storia
2003: LA RICERCA, LE CURE INNOVATIVE, L’ATTIVITA’ DELLE ASSOCIAZIONI

Il 2003, nominato dall’UNESCO, anno internazionale dell’acqua e noi, avviandoci verso il 30° anno di vita, non potevamo non ricordarlo con l’editoriale nel quale il direttore illustra la nuova impostazione grafica e come il nostro obiettivo primario sia innanzitutto quello della difesa del diritto alla salute.
Proponiamo la parte finale dell’editoriale in cui si afferma: “EX va verso il suo trentesimo anno di vita e la difesa del diritto alla salute passa anche attraverso le iniziative volte al miglioramento del mondo in cui viviamo. Continuiamo a ripetere che facciamo parte con pieno diritto di questo contesto sociale e quindi battendoci per un diritto irrinunciabile non esuliamo dalla nostra specifica sfera di competenza.
Cercare di vivere al meglio la propria vita significa anche battersi per il diritto di tutti a viverla.

Certo, lo sappiamo bene come il diritto alle risorse idriche e quindi all’acqua sia oggi privilegio di meno della metà degli abitanti di questo pianeta, come altrettanto il diritto alla salute, alle cure ed ai medicinali per preservarla.
Ma se non ci battiamo affinché tutti abbiano almeno il minimo indispensabile per la sopravvivenza, non avremo compiuto il nostro dovere di cittadini del mondo”.

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Il secondo argomento di questo primo numero è legato alla ricerca ed alle nuove tecniche sul come migliorare la qualità di vita o addirittura cercare la guarigione attraverso il trapianto di cellule staminali da cordone ombelicale.
È un’intervista al prof. Franco Locatelli del Policlinico S. Matteo di Pavia che ci spiega il significato ed il futuro di questi trapianti. Un futuro comunque che è già presente.

IL REPARTO DI EMATOLOGIA DEL DIPARTIMENTO DI PEDIATRIA DEL “S. MATTEO” DI PAVIA
INTERVISTA AL PROF. FRANCO LOCATELLI

Che differenza c’è fra il trapianto di midollo ed il trapianto di cellule staminali da cordone ombelicale e quali le prospettive future?
“Grazie agli studi della prof.ssa Gluckman di Parigi si è capito che anche il sangue del cordone ombelicale poteva essere impiegato perché contiene un alto numero di cellule staminali.
Il sangue placentare rappresenta una valida alternativa al trapianto di midollo e rispetto ad esso presenta vantaggi così come svantaggi.
Il vantaggio maggiore è rappresentato dal fatto che le cellule immuno competenti (i linfociti) sono meno capaci di aggredire i tessuti del ricevente e quindi è inferiore il rischio di sviluppare complicanze immunologiche.
Inoltre il sangue placentare è immediatamente disponibile, mentre per trovare un donatore di midollo osseo compatibile si impiega molto più tempo e spesso questo è un fattore cruciale per la prognosi dei pazienti.
Inoltre con il sangue da cordone ombelicale è possibile effettuare trapianti da donatori non perfettamente compatibili, proprio in funzione dell’immaturità dei linfociti del sangue placentare.
Gli svantaggi invece sono rappresentati dal numero limitato di cellule a differenza del midollo osseo che ne contiene un numero pressoché illimitato.
Questo fa sì che il trapianto da sangue placentare sia una strategia impiegata prevalentemente in pazienti in età pediatrica e comunque raramente in soggetti con un peso corporeo superiore ai quaranta chilogrammi.
Per quanto riguarda i pazienti talassemici poi i risultati sono stati molto positivi, oserei dire entusiasmanti. Ciò che più ci interessa, è che si è creata una sorta di rete collaborativa tra strutture ospedaliere sparse un po’ in tutto il territorio nazionale, per cui, ad esempio, le mamme di pazienti talassemici sono andate a partorire in quelle strutture per dar modo così di utilizzare subito il sangue.
Il vantaggio di questo interscambio è rappresentato dal fatto che la donazione può avvenire in uno qualsiasi di questi ospedali collegati con noi che poi lo trasferiscono al momento del trapianto.
La Banca di Sangue placentare di Pavia diretta dalla dott.ssa Salvaneschi è la seconda in Italia dopo quella di Milano, fondata dall’attuale Ministro della Salute prof. Sirchia”.

Come avviene il contatto e qual è il colloquio tra i medici e le famiglie?
“Nel colloquio informativo viene illustrato esattamente quanto il trapianto potrà offrire in termini di capacità di cura, ma anche i rischi che comporta e cioè quelli che possono essere gli effetti a distanza di tempo.
Uno di questi è rappresentato da un’elevata possibilità di perdita della fertilità.
Infatti la terapia di preparazione ha un effetto tossico sulla componente germinativa delle gonadi, cioè rispettivamente sugli spermatozoi e sugli ovociti nei maschi e nelle femmine”.

Quali sono le modalità e soprattutto i tempi per sottoporsi ad un trapianto?
“Per il trapianto di cellule staminali il requisito indispensabile è l’esistenza della compatibilità tra donatore e ricevente.
Il trapianto da un donatore famigliare è pianificabile in funzione delle esigenze famigliari e della disponibilità di letti per la realizzazione del trapianto.
Per un consanguineo la limitante è rappresentata dall’esistenza di un donatore compatibile e dai tempi della ricerca, che pur variabili, raramente sono inferiori ai quattro/cinque mesi.
Per quanto riguarda invece il trapianto da sangue placentare da donatore non consanguineo, i tempi tra l’inizio della ricerca e l’identificazione dell’unità che sarà impiegata, si riducono a tre o quattro settimane.
Per la realizzazione del trapianto dobbiamo innanzitutto distruggere o comunque ridurre enormemente il numero di cellule emopoietiche ed immunitarie del paziente ricevente, attraverso la chemioterapia. Si procede quindi all’infusione delle cellule staminali (quelle del sangue placentare o del midollo osseo) in maniera simile a quanto avviene con una normale trasfusione.
Saranno poi le cellule stesse a trovare “la strada” per andare a posizionarsi nelle così dette “nicchie midollari”, ove inizieranno quindi a proliferare ed a maturare producendo globuli rossi, globuli bianchi e piastrine”.

Quante cellule di cordone ombelicale sono necessarie per un trapianto?
“Non esiste un numero fisso ma in generale tante più sono le cellule che si infondono, tanto maggiori sono le probabilità che il trapianto riesca.
Noi generalmente infondiamo almeno 30/35 milioni di cellule per kg di peso. Considerando che mediamente un cordone ne contiene da 800 milioni ad un miliardo, si realizza con facilità che un trapianto riesce ad ottenere un apporto ottimo quando il ricevente non supera i 40 chilogrammi di peso”.

Quali sono le modalità e la durata delle procedure post-trapianto?
È certamente la parte più difficile perché con la chemioterapia ad alte dosi esponiamo il paziente ad un periodo in cui la produzione di globuli bianchi piastrine e globuli rossi si azzera.
Si attraversa dunque una fase detta di immuno-depressione.
In più, infondendo cellule ematologiche, sostanzialmente possiamo creare dei conflitti, cioè, le cellule del donatore possono aggredire quelle del ricevente provocando la così detta reazione del trapianto conto “ospite” o “GVHD”.
Per queste ragioni il paziente viene ricoverato per 30/40 giorni ed in seguito, si continua il monitoraggio clinico ed infettivologico con controlli in regime di day-hospital per circa tre mesi.
In particolare è determinante sia l’accurato monitoraggio delle riattivazioni di eventuali infezioni virali che devono essere tempestivamente trattate sia la valutazione della ricostruzione del sistema immunitario.
Generalmente trascorsi 100 giorni dal trattamento si ha il ritorno a casa”.

Lei prof. Locatelli ha parlato dei rischi legati al trapianto. Quali sono e cosa comportano?
“Partiamo da quello più grave che è anche, per fortuna, oggi il meno frequente: la mortalità.
I tre principali fattori che la condizionano sono rappresentati dal tipo di donatore disponibile, della malattia di base e dalle condizioni cliniche del paziente.
Mi spiego con un esempio.
Se viene da me la mamma di un bambino talassemico ed abbiamo un cordone di un fratellino congelato compatibile, le comunico che il rischio di morte non supera il 5%. Alla mamma di un bambino leucemico plurirecidivato invece, con un donatore non consanguineo, dirò che il rischio di complicanze fatali aumenta fino 20/25%”.

Abbiamo notato, nel suo reparto, persone che si aggirano nei corridoi, con un cartellino di riconoscimento, non sono medici o paramedici. Sono rappresentanti di qualche associazione di volontariato?
“Abbiamo la fortuna di poterci giovare di due associazioni di volontariato.
Una è la AGAL, Associazione Genitori Amici del Bambino Leucemico mentre l’altra è la ANPO, Associazione Nazionale Prevenzione Oncologica.
Hanno un ruolo per noi importantissimo, considerando che il 70% dei pazienti vengono fuori regione. Infatti uno dei compiti istituzionali e fondamentali di queste due associazioni è di provvedere alla sistemazione logistica delle famiglie di pazienti che non abitano a Pavia o nel circondario”.

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Sullo stesso tema poi abbiamo pubblicato, una serie di servizi per raccontare del come ci siano alcuni laboratori che studiano una nuova via per la terapia genica della talassemia.
Siamo andati per questo a parlare con il prof. Gambari e con il prof. Rivella, due ricercatori universitari che lavorano a Ferrara ed a New York.
In questo contesto si è inserita l’Associazione Veneta dei Talassemici che ha finanziato la nascita del Thal Lab.

L’ATTIVITÀ DEI LABORATORI DI RICERCA SULLA TERAPIA FARMACOLOGICA E GENICA DELLA TALASSEMIA

È evidente che sia il Thal-lab del Prof. Gambari a Ferrara, per quanto riguarda la ricerca sulla terapia farmacologica, che il Laboratorio di genetica del Prof. Rivella a New York, per quanto riguarda la ricerca sulla terapia genica, offrono risultati tra i più significativi finora raggiunti in tali campi.
È quindi interesse di tutti i talassemici e delle loro famiglie che la loro attività possa conoscere una forte accelerazione.
In questo quadro generale, che ruolo ha svolto l’Associazione Veneta?
Ha innanzitutto favorito l’incontro del Prof. Gambari con il Prof. Rivella e con il Prof. Fibach ed ha sottoscritto accordi che hanno posto su solide basi la loro collaborazione.
Con la somma messa a disposizione del Thal-Lab, incrementata con i consistenti contributi della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, l’AVLT, avvalendosi anche della pratica dei cofinanziamenti, ha potuto essere presente su un vasto scacchiere operativo.
Oggi questa presenza si sostanzia così:
– una intera borsa di studio a una collaboratrice del Prof. Gambari a Ferrara;
– una intera borsa di studio a una collaboratrice a un collaboratore del Prof. Fibach a Gerusalemme;
– una borsa di studio fifty-fifty con l’Università di Ferrara per una collaboratrice del Prof. Gambari andata a lavorare a New York nel laboratorio del Prof. Rivella;
– una borsa di studio a cofinanziamento con l’università di Zurigo per un collaboratore del Prof. Gambari andato a lavorare con il Prof. Pier Luigi Luisi nella città elvetica;
– una borsa di studio a cofinanziamento con l’Università di Ferrara per una collaboratrice del Prof. Gambari in attività presso il Dipartimento di Chimica e Biologia Molecolare dell’Università estense;
– una borsa di studio fifty-fifty con l’Associazione per la lotta alla talassemia di Ferrara per una collaboratrice del Prof. Giorgio Catelani dell’Università di Pisa, a sua volta prezioso collaboratore del Thal-Lab.

“In questa battaglia c’è posto per tutte le Associazioni dei talassemici – ha voluto evidenziare il dott. Elio Zago presidente dell’Associazione Veneta – Non rivendichiamo nessuna esclusività, ed anzi attendiamo che molte altre Associazioni, da ogni parte del mondo, vogliano portare il loro contributo nella lotta ingaggiata contro una malattia che può avere i giorni contati.
Sulla problematica della ricerca di cui stiamo parlando aspettiamo una risposta anche da parte dei Governi di tutti questi Paesi in cui la talassemia è un serio problema socio-sanitario.
Il Consiglio Direttivo del Thal-Lab ha approvato recentemente un Piano quinquennale 2004-2008 di sviluppo delle sue attività, dal titolo “Nuove frontiere della ricerca sulla talassemia”, frazionandolo in molti specifici progetti, a loro volta suddivisi in sottoprogetti con i relativi costi.
Chi vuol aiutare il Thal-Lab può decidere di finanziare il singolo progetto o sottoprogetto, chiedendo di avere puntuali periodiche relazioni sulla sua realizzazione.
Anche il prof. Rivella ha messo a punto un Piano quinquennale di attività del suo Laboratorio, sempre per gli anni 2004-2008, dal titolo “Sviluppo di nuovi strumenti nel campo della terapia genica e farmacologica per la cura della talassemia”.
Ormai non sono consentiti alibi a nessuno. Non possiamo attenderci cambiamenti radicali nella terapia della talassemia restando alla finestra e ad aspettare!
Non proponiamo una “gerarchizzazione” della ricerca, ma piuttosto la creazione di una rete diffusa di scambio di informazioni, la stesura di una agenda di progettati incontri e anche, perché no?, la promozione di amicizie creative.
Un ultimo appello, ma non meno importante, vogliamo rivolgere alla TIF.
Con le sue consolidate relazioni internazionali, potrebbe far arrivare a tutte le Associazioni aderenti e a tutte le Istituzioni sanitarie nazionali e mondiali interessate un invito a voler sostenere, in tutti i modi possibili, la ricerca come quella che si svolge nei Laboratori di Ferrara e di New York.
La TIF potrebbe, accanto agli obiettivi primari finora perseguiti della prevenzione e del trattamento clinico, porre anche il sostegno alla ricerca di cui abbiamo diffusamente parlato.
La TIF dispone anche di uno strumento, il suo Magazine trimestrale, che potrebbe diventare veicolo di informazione per tale ricerca.
Non esistono soluzioni facili e a breve scadenza. La ricerca conosce tempi diversi da quelli dell’attesa degli ammalati.
Ma la speranza resterà vana se non sarà sostenuta dallo sforzo di tutti gli interessati perché un giorno possa diventare realtà”.

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Abbiamo poi rivolto alcune domande anche al prof. Stefano Rivella su un argomento molto importante:

L’UTILIZZO DEL LENTIVIRUS E LE PROSPETTIVE NEL CAPO DELLA TERAPIA GENICA PER LA TALASSEMIA
INTERVISTA AL DOTT. STEFANO RIVELLA DIRETTORE DEL LABORATORIO DI TERAPIA GENICA AL WEILL MEDICAL COLLEGE DELL’UNIVERSITÀ CORNELL DELLA CITTÀ DI NEW YORK

Quali sono le caratteristiche principali del vostro vettore?
“È il più recente sistema scoperto e utilizzato per il trasferimento e deriva dallo studio del virus HIV, che appartiene alla famiglia dei Lentivirus.
L’utilizzo dei vettori lentivirali ha creato nuove prospettive nel campo della terapia genica.
Questi vettori possiedono due caratteristiche fondamentali che li distinguono dai vettori più tradizionali: in primo luogo sono in grado di trasportare e integrare fedelmente, nel genoma delle cellule trasdotte, ampie regioni genomiche, essenziali per esprimere correttamente ed in maniera tessuto-specifica il gene terapeutico”.

In quali tipi di cellule riesce a integrarsi?
“La cellula ematopoietica staminale è “la madre” di tutte le cellule del nostro sangue ed è l’unica cellula che non ha una “data di scadenza”.
Il gene della beta-globina deve, quindi, essere inserito nelle cellule ematopoietiche staminali.
Immaginiamo di inserire una nuova copia del gene della beta-globina (trasgene) nelle cellule ematopoietiche: tutte le sue cellule “figlie” porteranno con loro una copia del transgene e quelle che diventeranno eritrociti esprimeranno la globina”.

Quali sono i principali parametri per dire che il trattamento di terapia genica è riuscito?
“Inizialmente mi limiterò ad utilizzare i dati sviluppati negli esperimenti con il sistema animale murino.
In tutti gli animali affetti da beta talassemia major il vettore ha permesso, senza trasfusione, di raggiungere valori di emoglobina da zero a 5-12 g/dL.
Per questo motivo non credo che si possa dire che questo esperimento sia conclusivo.
Il nostro scopo finale è di scoprire come ottenere “sempre” i 12g/dL o valori anche più alti di emoglobina.
Spero che i nostri futuri dati ci diano questa risposta. Per quanto riguarda l’uomo, il giorno che riusciremo ad ottenere costantemente questi valori di produzione di emoglobina potremo dire di essere riusciti nel nostro scopo”.

Qual è il grado di sicurezza dei vettori utilizzati soprattutto nel lungo periodo?
“Nei topi non si sono manifestati effetti “collaterali”, anche dopo due anni dal trapianto.
Analisi più approfondite e identificazione dei siti d’inserzione del vettore nel genoma delle cellule trasdotte, soprattutto in primati, potrà darci una risposta definitiva”.

Sarà possibile curare tutte le forme di talassemia?
“La beta-talassemia è causata dalla riduzione o mancata produzione della catena beta dell’emoglobina adulta, la quale è costituita da catene proteiche chiamate alfa e beta.
Quindi, in tutti i casi di beta-talassemia, ovvero quando una mutazione nel locus del gene della beta globina riduce la produzione di emoglobina, il vettore TNS9 ha la potenzialità di curare questa malattia”.

Quali sono le prospettive di impiego di questi vettori nell’uomo?
“Adesso che abbiamo un vettore efficace dobbiamo trovare le perfette condizioni per riprodurre gli stessi risultati in cellule umane e identificare il numero minimo di cellule umane staminali che dovranno contenere il vettore per curare l’anemia nei pazienti. Inoltre sarà necessario sottoporre il vettore a stringenti test di sicurezza.
Per ottenere questi scopi uno studio su animali superiori (primati) deve essere completato.
In conclusione, i prossimi studi saranno finalizzati a perfezionare la produzione del vettore e a completare i test di sicurezza.
I prossimi anni dovranno essere spesi per garantire che il vettore TNS9 possa diventare una realtà terapeutica accessibile a tutti i pazienti”.

Se il suo laboratorio avesse a disposizione maggiori risorse umane e finanziarie di potrebbe arrivare ad un risultato clinico in tempi relativamente brevi?
“È indiscutibile che una maggior disponibilità finanziaria non può che accelerare i progressi in questo campo.
Inoltre, penso che le risorse “umane” siano molto importanti per il completamento di questo progetto. E non mi riferisco solo alla pura “forza lavoro”, ma anche all’attività di persone motivate che hanno, come ultimo fine, la guarigione di questa malattia.
Ho avuto occasione di conoscerne molte all’interno dell’Associazione veneta per la lotta alla talassemia di Rovigo.
Questa Associazione, che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo del Thal-Lab di Ferrara, ha anche sponsorizzato una giovane promettente ricercatrice italiana (la Dr.ssa Laura Breda) che si è formata nel laboratorio del Professor Gambari, docente dell’Università estense e Direttore dello stesso Thal-Lab. La speranza è che Laura ci permetta di stabilire una proficua e duratura collaborazione con il gruppo del Professor Gambari.
Questa iniziativa si identifica completamente con la mia linea di pensiero: la collaborazione e la condivisione dei dati scientifici è fondamentale per raggiungere dei risultati di valore e in tempi più brevi.
È con lo stesso spirito che continuo a collaborare con il Dr. Sadelain e ad aprirmi a nuovi ricercatori.
Sicuramente siamo alla ricerca di finanziamenti che ci permettano di assumere nuove leve che abbiano le qualità e lo spirito necessario per affrontare questa “sfida””.

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Il 2003 ha visto intensificarsi anche l’attività della Federazione delle Associazioni degli Emofilici e nel riprendere il resoconto dei primi sei anni, abbiamo preso in esame tutte le attività, compreso il “Progetto PUER”.

SEI ANNI DI ATTIVITÀ DELLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI EMOFILICI

Nel primo triennio si è portata avanti la battaglia per dare assetto definitivo e applicabilità alla legge 210, arrivando nel 1998, alla promulgazione della 238.
A fronte poi della prima sentenza favorevole nella causa civile intentata nel 1993 si costituì il primo tavolo paritetico tra la Federazione, rappresentata dai legali difensori dei pazienti e il Ministero della Sanità e, al fine di mettere sotto pressione Governo e Parlamento, la Federazione promosse una campagna di interrogazioni e interpellanze parlamentari, sensibilizzando una novantina circa fra senatori e deputati.
Dopo aver dedicato molto energie al problema del danno da trasfusione, si individuò nei genitori dei piccoli emofilici una delle categorie più bisognose di assistenza.
Così nel 1999 venne varato il progetto PUER. Un’altra iniziativa nata dalle necessità dei pazienti è stata il progetto Sprint, attraverso una serie di contributi sui problemi ortopedici e la riabilitazione fisioterapica. Contemporaneamente nasceva l’idea di ristrutturare un’ala del CTO di Milano dove già da anni il Dott. Solimeno operava a livelli di eccellenza. In pochi mesi sorgeva il centro per la cura dell’artropatia emofilica.
L’attività della Federazione a livello internazionale ha avuto come principale obbiettivo alcuni interventi umanitari a favore di piccoli emofilici con l’invio di emoderivati in Marocco, Russia e Romania.
La Federazione ha poi seguito e segue con attenzione il processo di Trento cercando di dare informazioni puntuali su quanto accade con chiarimenti sulle iniziative giudiziarie.
La sua attività è consistita nell’invio regolare di newsletter tramite posta elettronica, incontri con gli avvocati e la Procura, il contatto con la stampa, nonché rispondendo attraverso il centralino alle numerose domande e richieste da parte di singoli o delle associazioni.
Si sottolinea anche il potenziamento della segreteria delle associazioni di Roma e Milano con l’istituzione di un centralino telefonico e si ricorda la presenza a gruppi di lavoro e tavole rotonde medico-scientifiche anche grazie ai collaboratori medici della Federazione.
Un ringraziamento particolare merita il lavoro svolto dai medici Flavio Azzalini, Vincenzo Speciale, Gabriele Calizzani e Romano Arceri, rappresentanti della Federazione nella Commissione Nazionale Servizi Trasfusionali, nel Comitato Malattie Rare e nelle altre sedi istituzionali a cui partecipa o ha partecipato la Federazione delle associazioni emofiliche.

I PROGETTI PER IL TRIENNIO 2003/2005 DELLA FEDERAZIONE EMOFILICI

PROFILASSI INSIEME
Si tratta di un nuovo progetto, sponsorizzato dall’Azienda farmaceutica dall’Azienda farmaceutica Aventis che offre a tutti i Centri emofilia che lo vogliono, di organizzare incontri rivolti ai pazienti per parlare di profilassi e accesso venoso.
La variante principale rispetto al Progetto SPRINT, di cui ricalca il modello, è l’introduzione (fondamentale, visto l’argomento) di una parte sociale a cura di genitori provenienti dai gruppi PUER, che racconteranno la propria esperienza con la profilassi.

PROGETTO ART
È un ciclo di sei incontri (oltre a quello tenuto a Milano nel giugno 2002) che hanno per tema il counseling genetico e l’assistenza riproduttiva per coppie sierodiscordanti, ossia le coppie che desiderano avere un figlio e nelle quali il partner maschio sia HIV +.
Per finire, a marzo di quest’anno partirà la campagna di informazione e di diffusione della conoscenza dell’emofilia attraverso il Progetto Disclosure.
Che nella prima fase di sperimentazione coinvolgerà l’area metropolitana di Milano.
È difatti maturata la necessità di una vera e propria “disclosure sociale” di questa malattia che, promossa dalla struttura nazionale, come tante campagne di conoscenza e informazione negli ultimi anni, produca a cascata una serie di benefici effetti, tra i quali:
– la sensibilizzazione dell’opinione pubblica in generale sui meccanismi elementari dell’emofilia sarà a nostro avviso il primo e più potente stimolo a cambiare atteggiamento per chi ancora dimostra reticenza nel rivelare la propria condizione, agevolando altresì una comunicazione oggi ostacolata dalla difficoltà di dover pressoché sempre partire da zero;
– l’aumentata capacità di spiegare anche a strutture medico-sanitarie, qual è il problema.
Sottolineiamo a proposito come una delle maggiori preoccupazioni dei genitori di piccoli emofilici nell’allontanarsi dal porto sicuro del Centro Emofilia sia il timore di non riuscire a ottenere cure adeguate e adeguatamente tempestive laddove se ne presenti l’improvvisa necessità, cosa che si traduce in una sostanziale limitazione delle possibilità per un emofilico e per i suoi familiari di vivere una vita il più possibile serena e normale;
– la sensibilizzazione degli enti sanitari locali e centrali, attraverso un’aumentata coscienza complessiva dei problemi legati a questa malattia nonché degli aggravi per la salute dei singoli ma anche per le spese a carico del SSN derivanti da interventi inadeguati o insufficienti;
– la possibilità di esercitare, quando necessario, azioni di pressine anche attraverso l’opinione pubblica sugli organismi di governo riguardo a queste stesse problematiche;
– l’avvicinamento al mondo dell’emofilia di un numero maggiore di specialisti. Esaurita infatti la spinta iniziata trent’anni fa, oggi soltanto uno specializzando su dieci in ematologia sceglie di orientarsi verso la cura dell’emofilia, vista come una malattia “difficile” dal punto di vista dell’amministrazione sanitaria;
– infine, la possibilità di intraprendere campagne di raccolta fondi, che necessitano buoni livelli di conoscenza di base del problema, al fine di attivare programmi sociali e scientifici a vantaggio della categoria.

PUER è stata una sfida per tutti noi, consistita inizialmente nello stabilire un rapporto di fiducia con gli interlocutori: le famiglie, delle quali vincere la differenza e alle quali peraltro non era mai stato offerto un supporto così importante; i medici, non sempre, purtroppo, disponibili a collaborare e i nostri finanziatori.
I primi punti, caposaldi del progetto, sono stati la raccolta delle aspettative delle famiglie, la sensibilizzazione dei genitori sulla necessità di essere attivi nel volontariato nel campo dell’emofilia, la costituzione di una salda rete di riferimento per altri giovani genitori che in futuro si troveranno ad affrontare gli stessi problemi.
Abbiamo seguito tutti con lo stesso impegno e siamo stati presenti fisicamente quando c’è stato chiesto di esserci.
Alla base del progetto e quindi dell’idea, c’era la possibilità di ognuno di fare quello che si sentiva.
Non abbiamo mai voluto imporre niente, non volevamo insegnare niente a nessuno.
Abbiamo provato ad immaginarci quali sarebbero stati i punti deboli.
Quelli di forza li conoscevamo con certezza; erano rappresentati dalla nostra forza.
Là dove il progetto ha funzionato è stato perché la struttura proposta è stata applicata, le associazioni locali hanno collaborato con i responsabili di area, i responsabili dei Centri emofilia hanno fornito assistenza, ma, essenzialmente sono state dedicate energie al progetto.
Dai diretti interessati. Con entusiasmo.
Le cose si ottengono quando si comincia a lavorare.

MA CHE COSA SI PUO’ FARE ORA?
È necessario aggiornare sempre gli elenchi delle famiglie mantenendo un rapporto costante con il Centro emofilia, coinvolgere i medici affinché informino dell’esistenza di PUER e indirizzino i nuovi genitori alle associazioni e quindi ai gruppi, tenere gli incontri a rotazione in località diverse per agevolare gli spostamenti delle famiglie, darsi il cambio nell’organizzazione, mantenere e creare di aumentare le risorse finanziarie a disposizione del progetto.
Quando non siamo stati noi a chiedere hanno cominciato a farlo loro, così assieme ai medici sono stati organizzati incontri tematici: “profilassi e accesso venoso”, “terapia degli inibitori”, “diagnosi prenatale e procreazione consapevole”.
Alcuni di questi temi diventeranno programmi d’informazione itineranti, nazionali.
I genitori entrano a far parte delle associazioni.
Le famiglie si sono prese carico di se stesse e della comunità. Sono già molte le associazioni che vivono dell’attività dei nuovi genitori.
Tutte le associazioni dovrebbero realizzare questo ricambio.
Si è creata una fitta rete di relazioni.
Non più famiglie sole. Gruppi di 15/20 famiglie. 200 in tutta Italia più i parenti. Una moltitudine di persone che ha scoperto di avere a disposizione numerosi strumenti da utilizzare: un sito internet, una newsletter che usa un mensile per veicolare le proposte, i progetti, le idee…che si chiama “EX”. Che frequente convegni e incontri.
C’è in più un progetto nel progetto, quello di raccogliere le esperienze dei gruppi PUER in un volume per lasciare una traccia del lavoro fatto, per non perdere nulla. Perché tante persone si sono dedicate e appassionate.
Molte hanno abbattuto le loro barriere emotive offrendo una infinità di spunti preziosi.
Perché arrivi a tutti, perché chi non ha mai partecipato a PUER possa lo stesso sentirsene parte.

QUESTO E’ SICURAMENTE UN PASSO IN PIU’ NELLA TERAPIA E ASSISTENZA GLOBALE DELL’EMOFILIA
PUER prosegue con nuove idee e non dobbiamo dimenticare che altre vite emofiliche si affacceranno su questo panorama immenso e che avranno bisogno di noi come è stato per noi quando abbiamo cominciato.
Ci aspettiamo che dagli sviluppi di questo progetto arrivino nuovi stimoli e nuove idee da realizzare insieme.
“L’ovvio è quel che non si vede mai, finché qualcuno non lo esprime con la massima semplicità”.
Il libro di cui si parla e la presentazione che pubblichiamo firmata da Alessandro Marchello, altri non è che il programma PUER raccontato dai suoi protagonisti.

Un’esperienza che invitiamo a rivivere attraverso gli scritti di tutti i protagonisti.
Il libro è stato presentato ufficialmente a Mirabilandia l’11maggio 2003.

A TUTTI COLORO CHE HANNO LAVORATO PER NOI, SENZA FARNE UNA MALATTIA

Due anni fa, nel 2000, alle famiglie veniva ancora consegnato del materiale informativo non all’altezza, non al passo con i tempi. Falso e mendace.
Nel 2000 un genitore legge: “suo figlio dovrà seguire un alimentazione particolare, non dovrà giocare come fanno gli altri bambini, non avrà una vita normale…”.
Non deve succedere più. Su questo bisogna lottare per cambiare.
Noi abbiamo il dovere di fare sì che venga data la corretta informazione.
I medici hanno il dovere di veicolarla in modo corretto.
I genitori invece hanno il diritto di non sprofondare nella disperazione a causa di inco-scienti e superficiali comunicatori.
Deve essere un’azione sinergica e trasversale, pensata e intelligente, reale e non artefatta.
Come si leggerà nelle testimonianze raccolte in questo volume, una famiglia che possiede l’emofilia a un certo punto la doma, la rende innocua con la conoscenza e l’esperienza.
Consapevolezza.
L’argomento più comune è la “consapevolezza della malattia”.
Nel non manuale non si parla del dolore che può dare un emartro, né delle sensazioni che si provano prima che si manifesti un episodio emorragico.
Perché si parla di un altro modo di affrontare e soffrire la stessa malattia.
Ne parlano coloro che non capiranno mai in prima persona il fastidio di un gomito che non si piega. Un formicolio da qualche parte fra lo stomaco e l’intestino. Saranno altre esperienze.
Era una scatola vuota il “non manuale”, tutta da riempire.
Dove ognuno ha messo quello che ha voluto. Che ha potuto. Che ha ritenuto utile.
Un non manuale per “non dire” cosa fare.
Ma per dire “io ho fatto…”, “io no perché…”.
Leggendo storie ci si sorprende per la loro ricchezza e diversità. Ci siamo emozionati e immedesimati in particolari che solo noi possiamo capire.
Non è del tutto vero.
In fondo c’è molto di questo vissuto che può essere adottato su grande scala. È un modo di diventare adulti e di accettare l’ineluttabilità delle cose che solo chi l’ha vissuto può capire.
Non c’è vanto nella vittoria ma orgoglio nella dignità dell’accettazione.
La gran parte delle famiglie sembra esserne uscita nel migliore dei modi seppur con fatica e sofferenza, ma si deve lavorare di più e ridurre anche quella parte restante dedicandosi, appassionatamente e con coscienza, a coloro che non vivono nello stesso equilibrio.
Ci sono stati momenti nei quali è sembrato che stessimo perdendo il senso di ciò che stavamo facendo.
Non è sempre facile tenere le fila di un programma così vasto.
È importante avere un punto di riferimento nelle cose che si fanno ma diventa difficile quando quel riferimento siamo noi stessi e nessuno oltre a noi può spiegare la strada.
Da qui dovrebbero nascere gli intrecci che portano a una rete di riferimenti.
Lo scambio alimenta l’ispirazione, da forza all’azione.
PUER è un passo in più verso il miglioramento della qualità di vita dell’emofilico.
Dei suoi genitori e di tutti quelli che vivono non da malati una malattia che certamente ha tolto qualcosa ma che ha anche dato qualcosa in più.
Una grande forza.
Pensiamo di lasciare una traccia del lavoro fatto da tutte queste famiglie, centinaia in tutta Italia.
Attori registi comparse e tecnici di una scena in continuo divenire. Il programma PUER deve impegnarsi a rispettare nell’azione le parole che lo descrivono.

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Non ultimo per importanza che negli ultimi anni ha avuto molto spazio nel nostro giornale, l’argomento degli indennizzi e delle cause. Una sorta di tela di Penelope che non trova una conclusione a discapito di coloro che sono stati infettati negli anni ’80.

LA TRANSAZIONE È DIVENTATA LEGGE: QUANTI E QUANDO NE USUFRUIRANNO?

In agosto 2002 pubblicammo un articolo dal titolo: “Le cause e gli indennizzi: le prospettive e la storia di questi dieci anni” nel quale raccontava la “storia” delle cause contro il Ministero ma anche un riassunto del percorso per ottenere riconoscimenti adeguati ed anche un possibile miglioramento della legge coinvolgendo i politici ed i parlamentari.
Come i nostri lettori avranno modo di constatare una volta di più l’iter per arrivare al decreto è stato lungo e soprattutto costoso da parte di coloro che per primi hanno voluto intraprendere questa strada che si è dimostrata difficile e tortuosa.
La speranza concreta che a questo punto si intervenga al Parlamento con una legge più equa.

LA LEGGE 210 SULL’INDENNIZZO: COSA FARE PER OTTENERLA

L’articolo pubblicato nel numero di giugno dal titolo: “La transazione è diventata legge: quanti e quando ne usufruiranno?” ha scatenato, come era prevedibile, innumerevoli reazioni contrastanti fra loro.
Soprattutto in riferimento a quanto abbiamo detto sulla storia e sulle leggi. Molte domande prevenute in redazione in vario modo: lettere, telefonate e messaggi e-mail.
Ancora una volta ci vengono richiesti chiarimenti in riferimento alle domande, soprattutto quelle rifiutate per decorrenza dei termini ed anche sui compiti del Difensore Civico da noi pubblicati nei numeri precedenti.

LE “ISTRUZIONI PER L’USO”

Alla XII Commissione Affari Sociali che ha elaborato una proposta di modifica degli articoli 1 e 3 della legge 210/92. Prevede l’eliminazione dei termini entro i quali presentare le domande di indennizzo.
La decisione è stata presa anche in seguito alla Decisione della Corte Costituzionale n. 476 del 2002, nella quale si riconosce l’estensione del diritto all’indennizzo anche in favore degli operatori sanitari che abbiamo riportato danni permanenti all’integrità psico-fisica a seguito di contatto con sangue o suoi derivati durante l’esecuzione del lavoro, con soggetti infettati da epatite o da HIV.
Queste proposte dovranno essere discusse da altre commissioni, in special modo la Commissione Finanze che dovrà dare un parere in merito alla copertura finanziaria.

I COMPITI DEL DIFENSORE CIVICO

Un’altra informazione che ci viene richiesta è quella sul Difensore Civico, al quale tutti si possono rivolgere, soprattutto quando si è presentata la domanda di indennizzo e sono trascorsi tanti anni senza risposta (ci sono casi di attese anche di quattro anni).
Innanzitutto ricordiamo che è stato istituito da una apposita legge nel 1990 per aumentare i mezzi di tutela a favore del cittadino nei confronti delle pubbliche amministrazioni e quindi anche dello Stato.
Ognuno può segnalare gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi delle amministrazioni pubbliche nei confronti dei cittadini.
Il Difensore Civico ha svariati compiti:

  • verifica su richiesta la regolarità del procedimento delle pratiche amministrative;
  • chiede notizie sullo stato degli atti e sollecita la conclusione nei termini previsti dalla legge. Per quanto ci riguarda ad esempio su chi abbia inoltrato domanda di indennizzo previsto dalla legge 210 e ritenga che la sua pratica abbia subito un eccessivo rallentamento, può sollecitarne il controllo;
  • aiuta inoltre ad ottenere il rispetto delle norme sulla trasparenza amministrativa.

COME FUNZIONA LA RIVALUTAZIONE DELL’INDENNIZZO IN BASE AL TASSO DI INFLAZIONE?

Uno dei motivi per i quali si richiede la modifica della Legge 210/92 è legato alla rivalutazione del tasso di inflazione, che a nostro parere, ma anche di tutti coloro che in qualche modo sono parte interessata, non è equo.
La spiegazione è molto semplice.
La rivalutazione in base al tasso programmato di inflazione non va calcolata sull’intero importo bimestrale dell’indennizzo che si compone di due parti:
a) l’importo di indennità integrativa speciale prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato è la parte più corposa e ammonta attualmente a 6.171 euro all’anno;
b)un importo variabile nella stessa misura prevista a titolo di pensione privilegiata ordinaria per i militari di truppa dell’esercito che abbiano riportato menomazioni dell’integrità fisica prevista dalla Tabella A allegata al Decreto n. 834 del 1881.

È quindi solo al secondo coma che, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge 210 del 1992, deve essere rivalutata sulla base del tasso di inflazione programmato.
Questo spiega come il tasso di inflazione sia soltanto di due euro, non certamente equiparato all’attuale tasso di inflazione che si aggira intorno al 3%.

Quali saranno le azioni future per il miglioramento della legge 210?

Gli obiettivi futuri per migliorare la legge 210 e seguenti saranno incentrati, come altre volte abbiamo detto, soprattutto sulla modifica dei termini di legge per la presentazione delle domande, pena la decadenza del diritto.
Facciamo riferimento alla clausola profondamente ingiusta del termine di tre anni nei confronti di coloro, e sono la maggioranza, che sono stati infettati dalla epatite C.
Questo non dovrà costringere gli interessati che hanno ottenuto il “nesso causale”, a dover intentare una causa per poter ottenere l’indennizzo spettante, con le inevitabili spese processuali ed altro.
Concludendo il 2003, abbiamo ricordato colui che ha voluto tutto questo. Lo ha voluto fortemente e la sua scomparsa prematura, forti del suo esempio, non ci ha certo fermati.
Ci è sempre più di stimolo e ci ha convinti, attraverso l’azienda che ci finanzia e per la quale lui ha svolto la sua attività, a finanziare un premio che viene assegnato a persone o associazioni che si distinguono nell’assistenza agli emofilici o comunque nel mondo del volontariato.
Siracusa è stata l’ultima tappa in ordine di tempo.

A SIRACUSA UN PREMIO ED UN RICORDO.
TRENT’ANNI DI LAVORO E DI COLLABORAZIONE

Siracusa: “Noi per l’emofilia n. 2”.
All’interno di questa manifestazione c’è, per noi di EX, il momento più importante, la consegna del premio istituito per ricordare Vincenzo Russo Serdoz, colui che volle fortemente questo giornale.
Sono passati quasi trent’anni da “quel giorno”, quando mi chiese se volevo accompagnarlo a Pisa.
Da poco tempo avevo scoperto che esisteva, parallelo al mio, fatto di normalità e di salute, un altro mondo nel quale “vivevano” persone affette da una strana malattia degli Zar”.
Via Vespucci, a Pisa.
Un ascensore ci portò al terzo piano di un edificio dove aveva sede la Immuno S.p.A. Ci accomodammo in una saletta, davanti ad una porta dove c’era un nome: dott. Aulo di Giuliomaria.
Qualche mese prima Vincenzo era venuto da me, in tipografia.
Mi aveva chiesto informazioni su come si potesse fare un giornale.
Mi avevano colpito non tanto il bastone al quale si appoggiava per camminare, ma lo sguardo, la voce e la sua determinazione.
Dopo pochi minuti avevo saputo che esisteva questa malattia e che in Italia circa 6000 persone ne erano affette.
Aveva intenzione di entrare nelle loro case per informarli su questa nuova cura, ma anche dei loro diritti di cittadini e dell’esistenza della Fondazione dell’Emofilia.

Partecipai alla riunione dell’associazione che lui, assieme ad altri, aveva fondato un anno prima e spiegai come tecnicamente si potesse fare un giornale. Quantificai anche il costo e questo fu oggetto di una lunga discussione.
Marco, Arrigo, Giorgio, Nazario, Bruno ed altri parlarono animatamente.
Ed io, in silenzio, ad ascoltarli. Già sapevo che sarei diventato uno di loro.
Io che fino a quel momento avevo vissuto un’altra vita, fatta di “normalità”, senza dover combattere ogni giorno con la malattia.
La spesa per il giornale risultò proibitiva per le scarse finanze dell’associazione di Ravenna. Si decise così di spedire una lettera a tutte le case farmaceutiche produttrici di emoderivati per chiedere un finanziamento.
L’unica che rispose affermativamente, appunto, fu la Immuno di Pisa.
La porta dell’ufficio del dott. Di Giuliomaria si aprì e noi entrammo.
“L’idea è bellissima e la nostra azienda è disposta a finanziarvi – ci disse con quel suo accento non troppo toscano – l’entusiasmo e le motivazioni ci sono, caro Vincenzo, l’unica incognita secondo me è quanto dureranno la vostra voglia di combattere, le vostre motivazioni…”.
Con quel suo modo schietto e tagliente ci aveva lanciato una sfida che comprendemmo subito, a tal punto che oggi, a trent’anni di distanza, siamo ancora qui, più vecchi ma non certo meno motivati.
Arrigo, Giorgio, Bruno e tanti altri oggi non ci sono più e neppure Vincenzo e Di Giuliomaria, ma il nostro giornale c’è ancora, più vivo che mai, sempre “in prima linea”.
Le motivazioni non sono mai venute meno neppure nei “momenti” più duri e tristi e non è venuto meno neppure l’impegno dell’Azienda, anche se da Immuno è diventata Baxter.
E proprio qui a Siracusa ribadisce il suo impegno attraverso l’assegnazione del premio intitolato a Vincenzo che sarà dato ad una persona che si sia distinta nel campo della lotta all’emofilia.
Trent’anni che si possono sintetizzare in una collaborazione che ha permesso a tanti emofilici prima ed ai talassemici poi, di avere un’informazione puntuale e non soltanto a loro, ma anche alle Istituzioni, ai medici, ai politici.
Le nostre battaglie sono diventate quelle di tutti e, nonostante i momenti tristi, si sono raggiunti molti traguardi, quelli appunto, che Vincenzo e gli altri si erano prefissi ed io con loro.
Chissà se i lettori penseranno che questa storia sia il ricordo di un “anziano” nostalgico.
Di certo è il ricordo di chi non ha mai dimenticato la lezione di un grande uomo e cerca di non farla dimenticare a questi giovani che dirigono oggi le nostre associazioni e che si stanno dimostrando certamente all’altezza del compito che li aspetta.
Il premio dedicato a Vincenzo e chi lo riceverà senz’altro ne sarà una concreta dimostrazione.