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RUBRICA PSICOLOGICA – NUOVO E CREATIVITA’

Nona puntata della rubrica psicologica.
Nella presentazione della rubrica l’autrice affermava che i temi affrontabili in questo campo sono molti: il corpo, la malattia, la genitorialità, il rapporto tra fratelli, la scolarità, la psicosomatica, il rapporto di coppia.
Questa volta pensa che ogni individuo potenzialmente potrebbe sviluppare dentro di sé, attraverso l’atto creativo, il nuovo e l’inedito, ma a condizione che ripensi la diversità come elemento di forza e non come elemento di distanza nel rapporto con l’altro.


Ultimamente per una serie di attività che sto intraprendendo, mi sono ritrovata a ripensare alla parola “nuovo”. Quando si può dire che si è raggiunto qualcosa di nuovo?
Nel dizionario Devoto e Oli (1995, p.1295) tra le varie accezioni si legge “… il contenuto o il risultato di esperienze che si affrontano per la prima volta”.  Collegandomi a questo e al mio lavoro di terapeuta, penso che il nuovo possa raggiungersi nel momento in cui si fa una rottura con il “vecchio”, senza cancellarlo, per lasciare spazio a qualcosa di non ancora vissuto, creato. è questa esperienza di cambiamento che prevede un atto creativo che porta ad aprirsi a qualcosa non ancora visto, vissuto, ascoltato. Winnicott (2007, p.119) dice che “è la appercezione creativa, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta … molte persone hanno avuto modo di sperimentare un vivere creativo in misura appena sufficiente per permettere loro di riconoscere che, per la maggior parte del tempo, esse vivono in maniera non creativa, come imbrigliate nella creatività di qualche d’un altro oppure di una macchina”.
La capacità di creare sorge nel momento in cui il bambino riesce a passare da fantasia a realtà attraverso una flessibilità di pensiero. Ciò che distrugge questa capacità è il per sempre identico. Questa condizione blocca l’individuo su un piano mortifero, d’immobilità, del sempre uguale (De M’Uzan, 1977).
Quante volte si sente dire “Non ce la faccio più trovo sempre le stesse persone che mi fanno soffrire, mi capitano sempre le stesse cose, devo provare sempre la stessa rabbia …”.
In questo contesto il nuovo non trova la possibilità di nascere perché viene a meno la capacità trasformativa. L’individuo è spinto a ripetere sempre la stessa esperienza con annesse sempre le stesse emozioni. Ciò che manca è questa “prima volta”. Concedersi a quest’atto significa liberarsi dai vecchi schemi, non negandoli, ma trasformandoli perché si apra la possibilità di vivere un’esperienza diversa. Sperimentarsi e sperimentare per sapersi muovere in nuove “acque”, significa avere acquisito una certa sicurezza in sé determinata da un processo di separazione dalla figura materna e dalla capacità di essere differenziato dall’altro, accettandone le diversità. Perché il bambino interagisca con il mondo esterno in maniera individuale e creativa deve avere sperimentato una madre sufficientemente buona (Winnicott), cioè una madre che si sia posta a fianco nel suo percorso di sviluppo, disponibile nell’accogliere le angosce e i reali bisogni.
è la costruzione di una “sicurezza” emotiva che guida l’individuo ad avventurarsi verso il nuovo senza che resistenze o blocchi ne impediscano l’accesso. La possibilità di procedere verso l’ignoto, nello spazio del non ancora creato e generato presuppone di non essere travolti dalla paura di ciò che si può trovare e sentire.
Il nuovo muove preoccupazioni, perché porta con sé qualcosa di misterioso; il rinunciarvi significa lottare contro l’immobilità.
Io penso che le situazioni traumatiche e la malattia prolungata possano in alcuni casi bloccare il processo creativo perché emerge una sofferenza che richiede una capacità di trasformazione di un dolore in un elemento fruibile dalla psiche. La malattia organica può in taluni casi rendere difficile l’espressione della creatività a causa di una chiusura su se stessi al fine di proteggersi dal giudizio dell’altro. Altre volte mostrare eccessive competenze può essere il tentativo di coprire il senso d’inferiorità causato dal sentirsi malato. La creatività è qualcosa in più del solo mostrare perché ha a che fare con la spontaneità dell’essere, il potersi concedere di essere. Creare significa lasciarsi andare al proprio sentire e trasformare, modellare la propria pulsionalità.  Recalcati (2016) in un suo articolo sull’inibizione intellettuale sottolinea che l’incapacità di creare sia legata alla paura di essere sotto giudizio e di intaccare la propria immagine e l’ideale del sé, cioè quello che si vorrebbe essere. Per questo se una persona sente il proprio corpo malato, potrebbe avere paura di mostrarsi o di essere giudicato e  trattenere dentro di sé le potenzialità creative per non sentirsi confrontato con una possibile ferita narcisistica e dell’autostima. Tuttavia spesso il grande osservatore è all’interno dell’individuo che per primo interferisce con l’espressione delle proprie qualità.
Per questo penso che ogni individuo potenzialmente potrebbe sviluppare dentro di sé, attraverso l’atto creativo, il nuovo e l’inedito, ma a condizione che ripensi la diversità come elemento di forza e non come elemento di distanza nel rapporto con l’altro, che accetti la separazione come fattore di individuazione e attutisca la componente critica e svalutante di sé lasciando spazio a una “sana” autostima.

Anita Gagliardini
agagliardini@libero.it

Bibliografia
Devoto G., Oli G.C.,  “Il Dizionario della lingua italiana”, Ed. Le Monnier
De M’Uzan (1977), “De l’art à la mort”, Ed.Gallimard
Recalcati M. (2016),  “Perché ci coglie la paura di fronte alla pagina bianca”, La Repubblica 04-21
Winnicott D. (2007), “Gioco e realtà”, Ed. Fabbri