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RUBRICA PSICOLOGICA – WONDER PARK

Tredicesima puntata della rubrica psicologica.
Il film di cui ci parla Anita è la costruzione di un nuovo rapporto, una nuova distanza tra madre e figlio.
La libertà di poter costruire insieme nonostante tutto cò che di inaspettato la vita ci può presentare.


Quest’inverno è uscito nelle sale cinematografiche un cartone per bambini che a mio parere abbraccia tantissimi significati psicoanalitici. Per questo, come tutte le fiabe, si articola su due livelli del racconto: uno più manifesto (superficiale) e l’altro più latente (profondo). Io vorrei provare a tradurre quest’ultimo. Per questioni di spazio, prenderò in esame soprattutto un elemento fondamentale della storia che riguarda la paura della perdita di una persona cara.

La protagonista, June, è una bimba di 10 anni che gioca insieme alla mamma a costruire un parco di divertimenti. Insieme intrecciano immaginazione e fantasia costruendo tra loro un rapporto d’intima affettuosità.
A volte la mamma usa una scimmietta di peluche di nome Peanut come strumento comunicativo tra lei e la figlia e tra il mondo reale e la fantasia.
Questo personaggio assume un’importanza rilevante nel rapporto tra madre e figlia come se fosse un oggetto mediatore della relazione che sancisce una “giusta distanza”: né troppo vicini né troppo lontani. Sembra quasi prendere il ruolo di oggetto transazionale come descrive Winnicott in “Gioco e realtà” che aiuta ad articolare il rapporto tra fantasia e realtà, tra dentro e fuori il mondo psichico permettendo la costruzione di un mondo interiore che non si confonda con quello esterno.
Lo scopo è quindi di costruire un individualità ricca e separata dall’altro. La scimmia avrebbe quindi una grande importanza nella strutturazione della crescita psichica e nel definire il rapporto con la realtà esterna.

Purtroppo la mamma si ammala e deve allontanarsi da casa per farsi curare. Fino alla fine si rimane nel dubbio sul suo stato di salute e ci si domanda continuamente se è morta.
Non penso che quest’aspetto sia trascurabile, perché parallelamente prende tutta la scena il mondo emotivo della piccola June. La scomparsa della madre si ripercuote sul suo mondo fantastico e la sua gioia di vivere, cancellandoli. Come dicono certi autori, in primis Freud, “l’ombra cade sull’oggetto”. Un po’ come negli stati depressivi ci s’identifica nell’oggetto perso in quel momento, incarnandolo. Purtroppo questo genera un impoverimento della vita psichica tanto che June non lascia più spazio al suo fantasticare. Quest’angoscia di perdita aumenta la preoccupazione che anche il padre possa scomparire e per questo il suo sistema difensivo psichico si attiva attraverso misure di controllo; ad esempio sta molto attenta a cosa il padre mangia. June elimina il parco divertimentimenti costruito con la madre.  Questo agito rappresenta la perdita subita.  S’impone su di lei un alone di tristezza che le impedisce di accettare qualsiasi aiuto e relazione esterna. È chiusa in un mondo mortifero pieno di angoscia che oscura la sua parte più vitale. Il padre riesce, però, a convincerla a partecipare a un campo scuola, ma quando è a metà tragitto, con la scusa di sentirsi fisicamente male, scende dal pullman per tornare dal padre che occupa la sua mente. Lo immagina in fin di vita, incapace di proseguire senza il suo apporto. In realtà potremmo azzardare a pensare che la finzione del malessere fisico rappresenti la realtà di una sofferenza psicologica dove predomina l’angoscia: è lei che non riesce ad allontanarsi dalla figura paterna per la paura di rimanere da sola.
Durante la corsa verso casa s’imbatte nel parco costruito da lei e la mamma che però trova in piena decadenza. Le è spiegato dai suoi abitanti che tanti piccole scimmie lo stanno distruggendo perché la scimmia Peanuts ha perso la sua energia.
Diverse vicende porteranno la piccola protagonista a prendere coscienza che è lei che non ha più investito questo gioco che così sembra destinato a morire.
Si accorge che sul parco c’è una nuvola nera, la depressione, che non permette di “illuminare” il gioco. Solo la consapevolezza del suo stato emotivo le dà la forza di rinvestire sulla vita accettando la momentanea perdita della madre.
Riesce in questo movimento psichico perché ritrova all’interno del suo mondo emotivo la figura della madre vitale. È lei che la rivitalizza. Proprio questo buon rapporto costruito in precedenza con la figura materna, sufficientemente buona (Winnicott), che si sintonizza con i suoi vissuti e che è capace di giocare diventando bambina con la figlia, pur restando adulta, che permette a June di ritrovare l’immagine della madre interna.
Una madre che ha saputo investire positivamente la figlia sedendosi vicino a lei per costruire una comunicazione comprensibile e condivisibile, attraverso Peanuts, per creare la possibilità di sviluppare una flessibilità mentale che permetta la produzione d’immagini, fantasie che arricchiscono l’apparato psichico (giochi del parco).
Quella creatività necessaria alla crescita individuale e che protegge anche in parte dalla sofferenza psicologica.

Alla fine di questo racconto la bimba riesce a costruire con i suoi amici un parco nel proprio giardino. Sembra che questo viaggio nel suo mondo interno alla ricerca di una vitalità che permetta il proseguimento della sua vita, abbia accresciuto delle competenze tanto che ora la costruzione del gioco non avviene con la madre, ma attraverso la madre interiorizzata. Ora può investire sui suoi coetanei e riprendere il gioco della vita.
Ed è qui che la madre guarita fa nuovamente la sua comparsa. In fondo è anche l’allontanamento dalle figure genitoriali che permette la costruzione di un proprio percorso evolutivo interiorizzandone le immagini e ciò è permesso solo se i genitori investono passo a passo sull’autonomia dei propri figli senza avere paura di essere loro a perdere qualcosa.
Senza che il proprio vissuto più profondo li spinga a trattenerli per appagare una paura o un bisogno incomprensibile e profondo.
Sedersi, come questa madre accanto al figlio, tendendogli la mano nel gioco della vita, ma sapendola aprire perché questo non significa né la rottura di un legame né la scomparsa di un affetto profondo. È solo la costruzione di un nuovo rapporto, una nuova distanza. La libertà di potere costruire.

Anita Gagliardini
agagliardini@libero.it

Bibliografia
Winnicott D. (2007), “Gioco e realtà”, Ed.Fabbri