Anche il 2009 apre con il tema della giustizia, ma cercheremo di elencare in breve tutti gli argomenti trattati, soffermandoci con recensioni più dettagliate per le notizie più importanti.
L’editoriale di gennaio comunque è stato una sorta di indice del primo numero.
Il tema della giustizia rappresenta ancora un argomento che riguarda, purtroppo, migliaia di persone che cerchiamo di informare dettagliatamente e quasi giornalmente attraverso, innanzitutto, il nostro su www.hemoex.it.
Il giornale serve invece per gli approfondimenti delle notizie e degli incontri che si susseguono ai ministeri e nei vari tavoli di confronto fra legislatori, associazioni e rappresentanti legali.
Una sorta di “braccio di ferro” tra due parti che non danno l’impressione di collaborare sempre proficuamente.
La giustizia nel nostro Paese, per queste persone, è diventata una sorta di tela di Penelope che qualcuno si diverte a tessere e disfare nel tempo. Per questo motivo è nostro dovere dare spazio costantemente al susseguirsi delle notizie. Ma il nostro giornale non è soltanto rivolto verso la giustizia.
In questo primo numero del 2009, trentacinquesimo anno di vita, vogliamo sintetizzare quelli che saranno i propositi della Redazione che si rinnoverà e si allargherà a nuovi collaboratori ma che continuerà ad informare in modo equilibrato cercando di entrare nelle problematiche delle due patologie che seguiamo: l’emofilia e la talassemia.
Dare spazio a chi chiede novità di cura, alle associazioni che vogliono essere ascoltate, alle famiglie che non vogliono sentirsi sole.
Informeremo con i medici i progetti e le novità per il miglioramento qualitativo dei Centri e come far fronte alla mancanza di “ricambio” professionale che potrebbe evolvere negativamente nell’assistenza globale.
La scelta che abbiamo fatto per la prima copertina del 2009 non significa che vogliamo privilegiare coloro che chiedono giustizia attraverso provvedimenti che di dilatano colpevolmente nel tempo (vedere i servizi alle pagine 10/13), ma semplicemente perché il tema della “giustizia” riguarda tutti noi, in qualsiasi momento della nostra vita.
In questo numero c’è spazio anche per le associazioni e per la ricerca, due temi, come anticipato, che rappresenteranno le priorità della nostra informazione anche in questo nostro trentacinquesimo anno di vita.
Anche nel 2009 l’argomento giustizia è stato preponderante per tutti coloro che sono stati infettati negli anni 80/90 dai prodotti emoderivati e dal sangue infetto. In questo articolo abbiamo cercato di spiegare quale era l’esatto significato di “transazione”.
TRANSAZIONE: IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO
Per comprendere appieno il contenuto di questo parere è necessario innanzitutto tenere presente la vicenda normativa nella quale si colloca.
Come è noto, le leggi n.222 e 244 del 2007 hanno previsto lo stanziamento rispettivamente di 150 milioni di euro per l’anno finanziario 2007 e di altri 180 milioni di euro per l’anno 2008, per consentire la stipula di transazioni con quei soggetti emofilici, emotrasfusi occasionali, talassemici che avessero intentato causa contro il Ministero della Salute per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle trasfusioni e delle somministrazioni di emoderivati infetti.
Le due suddette leggi hanno stabilito altresì che i criteri per la definizione delle transazioni dovessero essere definiti nell’ambito di un programma pluriennale, da adottarsi con decreto del Ministero del Lavoro, della Salute, e delle Politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
In vista dell’emanazione di questo decreto, il Ministero del Lavoro, della Salute, e delle Politiche sociali ha scelto di emanare preliminarmente un decreto cosiddetto “ricognitivo”, al fine di compiere una ricognizione dei soggetti interessati alle transazioni, nonché di stabilire una procedura unificata con l’indicazione delle fasi attuative della programmazione pluriennale.
Dopo un’attesa durata diversi mesi, finalmente è stato predisposto lo schema di questo decreto “ricognitivo”.
L’art. 1 enuncia le finalità del provvedimento, consistenti nell’individuazione di una procedura unificata attuativa delle disposizioni delle leggi n. 222 e 244 del 2007, ed elenca poi le varie fasi in cui questa procedura dovrà articolarsi.
L’art. 2 stabilisce che il Ministero procederà alla ricognizione dei soggetti indicati nelle citate leggi n. 222 e 244 che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni, pendenti al 1° gennaio 2009, e che siano interessati alla stipula della transazione.
L’art. 4 ribadisce che la definizione dei criteri relativi alle transazioni avverrà con successivo decreto del Ministero del Lavoro, della Salute, e delle Politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’art. 7 stabilisce che eventuali richieste di accesso alla transazione, pervenute dopo i 120 giorni di tempo previsti per l’invio telematico, saranno “messe in coda” a quelle pervenute nei termini e, ove accoglibili.
Il Consiglio di Stato si è espresso in termini critici.
Ha contestato la valutazione effettuata dal Ministero circa la natura stessa del provvedimento.
Inoltre il Ministero delinea un procedimento caratterizzato da elementi di eccessiva discrezionalità della pubblica amministrazione, con scarso bilanciamento dei diritti e degli interessi dei destinatari delle norme.
Infine, il Consiglio di Stato si sofferma sull’analisi dell’art. 2 dello schema di decreto che configura un sistema di accesso per adesione alla ricognizione del Ministero – e quindi alla transazione – senza che siano stati preventivamente definiti e resi noti condizioni, entità, tempi e limiti del risarcimento.
I soggetti interessati dovrebbero quindi effettuare la propria “prenotazione” per la transazione senza alcuna prospettiva di tutela e di garanzia dei diritti ad essi riconosciuti.
L’art. 2 prevede altresì che l’adesione alla ricognizione potrà pervenire, come detto, esclusivamente per via telematica, entro il termine di 120 giorni da quando sarà resa disponibile la procedura informatica.
Il ricorso in via esclusiva alla procedura telematica configura quindi l’introduzione – con atto amministrativo – di una limitazione all’accesso alla proposta transattiva, che lede l’interesse generale dei danneggiati, in capo ai quali viene a configurarsi un onere, laddove invece la transazione dovrebbe rappresentare anche uno strumento più semplice e rapido di risarcimento.
Questo implica inoltre che il danneggiato che non segue questa procedura verrà escluso dal percorso transattivo, con conseguente pregiudizio della propria pretesa risarcitoria.
QUALE DECRETO?
ALCUNE PROPOSTE
- Informazione e trasparenza. Il Ministero dovrebbe informare tutti dello svolgersi del percorso transattivo con comunicati pubblicati mensilmente sul proprio sito. Questo impedirebbe tra l’altro il rincorrersi delle più disparate e diverse “voci”. Inoltre dovrebbero convocare a Roma periodicamente tutte le associazioni interessate per informarle e confrontarsi sulle scelte da prendere. Analoghi incontri periodici dovrebbe promuovere con tutti gli avvocati per affrontare gli aspetti più tecnico-giuridici.
- Accesso alla transazione. Consentire l’accesso alla transazione a tutti coloro con cause pendenti col Ministero, senza introdurre criteri “discriminatori”: ciò sarebbe in contrasto con la legge e non risponderebbe nemmeno alla ratio, ai motivi, che portano a una soluzione transattiva della vicenda.
- Importi. È necessario che vengano indicate delle somme (un minimo e un massimo), perché la totale assenza di riferimenti a delle cifre potrebbe essere censurabile sotto il profilo della indeterminatezza (già evidenziato dal Consiglio di Stato nel suo parere): com’è possibile fare domanda di accesso alla transazione se non vengono nemmeno date indicazioni di massima sugli importi? Una transazione al buio?
- Parere del Consiglio di Stato e indicazioni sui tempi. Vanno recepite puntualmente le indicazioni del Consiglio di Stato per evitare altre “bocciature” con inevitabili rallentamenti.
Idee per il decreto attuativo
Il Coordinamento per la transazione delle cause in materia di sangue infetto, composto da 47 legali che rappresentano circa 2000 danneggiati, ha trasmesso lo scorso gennaio alcune osservazioni al Ministero.
In particolare, allo scopo di scongiurare il rischio di un nuovo parere negativo da parte del Consiglio di Stato, è stata evidenziata la necessità che la bozza di decreto in preparazione sia il più possibile conforme all’art. 2, comma 362 legge finanziaria 2008.
Quanto ai parametri per la liquidazione, sono stati richiamati i lavori della Commissione presieduta dal Sottosegretario Cursi che hanno condotto all’adozione del decreto 3 novembre 2003, sulla base del quale è stata la precedente transazione.
Infine, un siffatto modo di procedere imporrebbe ai singoli danneggiati di sostenere ulteriori spese, nonché determinerebbe un’ulteriore (ed ingovernabile) dilatazione dei tempi delle trattative posto, per un verso, che i tempi per ottenere un certificato dalle ASL competenti sono molto lunghi.
Per le persone che abbiano subìto un’importante aggravamento della patologia successivamente al riconoscimento di cui alla L. 210/1992 (ad esempio insorgenza di tumore al fegato) o per coloro i quali abbiano agito in assenza di preventivo ottenimento dell’indennizzo, potrebbe prevedersi una visita specifica davanti ad apposita commissione medico-legale ministeriale volta all’accertamento dell’attuale gravità della malattia e assegnazione di una nuova categoria.
TRANSAZIONE: UN DECRETO CON BRUTTE SORPRESE
Nella prima settimana di marzo è circolato il testo del decreto interministeriale in attuazione delle leggi 222 e 244 del 2007, che ha riservato non poche sorprese.
Prima di tutto si notano alcune “discrepanze” con quanto aveva scritto il Consiglio di Stato il 19 febbraio 2009 nel dare il proprio parere favorevole a tale testo.
Ma le vere sorprese, purtroppo, sono state di altra natura: l’aver introdotto come presupposto l’ascrivibilità a una delle categorie previste dalla tabella richiamata dalla legge 210/92, e l’aver fatto un preciso riferimento ai principi in materia di prescrizione dei diritti.
Nelle premesse si segnala come si ritenga di “procedere all’adozione di un unico decreto di carattere regolamentare”.
Nell’art.1, comma 1, si dice come le transazioni vengano stipulate con soggetti danneggiati che “hanno instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni che siano ancora pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Nulla dice su chi ha iniziato la causa successivamente, e questo fa dedurre che con questo decreto si voglia chiudere il discorso a tale data, e con ciò contraddicendo tutte le “aperture” manifestate dal Ministero.
All’art. 2, comma 1 sono stabiliti i presupposti: danno ascrivibile (ai sensi della legge 210/92) ed esistenza del nesso causale, entrambi accertati da CMO o da Ufficio Medico-Legale del Ministero o da sentenza.
Nulla quaestio sul secondo presupposto, altrimenti verrebbe meno la “base logica” della transazione stessa; quanto all’ascrivibilità, invece, è fortemente censurabile voler escludere i non ascrivibili, cioè coloro per i quali il virus contratto è stato ritenuto “silente”: esperienza medica insegna, purtroppo, come il virus dell’epatite possa attivarsi anche a distanza di anni, e comunque già il fatto di averlo contratto rappresenta un danno psicologico ed esistenziale notevole per tutte le implicazioni che ciò comporta nelle relazioni interpersonali.
Pure il comma 2 è grave: “Per stipula delle transazioni si tiene conto dei principi generali in materia di prescrizione del diritto”.
Ricordo che l’ultima giurisprudenza della Cassazione considera quinquennale la prescrizione del diritto al risarcimento per i danneggiati viventi, e decennale per gli aventi causa dei deceduti.
L’auspicio, se non dovessero intervenire modifiche al testo del decreto, è che l’espressione “si tiene conto” possa incidere, in fase applicativa, solo sul quantum (cioè chi ha il diritto prescritto verrà comunque “risarcito”, anche se con somme inferiori).
La preoccupazione è, invece, che la maggioranza dei danneggiati venga esclusa, se si dovesse applicare tale principio in maniera automatica.
L’art. 3 fa poi delle distinzioni fra soggetti talassemici ed emofilici, per cui valgono i criteri della precedente transazione del 2003.
L’art. 4 disciplina il procedimento transattivo: la domanda di adesione sarà da inviare da parte del legale per via telematica, secondo modalità tecniche da indicarsi in una circolare del Ministero ed entro 90 giorni a decorrere dalla data di pubblicazione della citata circolare.
Evidenzio come il richiedere l’istanza ex lege 210/92 fa pensare che il Ministero abbia intenzione di verificare l’eventuale decorso della prescrizione in modo automatico e, a mio parere, non corretto.
Agli artt. 5 e 6 evidenzio come venga chiarito che l’allegazione del modello Isee serva solo per poter accedere alla transazione, a parità di gravità dell’infermità con priorità.
L’art. 7, comma 2, prevede per chi accede alla transazione una rinuncia “alle domande e agli atti dei giudizi pendenti, nonché a qualsiasi ulteriore pretesa nei confronti dell’Amministrazione pubblica, comunque derivante dai fatti di cui ai giudizi pendenti”: d’accordo a rinunciare alle richieste formulate in cause di risarcimento, ma per quanto riguarda le cause relative all’indennizzo legge 210/92? A mio parere si tratta di due aspetti diversi e separati, ma la formulazione di tale comma è ambigua.
Io auspico che esistano ancora dei margini per possibili modifiche, e in tal caso mi concentrerei soprattutto su quattro aspetti:
- prevedere una forma di “apertura” di accesso anche verso chi ha iniziato la causa dopo il 1° gennaio 2008;
- ammettere anche i non ascrivibili per le ragioni già esposte;
- togliere il riferimento ai principi generali in materia di prescrizione;
- togliere fra i criteri per accedere alla transazione la valutazione sull’entità del danno subito (prevista per i soggetti emotrasfusi occasionali, o affetti da altre emoglobinopatie o anemie ereditarie, e per i vaccinati).Marco Calandrino
In giugno pubblichiamo un numero speciale da portare a Roma in occasione della manifestazione organizzata da Fedemo di fronte la sede del Ministero della Salute.
La copertina di quel numero illustra la nostra rabbia verso una “Giustizia NON uguale per tutti”. Abbiamo illustrato i fatti salienti di “ieri” e quelli di “oggi”, in un editoriale di otto pagine ricordando come da una lettura attenta di ciò che affermavamo ci si può rendere conto di quanto ci sia stato a cuore il “dare voce a coloro che voce non ne hanno”.
Parlavamo anche allora di “peso politico” e di ingiustizia o di giustizia parziale.
L’editoriale del numero di giugno aveva anche un titolo molto simile: “La giustizia è uguale per tutti?”.
In proposito riprendendo quanto dicevamo nel mese di giugno del 2004 nel nostro editoriale.
“(…) Oggi, quelle persone, o i lori eredi ottengono un risarcimento dallo Stato, dopo due gradi giudizio ed una transazione, attraverso un intervento politico, senza il quale, forse, (senza nulla togliere al grande impegno e professionalità degli avvocati) non si sarebbe conclusa questa strana favola che si stava trasformando in una delle innumerevoli “vergogne italiane”.
Un intervento politico che riteniamo, per amore di giustizia, tempestivo ma “ingiusto” e limitato.
E spieghiamo il perché…
Il decreto legge che sarebbe poi stato inserito nella finanziaria per ottenere la copertura economica, inizialmente comprendeva tutti i politrasfusi, poi fu “corretto” inserendo soltanto la parola “emofilici”. (…) …e la favola si è trasformata per gli esclusi in una vera e propria ingiustizia politica, soprattutto nei confronti dei talassemici.
A Roma, in aprile, il sottosegretario alla Sanità Cursi, ha dichiarato che il Governo si adopererà affinché tutti coloro che hanno ottenuto o otterranno una sentenza favorevole, avranno lo “stesso trattamento…”.
Oggi…
Questo “speciale” nasce quindi sull’onda emotiva e sulla percezione chiara che sia stata ancora una volta perpetrata una ingiustizia “politica” (se non avvengono cambiamenti nelle ultime ore) nei confronti di coloro (e sono diverse migliaia) che da anni chiedono giustizia ad uno Stato non soltanto assente.
Patrigno con la bonaria faccia dell’amico, ma soltanto attraverso i proclami.
Amico e vicino a quelle persone che afferma di voler difendere e di tutelare soprattutto nel bene più prezioso: la salute.
Torniamo in piazza ma questa volta in modo diverso…per difendere coloro che non hanno voce, di fronte ad un “assordante silenzio” delle istituzioni dopo le promesse di riunioni per chiarire e soprattutto per ascoltare le ragioni e le rimostranze di questo popolo che chiede giustizia di fronte ad un “errore” commesso dallo Stato negli anni ’80.
Ci siamo ormai consumati le unghie noi rappresentanti di queste persone che non hanno volto e neppure voce, ma sono reali (quelle che sono vive ma anche le tante che non ci sono più), aggrappandoci ai muri di vetro che ogni volta ci sono stati messi di fronte nei palazzi istituzionali.
Scalate faticose durante le quali abbiamo continuato a perdere mariti, mogli, figli, amici.
E siamo ancora qui, dopo questa ulteriore “doccia fredda”, con le nostre tragedie ma anche con la mai sopita voglia di chiedere giustizia per colore che, lo ripeteremo fino alla nausea, non hanno voce, ma sono reali, appartengono a questa società e tentano di sopravvivere nonostante tutto in modo dignitoso.
Potremmo iniziare un racconto aperto con le prime battaglie per la legge sull’indennizzo nei primi anni ’90 per terminare con le ultime trattative del 2008 che facevano sperare in una conclusione giusta e “riparatrice”, ma non sarà così perché, ancora una volta, siamo stati traditi, soprattutto nella nostra dignità di persone.
I fatti ormai li conosciamo tutti e la riproduzione di alcuni documenti ne sono l’ultima testimonianza, partendo proprio dalla prima legge del 2007.
LE LEGGI
La legge 29 novembre 2007 n.222, intitolata: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1°ottobre 2007 n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2007 – Suppl. Ordinario n. 249/L, ha previsto nei due primi commi dell’art. 33 che:
“1. Per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di 150 milioni di euro per il 2007.
2. Con il decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono fissati i criteri in base ai quali sono definite, nell’ambito della predetta autorizzazione, in analogia e coerenza con i criteri transattivi già fissati per i soggetti emofilici del decreto del Ministero della salute 3 novembre 2003, pubblicat nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2003, sulla base delle conclusioni rassegnate dal gruppo tecnico istituito con decreto del Ministro della salute in data 13 marzo 2002, con priorità, a parità di gravità dell’infermità, per i soggetti in condizioni di disagio economico accertate mediante l’utilizzo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 109 e successive modificazioni”.
E poi il famoso Decreto, le modifiche richieste, le lettere inviate ai ministri, i comunicati.
Ultima in ordine di tempo il documento di Fedemo al ministro Sacconi del quale pubblichiamo un estratto.
LA FEDEMO SCRIVE AL MINISTRO SACCONI
Il Governo rispetti le promesse fatte e, soprattutto, dia trasparenza ai propri atti
Continua la battaglia della Federazione delle associazioni degli emofilici per ottenere il giusto risarcimento dallo Stato italiano.
Dopo aver rivolto un appello tramite un’inserzione a pagamento sui due quotidiani italiani (lunedì 11 maggio su La Repubblica e il 12 maggio su Il Corriere della sera), Fedemo ha scritto anche una lettera al ministro Sacconi, per chiedere di fare chiarezza sull’iter dei risarcimenti, ma soprattutto per chiedere spiegazioni in merito all’esclusione della Fedemo all’incontro dello scorso 5 maggio, al quale sono state, invece, invitate solo alcune delle associazioni.
“In relazione all’incontro dello scorso 5 maggio con le associazioni di rappresentanza dei soggetti interessati siamo ad esprimere il nostro stupore e l’amarezza per il fatto di essere stati esclusi dal tavolo di confronto fra attori istituzionali e associazioni di rappresentanza che ha affrontato il cruciale argomento delle possibili modifiche da apportare al decreto attuativo delle sopra richiamate leggi dello Stato”. Con le leggi 222 e 244 del 2007 il Parlamento ha previsto un secondo percorso transattivo, per tutti i danneggiati (oltre agli emofilici, i talassemici, gli emotrasfusi, ecc.), rinviando a un decreto interministeriale la definizione delle modalità di accesso.
È di questi giorni la diffusione della bozza del decreto che ha già ottenuto il parere favorevole del Consiglio di Stato ma che deve ancora essere firmata dai Ministri Sacconi e Tremonti, che ha fermamente deluso le aspettative delle associazioni dei malati e dei loro legali.
La missiva firmata dal presidente della Fedemo, Gabriele Calizzani prosegue con una richiesta di incontro per “portare alla vostra conoscenza le richieste in merito che ci sono pervenute dalla base degli associati”.
Facciamo un passo indietro. Molti emofilici in tutto il mondo vennero infettati e molti morirono di Aids e di altre complicazioni dovute alle infezioni.
Fu una vera e propria “strage di innocenti”.
In Italia, secondo i dati di Fondazione Paracelso e del Registro Nazionale delle Malattie Emorragiche congenite dell’Istituto Superiore di Sanità, si stimano che circa 550 emofilici vennero contagiati dal virus dell’HIV (di cui 250 deceduti) e almeno 1.500 con i virus dell’epatite.
Lo Stato Italiano, su spinta dei pazienti emofilici concesse un primo “ristoro” economico attraverso la legge 210 del 1992, che stabiliva un indennizzo a favore di chi avesse contratto virus da trasfusioni ed emoderivati: in pratica un assegno di circa 600 euro al mese.
Tuttavia, in assenza di una chiara definizione delle responsabilità e di una corretta ricostruzione storica degli eventi da parte degli organismi istituzionali preposti, i pazienti hanno intrapreso azioni legali in sede penale e civile per ottenere un equo riconoscimento di tutti i loro diritti.
Nel frattempo molti Stati hanno attivato misure compensatorie del danno subito.
In Italia, dopo una prima transazione nel 2003, si è arrivati ai dispositivi applicativi delle Leggi 222 e 244 in discussione in questi giorni. Una transazione nata per chiudere un immane contenzioso giudiziario (si stimano in 5 o 6 mila le persone in causa contro lo Stato) rischia ora di lasciare la maggioranza dei danneggiati con un pugno di mosche in mano.
Tuttavia questa vicenda presenta ancora molte ombre su cui la Fedemo vuol fare luce, anche sollevando la questione a livello Europeo, per chiedere al Governo:
- risarcire in via transattiva tutti i danneggiati che alla data indicata nel decreto (31 dicembre 2007) abbiano instaurato il giudizio, senza alcun riferimento alla prescrizione
- la sollecita riapertura del tavolo tecnico delle trattative con tutte le associazioni (affinché sia ripristinata quell’unità di intenti interrotta con l’incontro del 5 maggio scorso tra il Ministero e solo alcune delle Associazioni)
- analogia e coerenza con la precedente transazione anche in virtù degli accordi e della rassicurazioni forniti nei precedenti incontri
- tempi certi e rapidi di applicazione e, soprattutto, trasparenza ai propri atti!
In febbraio appunto si era svolta l’assemblea della Federazione degli emofilici ed era stata una sorta di svolta su quelli che poi saranno in futuro i programmi.
DALL’ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE DEGLI EMOFILICI
CONTINUITÀ COLLABORAZIONE E PARTECIPAZIONE
Per la prima volta nella storia della Federazione e, a nostro parere, a dimostrazione della grande vitalità esistente all’interno di molte associazioni e per rispondere a chi vede in questo una sterile e “politica” contrapposizione, sono state presentate due liste, con persone diverse, entrambe testimoni di un ringiovanimento, ma anche di una volontà di collaborazione.
È risultata eletta la lista numero 1 che fa capo a Gabriele Calizzani (Associazione di Ravenna) e composta da Romano Arcieri (Associazione del Lazio), Renata Liotti (Associazione Toscana), Alberto Garnero (Associazione Piemontese), Piero Valiante (Associazione di Castelfranco Veneto), che ha totalizzato il consenso di 18 associazioni, 3 astensioni e 8 contrarie, su 29 presenti.
OBIETTIVI E AGENDA DI LAVORO
A questo punto vediamo di conoscere gli obiettivi e l’agenda di lavoro del nuovo Direttivo.
Ci pare innanzitutto significativo quanto si legge in apertura: “ è il frutto di un breve, seppur intenso, lavoro di confronto e discussione fra le associazioni che si sono ritrovate improvvisamente ad esprimere con il voto le stesse valutazioni nel corso dell’ultima assemblea.
I rappresentanti di queste associazioni locali si sono incontrati e hanno sviluppato una riflessione partendo dal documento di pianificazione triennale presentato a Milano dal direttivo uscente.
Dallo scambio di idee e dal confronto sui bisogni attuali e futuri della comunità emofilica è scaturita un’agenda di temi e di riflessioni che vengono portate all’assemblea nella consapevolezza comune del lavoro svolto dal direttivo uscente.
Questi tavoli di discussione sono aperti al contributo di tutti coloro che desiderano partecipare.
Le riunioni, partecipate attivamente da tutti i presenti, si sono svolte a Bologna il 13 dicembre, a Roma il 21 dicembre, ancora a Bologna il 3 gennaio.
Il confronto di idee e la discussione di questi ultimi due mesi fra le associazioni ha fatto emergere punti di convergenza ed anche diversità di vedute, tuttavia con il comune intento di “lavorare insieme”.
Un programma “aperto”, continuamente, ad ogni contributo di idee e d’opera concreta, da parte di TUTTI.
LA MISSIONE
La Fedemo è una organizzazione no profit, nata nel 1996, formata da 33 associazioni locali.
Come unione di tutte deve altresì essere indipendente, agile, dinamica, ma nello stesso tempo “partecipata da parte di tutti”.
Deve in ogni momento essere in grado di rispondere con efficacia ai bisogni degli emofilici e delle associazioni che li rappresentano, nonché di trarre spunto dalle proposte e dal lavoro svolto dalle associazioni stesse e di sostenerne e rafforzarne l’attività, se e dove necessario, valutando e senza dimenticare le azioni delle associazioni più attive.
Per questo deve essere in grado di costruire forti alleanze con singoli, gruppi, associazioni di volontariato, espressioni della società civile e della comunità scientifica.
GLI OBIETTIVI
- qualità dell’assistenza nel contesto delle malattie rare
- promozione della ricerca
- da prima del concepimento all’anziano con emofilia
- la nuova fase costituente della Fedemo
- in Centro servizi per le associazioni
- giustizia
- comunicazione
- informazione
- partnership e visibilità internazionale
- rapporti con gli stakeholder
GRUPPO 1
DA ZERO A CENTO
Garantire elevati ed uniformi livelli di assistenza in tutto il territorio nazionale costituisce un obiettivo strategico per il prossimo triennio.
L’AICE ha sviluppato un progetto di accreditamento professionale dei Centri emofilia oggi in fase di sperimentazione.
Le associazioni dei pazienti sono chiamate a rafforzare i percorsi di promozione di qualità dei Centri emofilia mettendo in campo le proprie risorse e competenze attraverso lo sviluppo di adeguati percorsi e strumenti.
Per arrivare alla definizione di requisiti minimi organizzativi e strutturati dei presidi di trattamento regionali delle coagulopatie congenite – che è alla base dell’accreditamento istituzionale – oppure per progettare e realizzare un Audit civico dei Centri di trattamento non si può prescindere da un’analisi del contesto di riferimento e dello scenario della sanità dei prossimi anni.
GLI OBIETTIVI
- Accreditamento istituzionale dei presidi
- Registro nazionale delle coagulopatie congenite
- Audit civico dei Centri emofilia
- Legge nazionale sull’autoinfusione domiciliare e corsi di formazione
- Gestione dell’emergenza
RIVISITAZIONE DEI RAPPORTI CON LE ASSOCIAZIONI
GRUPPO 2
Nel corso di questi anni è emerso un progressivo scollamento tra le associazioni locali ed il Direttivo Fedemo.
È necessario avviare una nuova fase costituente finalizzata ad avviare una riflessione sui rapporti con le associazioni locali ed una rivisitazione della struttura organizzativa al fine di renderla più rispondente alle esigenze di partecipazione delle associazioni stesse.
GLI OBIETTIVI
- Sperimentazione forme di partecipazione delle associazioni
- Modifica dello statuto
- Partecipazione alla vita delle associazioni locali
- Supporto e consulenza legale · Codice deontologico
- Formazione dei quadri
- Formazione su temi specifici (es. rapporti con i media)
- Siti associativi collegati a sito Fedemo
- Esperienze e progettualità a confronto
- Coordinamenti interregionali
IL TEMA DELLA GIUSTIZIA PER NON DIMENTICARE
Richiedere giustizia per voltare presto pagina e guardare con maggiore serenità al futuro.
Per far questo è necessario chiudere tutte le vicende in corso raggiungendo i risultati sperati per i danneggiati avvalendosi anche di competenze ed esperienza dei componenti del Comitato 210.
GLI OBIETTIVI
- Modifiche alla Legge 210
- Completamento del percorso transazioni delle cause civili
- Processo penale di Napoli
- Causa collettiva negli USA
I gruppi di lavoro continuamente aperti ad ogni associazione e/o singolo che voglia farvi parte, non avranno solo funzione operativa ma anche consultiva e propositiva per il Consiglio Direttivo con il quale si interfacceranno con periodiche riunioni e call e web conference.
In questo breve periodo di confronto dialettico fra le associazioni, si sono già prodotte alcune linee e proposte programmatiche e operative che affiancheranno e/o andranno ad integrare i progetti già in essere della Fedemo.
Progetti che continueranno TUTTI con le modalità già stabilite o eventualmente migliorati.
ESPLORANDO LA PROFILASSI IN EMOFILIA
Altro argomento importante che abbiamo trattato nel 2009 è stato quello della profilassi e lo abbiamo fatto con uno dei maggiori esperti mondiali sulle problematiche dell’emofilia, il prof. Alessandro Gringeri.
Il nostro giornale inizia a trattare, con questa intervista, l’argomento della profilassi come approccio terapeutico ottimale per l’emofilia, con lo scopo anche di avvicinarsi alla profilassi del paziente emofilico con inibitore.
Non a caso abbiamo scelto Alessandro Gringeri ricordando quanto ha avuto occasione di affermare al Congresso della World Federation of Haemophilia di Istambul lo scorso anno: “I pazienti con inibitore necessitano della profilassi quasi di più di quelli senza inibitore”.
Prof. Gringeri, cosa pensa della profilassi nella terapia dell’emofilia?
L’obiettivo fondamentale della buona medicina è legato alla prevenzione.
Nel paziente con emofilia, si possono verificare gravissime emorragie, la profilassi permette di azzerare praticamente questo rischio.
Quelle invece più frequenti, le emorragie articolari, oltre ad essere estremamente dolorose, distruggono progressivamente ed inesorabilmente le articolazioni, rendendo così il paziente invalido per tutta la vita.
La profilassi può assicurare, se iniziata tempestivamente articolazioni sane e normalmente funzionanti.
Senza parlare poi dei costi che l’artropatia emofilica comporta, non foss’altro per la necessità di interventi chirurgici, che, comunque, non “rimettono a nuovo”.
Restituiscono sì una discreta funzionalità ed autonomia, ma dopo un lungo e costoso calvario.
Non dimentichiamo poi la fisioterapia che comporta ulteriori lunghe assenze dal luogo di lavoro o da scuola e tanto impegno da parte del paziente.
Il costo della profilassi, sia umano che economico, può prevenire tutto questo.
Terzo obiettivo, ma non ultimo per importanza, anzi determinante, è mantenere un’elevata qualità della vita nel paziente affetto da emofilia.
Chi fa la profilassi ha prospettive di vita assolutamente “normali”, fatta esclusione di “qualche buco in più”.
Il concetto di profilassi quanto è importante e come si applica a chi sviluppa l’inibitore?
“Le emorragie nell’emofilico con inibitore sono più difficili da curare perché gli agenti bypassanti e faccio due esempio, il FEIBA ed il Novoseven, sono sì efficaci ma non lo sono sempre o comunque non lo sono come la terapia con Fattore VIII o IX nel paziente senza inibitore.
Prevenire l’emorragia in questi pazienti è ancora più necessario.
C’è un recente studio che avrebbe dimostrato come in emofilici adulti con inibitore, la profilassi costerebbe meno che non il trattamento a domanda in pazienti con frequenti sanguinamenti.
Il problema è che per questi pazienti la profilassi è più difficile, non ancora pienamente autorizzata e oltremodo costosa.
Torniamo però ai bambini quando sviluppano l’inibitore.
In due anni di terapia di induzione dell’immunotolleranza magari riescono ad eliminare l’inibitore (alcuni prima).
Ma durante questo periodo però, purtroppo, sanguinano e le articolazioni ne soffrono. Che fare? Devono assolutamente dare la profilassi”.
Riguardo la profilassi; com’è la situazione in Italia allo stato attuale e cosa eventualmente si dovrebbe fare per migliorarla?
“Dobbiamo continuare ad insistere sulla profilassi nei bambini, da continuare eventualmente nell’età adulta e in coloro che sviluppano l’inibitore.
Insisto perché nel nostro Paese siamo soggetti al cosidetto “analfabetismo di ritorno” e cioè: una cosa che è stranota alla fine si dà per scontata: un esempio eclatante viene dall’adozione di sistemi di sicurezza nei rapporti sessuali per prevenire l’infezione da HIV.
La profilassi deve essere primaria, ed insisto su questo e lo ribadisco: PRIMARIA, cioè entro il secondo anno di vita, quanto le articolazioni sono ancora intatte.
Su questo dobbiamo insistere perché siamo, purtroppo, ancora distanti da questa convinzione.
Si piò iniziare magari con una dose settimanale per preparare il bambino e la famiglia a questa procedura; poi si passa a due volte e poi a tre alla settimana, poi a giorni alterni.
Se poi consideriamo che in futuro ci saranno prodotti con una emivita più lunga, forse non ci sarà più la necessità di così tante iniezioni.
Ma avere già iniziato la profilassi diventa ancora più importante.
Questi prodotti si stanno già studiando e fra non molto inizierà la sperimentazione sui pazienti”.
Un altro argomento che occupa sempre uno spazio importante nel nostro giornale da decenni è rappresentato dall’informazione sui progressi nella cura della talassemia.
Questa volta lo facciamo attraverso le parole di due importanti scienziati che da anni sono all’avanguardia, prendendo lo spunto da una relazione ad un convegno che si è svolto a Ferrara.
LA CURA DELLA TALASSEMIA NEGLI ANNI 90
Il dott. De Sanctis ha parlato di “Sessualità e riproduzione”, dando una definizione di sessualità, intesa come: “integrazione fisica, emozionale, intellettuale e sociale di un individuo”.
Seconda la “scuola ferrarese” questa integrazione può essere raggiunta tenendo conto di alcuni passaggi fondamentali per la vita di ciascun individuo, quali:
- trovare un lavoro
- trovare il giusto partner
- sposarsi
- avere dei bambini
A questo proposito il dott. De Sanctis ha ricordato come in passato fossero molto frequenti i disturbi di maturazione sessuale nei pazienti talassemici, fondamentalmente a causa dell’eccesso di ferro che si va ad accumulare, tra gli altri organi, anche nelle ghiandole endocrine (ipofisi, gonadi, tiroide ecc.) di determinate importanza per l’adeguato maturazione sessuale di ogni individuo.
Oggi, grazie anche all’utilizzo di farmaci che inducono la maturazione puberale, sono sempre più numerose le coppie con partner talassemici che affrontano con successo la gravidanza.
Infatti, secondo uno studio condotto dal 1984 al 2006, i bambini nati sono stati 258, almeno per quanto riguarda i casi registrati.
Il prof. Piga ha parlato di “Terapia ferrochelante: novità”.
Ha passato in rassegna i tre chelanti oggi disponibili elencando, per ciascuno, punti di forza ed effetti collaterali.
La deferoxamina è stato il primo chelante disponibile, fin dagli anni ’60.
Le modalità di somministrazione sono cambiate negli anni, arrivando all’infusione sottocutanea a lento rilascio, che ha decisamente migliorato la prognosi della talassemia.
Farmaco tutt’ora utilizzato, non ha particolari effetti collaterali, è però scomodo e relativamente poco pratico.
A metà degli anni ’80 compare il deferiprone, farmaco orale, da assumere più volte al giorno, sotto forma di diverse compresse, in relazione al peso del soggetto.
Costituisce indubbiamente un grosso passo in avanti, soprattutto per i pazienti poco complianti alla terapia sottocutanea.
L’effetto collaterale più importante è la sua capacità di indurre neutropenia/agranulocitosi, cioè una diminuzione del numero dei globuli bianchi, in particolare dei granulociti neutrofili, molto importanti nel sistema immunitario, per la difesa contro le aggressioni batteriche.
Per tale motivo la terapia deve essere monitorata, mediante l’esecuzione di un esame emocromocitometrico ogni settimana e, in caso di neutropenia, si deve procedere alla sospensione della somministrazione.
È possibile riprendere il farmaco a distanza di tempo ma, in caso di ulteriori episodi di neutropenia, si impone la sospensione del farmaco.
Il prof. Piga ha quindi parlato del deferasirox, che rappresenta l’ultima generazione di farmaci per la chelazione del ferro.
È un farmaco in sospensione orale, che si assume in un’unica somministrazione giornaliera, sciolto in acqua o succo di frutta, fatta esclusione per il succo d’ananas.
Si tratta indubbiamente di un grosso passo in avanti in termini di qualità di vita e gli studi comparati, iniziati alla fine degli anni ’90, hanno dimostrato la medesima efficacia della deferoxamina.
Il farmaco ha una buona maneggevolezza, il suo principale effetto collaterale è la possibilità di indurre problematiche a carico della funzionalità renale.
Per questo motivo il monitoraggio del farmaco prevede controlli periodici di funzionalità renale (creatinina, clearance della creatinina, ecc.) e, in caso di alterazioni rilevanti degli esami, si procede alla diminuzione del dosaggio o alla sua sospensione.
Tale problematica si è dimostrata reversibile, per cui, a distanza di tempo, si può tornare alla sua somministrazione, sempre sotto un accurato controllo medico.
Il prof. Piga ha quindi accennato alla possibilità di somministrare una combinazione di farmaci (deferoxamina + deferiprone), soprattutto in situazioni di importante sovraccarico di ferro a livello cardiaco.
Il monitoraggio del sovraccarico di ferro si conduce mediante controllo della ferritinemia, della sideruria e con esecuzioni periodiche di biosuscettometria (SQUID), per la valutazione del ferro a livello epatico, e RMN T2*, per la valutazione del sovraccarico a livello cardiaco.
La dott.ssa Putti ha parlato delle “esperienze cliniche”.
I momenti più importanti della storia della terapia sono senza dubbio il passaggio al regime trasfusionale ad alto dosaggio di emoglobina e la introduzione di una terapia chelante efficace, oggi particolarmente importante vista l’ampia disponibilità di chelanti, tali da poter personalizzare la terapia per il singolo paziente.
La dottoressa forniva poi alcuni valori indicativi, per i principali esami di controllo del sovraccarico marziale, come obiettivi pratici da perseguire:
- Ferritinemia < 1000 microgrammi/L
- LIC (SQUID) 3.2 – 7 mg/g/peso secco
- RMN T2* > 20 ms,
dopo aver proiettato alcune slides relative alla sua esperienza, la dottoressa passava ad analizzare alcune alternative terapeutiche, elencandone pregi e difetti.
TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI:
VANTAGGI
- Unica cura definitiva attualmente possibile
- Sopravvivenza a lungo termine elevata
SVANTAGGI
- Difficoltà nel reperire la fonte adatta di Cellule Staminali
- Mortalità correlata al trapianto (legata a età, carico marziale, epatite virale)
- Complicanze anche a distanza
- Tossicità d’organo
- Grafit versus Host disease
INDUZIONE DELLA SINTESI DI EMOGLOBINA FETALE, mediante l’utilizzo di sostanze ipometilanti o inibitori degli istoni deacetilasi o idrossiurea.
La terapia genica, attualmente condotta attraverso ricerche su lentivirus, che presenta tuttavia alcuni problemi relativi al numero di cellule staminali in maturazione ed all’arricchimento delle cellule staminali, attualmente in fase di studio.
In rappresentanza ha parlato infine in rappresentanza delle associazioni di volontariato e dell’impegno a fianco dei medici e dei ricercatori.
Il dott. Zago ha sottolineato alcuni passaggi degli interventi che si sono succeduti nel corso dell’evento e ha ribadito l’assoluta necessità di curarsi bene, con tutte le opzioni terapeutiche oggi a disposizione, per migliorare continuamente la propria qualità di vita, in previsione di ulteriori importanti passi in avanti alla ricerca, come quella sulla terapia genica.
In questo campo occorre però fare delle osservazioni: ci sono quattro gruppi di ricercatori che si stanno avvicinando alla sperimentazione clinica, ma ognuno di essi ritiene che per arrivarvi servano ancora quattro/cinque milioni di dollari.
Non è possibile che le Associazioni li possano aiutare. Se i ricercatori collaborassero e mettessero a punto insieme una sola sperimentazione clinica, quella somma non avrebbe bisogno di essere moltiplicata per quattro e le Associazioni potrebbero entrare in gioco.
Per favorire gli studi clinici, l’AVLT ha preso recentemente una iniziativa.
Ha proposto alla TIF (Thalassemia International Federation) di farsi coordinatrice delle più importanti Associazioni di talassemici del mondo (dagli Stati Uniti all’India, dall’Italia al Canada, dalla Gran Bretagna a Cipro, dall’Iran all’Egitto, ecc.) con l’obiettivo di promuovere il dialogo con i gruppi di ricercatori e di cercare contatti con le Case Farmaceutiche e altri Istituti, nonché di contribuire a raccogliere fondi.
La TIF ha apprezzato molto la proposta dell’AVLT e di essa si parlerà nel prossimo Consiglio Direttivo della TIF, che si terrà a Damasco, in Siria, nei giorni 1-2 maggio prossimo.
Il vice presidente dell’AVLT vi parteciperà per illustrare le finalità del progetto.
Il dott. Zago ha chiuso il convegno invitando i pazienti talassemici a sostenere con forza le loro Associazioni.
Ancora in riferimento ad un altro convegno e sempre in questo caso sulla cura ma rivolta al futuro.
EMOGLOBINOPATIE: UNO SGUARDO AL FUTURO
“Taranto Mediterranea. Emoglobinopatie: uno sguardo al futuro” è il titolo del convegno che si è svolto lo scorso sabato 3 ottobre a Taranto nel salone degli specchi di Palazzo di città.
La manifestazione, che è stata organizzata dal Comune in collaborazione con l’A.S.L., le associazioni “Bambino Thalassemico” e “Apleti” di Taranto ed il supporto della Novartis, ha richiamato nella “città dei due mari”, medici e cattedratici di fama nazionale ed internazionale.
È stata anche l’occasione per fare il punto sulle diagnostiche e le nuove terapie che mirano a migliorare la cura e la qualità di vita delle persone affette da talassemia ed emoglobinopatie.
Il dott. Paolo Cianciulli dell’ospedale S. Eugenio di Roma ha parlato dei successi e dei traguardi della ferrochelazione.
Per vivere si sa, i talassemici ricevono periodiche trasfusioni di sangue, e questo è un bene!
L’incoveniente purtroppo sta, tra le altre cose, nel fatto che questa continua prassi porta ad accumulare ferro in eccesso. E questo diventa un serio problema.
Vediamo perché.
Cianciulli ha aperto il suo intervento ricordando che la mortalità per motivi cardiaci si è ridotta ma è comunque rimasta la prima causa di morte.
Di solito sopraggiunge proprio grazie all’accumulo di ferro nel cuore.
La battaglia del medico è quella di eliminare questa sostanza.
“Prima degli anni ’90 – ha ricordato Cianciulli – questa pratica si portava avanti con una pompetta che iniettava, per via sottocutanea la Desferoxamina.
Poi, negli anni ’90 si assiste ad una rivoluzione, arriva la molecola ferrochelante che si può assumere per via orale, il Deferiprone. E ancora nel nuovo millennio arrivano altri chelanti orali.
Il Deferasirox – ha aggiunto – è l’ultima conquista, già in uso, nella ferrochelazione. Si assume una sola volta, al mattino sciolto in succo di arancia o di mela.
Il dosaggio del Deferasirox può essere stabilito anche in relazione ai carichi di ferro e il medico non deve avere la così detta ansia da prestazione, bensì deve attendere pazientemente i risultati”.
Poi il dott. Cianciulli ha parlato della diagnostica nel campo dell’accumulo del ferro.
“Nel 2001 c’è un’altra rivoluzione. Con la risonanza magnetica si può monitorare quanto e dove si deposita questo ferro.
Dal cuore – ha concluso, tra le altre cose, Cianciulli – ci vuole tempo a rimuovere il ferro. Mentre dal fegato è più facile. Tuttavia, con qualsiasi tipo di ferrochelante, i pazienti vanno monitorati, molto da vicino, perché ognuno di loro ha una storia e un modo di reagire diverso”.
Delle complicanze epatiche, problemi e prospettive, ha parlato invece la dott.ssa Alessandra Mangia della divisione di gastroenterologia della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.
Un Centro di Epatologia che offre disponibilità costante, anche telefonica (tel. 0882-416271) a tanti talassemici pugliesi.
Ha ricordato come la terapia di contrasto all’epatite C ha preso il via negli anni novanta con l’Interferone standard per poi passare all’Interferone peghilato associato alla Ribavirina.
Risposte positive si sono registrate nel 25 – 50% dei pazienti trattati con questa terapia.
A questo proposito è stato ricordato dal dott. Cianciulli che nello scorso luglio è stata pubblicata sulla G.U. la legge che autorizza l’uso dell’associazione Interferone-Ribavirina nei talassemici.
Il tema è stato presentato dal dott. Stefàno il quale ha ricordato che gli antiossidanti vennero introdotti già diversi anni fa come supporto alle terapie convenzionali di questi pazienti.
“Per poter andare a proteggere la membrana esterna dei globuli rossi – ha detto Stefàno – abbiamo cominciato ad usare la “Vitamina E”.
Successivamente l’abbiamo associata all’Acido lipoico e poi al Resveratrolo.
La risposta è stata eccellente, soprattutto nelle talassemie intermedie dove da 7 grammi di emoglobina si è passati ad 8,5”.
Anche il prof. Tarozzi dal canto suo ha evidenziato le ottime proprietà del Resveratrolo ed ha parlato degli studi in corso sugli estratti di curcumina e piperina.
“Gli antiossidanti – ha poi concluso il professore modenese – rappresentano un modo per rendere le terapie più efficaci”.
LA NASCITA DELL’IO NELL’EMOFILIA
Abbiamo concluso il 2009 con l’apertura di una rubrica tenuta dal dott. Enrico Gentili, emofilico e psicologo, di cui abbiamo anche pubblicato alcuni libri da lui scritti. Questa rubrica si è aperta con un titolo:
“La nascita dell’io e l’emofilia”. Voleva essere un invito al dibattito perché l’argomento importante e poi trattato da un diretto e doppiamente interessato, stimolava quanto l’importanza della terapia.
Il tema della nascita psicologica, e quindi anche della “rinascita psicologica”, o esistenziale, è in realtà frequentemente trattato, ma quasi sempre in termini psicoterapici, poetici, letterari, sociali e anche religiosi.
Sono infatti molte le occasioni della nostra vita nelle quali, per i più svariati motivi, sentiamo di cambiare, di essere diventati diversi, nuovi.
Queste esperienze, siano esse evolutive, cioè di miglioramento, oppure involutive, cioè di peggioramento della personalità dell’individuo che cambia, sono comunque livelli dell’io inesplorati prima, strutturatisi in modo nuovo e a volte fortemente divergente rispetto ai percorsi personali precedenti.
Le tappe scolastiche, la patente, il fidanzamento, la scoperta della sessualità, il lavoro, il matrimonio, la nascita dei figli, le separazioni, l’invecchiamento e i lutti; queste sono soltanto alcune di quelle esperienze che, in qualche modo, ci costringono a rinascere.
Poi ci possono essere eventi ancora più intensi e radicali, che riescono addirittura a sconvolgerla l’identità.
In questi casi si possono produrre tali modificazioni nel proprio stile di vita e nella personale percezione e valutazione della realtà, da portare l’individuo a non riconoscere più se stesso.
Noi, a questo punto, ci poniamo un quesito ben preciso.
Questa identità che nell’arco di una vita si modifica così spesso, quando nasce?
Nessuno ha mai fatto le lastre all’io, nessuno lo ha mai fotografato o analizzato nelle sue componenti chimiche, se mai esistono veramente, attraverso un prelievo del sangue.
Eppure l’io esiste, esiste l’identità.
Il tutto avviene intorno ai primi tre anni di vita, a volte ce ne vogliono quattro, più raramente cinque, attraverso sei fasi, sei tappe, con tempi e caratteristiche diversi.
Lo sviluppo di ognuna di queste fasi e la sua prima strutturazione definitiva, creano le basi per la futura personalità dell’individuo.
La prima fase che il bambino appena nato attraversa per cominciare a conquistare la sua unica e irripetibile identità, si chiama Fase dell’Autismo Naturale.
La parola autismo fa paura, giustamente.
È una grave malattia, quasi sempre della malattia, quasi sempre della crescita, che impedisce totalmente o in grossa parte la comunicazione del bambino con i suoi simili e col mondo.
Nel nostro caso però questa fase è una indispensabile porzione di tempo, subito dopo la nascita, nella quale il neonato è protetto da un programma naturale che gli fa attivare i sensi molto gradatamente, in modo tale che la potenza degli stimoli del mondo non traumatizzi un cervello e una sfera emotiva non ancora pronti.
Dopo questa prima fase arriva quella Simbiotica, molto più lunga e complessa della prima. Il piccolo comincia ad attivare i sensi in modo sostanziale. Gli occhi si spalancano cominciando a mettere a fuoco con sempre maggiore precisione gli oggetti del mondo e della conoscenza.
In questo momento i suoi sensi, la sua percezione sempre più accurata, lo fanno incontrare con la presenza fondamentale per la sua crescita: l’adulto delle cure primarie.
Con l’adulto che si prende cura di lui il piccolo allaccia quindi una relazione simbiotica, cioè di dipendenza totale.
Lo sviluppo di questa fase creerà le basi per lo stile di attaccamento e di relazione degli individui, tutto giocato sulle dualità contatto-distacco, e dipendenza-indipendenza.
La fase Simbiotica Primaria finisce quando inizia la fase della Sperimentazione Passiva.
Sappiamo molto bene come le cure genitoriali siano indispensabili per la corretta crescita di un figlio per molti e molti anni.
La Fase della Sperimentazione Passiva, che di solito si presenta intorno ai sette-otto mesi, è caratterizzata dal fatto che il bambino, pur volendo rimanere in braccio al genitore, comincia a sporsi fuori e a indicare gli oggetti che vuole toccare, manipolare, conoscere.
Intorno al compimento del primo anno di vita, il bambino diventa capace di camminare autonomamente, tale conquista apre lo scenario a cambiamenti e sviluppi assolutamente eccezionali.
Poter camminare da un posto all’altro avendo le braccia e le mani libere di toccare, prendere e manipolare in moltissimi modi diversi, permette al piccolo di fare una quantità enorme di esperienze di primo apprendimento.
Durante questi mesi il cervello umano riceve una quantità e una qualità di dati tale da non essere paragonabile con nessun altro momento della vita successiva.
Ogni contatto, ogni esperienza, sono caratterizzati dalla potenza emotiva della “prima volta”.
Il concetto del dentro potremmo associarlo all’io; io sono tutto ciò che c’è dentro di me, tutto ciò che sento e che provo.
Quello del fuori invece può essere accompagnato all’idea del non-io.
Fuori di me esistono tutte le cose che non sono io, le cose diverse da me.
Da questa iniziale e primordiale distinzione, comincia a prendere forma la prima struttura dell’io. In tal senso gioca un ruolo importantissimo la proibizione, il no.
Il bambino infatti inizia a rendersi conto di essere un individuo separato dall’adulto che lo ha curato e lo cura quotidianamente, proprio quando le sue gambe lo cominciano a portare lontano, e la sua voglia di toccare tutto e di esplorare ogni spazio, gli procura le prime proibizioni, i primi no.
Nella Fase della crisi di riavvicinamento, detta anche Fase Poetica, subito successiva a quella della Sperimentazione, e spesso ad essa intrecciata, il piccolo uomo vive le prime profonde sensazioni di separazione e unicità.
Il trovarsi e ri-trovarsi da solo e perduto nel bosco del mondo, dove le sue gambe e il suo istinto di esplorazione lo hanno portato, produce in lui forti bisogni di rassicurazione. Il bambino può scoppiare in pianti improvvisi e apparentemente immotivati, corre spesso da una stanza all’altra in cerca della madre o di chi ne fa le veci, per effettuare quello che in gergo psicologico si chiama “rifornimento affettivo”.
Il genitore deve saper pronunciare con la giusta intensità due verità apparentemente opposte: “- si caro, per un po’ tornerò ad essere io il tuo mondo -”, e subito dopo: “- non sono solo io il tuo mondo, ce n’è un altro che ti aspetta! -”.
Alla fine di questo processo, quando le sue dinamiche principali si sono svolte in modo sufficientemente armonioso, il cucciolo della specie umana conquista la Fase della Costanza Oggettuale.
Siamo intorno ai due anni e mezzo, più spesso, a volte quattro.
La mente del bambino ha raggiunto la capacità di rappresentare, nell’immaginazione, la presenza abbastanza stabile e sicura di tutti gli elementi esistenziali e affettivi più importanti.
Le sue cose più preziose esistono anche se non le vede: i genitori, la casa, i giocattoli, gli amichetti ecc.
Per questo il distacco col suo mondo, quello della socializzazione primaria, è sopportabile.
Noi vorremmo solo proporre una riflessione legata al fatto che l’emofilia, soprattutto sporadica, si manifesta, imprevista, come malattia proprio nel momento della crescita del quale il bambino comincia a muoversi di più, a esplorare, a distaccarsi dalla relazione simbiotica con l’adulto che lo ha tenuto in braccio per quasi un anno.
Le conseguenze di tale coincidenza evolutiva sono naturalmente diverse in relazione all’efficacia delle terapie mediche utilizzate negli anni.
Le proibizioni da parte del genitore arrivavano al figlio appena deambulante, cariche di ansia, preoccupazione, se non addirittura angoscia.
Frequentemente si strutturava ella personalità del bambino diagnosticato come emofilico una inibitoria associazione tra curiosità, gioco e movimento, e malattia, sanguinamento, dolore, anche quello familiare.
La parola d’ordine di quasi tutti i genitori di allora e anche di molti medici, era infatti: “sta fermo! Non ti muovere”.
Il piccolo era colpevole perché non era stato fermo, aveva cioè disubbidito. La madre era colpevole, oltre che per la colpa generica e genetica di essere portatrice, anche per il fatto di non aver dato l’ordine in modo efficace, o per aver perso di vista il suo “piccolo Zar” destinato a un mondo tutto imbottito di ovatta.
Il padre perché di solito assento o troppo aggressivo, perso dietro l’illusione di poter dimenticare in vari modi il dolore di sentirsi ferito da una prole malata, segno vergognoso della qualità scadente del proprio seme.
Oggi, le moderne cure per l’emofilia, hanno cambiato sostanzialmente il quadro della situazione, e anche i vissuti interiori dei protagonisti.
Noi non crediamo però che tali importantissimi progressi abbiano cancellato totalmente alcuni rischi psicologici che di seguito cercheremo di chiarire.
Infatti l’identità nascente, in evoluzione dinamica verso la prima costanza e stabilità delle sue funzioni fondamentali, non può comunque eludere la diagnosi di malattia genetica, né l’impatto con la necessità continua delle terapie.
È importante quindi evitare il più possibile che il bambino invece che identificarsi con i suoi talenti, le sue fantasie e desideri più avventurosi, si identifichi col limite della malattia che, per i primi anni, resterà per lui misteriosa e comprensibile solo attraverso le reazioni e le spiegazioni dei suoi genitori e dei parenti significativi.
Nella famiglia possono nascere rifiuti reciproci più o meno nascosti ed incrociati, che finirebbero inevitabilmente per scaricarsi tutti sul bambino, con sostanziale atteggiamenti di abbandono o di iperprotezione.
Il rischio per il figlio emofilico, in questi casi, è quello di vivere l’infanzia con l’oscura convinzione di non essere degno di amore, e di aver deluso i genitori procurando loro le maggiori preoccupazioni.
Sappiamo inoltre quanto sia emotivamente impegnativo il percorso individuale di accettazione e adattamento nei confronti di terapie impegnative da dover somministrare a un proprio caro o autosomministrarsi.
Nella famiglia possono nascere rifiuti reciproci più o meno nascosti ed incrociati, che finirebbero inevitabilmente per scaricarsi tutti sul bambino, con sostanziali atteggiamenti di abbandono o di iperprotezione.
Il rischio per il figlio emofilico, in questi casi, è quello di vivere l’infanzia con l’oscura convinzione di non essere degno di amore, e di aver deluso i genitori procurando loro le maggiori preoccupazioni.
Sappiamo inoltre quanto sia emotivamente impegnativo il percorso individuale di accettazione e adattamento nei confronti di terapie impegnative da dover somministrare a un proprio caro o autosomministrarsi.
Il farmaco ci consola, ci tranquillizza e ci cura, ma ci ricorda anche il limite della nostra biologia e della nostra condizione personale. Ci ricorda che il corpo è vulnerabile e invecchia; a volte è “sbagliato e diverso” fin dall’inizio.
Se il minore emofilico si convincerà che la sua libertà, i suoi giochi, il gusto dei rischi che si vorrà prendere sono, per così dire, di serie B, perché possibili solo previa assunzione continua di farmaci, il successo delle attuali terapie sarà solo parziale.
Quindi terapie come risorse, come possibilità di trovare nel mondo, nel lavoro degli altri e dell’intelligenza umana, la soluzione dei propri problemi.
Non terapie come dipendenza o segno di inferiorità e diversità.
Nell’infanzia, soprattutto in una società competitiva ed efficientista come la nostra attuale, ogni minima differenza tra bambini può essere vissuta come frustrante ed emarginante, sia per i minori che per i genitori stessi.
Per questo, secondo noi, non si deve cadere nell’errore di sottovalutare certe difficoltà di accettazione e adattamento nei confronti dell’Emofilia, anche se le cure contemporanee hanno creato prospettive di vita nettamente migliori.
La malattia, nell’identità del bambino e della sua famiglia, esiste ancora.
Esiste ancora il malato di emofilia e, per dirla con una metafora, la famiglia ammalata di emofilia.
Se vogliamo che i moderni presidi terapeutici raggiungano l’obiettivo di creare condizioni esistenziali gratificanti e ricche di prospettive, dobbiamo ricordare questo e intervenire di conseguenza.
Se un corpo è finalmente curato, vuol dire che era ed è ammalato.
Dobbiamo arrivare a conoscere come questa verità è vissuta dai malati stessi, anche quelli perfettamente curabili, se mai ne esistano veramente.
Nei centri ematologici e trasfusionali sparsi sul territorio, che si dedicano all’assistenza degli emofilici, centri per fortuna sempre più numerosi, andrebbe strutturata secondo noi una serie di servizi di analisi e sostegno psicologico specifici e mirati.
L’obiettivo finale può essere riassunto con l’immagine suggestiva del sorriso infantile e dell’applauso degli adulti quando un bambino fa i suoi primi passi da solo.
Inizia qui il “rapporto d’amore col mondo”, anche per un emofilico. Facciamo in modo che non si debba interrompere o ridimensionare proprio sul nascere.