentativo disperato di costruire una neo realtà che colmi il vuoto.
Il delirio è uno strumento attraverso il quale il ragazzoa/a cerca di reinvestire l’oggetto/madre assente.
L’assenza non è qui intesa fisicamente, ma l’incapacità di vedere il figlio staccato e diverso da sé.
Fagocitarlo significa non vederlo, sopprimerlo, cancellarlo.
A volte il genitore riversa inconsapevolmente sul proprio figlio tutto il suo aspetto patologico, chiaramente non elaborato, allo scopo di scaricare le proprie angosce.
Come ci dice Cahn (1994, p.77) a volte le madri di pazienti psicotici non si ammalano palesemente di un disturbo psichico grave perché tutta la loro patologia è riversata sul figlio che se ne fa carico.
Ammalandosi al loro posto, i figli preservano la salute mentale della madre.
In questo modo “… le madri si rivelano incapaci di costruire per il figlio altro che uno specchio vuoto” (Cahn 1994, p.77)
In fondo la problematica principale dell’adolescenza è legata all’autostima e al narcisismo.

Pensiamo a quante domande e dubbi questi ragazzi si fanno rispetto al corpo, alle loro capacità, alle loro relazioni.
Ma il narcisismo vitale si struttura con un adeguato investimento libido del genitore sul figlio, accettandone punti di forza e punti deboli, ma soprattutto ponendosi in una posizione di ascolto.
è in questa delicata fase che in fondo il giovane adulto cerca di staccarsi dal nucleo familiare mettendosi alla prova, ma questo gli sarà permesso solo se precedentemente questa funzione separante è stata investita dalla famiglia.
In alcune famiglie è presente, fin dall’inizio, un doppio messaggio ad esempio “Esci, ma resta attaccato a me” che crea una forte confusione tra ciò che è percepito  a parole e il proprio sentire.

Bateson parlava della teoria del doppio legame come una discrepanza tra la comunicazione verbale e non verbale, che rende folli, perché confondente sul piano percettivo.
Anche Badaracco (1986, p.1327) parla di un oggetto che rende folle.
Egli ci dice “l’oggetto malvagio sarà quello che, condizionerà per la propria carenza, non è capace di fornire degli elementi indispensabili e agisce – per contro – ad amplificare le frustrazioni, invidie e odi primitivi. Queste sono caratteristiche legate all’oggetto che rende folle”.
Quello che l’autore vuole dire è che la funzione materna è di sostenere il mondo emotivo del bambino perché lo possa tollerare date le sue ancora precarie funzioni.
Infatti, poco prima scrive “l’oggetto buono sarà quello che apporterà, per la sua funzione strutturante, le condizioni necessarie perché una situazione frustrante possa essere tollerabile e anche che un’esperienza di soddisfazione possa avere un limite”.

Se una madre è troppo preoccupata o angosciata farà una scarica sul figlio di questo vissuto più che donarglielo digeribile e introiettabile.
Se il bambino sente che ciò che trasferisce l’altro è qualcosa d’insostenibile lo “sputerà” fuori attraverso proiezioni e identificazioni proiettive e sarà costretto molto più frequentemente a difese arcaiche come la scissione e la negazione.
In questo momento non mi preme molto spiegare ognuna di queste difese, ciò che vorrei si capisse, è che sono difese primitive che se permangono massicciamente creano gravi danni alla psiche.
Dall’altra parte l’autore segnala il bisogno di limiti.
Perché una persona riesca ad adattarsi alla realtà deve essere anche in grado di tollerare le frustrazioni che la vita quotidiana impone.

Per questo un genitore deve lasciare spazio a un’elaborazione dei propri vissuti infantili, soprattutto in certe circostanze, per permettere che queste non diventino meteoriti incontrollabili che prima o poi colpiscono il proprio bambino.
Spesso tutto questo accade inconsapevolmente, ma il rischio è che si mostrino gli effetti sul figlio attraverso la produzione sintomatologica.
Per questo concludiamo dicendo che l’adolescenza è un periodo “movimentato” che ha bisogno di uno sguardo attento per valutare se quei comportamenti sono frutto di difese transitorie e passeggere o se emergono da una situazione più grave e consolidata.
è importante che non si abbia paura di contattare certi vissuti, sperando che questi non si ripresentino.

Ciò che è inconscio comunque agisce.
Solo l’elaborazione permette una trasformazione del dolore.
Cahn (1994, p.99) conclude un suo capitolo dicendo “Stati come questi, dunque, comportano la rapida messa in atto di dispositivi terapeutici che diano il massimo di possibilità all’adolescente e non il temporeggiare nell’attesa di una conferma o esclusione della diagnosi, perdere del tempo particolarmente prezioso e talvolta decisivo”.

Anita Gagliardini
agagliardini@libero.it

Bibliografia
Aristotele (2010), L’anima, Ed. Bompiani
Badaracco J.G. (1986), L’identification et ses vicissitudes dans les pschoses. L’importance de la notion d’ “objet qui rend fou”, Revue francaise de psychanalyse, tome L, semptembre-octobre 1986, n.5, Ed. Puf
Cahn R. (1994), Adolescenza e follia, Ed. Borla
Chervet B. (2005), La  “tendence au conflit” entre nécessité et impératif, Revue débats de psychanalyse, “Le conflit pschique”, Ed.Puf

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