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2013: MA I CITTADINI SONO TUTTI UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE?

Iniziare il 2013 con la citazione di un articolo della Costituzione Italiana ha avuto un significato legato alle leggi ed alla difesa dei cittadini più deboli. Un argomento che non abbiamo mai dimenticato di avere nei nostri articoli in tutti gli oltre quarant’anni di vita del nostro giornale.

“LO STATO TUTELA LA SALUTE DELL’INDIVIDUO”

Cari amici lettori, oggi, 5 febbraio 2013, di ritorno da una importante riunione con le autorità sanitarie delle provincie romagnole, durante la quale si è deciso sul miglioramento dell’assistenza e della cura alle persone con emofilia, avevo deciso di parlare, in questo editoriale, convinto del buon lavoro svolto in questa sede ed anche per ripercorrere le tappe più importanti, di questi quarant’anni del nostro giornale (qualcuno di voi certamente ricorderà quel mese di aprile del 1974).
Poi, seduto a tavola per il pranzo, ho visto ed ascoltato un programma su RAI-TRE dal titolo: “Fuori-TG”.
La conduttrice ha esordito leggendo l’articolo 32 della nostra costituzione: “Lo Stato tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure adeguate agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
La trasmissione è continuata con alcune testimonianze di donatori di sangue che hanno parlato delle motivazioni a questo dono, per ricordare come oggi ci sia grande necessità e soprattutto come la donazione sia sicura, non come succedeva negli anni ‘80 quando ci furono le infezioni da HCV ed HIV.
La premessa è stata voluta: “…perché abbiamo deciso – ha affermato la conduttrice – di riaprire una notizia di cui non si parla molto spesso, quella delle cause e degli indennizzi a favore delle persone che negli anni ‘80 appunto sono state infettate da sangue, plasma o emoderivati infetti”.
Perbacco!!! Mi sono detto.
Chissà che non ci siano delle novità che con conosciamo, dopo le cocenti delusioni del 2012.
Soprattutto la transazione, ferma al punto in cui quasi tutti coloro che attualmente fanno parte del gruppo, sanno di essere stati “scippati” da un Decreto del Ministero della Salute che pone la prescrizione a 5 anni.

MA I CITTADINI NON SONOTUTTI UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE?
Oggi che abbiamo raggiunto un livello ottimale di cura, non possiamo retrocedere soltanto perché lo Stato dice di non aver soldi.
Soltanto in questo modo non saremo un peso per la società nella quale viviamo.
La difesa dei diritti dei più giovani passa anche attraverso il rispetto di tutti gli altri, quelli che si sono trovati a dover combattere prima contro la malattia, poi contro le infezioni ed oggi non vedere riconosciuti i loro diritti o peggio, vederli calpestati da decreti oltretutto illegittimi.
Ed ho ripensato ancora alla trasmissione “Fuori-Tg” nella quale i redattori hanno mostrato alcuni cartelli nei quali erano state rivolte ai telespettatori alcune domande.
Molti di voi, cari amici lettori (causa un altro dei tanti ottimi servizi e cioè quello postale) riceveranno questo numero di “EX” a risultati elettorali acquisiti e quindi avrete modo di sapere quale parte politica dovremo ricontattare ancora una volta, per sapere se questa ulteriore vergogna tutta italiana avrà un sussulto verso l’articolo 1 della Costituzione.
E soprattutto per voi che avete avuto la pazienza di leggere questo primo editoriale del 2013, scusandomi con coloro che non vorrebbero sentire sempre parlare di leggi o di indennizzi, dico che chiedere insistentemente la difesa dei diritti significa anche difendere ciò che abbiamo acquisito, soprattutto in termini di assistenza e di cura.
Significa soprattutto difendere i giovani ed i ragazzi, affinché non debbano più soffrire per colpe o errori non loro.

Abbiamo poi ripreso nello stesso numero l’intervento del nostro avvocato sulle responsabilità del Ministero.

RESPONSABILITÀ DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Già in un articolo apparso sul numero di EX di giugno-luglio 2012 avevamo scelto di parlare delle cause in corso per i contagiati da sangue infetto, denunciando le disomogeneità esistenti in giurisprudenza in tema di delimitazione temporale della responsabilità del Ministero della Salute. Il punto dolente, infatti, era (e purtroppo, in certi casi, è ancora) l’individuazione del momento in cui le infezioni ematiche sono divenute conosciute e conoscibili, poiché è solo da quel momento che il Ministero della Salute ha assunto l’obbligo di preservare i destinatari del sangue e degli emoderivati dal contagio con le infezioni stesse. Il concetto è chiaro: può aversi responsabilità per la trasmissione di una patologia solo se la patologia è nota.
Nell’articolo avevamo ricordato, peraltro, come il problema fosse stato sostanzialmente risolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 11 gennaio 2008, n. 581, la quale affermava, da un lato, che il Ministero risponde per il contagio da HIV, HCV e HBV a partire dalla data di conoscenza della (sola) HBV, considerando AIDS, epatite C ed epatite B un unico evento lesivo, e, dall’altro, che il rischio di trasmissione di epatite virale era “già ben noto sin dalla fine degli anni ’60 – inizi anni ’70”. Già all’epoca, infatti, era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus e sussistevano precisi obblighi normativi in ordine ai controlli sul sangue dei donatori: conclusione coerente è che il Ministero dovrebbe risarcire le persone contagiate – da uno dei tre virus indifferentemente – a partire dalla fine degli anni ’60, poiché già disponeva degli opportuni strumenti.
A fronte di sentenze di rigetto così motivate, molti hanno deciso di rivolgersi alla Corte d’Appello.
Oggi però, a distanza di mesi, possiamo dire che a Bologna, la realtà a noi più familiare, qualcosa è cambiato: ecco perché abbiamo deciso di riparlarne su queste pagine. Con una sentenza del 25 ottobre 2012, arrivata come un raggio di sole da una cortina di nubi, un Giudice da poco assegnato al Tribunale del capoluogo ha infatti riconosciuto il diritto di due nostri assistiti, moglie e figlio di un emofilico deceduto, a ricevere un risarcimento per la morte del marito/padre, dovuta ai virus dell’epatite C e dell’AIDS contratti per via ematica.
Vista la data di nascita del defunto (1965), il Ministero della Salute aveva ribattuto che l’infezione avrebbe potuto risalire anche a quell’anno, con ciò mirando ad escludere la propria responsabilità, appunto per la mancanza, a metà degli anni ’60, di utili metodi diagnostici.
Il Giudice chiarisce: “In realtà, non è dimostrato che vi furono trasfusioni sin dalla nascita; soprattutto, il fatto che la domanda di indennizzo fu presentata nel 1994, induce a ritenere che la conoscenza si ebbe pochi anni prima; non certo 30 anni prima, essendo inverosimile che per 30 anni non si siano avuti sintomi della patologia”. Poi prosegue: “Il punto è importante, perché, collocata la trasfusione infetta (o le trasfusioni infette) dopo fine anni sessanta, si predica la colpa del Ministero. Secondo la giurisprudenza consolidata, sin da fine anni sessanta era nota la pericolosità intrinseca nelle trasfusioni, sì che era imposto al Ministero un obbligo di controllo e direttiva sulla gestione del sangue”.
Purtroppo, tuttavia, vi sono ancora Tribunali che si discostano dall’orientamento della Cassazione e continuano a respingere le richieste risarcitorie per infezioni avvenute, anche solo presumibilmente, fino alla fine degli anni ’70. Inoltre, rimane per tutti valido il famigerato scoglio della prescrizione, che priva dell’equo ristoro coloro i quali, seppure senza colpa, hanno tardato a richiederlo, aggiungendo – è il caso di dirlo – ingiustizie ad un’ingiustizia.

Dott.ssa Giulia Massari, Studio Legale Calandrino

È RESPONSABILE IL MINISTERO DELLA SALUTE PER I CONTAGI DA HBV, HCV, HIV?

Una tra le questioni più spinose per chi ha instaurato o instaurerà una causa contro il Ministero, infatti, riguarda l’epoca del contagio, cioè la risposta alla domanda “quando, presumibilmente, è avvenuto il contatto con i virus HIV, HBV o HCV?”, poiché, in giurisprudenza, era radicato il convincimento che prima della messa a punto di ciascun test di identificazione virale non potesse individuarsi la responsabilità della pubblica Amministrazione. Nello specifico, il test per la rilevazione dell’HBV si è perfezionato nel 1978, quello per l’HIV nel 1985 e quello per l’HCV nel 1988: di conseguenza, il Ministero della Salute veniva riconosciuto colpevole del contagio con la rispettiva patologia solo a partire da queste date.
Lentamente e con alcune resistenze, registratesi ad esempio a Bologna, i Tribunali di tutta Italia si sono adeguati all’impostazione sostanzialista adottata dalla Corte di Cassazione. Superiamo dunque i confini emiliano-romagnoli, per dare una rapida occhiata alle pronunce giurisprudenziali favorevoli ai danneggiati e, in relazione al profilo in esame, più significative.
La sentenza 17 maggio 2012 n. 5801 del Tribunale di Milano, già ricordata nei precedenti articoli sul tema, riveste forse l’importanza massima, dal momento che, attraverso essa, il Giudice ha condannato il Ministero della Salute a rispondere per trasfusioni infette effettuate addirittura nel 1968; ma qualche mese prima il Tribunale di Ancona, con la sentenza 28 marzo 2012 n. 470, era arrivato a conclusioni non dissimili, riconoscendo la colpa del Ministero per una trasfusione avvenuta nel 1969, in esito alla quale una signora, poi deceduta, aveva contratto l’epatite C. Tale ultima pronuncia ricorda come “già a seguito della L. n. 592/67 sussiste[ssero] obblighi normativi in ordine ai controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto”.
Il Tribunale di Milano, comunque, è tornato presto a manifestare i suoi intendimenti: con sentenza del 29 maggio 2012 ha condannato il Ministero della Salute a risarcire il danno cagionato ad una donna che aveva contratto infezione cronica da HCV tramite una trasfusione del 1983, con sentenza 15 giugno 2012 n. 7296 lo ha condannato a risarcire cinque persone talassemiche (o i loro eredi), ammalatesi di epatite C a causa di trasfusioni subite negli anni ’70.
Si è pronunciato favorevolmente, altresì, il Tribunale di Torino, nelle sentenze n. 5174 e 5206 del luglio 2012, a firma di due Giudici diversi, laddove ha riconosciuto il diritto delle attrici a ricevere dal Ministero della Salute il risarcimento per aver contratto il virus dell’epatite C mediante trasfusioni, cui si erano sottoposte negli anni 1985-1986. Il Tribunale di Catania ha riconosciuto la responsabilità del Ministero in relazione a trasfusioni eseguite nel 1975 e nel 1980 (sentenza depositata il 28 gennaio 2013), il Tribunale di Ancona, nuovamente intervenuto sul tema, per trasfusioni avvenute nel 1978 (sentenza 21 marzo 2012 n. 438), la Corte d’Appello di Roma per trasfusioni avvenute nel 1981 (sentenza 21 gennaio 2013 n. 383).
Il 23 gennaio 2013, con la sentenza n. 1592, la Corte di Cassazione, suprema istanza della giurisdizione ordinaria, ha ribadito ancora una volta che già dalla fine degli anni ’60 – inizi anni ’70 “sussistevano obblighi normativi … in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto”.

Dott.ssa Giulia Massari, Studio Legale Calandrino

QUALI RICADUTE POSSONO ABBATTERSI SULLE CAUSE PER RISARCIMENTO DANNI DA SANGUE INFETTO?

Con Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in Legge 7 agosto 2012, n. 134, il legislatore ha apportato alcune sostanziali modifiche al giudizio d’appello previsto dal codice di procedura civile, prima fra tutte la creazione del cosiddetto «filtro in appello».
Tale novella legislativa si applica dal giorno 11 settembre 2012.
Per rispondere a questa prima esigenza, il legislatore ha introdotto un giudizio d’inammissibilità per i giudizi di secondo grado: ai sensi del nuovo art. 348 bis, comma primo, c.p.c. è previsto che “Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”. Una prima critica a tale novella legislativa è costituita dal fatto che al giudice di secondo grado sembra essere concesso un margine di giudizio troppo indefinito ed eccessivo, poiché gli consente di dichiarare inammissibile un’impugnazione che pure possa avere una probabilità di essere accolta, ma che tale probabilità sia a suo giudizio non «ragionevole».
Ma che incidenza può avere tale modifica nelle cause per risarcimento dei danni subiti a seguito di trasfusioni di sangue e/o assunzione di emoderivati infetti?
Giova citare l’esempio della causa di primo grado rigettata per prescrizione del diritto al risarcimento del danno subito da colui che è stato contagiato da epatite e/o HIV: in questo caso il giudice dell’impugnazione potrebbe applicare in modo automatico il meccanismo del c.d. «filtro in appello», senza approfondire la situazione specifica che gli si presenta e, di conseguenza, dichiarare inammissibile il giudizio d’appello già alla prima udienza, confermando così la sentenza di primo grado.
Tale riforma appare censurabile anche perché il giudice dell’impugnazione può ritenere che la causa non abbia “una ragionevole probabilità di essere accolta”, e quindi dichiarare l’appello inammissibile alla prima udienza, tramite il semplice “riferimento a precedenti conformi” (art. 348 ter, primo comma, c.p.c.).
Dunque, questa nuova riforma sembra introdurre la possibilità per il giudice d’appello di dichiarare inammissibile l’impugnazione con il semplice “riferimento a precedenti conformi”, non solo senza istruire e trattare la causa in modo approfondito, ma neppure giustificando tale sua scelta.
Tale meccanismo sembra avvicinare il nostro ordinamento al principio del c.d. precedente vincolante, tipico dei sistemi di common law.
A seguito della riforma, quindi, sarà possibile chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova o di nuovi documenti solo qualora “la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. Ciò significa che al danneggiato incomberà il dovere di produrre tutti i documenti e di avanzare tutte le richieste di ammissione dei mezzi di prova (ad esempio, consulenza tecnica medico legale o ammissione di testimoni) nel giudizio di primo grado, altrimenti perderà qualsiasi possibilità di farlo nel successivo grado di appello.

Avv. Alberto Marin del Foro di Bologna
Studio Legale Calandrino

LA PIÙ GRANDE TRANSAZIONE DELLA STORIA DELLA REPUBBLICA ITALIANA SI STA RIVELANDO UN GRANDE BLUFF

Sono avvocato e dovrei esaminare la situazione solo sotto un profilo giuridico.
Ma la “storia” delle transazioni con gli emodanneggiati nasce da lontano ed è una storia prima di tutto politica, che nasce da un’esigenza politica: definire il contenzioso giudiziario in essere con una soluzione extragiudiziale.
Per dare una risposta di vera giustizia a una delle più terribili vicende della sanità del nostro Paese.
Una soluzione che doveva trascendere i più stretti vincoli processuali e… “volare alto”.
Così fu nel 2003 con circa 700 emofilici, così voleva il legislatore quando avviò nel dicembre 2007 questo iter transattivo.
Un alto dirigente del Ministero della Salute andava ripetendo in quei mesi: “sarà la più grande transazione della storia della Repubblica italiana”.
Oggi siamo qui fra le macerie: centinaia, migliaia, di preavvisi di rigetto, ai quali iniziano a seguire i rigetti definitivi, questi ultimi formulati in maniera quasi irriverente rispetto al lavoro di noi avvocati: ”preso atto che le controdeduzioni presentate dalla S.V. non contengono ulteriori elementi utili…” la domanda non è accolta.
Peccato che è la stessa frase utilizzata in casi anche molto diversi tra loro, a fronte di approfondite e personalizzate controdeduzioni, la stessa frase inviata a più legali.
Chissà, forse il 10% dei 7 mila danneggiati che avevano fatto domanda di accesso alla transazione potrà sperare di essere ammesso. Chissà.
La più grande transazione della storia della Repubblica italiana si sta rivelando un grande bluff.
Oggi il Ministero della Salute si difende affermando che non può non attenersi ai vincoli indicati dall’Avvocatura dello Stato e che spetta “ai politici” trovare una soluzione.
Non sono così convinto di questa spiegazione: il legislatore nel dicembre 2007 fu chiaro sia nella formulazione delle norme di legge, sia nella “presentazione” fattane in parlamento (era chiara, infatti, la “ratio” della legge).
Certamente la crisi economica e quella politica, oserei dire di sistema, hanno complicato il quadro: sono mancati e mancano i veri interlocutori, chi può e vuole decidere.
Abbiamo assistito a uno “scaricabarile” generalizzato. Sulla pelle dei danneggiati, sulla pelle dei familiari dei deceduti.

Avv. Marco Calandrino del Foro di Bologna

LO STATO DELL’ARTE SULL’INDENNIZZO DELLA LEGGE 210/92 E SULLE RICHIESTE DI RISARCIMENTO

L’INDENNIZZODELLA LEGGE 210/92
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale del novembre 2011 sulla 2° componente dell’indennizzo legge 210/92 (indennità integrativa speciale) è dovuta la rivalutazione in base al TIP (tasso inflazione programmato): circa 300 euro in più a bimestre.
Corte di Cassazione e Giudici di merito seguono in maniera uniforme tale impostazione.
Ecco perché Ministero dell’Economia, Regioni e Ausl stanno pagando (non tutti per la verità), con decorrenza 1 gennaio 2012, o 1 gennaio 2013, tali importi.
Invece per ottenere gli “arretrati” (riferiti al periodo antecedente) ad oggi è necessario fare causa e ottenere una sentenza.
Sempre in riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale, tutte le cause hanno esito positivo: potete leggere molte sentenze, a titolo di esempio, alla pagina documenti del mio sito web.

3 SETTEMBRE – LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA
Con sentenza del 3 settembre 2013, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, ha condannato lo Stato Italiano a pagare gli “arretrati” della rivalutazione a tutti: bisognerà vedere se lo Stato Italiano impugnerà la sentenza oppure no, e se, quando e come la eseguirà.
La Corte Europea ha infatti stabilito che lo Stato Italiano dovrà fissare, entro sei mesi a partire dal giorno in cui la sentenza diventerà definitiva, un termine avente natura obbligatoria entro il quale si impegna a garantire, per mezzo di misure legali ed amministrative appropriate, la realizzazione effettiva e rapida dei diritti in questione, in particolare attraverso il pagamento della rivalutazione dell’I.I.S. a tutte le persone che beneficiano dell’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 a partire dal momento in cui quest’ultimo è stato riconosciuto ed indipendentemente dal fatto l’interessato abbia o meno introdotto un procedimento giurisdizionale volto al suo ottenimento.
Però, in attesa che lo Stato Italiano paghi a tutti i beneficiari anche gli “arretrati” della rivalutazione…(come S.Tommaso, finché non tocco, non credo), la strada più diretta è promuovere un giudizio avanti il Tribunale competente, sezione Lavoro.
Costi ridotti, tempi generalmente brevi (massimo un anno), esito certo; sui tempi, per la verità, esistono alcune eccezioni negative di tribunali particolarmente “ingolfati” che rinviano le udienze d’ufficio, portando la durata della causa anche sino a due o tre anni di tempo.
Ad oggi, ormai, il Ministero della Salute ha rinunciato a proporre appello, e quindi le sentenze favorevoli passano in giudicato, cioè diventano subito definitive.
Rimane poi il problema dei tempi di pagamento: il Ministero sta pagando quanto statuito in sentenze che risalgono a fine 2011 o inizio 2012.
Ecco perché molti legali, fra cui il sottoscritto, hanno promosso e promuovono una serie di giudizi di ottemperanza avanti i TAR (Tribunali Amministrativi Regionali) competenti, giudizi che durano qualche mese, e che di solito “costringono” il Ministero a pagare rapidamente (una sorta di “corsia preferenziale”).

CAUSE PER RISARCIMENTO DANNI
Sulla Rivista “EX” abbiamo pubblicato nei mesi scorsi alcuni articoli che analizzavano i profili della responsabilità del Ministero della Salute in relazione all’epoca del contagio, della prescrizione, del rapporto con l’indennizzo di cui alla legge 210/92: sul sito web del mio studio li potete trovare e leggere alla pagina documenti.
Questo tipo di cause (di risarcimento danni) procede con “fortune alterne”, a seconda dei tribunali e a seconda dei giudici.
Nonostante la Corte di Cassazione, infatti, abbia dato orientamenti al riguardo, ogni singolo giudice si muove in autonomia, come peraltro il nostro ordinamento permette, non esistendo il principio del precedente giurisprudenziale vincolante.
Col risultato, però, che identiche situazioni vengono valutate diversamente.
Anche il comportamento della nostra “controparte”, il Ministero della Salute, non è uniforme, poiché le diverse Avvocature Distrettuali dello Stato hanno strategie processuali non sempre identiche: capita così, per esempio, che una sentenza sfavorevole al Ministero non venga impugnata e fatta così passare in giudicato, mentre contro un’altra -molto simile- venga proposto appello.
Chi si trova oggi nel dubbio se proporre una causa di risarcimento oppure no, valuti attentamente col proprio legale di fiducia i vari profili, nonché i costi-benefici. Se si decidesse di non procedere, può essere comunque opportuno inviare al Ministero della Salute una raccomandata con avviso di ricevimento con la richiesta di risarcimento dei danni, in modo da interrompere il decorso della prescrizione.

ITER TRANSATTIVO DI CUI ALLE LEGGI 222 E 244 DEL 2007
Dopo il decreto ministeriale del luglio 2012 che ha fissato criteri molto stretti e penalizzanti, il Ministero della Salute dal mese di ottobre 2012 sta inviando a mezzo pec (posta elettronica certificata) dei “preavvisi di rigetto”, cioè delle comunicazioni con le quali preannuncia l’esclusione dalla transazione con l’indicazione dei motivi: in genere decorso di 5 anni fra la domanda ex lege 210/92 e l’inizio della causa, oppure di 10 anni dal decesso della persona e l’inizio della causa da parte degli eredi, oppure la presenza di almeno un episodio trasfusionale (o assunzione di emoderivati) prima del 1978, oppure per aver iniziato la causa di risarcimento successivamente al 1° gennaio 2008.
A tali preavvisi di rigetto gli avvocati dei danneggiati possono presentare delle osservazioni che, scrive il Ministero, verranno tenute in considerazione nel provvedimento definitivo: in realtà ciò non mi risulta, in quanto i successivi provvedimenti definitivi di rigetto, che il sottoscritto e molti Colleghi hanno ricevuto, contengono solo una “clausola di stile” -identica per tutti- con la quale si afferma che le osservazioni non contengono elementi utili.
I provvedimenti definitivi di rigetto sono impugnabili entro 60 giorni avanti il Tar Lazio oppure entro 120 giorni con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Non mi risultano ad oggi pervenute decisioni di accoglimento di domande di accesso alla transazione.
Non sono neppure in grado di dire quando sarà completato l’esame di tutte le domande da parte del Ministero.
Comunque, purtroppo, la stima che facemmo, ossia che solo un 10% dei danneggiati sarebbe stato ammesso alla transazione, si sta avverando.
Da segnalare, infine, che con una serie di “sentenze gemelle” (l’ultima il 9 agosto 2013, riguardante proprio i miei clienti), relative a vari ricorsi collettivi di gruppi di interessati alla transazione, il TAR Lazio ha giudicato illegittima l’esclusione dalla transazione di quei soggetti con almeno un episodio trasfusionale (o assunzione di emoderivati) prima del 1978; il Tar Lazio ha invece ritenuto ammissibile l’esclusione per prescrizione o i diversi importi per categoria di danneggiati.
Contro queste sentenze sono in preparazione i ricorsi in appello al Consiglio di Stato; in parallelo dovranno essere proposti singoli ricorsi, al Tar Lazio, contro i singoli provvedimenti definitivi di rigetto.

Avv. Marco Calandrino del Foro di Bologna

LA (IN)CERTEZZA DEL DIRITTO

L’art. 24 della Costituzione Italiana afferma: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
L’art.111 poi spiega: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.
Le legge ne assicura la ragionevole durata”.
Partendo da questi princìpi molto chiari vorrei fare una breve riflessione.
Da anni seguo in molti tribunali e corti d’appello d’Italia cause per risarcimento danni da emotrasfusioni infette e per indennizzo legge 210/92: una materia molto particolare, direi specifica.
Avevo messo in conto la possibilità che la giurisprudenza potesse subire delle evoluzioni, avevo messo in conto che potessero coesistere diversi orientamenti, anche perché in Italia non vige il principio del precedente vincolante.
Quello che non avevo messo in conto, e che continua a stupirmi, sono le enormi differenze da tribunale a tribunale, da corte a corte, sia in relazione ai tempi, sia riguardo al merito.
Mi chiedo perché una causa di puro diritto e con la giurisprudenza ormai consolidatasi (dal novembre 2011 la Corte Costituzionale ha di fatto messo la parola “fine” ad ogni dubbio), come quella per ottenere la rivalutazione dell’indennizzo ex lege 210/92, debba durare qualche mese avanti alcuni giudici e 4 anni avanti altri.
Mi chiedo perché in certi tribunali la sentenza venga pronunciata alla 1° udienza, mentre in altri vengano fatti due o tre rinvii “per discussione”.
Come dicevo, trattasi di questione di puro diritto, già risolta in via definitiva da Corte di Cassazione, Corte Costituzionale, Corte Europea di Strasburgo.
Gli interrogativi aumentano quando riscontro tali differenze di tempistica all’interno dello stesso tribunale, cioè fra i diversi giudici.
Più articolato è il profilo delle cause per risarcimento danni, ma pure in tale materia non è facile districarsi: alle differenze di tempi si aggiungono orientamenti molto discordanti.
I giudici hanno idee diverse sul momento in cui inizia a decorrere la prescrizione (dies a quo), sulla sussistenza della responsabilità per i contagi di determinati periodi, sulla valutazione del nesso causale, etc.
Mi capitò alcuni anni fa che un giudice mi dichiarò la carenza di legittimazione passiva del Ministero della Salute, ritenendo cioè che non fosse il Ministero a dover rispondere dei danni da contagio da emotrasfusioni infette: alla lettura della sentenza mi lasciai andare a un invito al giudice a confrontarsi con la sua collega della stanza a fianco che il giorno prima aveva pronunciato una sentenza in cui invece riconosceva il Ministero come legittimato.
Come potevo spiegare al cliente che avevamo perso perchè quel giudice aveva una sua idea personale che non trovava riscontro in altre sentenze?
Come potevo chiedere al cliente l’ingente costo del contributo unificato da versare allo Stato per impugnare la sentenza?
E come potevo successivamente spiegare al cliente che la Corte d’Appello alla 1° udienza aveva rinviato la causa di 5 anni?
Avremo mai in Italia una Giustizia in cui si possa parlare di certezza del diritto?

Marco Calandrino Avvocato del Foro di Bologna

Come secondo argomento più trattato nel 2013, senz’altro le nostre inchieste sul funzionamenti dei Centri di cura, siano essi per gli emofilici che quelli dei talassemici.
In questo caso abbiamo parlato con il prof. Masimo Morfini, presidente di AICE e responsabile del Centro di Firenze.

A COLLOQUIO CON IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA CENTRI EMOFILIA (AICE)

Abbiamo fatto visita al dott. Massimo Morfini nella sua veste di presidente della Associazione Italiana dei Centri Emofilia per fare il punto sulla cura e sui Centri ed il riconoscimento degli stessi.

Affrontando i problemi ortopedici degli emofilici, sappiamo che a Firenze avete anche un Centro che è considerato fra i migliori in Italia.
Il vostro reparto ortopedico a Careggi com’è strutturato?
“Abbiamo una nostra equipe con il prof. Innocenti direttore della clinica ortopedica nella quale esegue chirurgia ortopedica d’elezione.
Il reparto di ortopedia è stato ristrutturato e diviso in due parti: l’ortopedia traumatologica e la chirurgia d’elezione, poi vicino al reparto della clinica ortopedica c’è il reparto di riabilitazione del dott. Pasquetti dove i pazienti vengono trasferiti dopo 2 settimane di degenza post operatoria.
Fanno ancora 2 settimane di riabilitazione prima di tornare a casa.
Un intervento di protesi richiede una degenza di 4 settimane, 2 in clinica ortopedica e 2 nel reparto di riabilitazione che dispone anche di una piscina e una palestra molto bella. Ci sono poi molti fisioterapisti capaci di rimettere in piedi il paziente”.

Avendo la possibilità di dialogare con il presidente dell’AICE non possiamo dimenticare ciò che sta avvenendo nel nostro Paese in alcune Regioni (ultima in ordine di tempo il Veneto) sul problema dei prodotti per l’emofilia.
Si parla e si agisce oggi in direzione del risparmio dimenticando anche quelle che sono le disposizioni in fatto di continuità terapeutica. Parliamo del problema degli emoderivati e dei ricombinanti.Siamo andati a leggere le ultime linee guida compilate dall’AICE e vorrei riportare quella che noi consideriamo un’affermazione importante che dice: “…frequenti cambiamenti del prodotto utilizzato per la terapia sostitutiva devono essere vietati se non sostenuti da motivazioni solide”.

Qual è oggi il parere del presidente AICE?
“Le linee guida dell’AICE sono del 2003 quindi sono abbastanza vecchie e dovrebbero essere aggiornate. Per quanto riguarda il passaggio da un prodotto all’altro il così detto “switch” sembra che questo non comporti un maggior rischio di sviluppo di inibitori almeno secondo i dati più recenti.
In Inghilterra ad esempio, una grossa percentuale di pazienti cambia prodotto da un anno all’altro perché lì c’è la gara nazionale e vince un unico prodotto o perlomeno un prodotto che va per la maggiore.
Un anno vince una ditta, l’anno dopo ne vince un’altra e dai dati che abbiamo al momento sullo switch sembra che non ci sia un maggior rischio di inibitori, quindi le linee guida andrebbero modificate in tal senso.
Noi stiamo cercando di rivedere le linee guida del 2003, non è un processo facile anche perché non tutti i miei colleghi si sono espressi in maniera chiara.
Parlo della proposta delle linee guida presente da Mannucci–Santagostino che sono state bocciate seppure con due voti di scarto nella votazione scrutinio segreto fatto a Firenze nel novembre 2011.
Ora lentamente stiamo cercando di riprendere il filo del discorso. Purtroppo non c’è molta partecipazione da parte dei Centri emofilia a questa discussione perché probabilmente alcuni hanno timore di esprimere palesemente il loro parere anche se poi nel segreto dell’urna lo esprimono.
Noi dell’AICE non condividiamo le scelte fatte solo in base al costo del prodotto, bisogna considerare che i prodotti ricombinanti non sono tutti uguali e dover essere costretti a scegliere solo in base al costo non è la soluzione ideale dal punto di vista nostro.
Bisogna tenere anche conto della condizione del paziente non tanto delle condizioni della borsa.
Speriamo presto di arrivare ad emettere delle nuove linee guida se riusciremo ad avere il consenso di tutti gli iscritti all’AICE.
Se non ci sarà un consenso generale riporteremo le opinioni punto per punto dei vari medici che operano nei vari Centri emofilia italiani”.

A proposito dei Centri Emofilia, a che punto è l’accreditamento?
“Stiamo portando avanti il progetto ed abbiamo ispezionato una ventina di Centri nel 2012 ed entro il 2013 pensiamo di arrivare ad ispezionare tutti i Centri che avevamo stabilito di controllare.
Purtroppo il programma del 2013/2014 deve essere rifinanziato, perché per il momento è stato finanziato fino alla fine del 2012.
Spero di ottenere il finanziamento e il supporto dei nostri soci sostenitori per rilanciare il programma del 2013/2014”.

Come vede l’AICE la perdita di professionalità che si sta delineando nel nostro paese per quanto riguarda il ricambio nei medici che curano gli emofilici.
“Io penso invece che ci siano tanti nuovi giovani abbastanza validi. Certamente la situazione è più favorevole al nord che al sud.
Noi come AICE organizziamo tutti gli anni corsi di addestramento e di formazione a Milano, a Firenze e anche all’estero.
Non sarei così pessimista riguardo al ricambio generazionale perché credo che ci saranno delle nuove leve molto valide”.

I convegni medici sono stati sempre una nostra priorità per l’informazione dettagliata ai pazienti e questo incontro tra tutti i responsabili dei Centri emofilia italiani, che è stato un dibattito a trecentosessanta gradi sulla cura globale dell’emofilia, non poteva sfuggirci. Ne documentiamo i pazzi più importanti.

 LA PROFILASSI E LA FARMACO-CINETICA IN EMOFILIA

 

I livelli di cura raggiunti oggi nel nostro paese per quanto riguarda l’emofilia sono tra i migliori al mondo ma c’è sempre margine per un continuo miglioramento anche se in questi anni di crisi economica si parla in modo esagerato di costi per la terapia, senza tenere conto che risparmiare nell’assistenza all’emofilia vorrebbe dire ritornare ai tempi nei quali l’artropatia era la causa maggiore di invalidità, con un aumento di costi molto più elevati, ma questo purtroppo fa parte di quella lungimiranza che i nostri amministratori e responsabili delle strutture sanitarie non hanno e che, sono incentivati, soprattutto al risparmio. Noi sappiamo però che tutti i maggiori scienziati del mondo ci dicono che la profilassi può essere migliorata personalizzandola, anche con ricadute positive nei confronti di quella che viene definita la farmaco-economia.
Tratteremo in questo numero, in riferimento al convegno “Hemocases 2013”, proprio l’argomento che riguarda la sessione: “Universo profilassi: efficacia, compliance, qualità della vita – tracciando nuove rotte”
Lo faremo attraverso la relazione della dott.ssa Elena Santagostino Responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Emofilia presso l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano la quale ha voluto precisare la sua intenzione di aggiornare e discutere con i medici presenti il modo moderno di fare la profilassi, ricordando in apertura d’intervento, come la profilassi sia iniziata con modalità abbastanza diverse da quelle attuali ormai più di venti anni fa, nel paese che è stato l’avanguardia in questo la Svezia.
“Ricordiamoci innanzitutto – ha detto testualmente – che per pensare a come fare al meglio la profilassi bisogna innanzitutto avere l’adesione del paziente”.
Ha parlato dell’importanza di avere un modello farmacocinetico che permetta di individualizzare al massimo i regimi di trattamento, anche se questo non rappresenta l’unico strumento idoneo ad adeguare la profilassi al singolo paziente. L’altro elemento che oggi diventa altrettanto importante è la valutazione farmaco-economica che ormai sempre di più in medicina fa parte integrante dell’iter decisionale terapeutico.
La dottoressa Santagostino, proseguendo nel suo intervento non ha dimenticato di fare riferimento ai costi con i quali si devono scontrare giornalmente i medici che curano gli emofilici.
“Siamo costretti a farci i conti – ha proseguito – ma ho anche il piacere in questa relazione di dire che non sempre fare i conti con la farmaco-economia vuol dire dover lesinare in termini di terapia o vuol dire dover recedere dall’ambizione di avere il massimo del risultato.
Credo che nel settore della profilassi ci sia modo di fare economia pur non facendola in termini di risultati. Questo si è ottenuto con anni di esperienza, diversi approcci ed in diversi paesi che hanno più o meno soldi per fare la profilassi”.
Perché l’idea di migliorare la profilassi e come, si è chiesta la dott.ssa Santagostino e ribadendo il come, ha insistito sull’importanza dell’adesione del paziente che si deve rendere conto di quanto sia migliorata la sua qualità di vita.
La relatrice ha elencato i fattori che concorrono a determinare la frequenza emorragica e la comparsa di emorragie in corso di profilassi e cioè lo stato ortopedico e la presenza di articolazioni bersaglio o di sinovite. Ha parlato dello stato muscolo-scheletrico in riferimento al fatto che l’emofilico faccia attività fisica piuttosto che si muova pochissimo. E questo influenza molto il rischio di emorragie.
Proseguendo ha detto testualmente: “La sensibilità dei pazienti di diversa età di stare sotto l’1% di fattore è diversa e quindi nuovamente questo aspetto va calibrato nel singolo e nelle varie età. In particolare questo aspetto è molto importante nei bambini dove vogliamo mantenere le articolazioni libere da emorragie. Il problema con loro è quello di mantenere il livello e quell’aderenza tale che le dosi vengano somministrate è fondamentale ma non ci possiamo fermare al livello del fattore VIII e alla farmacocinetica pensando solo alle due grosse classi di pazienti cioè pazienti adulti e pazienti pediatrici.
Indubbiamente quello dell’età è un aspetto importante e ciò che si sa è che la clearance
 (La clearance è il meccanismo di eliminazione di un farmaco dall’organismo – n.d.R.) è più elevata nei bambini e che l’emivita è più breve nei bambini. Quindi se vogliamo avere un’informazione molto grossolana ci aspettiamo che il bambino abbia bisogno di dosi un po’ più alte o forse di dosi un po’ più frequenti rispetto ad un adulto per riuscire a mantenere determinati livelli di fattore nel plasma.
Le dosi che noi usiamo in profilassi sono dosi che sono emerse da studi fatti nei bambini perché è la categoria di pazienti in cui è più importante preservare uno stato articolare normale.
La maggior parte dei dati di profilassi deriva pertanto dalle casistiche pediatriche. Le raccomandazioni di dose che abbiamo e che poi abbiamo applicato agli adulti può anche essere che possano portare negli adulti a dei livelli di fattore VIII anche più elevati di quello che servirebbe.
È importante raccogliere dati sulla profilassi nei pazienti adulti e grazie agli studi che sono stati condotti è stato possibile avere un certo numero di informazioni anche nella casistica dei pazienti adulti”.
La dottoressa Santagostino poi si pone e pone la domanda su che cosa i medici abbiano imparato riguardo alla quantità fattore VIII infuso eliminato dal circolo sanguigno.
E si risponde dicendo: “Questa grossa variabilità tra bambini e adulti non c’è. Il messaggio è per quello che riguarda la terapia a domanda e il controllo delle emorragie indubbiamente possiamo generalizzare la dose che usiamo con più serenità mentre ciò non può avvenire per quello che riguarda le dosi della profilassi”.
Poi di nuovo si pone un’altra domanda su cosa si sa per il fattore IX.
E di nuovo questa è la risposta: “Per quello che riguarda la clearance altrettanto con il fattore IX ricombinante, perché questi studi sono stati fatti solo con il fattore IX ricombinante, la variabilità che abbiamo nella clearance non è così vistosa come quella che si vede nel fattore VIII. In sostanza utilizzando il fattore IX ricombinante a dosaggi di profilassi non vi è una grossa differenza di dosaggio da utilizzare per mantenere quel livello di 1% nell’arco delle varie età per cui diciamo che forse nell’emofilia B è più possibile una generalizzazione”.
A questo punto si chiede ancora che cosa bisogna fare con questi regimi.
“Prima di tutto dobbiamo capire che cos’è il regime fisso e il regime individualizzato.
Il regime fisso, per definizione è un dosaggio calibrato sul peso corporeo, non aggiustato su parametri farmacocinetici, come ad esempio la classica profilassi tre volte a settimana. Un tempo si cercava sempre un aggiustamento con la dose fissa e la dose aumentata il venerdì. Ma non dava garanzie di non avere emorragie, per di più risultava anche anti economico, quindi oggi sappiamo inadeguato.
Per il dosaggio individualizzato si può ottimizzare la dose su una base empirica, su una base clinica, oppure si può ottimizzare il dosaggio confidando nella farmacocinetica non solo nella clinica ma facendo i dosaggi.
Diciamo che la farmacocinetica agisce sui nostri pazienti perché sono diversi e le famose unità pro chilo agiscono diversamente da un paziente all’altro”.
In conclusione del suo intervento la dott.ssa Santagostino mostrando alcune diapositive ha illustrato dettagliatamente ai medici presenti i vari modi di intervento.
Una raccomandazione importante che ha dato è stata quella dell’importanza della registrazione delle infusioni ricevute dal paziente.
“Sono convinta che il dosaggio vada individualizzato rispondendo ai bisogni dei nostri pazienti. Questo non porterà ad un aumento del costo ma una riduzione che è auspicabile ed è molto importante per riuscire a dare profilassi a tutti i nostri pazienti con emofilia grave e a tutte le età se è necessaria.
Va tenuto conto che queste nozioni farmacocinetiche sono solo uno strumento nelle nostre mani e non la magica soluzione e poi oltre a questo è importante l’occhio clinico e la registrazione da parte del paziente per poter aggiustare il regime.
Se il paziente non registra i trattamenti l’aggiustamento clinico non è possibile”.

Nelle stesse due giornate mediche di “Haemocases” c’è stato lo spazio per un dibattito approfondito sulla “spending review” che documentiamo dettagliatamante.

TERAPIA E CRISI ECONOMICA: IL VALORE REALE DEL TRATTAMENTO

Il moderatore ha esordito spiegando la serie di manovre iniziate per quanto riguarda il comparto della sanità con due decreti estivi d’emergenza nel 2011 e poi arricchite da altri interventi tra cui il più famoso “spending review” del 2012.
Che cosa rappresentano queste manovre per la sanità pubblica?
“Sostanzialmente – ha detto testualmente il dott. Fassari – avranno un impatto dal punto di vista della diminuzione del finanziamento. La convinzione del Governo, e del Ministero dell’Economia è che in sanità ci sia ancora molto da risparmiare perché manca efficienza, non c’è un ragionamento attento nell’acquisto di beni e servizi”.
Detto con un linguaggio più semplice: purtroppo ci sarà ancora da tagliare.
“Si è provveduto con questa logica – ha proseguito – del taglio lineare e tra i tanti, uno riguarda i farmaci. Nelle dichiarazioni del Governo queste misure dovrebbero avere un impatto zero, ovvero che le AUSL e gli ospedali sono comunque tenuti a garantire la stessa qualità e quantità di servizi e prestazioni. Una sfida difficile soprattutto laddove, per una maggiore efficienza delle amministrazioni in alcuni comparti, dei risparmi importanti sono già stati conseguiti, un taglio del 10% su un acquisto di beni e servizi laddove negli anni sono già stati operati risparmi ed è comprovato fino al 30-35%, certamente avrà un impatto diverso rispetto ad un’altra regione dove su quel settore non si è fatto nulla.
Tant’è che le Regioni non hanno voluto firmare il nuovo patto per la salute.
Questi provvedimenti sono in Gazzetta Ufficiale, sono operativi ed in parte già attuati. Ma il grosso verrà poi nei tre anni che abbiamo davanti”.
Il moderatore si è quindi chiesto come si inserisce in questo contesto l’emofilia, ripromettendosi di scoprirlo (ottimista!!).
“Posso anticipare – ha proseguito – che proprio partendo dal piccolo, dal caso specifico, si può valutare se questa logica di taglio trasversale poi non ha un impatto sui livelli e sulla qualità dell’assistenza soprattutto laddove siamo di fronte ad una patologia ed a dei pazienti che affetti da una malattia comunque limitata rischia di essere in qualche modo tracimata in un progetto generale di razionamento dei servizi che poi bisogna vedere se non si traduce in una perdita di accesso terapeutico di presa in carico complessiva del singolo paziente”.

L’INEVITABILE CRESCITA DELLA SPESA SANITARIA
Il primo a intervenire è stato il prof. Giuseppe Turchetti, Associato di Economia e Gestione delle imprese alla Scuola Superiore di Pisa.
“È una sorta di grido d’allarme – ha affermato – che nasce dal trend in crescita nel corso degli anni e che vede purtroppo un duplice effetto: il primo comporta un andamento tendenziale di lungo periodo e continuerà a proseguire in questa direzione la crescita della spesa sanitaria.
Crescerà perché molte malattie si cronicizzano, perché c’è un’innovazione tecnologica, ci sono più opportunità per spendere, c’è un’attenzione diversa alla dimensione della salute nei cittadini, c’è una domanda di personalizzazione e di differenziazione dei servizi che si ricevono. Ciò che desta preoccupazione in questi anni è che non cresce il PIL (prodotto interno lordo).
Cosa fare per gestire questa problematica che nel medio-lungo periodo ci accompagnerà e che già oggi crea serie preoccupazioni in termini di sostenibilità?
Le misure sono diverse, alcune sono state perseguite. Un’indicazione è quella di ricercare margini di efficienza all’interno del sistema.
Si è tradotto quest’obiettivo in varie misure, negli anni 2000, tutte procedure di revisione degli acquisti di beni e servizi in sanità, processi di logistica, la ridefinizione dei percorsi diagnostico terapeutici. Tutte misure indirizzate a cercare di recuperare i margini di efficienza bene o male che siano state perseguite”.
Ha parlato del decreto Balduzzi e di altri interventi normativi che vanno nella direzione di chiusure di strutture, di riduzione del numero di posti letto per abitanti, di ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza.
“Ora c’è da capire – ha proseguito – come verrà realizzata, cioè ritoccare al ribasso quell’insieme di servizi, di prestazioni che oggi vengono erogate gratuitamente a tutti i cittadini.
Un’altra strategia per gestire il tema della sostenibilità è quella di recuperare risorse aggiuntive, tema centrale all’interno del dibattito, cioè come riuscire ad affiancare al finanziamento pubblico, meccanismi di finanziamento aggiuntivi.
Poi c’è l’ultimo tema che purtroppo è il più semplice di tutti, quello di andare a intervenire su alcuni capitoli di spesa che sono più evidenti, come l’innovazione e la parte tecnologica, sia esso farmaco sia esso dispositivo”.

NON CI SONO ANCORA INDIRIZZI PRECISI SUL RISPARMIO SICURO
A questo proposito il moderatore ha rivolto una domanda al prof. Turchetti affermando che qui siamo di fronte a delle norme già in Gazzetta Ufficiale.
“Leggiamolo come una segnalazione di una presa di coscienza del problema perché non dimentichiamoci che per tanti anni si è cercato di eludere il tema.
L’aspetto positivo è che se ne parli, l’aspetto non positivo è che non ci sono indirizzi precisi su come riuscire a perseguire questo obiettivo che è estremamente ambizioso.
La lista che ho fatto è, da un punto di vista tecnico, quello che diverse linee d’azione che si possono perseguire. Ciascuna di queste linee d’azione ha vantaggi e svantaggi, crea incentivi e disincentivi all’interno del sistema, diversi di questi interventi non sono a disposizione del governo centrale ma sono a livello regionale”.
Ecco, appunto, le Regioni.
Il Governo emana provvedimenti, il parlamento legifera. Quando si parla di sanità, poi queste norme in qualche modo devono essere applicate e gestite dalle Regioni e non tutte sono uguali.
Ecco quindi la richiesta di intervento al dott. Marcello Pani, Direttore delle farmacie dell’Area vasta nord ovest Toscana.
La Toscana perché è considerata tra le regioni “virtuose” ed è riuscita a equilibrare costi e qualità dei servizi.
Il dott. Pani ha precisato che il suo è una sorta di ruolo ponte, costretto da un lato a tirare i cordoni della spesa ai medici e dall’altro sotto l’occhio del ciclone dell’amministrazione.
Si è poi rivolto ai medici presenti in platea dicendo: “Se vi ricordate questa mattina vi è stato chiesto se avete avuto finora delle limitazioni nel trattare i vostri pazienti, è stato mai negato un farmaco o la scelta di un farmaco che a vostro avviso era il migliore per il vostro caso clinico. Nessuno è intervenuto, il che farebbe pensare che la sostenibilità del sistema e in particolare per la patologia che stiamo trattando in questo convegno, sia al momento, un dato di fatto.
Purtroppo non è così. È solo apparenza perché il dato più significativo che lo conferma è il numero di giorni con cui la pubblica amministrazione paga le aziende farmaceutiche.
Ci sono Regioni che hanno due anni di arretrato nel pagamento dei fornitori e tra queste immagino ci sono presenti le aziende farmaceutiche che sviluppano e commercializzano i farmaci per l’emofilia. Questo cosa vuol dire? Sì è vero che il farmaco non vi è mai stato negato però probabilmente siamo già in rosso, lo stiamo dando senza pagarlo.
Aggiungo anche che la legislazione vigente con i suoi tagli lineari penalizza quelle regioni che negli ultimi anni hanno già intrapreso delle azioni per rendere più efficiente ed a impatto zero per il paziente il sistema. La Toscana ha riorganizzato il servizio sanitario prevedendo una razionalizzazione delle risorse, una centralizzazione delle funzioni. Di qui nasce “l’area vasta”. Finora ci si è potuti permettere nell’ambito territoriale in cui ho il piacere di lavorare, anche di non far pagare il ticket.
Quest’anno siamo stati costretti a non poterlo più fare, introducendo di nuovo il ticket, quindi vedete come in sostanza il ragionamento del taglio lineare probabilmente colpisce di più le regioni o le amministrazioni che sono state finora più virtuose.
Non so se ci sarà un impatto zero per i pazienti e per le terapie ma cercheremo con la razionalizzazione delle risorse di limitarla al massimo”.

SERVE UNA DISCUSSIONE TRA I VARI ATTORI DEL SISTEMA SANITARIO
Per concludere questo argomento il moderatore ha fatto intervenire il prof. Pier Luigi Canonico Presidente della Società Italiana di Farmacologia con una domanda molto precisa sul come viene vista la sanità, se solo come un fattore di spesa e se si può cambiare indirizzo.
“La nostra società è stata sempre impostata come società scientifica di ricerca.
In questi ultimi 5-6 anni abbiamo realizzato che il ruolo deve essere un ruolo più ampio, cioè ci dobbiamo porre le problematiche della sostenibilità, dell’accesso al mercato dei farmaci senza tralasciare l’elemento che ci caratterizza cioè la ricerca stessa.
Sottolineo quanto diceva il prof. Turchetti e cioè che la sostenibilità è un problema internazionale che riguarda soprattutto il mondo occidentale e l’Europa in particolare.
Si calcola che in 20/30 anni nessun sistema sanitario soprattutto pubblico potrà permettere l’accesso di tutti i farmaci a tutti i cittadini. Quindi è un problema assoluto che ci dobbiamo porre che è aggravato per fortuna soprattutto nel mondo occidentale dall’aumento della durata della vita, dal fatto che richiediamo sempre più un miglioramento della qualità della vita che è un elemento di fondamentale importanza che almeno nel resto d’Europa è un elemento caratterizzante di ogni tipo di farmaco che viene autorizzato all’emissione in commercio.
Il dato da cui dobbiamo partire è che uno dei target preferenziali è sicuramente il farmaco perché è più facilmente individuabile e perché è anche quello che in passato ha avuto anche delle responsabilità nell’incremento della spesa ma che non deve essere visto soltanto come costo.
Dobbiamo incominciare a intendere il farmaco non soltanto da un punto di vista del Ministero della Salute ma anche da quello delle attività produttive.
Dobbiamo tenere in considerazione la ricerca come ad esempio quella clinica che permette di curare un numero di malati a costo zero per il servizio sanitario nazionale.
Sicuramente i tagli possono essere fatti, le razionalizzazioni possono essere fatte ma con una discussione tra i vari attori del sistema”.
A questo punto del dibattito la parola è passata a coloro che vivono e lavorano direttamente a contatto con le persone.
Il dott. Fassari si è rivolto alla Dott.ssa Rocino: “Lei ha sentito tre interventi che vengono da tre esponenti che pur con specificità diverse danno un quadro generale della situazione attuale.
Lei è responsabile del Centro Emofilia dell’ospedale San Giovanni a Napoli. Dal suo punto di vista questi scenari: sostenibilità a rischio, tagli che non tengono conto delle specificità, investimenti più o meno bloccati. Tutto questo lo vivete con drammaticità?”.
Prima di rispondere direttamente alla domanda ha guardato la platea e si è rivolta a sua volta ai colleghi.
“Io direi che è ancora più drammatica la maniera in cui io e tutti gli altri medici la viviamo e le persone presenti in questa platea sono al 90%, medici e in questo momento mi rivolgo direttamente a loro chiedendo conferma di quanto affermo. La viviamo in maniera più drammatica perché non si capisce e come si inserisce il ruolo del medico in questo scenario.
Cioè nella pratica che cosa viene richiesto al medico?
Finora abbiamo ragionato in questi termini e cioè che il nostro compito è quello di curare il malato, mentre prenderci cura del malato non è proprio la stessa cosa e nello stesso tempo utilizzare in maniera onesta e appropriata le risorse che abbiamo a disposizione.
E siamo stati fieri di aver raggiunto determinati obiettivi, uno di questi per esempio è aver allungato la vita media degli emofilici, aver assicurato loro una migliore qualità di vita, cercare di far si che siano inseriti degnamente nel mondo produttivo.
È ovvio che tutto questo comporta un utilizzo di risorse oltre che di farmaci. Risorse che sono non soltanto spesa per l’acquisto dei farmaci ma anche risorse personali, emotive a volte anche da parte del medico.
A fronte di questi obiettivi che noi siamo fieri di aver raggiunto, oggi ci si dice sì ma bisogna fare dei tagli lineari. Dove?
Qualcuno mi dovrà pur dire dove, perché io non sono capace di comprendere dove andrebbero fatti questi tagli assicurando però questi obiettivi che sono già stati raggiunti e che quelle che in un’altra terminologia sono i livelli minimi di assistenza.
Io credo che non sia possibile a meno che non ci si trovi di fronte a delle realtà davvero anomale.
Mi spiego meglio.
E’ vero che uno spreco è uno spreco e va evitato, ma il mantenimento dei livelli di assistenza che consenta di avere per i nostri pazienti assicurati questi obiettivi, mi riesce molto difficile capire come possa essere ottenuto”.

 IN MOLTE REGIONI DIFFICOLTA’ DI ACCESSO AI CENTRI ED AI MEDICI CON ADEGUATA ESPERIENZA
Anche Gabriele Calizzani, presidente della Federazione Emofilici ha affrontato l’argomento ma dalle parte dei pazienti.
“Siamo molto preoccupati anche perché già siamo in difficoltà come organizzazione nazionale a rispondere alle continue istanze che ci vengono dalle associazioni locali che riguardano difficoltà di accesso ai Centri di trattamento, difficoltà di accesso ai medici che abbiano un’esperienza di trattamento dell’emofilia. Per non parlare poi delle difficoltà di tipo sociale anche nell’inserimento nella scuola stessa.
Ora si aggiunge la difficoltà di accesso ai regimi di trattamento ed ai farmaci stessi, per cui la prospettiva dei prossimi due anni ci mette molto in difficoltà soprattutto perché non abbiamo un interlocutore unico.
Ci sono 21 sistemi regionali con cui avere a che fare.
Questo è il primo aspetto che vorrei in qualche modo si prendesse carico il prossimo governo, perché una sanità di questo genere, soprattutto per chi è affetto da malattie rare, non è gestibile perché vengono fatte delle scelte spesso di razionamento senza essere esplicitate e condivise con i pazienti.
La scelta di una Regione differisce dall’altra, quindi noi vorremmo avere un’interlocuzione unica perché siamo consapevoli di essere in una situazione economica complessiva generale che ci costringe in qualche modo a fare delle rinunce o comunque a mettere nel conto.
Ma se ci fosse dall’altra parte un’interlocuzione seria che copre tutti gli aspetti dal farmaco all’assistenza, allora ci sarebbe una buona predisposizione”.

“L’appropriatezza prescrittiva può esserci soltanto con una organizzazione efficiente”

Calizzani ha così risposto: “Noi ci stiamo provando con le risorse che abbiamo per far passare un messaggio diverso. Un’appropriatezza prescrittiva possa avvenire solo nell’ambito di un’appropriatezza organizzativa ovvero quello con cui abbiamo lavorato fino ad ora nel corso degli ultimi anni è quello di garantire una rete efficace di assistenza dei Centri in tutto il territorio nazionale perché laddove non esistono questo genere di competenze, ovviamente lì si possono creare delle situazioni di criticità nel non controllo della spesa oltre a non trattare bene i pazienti e non avere un ritorno migliore delle risorse che vengono impiegate.
Eravamo partiti nel 2010, sulla scorta di un’attività che aveva fatto l’AICE, di un percorso di accreditamento tra pari. Noi abbiamo voluto portare questo accreditamento a livello di un tavolo istituzionale. Dalla Commissione Salute è stato fatto un gruppo di lavoro a livello nazionale coordinato dal Centro Nazionale Sangue e sono state prodotte delle raccomandazioni che interessano la programmazione regionale e la definizione di quelle attività o requisiti che devono avere i Centri emofilia a cui le regioni devono rispondere in termini di livelli essenziali di assistenza.
Il prossimo 19 di febbraio dovrebbe essere discussa propria in seduta tecnica della conferenza Stato-
Regioni (vedere alla pagina 15 uno stralcio dello schema di accordo siglato il 20 febbraio – n.d.R.) questo documento che se non altro fissa dei binari ben precisi per quanto riguarda la rete di assistenza e su questo devo ringraziare oggi chi ci ospita perché per prima ha visto quest’importanza di sviluppare un tema in termini di accreditamento e ha dato fiducia a Fedemo in questo percorso che oggi vede un tappa importante perché stabilire delle raccomandazioni definizioni sui centri emofilia su tutto il territorio nazionale già vuol dire garantire singoli pazienti indipendentemente dall’area geografica.
Oggi a questa interlocuzione che siamo riusciti ad avere su livello nazionale ancora non c’è sul piano del farmaco e effettivamente assistiamo a delle situazioni molto difficili in un po’ tutte le regioni soprattutto laddove vengono prese delle decisioni dove le associazioni non vengono interpellate da questo punto di vista.
Io credo che in questo momento di situazione economica generale laddove soprattutto le certezze dal punto di vista scientifico non sono così definitive, non siamo oggi in grado di tagliare in maniera così definita alcune aree in grado di dare delle raccomandazioni così precise anche sull’utilizzo di questi prodotti.
Laddove queste incertezze ci sono, laddove nuovi studi emergono che mettono in discussione anche quello che poteva essere una certezza precedente forse è meglio procedere con cautela o a vista ma soprattutto se si prendono delle decisioni devono essere fatte in qualche modo compartecipate con i clinici, con l’associazione dei pazienti e se volete anche con le aziende.
Laddove esiste un contesto preciso vi sia anche una maggiore disponibilità anche delle aziende ad avere un atteggiamento corretto, attento ad una logica di lungo sistema piuttosto che una logica di medio termine”.

“Esiste in maniera seria il problema del ricambio generazionale fra i medici”

Il moderatore si è rivolto ancora alla Dott.ssa Rocino in riferimento al ragionamento sulla terapia più appropriata.
“Non solo sono totalmente d’accordo con quello che ha detto Calizzani ma ho necessità di aggiungere qualcosa in più. Purtroppo in una patologia come l’emofilia essere garantiti sul fatto che il livello assistenziale sia mantenuto è un qualche cosa che non può essere verificato ne a pari termine ne a medio termine solo a lunghissimo termine. Gli effetti di un’alterazione di una gestione terapeutica in un bambino di oggi può riflettersi in quello che sarà la qualità di vita di quel bambino a 20/30 o 40 anni e quel soggetto a 40 anni può costare al sistema sanitario nazionale centinaia di volte in più rispetto a quanto sarebbe costato se a quel bambino di oggi fosse assicurato il livello assistenziario il migliore possibile e questo è la peculiarità vera di questa malattia per cui è questo che chi deve prendere delle decisioni politiche di allocazione della spesa deve tenere in considerazione non può aspettarsi di vedere a breve termine gli effetti di un cambiamento di rotta e non avrebbe poi la possibilità di cambiare strada.
La seconda cosa di cui secondo me bisogna tener conto è riguardo alla questione dell’appropriatezza. Il concetto di appropriatezza da un punto di vista medico passa attraverso l’educazione, cultura del medico, acculturamento del medico ma anche esperienza e quando noi oggi nei Centri emofilia che pure secondo la Federazione delle Associazioni Emofilici sono ancora pochi, assistiamo che anche in quei pochi Centri non c’è il ricambio generazionale.
L’età media dei medici che lavorano nella mia USL è di 50 anni.
Negli altri Centri, salvo qualche fortunatissimo caso in cui ospedale e Centro convivono, questa è l’età media se non più alta.
E dico fortunati quei Centri che sono poi anche universitari non perché la struttura come ospedaliera riesca a far di più ma perché vengono utilizzati gli specializzandi sui quali però è chiaro che uno fa un investimento ma non è detto che sia sicuro perché lo specializzando domani che pure oggi fornisce manodopera in un Centro emofilia domani potrebbe appassionarsi in un altro campo oppure non trovando una locazione che gli dia un futuro sicuro giustamente cambia strada.

CONSIDERARE GLI EFFETTI A LUNGO TERMINE DELL’APPROCCIO TERAPEUTICO
In conclusione del dibattito il dott. Pani ha paventato la possibilità di mettere in concorrenza le aziende produttrici dei farmaci fissando delle soglie al di sopra delle quali non si può andare oppure adottare la strategia di non rimborsare tutto il costo del farmaco.
“La concorrenza funziona – ha affermato – quando metto in confronto fra di loro prodotti che sono diversi l’uno dall’altro. Lascio comunque ai clinici entrare nel merito della perfetta sostituibilità fra un prodotto e l’altro.
L’altro aspetto riguarda il costo.
Ha ragione chi dice che una valutazione economica completa dovrebbe tener conto non solo del costo diretto di tipo sanitario che può essere associato al costo della terapia farmacologica ma vedere quello che è l’approccio terapeutico su molte voci di costo che non sono necessariamente quelle di costo diretto di tipo sanitario.
Ci sono altre famiglie di costo come ad esempio, molto importante, la perdita di ore di lavoro di un paziente. Per quel che riguarda l’emofilia è uno dei temi centrali compreso quello della qualità della vita.
E se non si tiene conto di queste caratteristiche fondamentali da parte dell’amministratore e succede nella stragrande maggioranza dei casi.
L’incentivo è quello di fare degli studi che tengono in considerazione tutte le voci di costo rilevanti, adottare una prospettiva di analisi che non sia semplicemente quella del pagatore attore pubblico.
Un’altra indicazione dal punto di vista metodologico è quella di cui parlava la dott.ssa Rocino è di guardare gli effetti non solo a breve termine ma nel medio e lungo termine dell’approccio terapeutico”.
Scegliamo infine di concludere questo dibattito con le parole della dottoressa Rocino che vive giornalmente a diretto contatto con i pazienti, con le istituzioni e con gli amministratori delle sanità locali. Considerazioni che tengono conto della cosa più importante, la qualità della vita legata anche ai costi, ma soprattutto rivolta alle persone che fanno parte del contesto sociale ed economico e se curate bene possono non pesare eccessivamente sui costi della sanità.
“In Italia sono 30 anni che si lavora molto bene. La produzione scientifica dell’emofilia italiana è apprezzatissima in tutto il mondo. Questo gruppo dell’AICE (Associazione Italiana Centri Emofilia –n.d.R.) è sicuramente uno dei più prolifici in termini di evidenze scientifiche.
Per tante pratiche terapeutiche che oggi sono nella prassi vedi per esempio la profilassi, le evidenze sono sostanziali. Sicuramente quello è un campo dove non si può intervenire.
A questo conteggio dei costi diretti e indiretti bisogna aggiungere le pensioni.
L’emofilico di ieri percepiva e percepisce pensioni di invalidità che rappresentano una grossa fetta di spesa per lo Stato italiano, soltanto che non vengono conteggiati nei costi sanitari ma nei costi previdenziali. L’emofilico di oggi ha buone possibilità di non dover andare a prendere denaro dal fondo previdenziale e abbassare anche di poco il livello assistenziale odierno, non assicurare la profilassi a tutti, non assicurare l’immunotolleranza ai pazienti con inibitore significherebbe andare a mettere le mani nella tasca destra e creare presupposti per pensioni di invalidità domani. Questo è quello che a mio avviso un buon amministratore deve tenere in considerazione se vuole guardare al problema a tutto tondo. Se poi si vuole guardare quello che esce dalla tasca sinistra significa prendersi in giro. È per questo forse che i conti dello Stato ci danno sempre numeri diversi a seconda di come li si guarda”.
Siamo passati come terzo argomento, ma non meno importante, alla terapia della talassemia attraverso l’informazione dal THALAMOSS diretto dal prof. Gambari di Ferrara.

THALAMOSS: VERSO UNA TERAPIA PERSONALIZZATA DELLA TALASSEMIA

Di terapia personalizzata si parla da tempo; di fatto è un diritto di tutti i pazienti, come si evince leggendo attentamente il Volume “Patient’s Rights” edito dalla Thalassemia International Federation (TIF).
Oggi abbiamo un nuovo motivo per poter sperare in un futuro che veda la messa a punto di strategie personalizzate per la cura della talassemia: il Progetto THALAMOSS, il cui acronimo significa THALAssaemia MOdular Stratification System for personalized therapy of beta-thalassaemia. Il Progetto è coordinato dal Prof. Roberto Gambari, il Direttore del ThalLab (www.talassemiaricerca.it), un laboratorio molto attivo nella ricerca sulla talassemia e che da anni collabora con numerosi soggetti del mondo accademico, industriale e associazionistico (a questo proposito un ruolo fondamentale per attivare il ThalLab è stato svolto dall’AVLT, l’Associazione Veneta per la Lotta alla Talassemia).
THALAMOSS è interamente finanziato dall’Unione Europea con più di 5 milioni di euro, e vede la partecipazione di 13 partners provenienti da 8 paesi.
Ci pare di grande impatto constatare che a coordinare THALAMOSS è proprio l’équipe diretta da Roberto Gambari, docente di Biochimica del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie.
Partito lo scorso novembre, THALAMOSS sta entrando a regime (una riunione plenaria si è tenuta nei giorni 14 e 15 gennaio 2013).
“Nella talassemia – rimarca Gambari – c’è una grande eterogeneità di pazienti. Le mutazioni della patologia sono più di 200, e di queste quattro ben identificate e caratterizzate nel nostro territorio e per le quali abbiamo con fatica prodotto negli anni passati linee di topi transgenici da utilizzare come modello sperimentale.
L’obiettivo di THALAMOSS 
– chiarisce Gambari – è correlare le caratteristiche del paziente con le sue risposte alle nuove terapie.
La speranza concreta è ripristinare la sintesi di emoglobina (adulta o fetale), così da non rendere poi necessarie le trasfusioni di sangue.
In generale si può ipotizzare di giungere, tra qualche anno, a terapie personalizzate, coniugandole con l’utilizzo di farmaci già in uso per altre patologie e con prodotti naturali, ad esempio il resveratrolo, o piante medicinali.
Il traguardo
 – chiude Gambari – è il minor utilizzo possibile delle trasfusioni, con risparmi anche per il sistema sanitario”.
THALAMOSS non ha soltanto una chiara implicazione nella caratterizzazione molecolare del paziente talassemico, ma si propone anche obiettivi diagnostici.
L’obiettivo è sviluppare nuovi protocolli diagnostici e prognostici che permettano di anticipare la risposta alle strategie terapeutiche di pazienti con un determinato assetto genotipico.
“Oggi – spiega Gambari – grazie alla diagnosi prenatale, è possibile diagnosticare un feto affetto evitando finanche di abortire, in quanto per alcuni tipi di talassemia è ipotizzabile una strategia curativa in breve tempo”.
L’approvazione del progetto THALAMOSS si inserisce in una serie rilevante di successi che il ThalLab ha recentemente ottenuto.
Ad esempio due recenti lavori sono stati pubblicati (frutto della collaborazione con il gruppo del Prof. Stefano Rivella, Cornell University, New York USA) aventi come oggetto la terapia genica della talassemia.

LA DIAGNOSTICA MOLECOLARE
Un ultimo esempio dell’attività del ThalLab (da inserire poi nell’attività del progetto THALAMOSS) riguarda la diagnostica molecolare. Un lavoro chiave è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Analytical Chemistry.
Lo studio descrive la possibilità di utilizzare una tecnologia di avanguardia, denominata risonanza plasmonica di superficie, che combinata con tecniche di analisi di immagine (SPR-I) può identificare in tempo reale la base molecolare della talassemia.
Tra le applicazioni possibili spicca la diagnosi prenatale non-invasiva.
Riguardo a questa possibile applicazione, il Ministero della Salute ha recentemente assegnato oltre 376 mila euro a Monica Borgatti, una ricercatrice di spicco del ThalLab, per un progetto triennale svolto in collaborazione con il Laboratorio Analisi Chimico-cliniche e Microbiologia dell’Ospedale S. Anna di Cona (Ferrara), diretto dal Dr. Giovanni Guerra.
“L’obiettivo – chiarisce Borgatti – è giungere alla realizzazione della diagnosi prenatale non invasiva di malattie genetiche grazie a un semplice prelievo di sangue, evitando così amniocentesi, villocentesi, fetoscopia, che comportano rischi non trascurabili per il feto e la gestante”.
“THALAMOSS s’inserisce prepotentemente in questa progettualità e riteniamo
 – aggiunge Gambari – che possa essere un momento aggregante importante di gruppi di ricerca qualificati che, se sapranno interagire al massimo delle loro potenzialità, contribuiranno significativamente allo sviluppo di strategie importanti per la diagnosi, prognosi e terapia della talassemia”.
I dati sono talmente positivi che hanno suggerito al gruppo Gambari di intraprendere una indagine di fattibilità per il trasferimento tecnologico di questa ricerca.
A tale proposito si sta lavorando attivamente per costituire una Start-up che comprende docenti dell’Università di Catania e dell’Università di Ferrara, aiutati in questa attività dalla Start-up RARE-Partners.
“Saremmo molto interessati – afferma Ilaria Lampronti, che sta seguendo in prima persona il progetto – a creare un ambiente in cui la ricerca possa essere tradotta in tempi brevi in prodotto brevettabile e in attività da esportare in ambito sanitario e industriale”.
Tornando a THALAMOSS, ci pare importante rilevare come questo progetto internazionale possa rendere la ricerca del ThalLab di Ferrara sempre più competitiva e di interesse non solo nell’ambito biomedico e sanitario.
“L’interesse per THALAMOSS – precisa Gambari – è documentato dalla volontà di collaborare espressa da numerose associazioni di pazienti, talassemici internazionali, come ad esempio TIF (Thalassemia International Federation) e CAF (Cooleys Anemia Foudation). Questo è motivo di grande soddisfazione. La volontà di rendere partecipi all’iniziativa sia il mondo accademico che il mondo industriale, uniti alle associazioni dei pazienti ci ha indotto ad organizzare un evento scientifico (Dalla ricerca di base alle applicazioni innovative nella direzione della terapia personalizzata della talassemia) che si è tenuto il giorno 14 Gennaio e ha visto la partecipazione attiva con comunicazioni orali di Sjaak Philipsen, Eitan Fibach, io stesso, Stefano Rivella, Marina Kleanthous, Petros Kountouris, Petr Holub, Matej Lexa e Frank Grosveld.
L’evento è stato seguito da oltre 100 partecipanti. Ovviamente, il successo dell’iniziativa ci sprona a continuare con determinazione i nostri studi, con l’aiuto dei ricercatori del ThalLab e la collaborazione dei nostri pazienti talassemici”.

Sempre sulla talassemia abbiamo parlato del caso del tentativo di terapia genica negli Stati Uniti dove lavora il dott. Sadelain.

TRIAL CLINICO PER LA TERAPIA GENICA DELLA TALASSEMIA GENICA ALLO SLOAN KETTERING CANCER CENTER DI NEW YORK

Dei primi pazienti arruolati e trattati secondo la tecnica illustrata dallo stesso Michel Sadelain, in effetti, non sono trapelate notizie, o meglio, non se ne è data diffusione, mentre così non è stato nel caso di Ivano, un paziente di Cagliari, molto attivo nella sua regione con talassazione, una associazione di recente istituzione.
Ivano Argiolas ha terminato la sua procedura di trapianto, non senza qualche patema, e presto rientrerà in Sardegna.
Riteniamo, a questo punto, importante definire quelli che sono i contorni del trial clinico che questi ragazzi hanno affrontato e mettere in luce alcuni aspetti che l’euforia per il successo dell’operazione rischia di oscurare. Innanzitutto l’accesso al trapianto genico è strettamente vincolato a regole piuttosto rigide ed i costi sono, per il momento, inaccessibili a chiunque, per Ivano e per gli altri è stato possibile coprirli grazie all’intervento della Fondazione Italiana “L.Giambrone” che, non solo per questo comunque, meriterebbe qualche ringraziamento in più di quelli che gli sono stati pubblicamente riconosciuti.
La Fondazione, prima di chiunque altro, la Cooley’s Anaemia Foundation in seconda battuta, ha creduto in Michel Sadelain fin dal 2000 e negli anni lo ha sostenuto riservandogli ogni possibile aiuto, sia economico che in termini di risorse umane.
In secondo luogo il trial è stato progettato per testare la sicurezza e la tollerabilità della procedura, durerà un paio di anni ancora, e deve soddisfare questi obiettivi prima di poter passare alla fase successiva. L’ultimo step richiederà un arruolamento più massiccio di pazienti e servirà a testare l’effettiva capacità della metodica di garantire una adeguata espressione del gene “corretto” nel corso degli anni, prima di poter affermare con certezza di esserci liberati definitivamente della talassemia.
Ovviamente essendo questa metodica in “fase sperimentale”, ogni eventuale intoppo, incrociamo pure le dita ma sarebbe miope non tenerne conto, potrebbe ritardarne fatalmente la licenza da parte dell’FDA per la messa in routine.
Quanto detto per significare che passeranno, nella migliore delle ipotesi, ancora diversi anni e saranno necessarie ulteriori conferme, prima che la metodica sia effettivamente disponibile.
Una cosa è certa, l’Italia, che è il paese leader nel campo delle talassemie, deve compiere ogni sforzo possibile, concentrando tutte le risorse disponibili, e lavorare in stretta connessione con le istituzioni allo scopo di organizzare sul territorio almeno un centro qualificato per rendere disponibile questa terapia innovativa che, giova ricordarlo, ha avuto da subito un imprinting tutto italiano.
Il Direttore Scientifico dello Sloan Kettering, al tempo della pubblicazione su Nature del primo studio sui ratti, infatti era il Prof. Lucio Luzzatto, già membro del Comitato Scientifico della Fondazione Italiana “L.Giambrone”, scienziato di straordinario valore umano e professionale, grande motivatore del “gruppo Sadelain” che promosse lo studio nonostante questa ricerca non rientrasse propriamente nei parametri di un istituto per la cura del cancro.
Qualunque sia l’esito finale di questo importantissimo studio, va comunque tenuto ben presente che la terapia genica rappresenta una eventualità futura, che si sta avvicinando ma ha ancora il carattere dell’eccezionalità, mentre giudichiamo che per il momento sia indispensabile mantenere il focus sulla quotidianità della cura della talassemia garantendo che i pazienti possano continuare a beneficiare degli ugualmente esaltanti progressi compiuti negli ultimi vent’anni sul terreno della clinica applicata.

Loris Brunetta

Non poteva mancare in questo 2013, una accurata informazione sull’attività delle associazioni e sulle varie iniziative, dalla talassemia attraverso UNITED, per proseguire poi con la Federazione delle Associazioni degli Emofilici ed alle iniziative della Fondazione Paracelso in occasione della Giornata Mondiale dell’Emofilia. Non ultimi poi l’incontro del Consorzio Europeo dell’Emofilia (EHC).

L’ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI TALASSEMICHE E DREPANOCITICHE

Si è svolta lo scorso 10 febbraio a Catania la 1° Assemblea Nazionale di UNITED, la Federazione delle Associazioni Talassemiche costituita nel mese di aprile 2012, che aveva lo scopo di fare il punto della situazione dopo circa un anno di attività e presentare il programma per l’anno a venire.
E’ stata un’ottima occasione per esporre il contenuto delle azioni che sono state intraprese nel corso dell’anno ed accogliere richieste ed istanze così da formulare ipotesi di programma per i prossimi mesi, ma soprattutto per ribadire le motivazioni che hanno ispirato il tentativo di ricondurre in forma unitaria il movimento nazionale sulla talassemia e la drepanocitosi, quanto mai frammentato negli ultimi anni.

PER SUPERARE FINALMENTE I PROTAGONISMI
Certo l’inopinata volontà di varare, quasi contemporaneamente ad UNITED, una seconda federazione, mancando persino di una significativa rappresentatività nazionale, solo per rispondere ad esigenze personali più che ad un vero progetto operativo, non ha arrestato il processo verso l’unitarietà, sebbene ne abbia rallentato notevolmente il percorso.
Nonostante tutto comunque, nel corso dell’anno, la presidenza di UNITED non ha lesinato ogni possibile tentativo di dialogo con coloro che si erano discostati dal progetto originario, allo scopo di ricompattare il movimento, facendo perno sulla sensibilità degli interlocutori.
La proposta avanzata per favorire il percorso di unitarietà richiedeva l’immissione all’interno del Consiglio Direttivo di UNITED di un medico.
Questa è stata respinta con forza dall’Assemblea che aveva sottoscritto la propria partecipazione federale proprio in virtù della natura con la quale UNITED è stata creata: la somma di organizzazioni per i pazienti, gestita dai pazienti, sull’esempio della T.I.F.

UNA REGOLAMENTAZIONE ATTENTA
Tutti saranno d’accordo nel definire “federazione nazionale” un’organizzazione che sia espressione delle Associazioni locali che ad essa aderiscono e con essa condividono gli scopi.
La Federazione non è una nuova realtà creata secondo criteri diversi rispetto a chi rappresenta, almeno non UNITED, e deve quindi essere regolamentata con attenzione, rispetto al contesto nel quale intende operare.
L’assemblea degli aderenti, come espressione delle realtà locali può eleggere i membri del Consiglio Direttivo solo fra coloro che sono stati delegati a rappresentare le singole associazioni che, rispettando le norme statutarie, significa il Presidente o un suo delegato.
Se non si rispettasse questa semplice norma di rappresentanza il Direttivo potrebbe essere tutto cooptato e senza alcun legame con le organizzazioni locali.
Non è quindi solo un aspetto di mera forma ma anche di contenuto.

IL DIRETTIVO ED IL COMITATO MEDICO SCIENTIFICO
Cerchiamo di non dimenticare mai la nostra esperienza passata, la thalassemia ha fatto significativi passi avanti nella cura e nella cultura sociale delle disabilità proprio nel momento in cui le associazioni dei pazienti hanno assunto un ruolo centrale nel processo di sensibilizzazione delle istituzioni, ottenendo misure importanti a sostegno sia dei centri di cura che dei pazienti stessi.
L’attività di finanziamento della ricerca clinica, se svolta, richiede espressamente che l’ente che la promuove sia esente da conflitti di interesse, cosa difficile da dimostrare se all’interno dell’organo decisionale di una organizzazione di pazienti fosse presente chi possa trarre un beneficio economico, anche indiretto.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare nel recente passato, in questo contesto di crisi è quanto mai opportuno fare ricorso ad ogni risorsa disponibile, sia sul piano sociale che scientifico.
Spinti da questa consapevolezza è chiaro che l’universo delle emoglobinopatie debba trovare quella compattezza indispensabile a non perdere ulteriormente terreno rispetto a realtà che hanno acquisito, in tempi recenti, una notevole rilevanza pubblica, pur senza avere la nostra presenza storica.
E con la visibilità arrivano anche i risultati.
UNITED, ha deciso di dotarsi, in tempi brevi, di un Comitato Scientifico che possa agire organicamente con il Direttivo e proporre attività rilevanti che sarà compito della Federazione promuovere a livello istituzionale. Nel frattempo è stato ufficializzato il cordiale rapporto attivato con la SITE, che ha portato alla nomina di due rappresentanti della Società scientifica delegati ad interagire con UNITED, a testimonianza del fatto che non esiste alcuna preclusione in merito.

Loris Brunetta

GIORNATA MONDIALE DELL’EMOFILIA
I BISOGNI SEMPLICI NEL CONFRONTO CON I SISTEMI COMPLESSI

Il 17 aprile 2013 Fondazione Paracelso ha celebrato la Giornata mondiale dell’emofilia con un convegno dal titolo “I bisogni semplici nel confronto con i sistemi complessi”.

Molti interventi, introdotti e mediati da Andrea Buzzi, Presidente di Fondazione Paracelso, hanno dato vita a un confronto a più voci sul tema centrale del convegno: sempre più oggi, come cittadini e come persone, dobbiamo confrontarci con una complessità di reti organizzative e mentali che il sistema dei servizi sanitari e sociali sembra proporre quale unica risposta possibile ai bisogni umani primari, caratterizzati al contrario dalla forza dell’urgenza e della loro comprensibile semplicità.
Luigi Macchi, Direttore Generale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ha preso per primo la parola, esprimendo grande apprezzamento per il lavoro delle associazioni di volontariato in generale, e di Fondazione Paracelso in particolare, e sottolineando come la sinergia e la collaborazione tra le istituzioni e le associazioni siano ora più che mai indispensabili per dare un corso nuovo alle politiche e alle pratiche sanitarie.
Parole confermate e riprese da Paola Mosconi dell’Istituto Mario Negri che nel suo intervento ha proposto degli interessanti esempi di metodi e modalità per coinvolgere cittadini, pazienti e loro rappresentanze nel dibattito sulla sostenibilità del Sistema sanitario pubblico, al fine di superare disfunzioni, sprechi e disuguaglianze, mediante una medicina basata sulle prove di efficacia clinica, prassi che richiede percorsi di ricerca partecipati.
Claudio Castegnaro, Vicepresidente di Fondazione Paracelso, ha richiamato l’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale è “responsabile” la società che si preoccupa dei bisogni di tutti e di ciascuno: uno spunto denso di significato per introdurre il tema delle relazioni di interdipendenza gli uni dagli altri, dei legami e delle reti intesi come paradigmi di risorse preziose.
Ne sa qualcosa Fondazione Paracelso, promotrice di reti e progetti ricordati da Claudio Castegnaro, che ha annunciato l’arrivo a Kabul, proprio il 17 aprile, dei farmaci emoderivati donati al Centro emofilia dell’Ospedale Esteqlal grazie all’accordo Stato-Regioni.
È seguita la presentazione di due progetti di punta di Fondazione Paracelso, Cominciamo da piccoli e Resilienza, energia rinnovabile, rivolti ad assistenza e ricerca: il nostro modo di destreggiarci fra bisogni, risorse e complessità.
Antonella Delle Fave, psicologa e docente dell’Università Statale di Milano, che con e per Fondazione Paracelso realizza lo studio sulla resilienza, ha mostrato come molte ricerche scientifiche evidenzino che, anche in condizioni fisiche non ottimali, individui e famiglie siano in grado di sviluppare capacità e competenze, raggiungendo un livello di adattamento alle sfide del quotidiano altamente soddisfacente.
Su tale presupposto fondante si sviluppa il progetto Resilienza, energia rinnovabile, il cui obiettivo è analizzare questa dimensione in persone con emofilia e loro familiari, dando contemporaneamente voce al vissuto di quanti parteciperanno alla ricerca.

NON ABBIAMO FATTO TANTA STRADA PER TORNARE INDIETRO

Nel cuore di Trastevere, in San Giovanni Battista de’ Genovesi, sede designata quale “Ambasciata Temporanea dell’Emofilia”, si è svolta la nona Giornata mondiale dell’Emofilia, organizzata sul filo conduttore di poter offrire il 100% di cura a tutti gli emofilici.
Lo slogan: “CLOSE THE GAP”, riguarda tutti perché suo traguardo è garantire la medesima cura e accesso al farmaco, per tutte le persone affette da questa patologia, ovunque esse siano. In Italia è garantita l’autosufficienza per i fattori plasmaderivati, ma l’accesso ad essi varia da regione a regione. Sappiamo anche che a livello mondiale solo il 20% dei pazienti ha accesso al trattamento. Da qui nasce l’accordo stato-regioni per utilizzare in modo razionale ed etico, gli emoderivati eccedenti, come ha ricordato il Presidente della Fedemo, Dott. Calizzani e che proprio oggi, ha visto realizzato il progetto di inviare 700 flaconi di FVIII, a Kabul. Alla Dottoressa Peyvandi il compito di ricordare tutte le persone che, con grande sinergia, hanno permesso la realizzazione del progetto afgano, ritenuto da molti, all’inizio, impossibile. So per certo, che se il tempo concessole, fosse stato maggiore, avrebbe raccontato la storia di quel suo breve ma intenso viaggio. Ricordi di persone incontrate, donne soprattutto, soldatesse senza armi, come sempre in prima fila a combattere contro nemici che sembrano immortali, che sono incessanti e non concedono tregua e che si chiamano insidia, fame vera, solitudine e dolore. Torniamo allora al tema della Giornata:
“NON ABBIAMO FATTO TANTA STRADA PER TORNARE INDIETRO”.
Gli intervenuti hanno dibattuto sulla necessità di salvaguardare il singolo paziente e la collettività, individuato il paziente/persona inteso come valore centrale, il dovere di cure e la solidarietà, la deontologia medica e i diritti umani. Non sono belle parole? Sono presagio di scenari fantastici, o melodie cantate al bimbo che piange, mentre fuori infuria la battaglia?
E ancora abbiamo sentito dire: “l’economia non si occupa dei soldi, ma del valore”. Roba da far saltare dalla sedia se non fosse che ormai siamo preparati a sentire di tutto. Io voglio credere a queste parole, anche se un po’ mi resta la percezione che siano state dette per farci contenti tutti, o persuaderci, o forse anestetizzarci. Tuttavia sappiamo che il problema c’è ed è più grande, va oltre la bellezza di quella magnifica e austera stanza, dai soffitti a cassettoni e dagli affreschi da poco restaurati..

L’ATTIVITÀ DELLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONE EMOFILICI (FEDEMO)

PRESENTATO IL PROGETTO MULTIMEDIALE CRESCEREMO

CrescerEMO è la prima parola che si legge nella presentazione di questa iniziativa della Federazione degli Emofilici e Renata Liotti, che l’ha presentato a Roma alla giornata mondiale dell’Emofilia, ha voluto ribadire che “Emo” è la prima parte della parola emofilia ed è anche la desinenza dei verbi al futuro.
“L’idea del progetto – ha detto Renata – nasce dal mio percorso di vita con l’emofilia. Non possiamo dire che negli ultimi anni non ci sia stata informazione sulla patologia, siamo contornati da opuscoli, libri ma spesso tutto il materiale si è sempre concentrato sulla malattia e non sulla persona
Questo portale vuole dare un taglio diverso, e concentrarsi prima di tutto sulla persona che sia il bambino, la mamma e tutti coloro che ruotano intorno alla patologia.
Vengono considerati prima di tutto i bisogni della persona e in particolare quelli della comunità fragile e cioè il bambino.
Il portale entra direttamente in ogni singola casa, e questo può essere un vantaggio per coloro che non accettano la patologia o che si vergognano di questa nuova condizione, nella famiglia e purtroppo questo si verifica ancora. Vengono affrontate tematiche che non riguardano solo la patologia, ad esempio in campo pediatrico lo svezzamento, ed i vaccini. Questo per avvicinare le famiglie al pediatra di libera scelta e far si che il bambino si riappropri della sua infanzia.
Cerchiamo con questo progetto di abbracciare le persone che vivono con l’emofilia a 360 gradi cercando di dare delle risposte multidisciplinari per accompagnarle il questo percorso di vita e come dice il nome stesso cresceremo.
Attraverso questa partecipazione attiva ci auspichiamo di raggiungere l’obiettivo di permettere al paziente ed ai loro famigliari di non vivere per l’emofilia ma con l’emofilia”.

Crescer-EMO

PER TUTTE LE PERSONE EMOFILICHE, A PARTIRE DAI PIÚ DEBOLI
Offrire ai pazienti più deboli, i bambini, strumenti per una crescita serena con e nonostante l’emofilia

PER CRESCERE CONSAPEVOLMENTE
Per far valere i propri diritti, per affrontare le paure e le sfide di ogni giorno, per vivere una vita piena e serena, dall’infanzia all’età adulta

Informazioni 
sull’emofilia e sulla sua gestione pratica, sulla diversificazione dei trattamenti, sui diritti dei pazienti

In sintonia con la filosofia di FedEmo: «non abbiamo fatto tanta strada per tornare indietro proprio ora»

Come si presenta Crescer-Emo?
Una guida pratica interattiva, facile e intuitiva, che risponda ai reali bisogni dei bambini e dei loro genitori.
Informazioni precise e risposte a dubbi, linguaggi e modalità adatte a ogni fase dello sviluppo della persona.

Strumenti che favoriscono la comunicazione all’interno della famiglia, per affrontare con serenità l’emofilia, in tutte le fase della vita

Come si differenzia CrescerEmo?
Contenuti pratici e semplici, suddivisi per fasce di età e per situazioni della vita quotidiana.
Linguaggi multimediali e coinvolgenti, navigazione intuitiva e innovativa, tool interattivi per un’esperienza diretta «Tutto in uno»

Il gioco come strumento
Comunicare: Il gioco può comunicare in modo efficace sfruttando l’interattività (fai scelte/azioni e ne vedi gli effetti)

Educare/formare:
Con i giochi si impara facendo (learning by doing), si apprende attraverso un’esperienza diretta

Coinvolgere:
Le dinamiche di gioco procurano soddisfazione e motivano gli utenti a ritornare (il dovere diventa volere)

L’importanza del nome
“Crescere”, perché accompagna le diverse età dello sviluppo, fa crescere la consapevolezza nei confronti dell’emofilia, fa crescere il bambino, “con” e “nonostante” l’emofilia, è un’azione comune, che facciamo insieme e continua nel futuro, è una promessa di vita.

Questa iniziativa di Fedemo tutta al femminile è stata una novità del 2012 molto interessante, soprattutto perché l’argomento donna in emofilia è sempre stato visto come “mamma”.

FINESTRA ROSA

La finestra rosa vuole aprire a una visione dell’emofilia al femminile, ai vissuti intimi e personali, all’immagine del corpo, alla rappresentazione che le donne hanno di se stesse.
Come? Creando gruppi e organizzando incontri con le donne, per parlare e condividere le difficoltà, le emergenze, evidenziando i bisogni, i sentimenti, le emozioni che come donne facciamo fatica ad esprimere.
Il silenzio dei vissuti ha posto la donna in un ruolo di servizio quasi obbligato.
Dare voce alla sfera femminile significa interrogarsi e riflettere sui temi del servizio, dell’accudimento, dell’inadeguatezza, ma anche di bisogni, di risorse e capacità, di valore personale, di limiti e di scelte.
Le donne, insegna la nostra cultura, per amore devono essere disposte a fare molto e quando questo amore si lega ad una patologia cronica le richieste aumentano.
L’accudimento, la protezione del figlio, marito, padre o fratello, possono diventare più importanti del proprio benessere e l’amore può diventare troppo.
I problemi dei familiari sono più importanti e catturano tutta l’attenzione e l’energia vitale.
Gli stimoli per un confronto condiviso potrebbe partire da alcune tematiche legate all’autostima, intesa come percezione, valutazione del proprio valore di fronte alla presenza di patologie correlate.
La scarsa autostima all’origine della dipendenza affettiva fa sì che la persona si comporti nei modi più disparati pur di venire incontro ai bisogni degli altri. Spesso le donne attuano comportamenti protettivi nei confronti del partner o dei figli, rivestendo i ruoli di confidente, mamma, o infermiera in base alle necessità. La donna che sistematicamente mette da parte i propri bisogni nel rapporto di coppia, nelle situazioni conflittuali con gli altri, soffoca la rabbia, la rimuove o la dirige contro sé stessa, manifestandola spesso in sensi di colpa.
Non so se capita anche a voi, ma ci sono luoghi che pare abbiano un’aura e quando ci s’imbatte, il tempo scorre in modo diverso.
Non capita spesso, ma quando succede, ci si sente avvolti in un’atmosfera particolare.
A me è successo in un’occasione un po’ speciale, in un giorno di maggio, a Trastevere, quando un gruppo di donne, ha deciso di incontrarsi, per conoscersi, in un momento di condivisione.
Fenomeno molto sottile, quasi impalpabile, che porta in sé paure, difese, debolezze, insicurezze e quella caratteristica molto femminile, di giudicarsi in continuazione.
Ma soprattutto quelle forze e strategie di sopravvivenza che ci rendono così formanti, in determinate situazioni.
L’occasione è stata il primo incontro del progetto: “FINESTRA ROSA”, organizzato a Roma L’11 maggio scorso dalla Federazione delle Associazioni Emofilici (Fedemo).
“Un possibile percorso da intraprendere con questo progetto è racchiuso nella parola Enpowerment” – queste le parole della psicologa, presente all’incontro, – “termine inglese dalla complessità semantica, il cui concetto vuole esprimere il significato di potenziamento”.
Le caratteristiche fondamentali sono:
Consentire una crescita costante, progressiva e consapevole delle potenzialità della donna, accompagnata da una corrispondente crescita di autonomia ed assunzione delle responsabilità che le competono.
Tendere ad aumentare la stima della donna in se stessa e la sua capacità di leggere la realtà che la circonda e che cresce dentro di lei, cogliendone gli aspetti positivi.

CONDIVISIONE E CONFRONTO
Ed ecco che da ognuna di noi è spuntata un’esperienza, forse simile, forse unica, ma comunque condivisibile.
E dalla condivisione nasce la ricchezza, il confronto tra le differenze, il bisogno di aprire il proprio cuore con il sorriso o la tristezza.
Senza giudizio da parte di nessuno, solo un rispettoso ascolto.
Ho considerato determinante la presenza e guida della dottoressa Gianna Schelotto, che ha saputo miscelare empaticamente, la sua competenza professionale alle necessità di ognuna.
Non c’è stato il rigido attenersi ad uno schema, ma il flessibile adattamento alle necessità che di momento in momento si venivano a creare.
E questo naturalmente ha prodotto un clima di grande distensione, dove ognuna delle presenti, ha aperto senza timori il libro della propria vita.
Certo, sarebbe stato bello se il numero delle partecipanti fosse stato maggiore, ma poi mi chiedo se il risultato sarebbe stato lo stesso.

…QUEL CERCHIO MAGICO
Si è creata una sorta di cerchio magico in occasione di quel primo incontro e tutte noi ci siamo lasciate con la certezza di ritrovarci ancora, cresciute, per rispondere alla richiesta di un progetto più grande.
“Perché una finestra rosa?
Non vogliamo escludere gli uomini, non è nostro obiettivo costituire un tardivo gruppo femminista, vogliamo affrontare tutte quelle incertezze, interrogativi, che come donne ci coinvolgono nella gestione dell’emofilia e che spesso vengono trascurate, taciute, soffocate, perché le urgenze dei figli, di mariti, compagni, fratelli, genitori, hanno la priorità.
Spesso mi domando come mai noi donne siamo così facilmente disposte a rinunciare ai nostri desideri, aspirazioni e bisogni per metterci al servizio degli altri?”.
Con questa domanda la dottoresssa Schelotto ha aperto il dibattito.
L’intento era anche quello di uscire dall’ambito della patologia specifica, per investire tutti gli aspetti della dinamica femminile.
“Non mi ascoltavo come donna. Il mio senso di colpa mi portava fuori di me, rivolto agli altri”, oppure: “non uscivamo allo scoperto”.
La risposta: “la chiave è permettiamoci di essere tante identità e la prima è essere donna, femmina. E invece spesso vengono prima l’essere madre, sorella, amante, cioè l’accudente e l’essere donna viene dopo”.
“Ho riscontrato, nelle donne della mia Associazione, un garande dolore.
Ci sono malattie peggiori, l’emofilia può essere curata, anche se inguaribile.
Allora perché queste donne hanno un gran dolore, non riescono ad affrontare la malattia?
Di questo mi stupisco.
Anche durante gli incontri con la psicologa si avverte una tensione ed un irrigidimento da parte di molte”
“Io la vivo male perché mi sento in colpa. Lui la vive male e bene, ma accresce il mio senso di colpa e mi trafigge. Lui non vuole che si parli di emofilia, nessuno sa e non accetta la sua condizione.
Nemmeno si infonde e lo devo fare io sola. Fa la profilassi ma non parte da solo, perché non ha autonomia. Ho bisogno”.

“Mio figlio ha 24 anni, due meno del tuo. Sta bene e non vuole stare con gli altri emofilici, con quelli che stanno male, dice lui”.

Non può bastare un solo incontro, per poter rispondere a tutte le domande, ma con grande dolcezza, Gianna è riuscita a cercare il modo di entrare in contatto con ognuna di noi.
“Il dolore – ha detto – più lo nego, più diventa affogante” e ancora: ”…non possiamo essere mamme ammalate di emofilia.
E quando non si può condividere, quanto peso mi porto dentro?
E allora cosa ci portiamo a casa?”.
“Mi porto a casa mia, pienezza e ricchezza”.
Altri spunti come: “Si è attenuata la rabbia”, “sono molto più rilassata”, oppure “…contenta di conoscere persone e senso di comunione. Una bella carica”.
Un’altra ancora: “Ho trovato un gruppo meraviglioso, che ha parlato senza conoscersi”, “La condivisione, la libertà”.
“Solidarietà e condivisione.
Siamo più rilassate. Abbiamo anche scherzato”.
“Ho buttato fuori il dolore”,
“Porto a casa l’ironia, come concetto e come emozione”; “ho imparato cose che non sapevo”, “Ho condiviso, sono stata accolta”, “ho raccolto tante idee”.

Che non sembri un’arida lista della spesa, è che i pensieri si commentano da soli, non serve aggiungere altro.
Ecco c’è stato anche un giusto silenzio.
Arriva da solo, nessuno lo reclama, ma si capisce che è il momento di guardarsi soltanto, senza aggiungere altro, perché le parole non servono.

C’è stato anche spazio per le iniziative delle associazioni di volontariato per iniziative rivolte ai Paesi cosiddetti emergenti. In questo caso un libro racconta una storia ma allo stesso tempo racconta anche di una iniziativa di aiuto verso una popolazione che non ha una cura specifica.

“SENZA QUELLA GOCCIA IL MARE NON ESISTEREBBE…”

Se scelgo di aprire questo numero del giornale parlando di un libro non sorprenderà nessuno dei nostri lettori perché non è la prima volta che lo faccio e non sarà neppure l’ultima.

Questo però non è un semplice racconto (vero) che si svolge tra l’Africa ed il nostro Paese.
Intanto perché è stato scritto da una delle persone che stimo di più e che conosco da anni.
Una persona di quelle che hanno cambiato la mia vita ed il mio modo di affrontarla.
Persone che dedicano il loro tempo libero e qualche cosa di più di ciò che gli concede anche la malattia dalla quale sono affetti, per occuparsi anche delle problematiche degli altri.
Persone con una marcia in più con la capacità di immedesimarsi in culture del tutto diverse dalla nostra, per aiutare chi non ha neppure il minimo per la sopravvivenza.
Il ricavato di questo libro appunto che invito i nostri lettori a leggere ma soprattutto ad acquistare, è rivolto ai bambini talassemici ed alle loro famiglie del Marocco.
Leggiamo intanto ciò che scrive l’Associazione Ligure Thalassemici che opera da quasi trent’anni a sostegno dei malati e delle loro famiglie, rappresentando per queste persone una certezza ed un punto di riferimento.

“Nel 2004 si è verificato un evento che ha condizionato l’attività dell’Associazione negli anni successivi ed il riferimento è alla storia cui fa riferimento questo libro.
L’incontro con queste persone provenienti da un mondo geograficamente così vicino ma drammaticamente assai lontano ha segnato un punto di svolta per l’Associazione che ha preso atto della necessità di intervenire per lenire, anche se solo parzialmente, le sofferenze di molti malati.
La consapevolezza che non molti anni fa anche per noi le cose stavano in questo modo ma che grazie ad un grande sforzo collettivo è stato possibile cambiarle radicalmente, ha dato forza ad un progetto di assistenza e sostegno che ancora oggi continua e che si è originato proprio da quell’incontro. La fornitura di medicine, materiale sanitario, unita al sostegno per viaggi e cure tutto fatto con lo scopo che i nostri amici imparino la cultura della cura di queste malattie e ne siano ambasciatori di questa a casa loro, ha permesso di dare una nuova speranza di vita a queste persone.
Quello che possiamo fare con le nostre scarse risorse, purtroppo, rappresenta solamente una piccola goccia nel mare ma come avrebbe detto Santa Madre Teresa di Calcutta “senza quella goccia il mare non esisterebbe”, ed è proprio questa la filosofia che anima il nostro progetto “Rabat”.

Questo che leggeranno è la storia di Malika, una giovane mamma disperata per la salute del suo piccolo Ayoub, apparentemente senza speranza di vivere.
Un lungo viaggio che li porta dal Marocco alla Liguria.
L’autore Loris Brunetta poi, ci fa anche conoscere dettagliatamente il modo di vivere, le famiglie, la società marocchina con una precisione che dimostra come abbia intrapreso la conoscenza di questo popolo e delle sue usanze.
Si evidenziano soprattutto due cose: l’unità della famiglia e la solidarietà tra i componenti di questo mondo a noi così vicino ma del tutto sconosciuto.

L’argomento della Rete nazionale delle malattie rare incomincia ormai a diventare obsoleto soprattutto in Italia ma, alla luce delle iniziative europee tutto cambia e chi si ferma resta fuori dalle iniziative volte ad una creazione di gruppi di associazioni a livello europeo.

LA RETE NAZIONALE DELLE MALATTIE RARE

Questa la parte saliente del testo approvato:
Considerati:
il decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 che definisce le attività di valutazione e miglioramento della qualità e prevede tra i requisiti generali richiesti alle strutture pubbliche e private che le stesse siano dotate di un insieme di attività e procedure relative alla gestione, valutazione e miglioramento della qualità;
il decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, recante:
«Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie»,
l’Accordo tra il Ministero della salute, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulle «Linee guida per le attività di genetica medica»
il decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006 recante «Approvazione del piano sanitario nazionale 2006-2008»;
l’Accordo su «Riconoscimento di Centri di coordinamento regionali e/o interregionali, di Presidi assistenziali sovraregionali per patologie a bassa prevalenza e sull’attivazione dei registri regionali ed interregionali delle malattie rare», sancito da questa Conferenza il 10 maggio 2007;
l’Accordo per l’attuazione delle linee guida per le attività di genetica medica sancito da questa Conferenza nella seduta del 26 novembre 2009 con il quale si è convenuto di promuovere e adottare percorsi diagnostico assistenziali, sulla base di Linee guida scientificamente valutate;
l’Accordo per la promozione ed attuazione di accordi di collaborazione per l’esportazione di prodotti plasmaderivati a fini umanitari;
che le malattie emorragiche congenite sono malattie rare il cui trattamento farmacologico, basato sia su prodotti plasmaderivati sia su prodotti a tecnologia, ricombinante, incrementando l’aspettativa di vita ha contemporaneamente esposto la popolazione emofilica al rischio di sviluppare concomitanti morbosità, sia correlate alla patologia di base (sviluppo di inibitori, artropatia emofilica, etc.) o al suo trattamento (epatiti e HIV), sia non correlate;
che presso l’Istituto Superiore della Sanità è formalmente istituito il Registro nazionale per le Malattie rare e che le Regioni hanno assunto un debito informativo verso di esso in base all’Accordo del 10 maggio 2007 e che nello stesso Istituto era già da tempo attivo un monitoraggio su alcuni aspetti dell’assistenza alle persone con malattie emorragiche congenite, tramite un data base attivo dal 1988 in collaborazione con la Società scientifica di settore (AICE);
l’opportunità che ogni Regione, o gruppi di Regioni, definiscano specifici percorsi assistenziali che accompagnino le persone attraverso tutte le fasi di malattia, evitando discontinuità di cura tra diversi ambiti assistenziali;
la necessità di definire un percorso di riferimento che possa rispondere in modo adeguato ai bisogni essenziali per la diagnosi, la cura, la gestione delle emergenze, il trattamento domiciliare;
il documento elaborato dal gruppo di lavoro costituito presso il Centro Nazionale Sangue, a seguito dell’istanza della Federazione delle associazioni Emofilici, costituito da rappresentanti delle Regioni Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Puglia, Toscana e Veneto, da rappresentanti della FedEmo, della Associazione Italiana Centri Emofilia e del Ministero della salute.

Si conviene

  1. Sulla necessità di garantire un’adeguata presa in carico del paziente in tutto il territorio nazionale,
  2. Le Regioni e le Province Autonome, nel rispetto della loro autonomia, si impegnano a definire il percorso assistenziale al fine di ga- rantire qualità, sicurezza ed efficienza con riferimento a: la formulazione della diagnosi, comprese l’informazione e l’eventuale definizione diagnostica dei familiari del paziente; il processo di cura, che può includere diversi trattamenti tra cui anche la prescrizione e la somministrazione dei concentrati di fattore della coagulazione; la gestione delle emergenze emorragiche; la prevenzione e il trattamento delle complicanze dirette ed indirette.

In attuazione del presente accordo
si impegnano a:

  • definire un approccio integrato al percorso assistenziale per la diagnosi e terapia dei pazienti;
  • attuare un modello assistenziale per la gestione delle emergenze emorragiche;
  • predisporre iniziative per rendere effettivo il trattamento domiciliare;
  • consolidare la raccolta dati e l’attività di sorveglianza attiva a livello regionale, in collegamento con il Registro nazionale malattie rare;
  • promuovere iniziative volte a garantire la disponibilità di competenze professionali idonee alla gestione clinica dei pazienti;
  • definire i collegamenti tra la rete dei presidi accreditati di diagnosi e cura già individuati e le altre strutture regionali ed interregionali;
  • recepire, con propri provvedimenti, il presente Accordo entro sei mesi dalla definizione dello stesso.

Si impegnano a verificare il funzionamento della rete di assistenza in base allo stato attuale delle evidenze scientifiche ed ai principi di massima appropriatezza, intesa come garanzia di efficacia, sicurezza ed economicità.

A tal riguardo, sono fortemente raccomandabili azioni di controllo dell’appropriatezza prescrittiva e dell’adeguato utilizzo di prodotti ricombinanti e plasmaderivati.

Il monitoraggio delle attività previste dal presente accordo verrà effettuato in collaborazione tra le Regioni e le Province autonome, il Ministero della salute, il Centro nazionale sangue e le altre Istituzioni ed Enti interessati.
Ed a proposito di Europa, questo servizio dimostra che a livello di emofilia esiste già una struttura associativa sovranazionale.

LA CONFERENZA DELL’EUROPEAN HEMOPHILIA CONSORTIUM

La Conferenza annuale dell’EHC, svoltasi dal 4 al 6 Ottobre a Bucarest, ha affrontato con metodo e determinazione i temi legati all’accesso alla cura.

LA VOCE DI CHANCHE IN EUROPA NON HA ASSISTENZA ADEGUATA

Abbiamo ascoltato le parole del Presidente dell’Associazione Rumena dell’Emofilia, D. Andrei, il quale ha sottolineato come: “La Romania è seguita solo dall’Albania, nell’assistenza e cura dell’emofilia, avendo uno dei livelli più bassi di U pro capite. Invece sarebbe importante trattare subito i piccoli pazienti, perché affrontare subito un costo più elevato, vuol dire non avere danni nel futuro, perché curare bene e subito, significa un costo sociale minore per il futuro. Ed in questo momento, mentre io sono qui, molti miei amici sono stesi su un letto”. Uno dei suoi amici è probabilmente il giovane, costretto a vivere su una sedia a rotelle, in seguito all’amputazione di entrambe le gambe, che all’inizio del Simposio abbiamo visto e ascoltato in un filmato. Ottimizzare l’accesso alla cura, è ormai la melodia che ci siamo abituati a sentire. Come sia possibile ridurre gli episodi emorragici nei pazienti, quale tipo di trattamento disponibile scegliere, tra profilassi, on-demand e ITI, quali gli ultimi sviluppi nella profilassi: questi alcuni temi trattati dalla Prof.ssa M. Serbian, la quale ha messo in risalto la differenza tra la frequenza di emorragie, nei pazienti trattati con profilassi e quelli on-demand e la conseguente differenza nella qualità di vita. Il problema è la situazione geografica e politica della Romania ed è questa che determina la scelta del tipo di cura.

È SEMPRE E SOLTANTO UNA QUESTIONE DI PREZZO? 

Anche B. O’ Mahony, Presidente di EHC, ha evidenziato che: “Due paesi dell’UE usano crioprecipitato per l’ emofilia A e 11 usano meno di 2 IU pro capite. Le guide cliniche nei trials tra EMA ed FDA sono profondamente diverse, (la Peyvandi, ha parlato addirittura di discrepanza – N.D.A.). I prodotti ottengono la licenza in USA e Canada inizialmente e questo fa il prezzo più alto. Ora ci sono tre nuovi prodotti di FVIII, che nascono dalla fusione con FC protein, con albumina e pegylato, ma nessuno di questi prodotti deve avere l’esclusiva per la produzione. Il vero cambiamento sarà quando avremo un prezzo più basso e volumi maggiori di prodotto”. Considerato pertanto che uno dei punti su cui maggiormente si dibatte e ci s’imbatte, argomentando di emofilia, resta quello del costo del farmaco (ricordiamo le parole della professoressa Peyvandi che ha invitato le case farmaceutiche a produrre farmaci a costo minore), è innegabile che l’interesse verso nuovi orizzonti terapeutici, non ultimo la terapia genica (che ha un grande potenziale), sia alto. Si è discusso pertanto del concetto di “adesione” o “consenso”, che descrive l’accordo del paziente alla cura, che oggi, come nel passato, resta un problema. Ma l’adesione necessita dell’accettazione da parte del paziente e l’accettazione è fondata sulla verità’. Infine l’accordo o ancor meglio l’armonia, è riferita all’interazione tra medico e paziente ed è basata sul concetto che la consultazione tra loro, non è una negoziazione tra uguali. Da qui si genera la perseveranza, intesa come abilità da parte di una persona di continuare ad assumere, in questo caso, dei farmaci, per il periodo stabilito per la cura e, nel caso della malattia cronica, questo va fatto per tutta la vita. Purtroppo la non adesione, è un fattore comune che impedisce al paziente il raggiungimento e mantenimento della terapia e si manifesta nella difficoltà o complessità di seguire la cura. A ciò si aggiunge spesso la mancanza di sintomi, che fa credere al paziente di non avere bisogno dei farmaci prescritti, con la conseguente perdita di comprensione dei benefici del trattamento. Insomma una serie di barriere psicologiche, tanto pericolose, quanto subdole, che si aggiungono ai già noti problemi di ordine pratico. La conclusione di questo 2013 non poteva essere diversa. Il richiamo alla Costituzione e ad una domanda se i cittadini sono veramente uguali o anno allo stesso tempo pari dignità.

…MA TUTTI I CITTADINI DI QUESTO STATO HANNO VERAMENTE PARI DIGNITÀ?

Nel primo numero del 2013 avevamo scelto di aprire richiamandoci alla Costituzione Italiana, espressamente all’articolo 32 nel quale si afferma: “Lo Stato tutela la salute fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure adeguate agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Scegliamo di concludere l’anno parlando ancora della nostra Costituzione, ma questa volta di giustizia, un argomento che fino a qualche tempo non occupava l’editoriale. Lo facciamo, come potete leggere a fianco, attraverso le parole di un avvocato che da anni ormai segue le cause, gli indennizzi e le transazioni, perché come il diritto alla salute, esiste anche un diritto alla giustizia, quella giusta, in tutti i luoghi e tribunali del nostro paese.  Lo facciamo soprattutto nella convinzione che questo non sia un semplice argomento di dibattito ma una constatazione che ottiene conferme quasi ogni giorno: lo Stato italiano e non solo la giustizia (quella con la g minuscola) non brillano soltanto per la loro assenza nei confronti di quelle persone che non hanno “voce” o quantomeno non sono in grado di occupare quegli spazi che “contano”, ma con il dubbio che si fa sempre più pressante che ci sia nel nostro Paese una certezza del diritto, come afferma il nostro editoriale. In quell’articolo di gennaio citavamo anche l’articolo 3 della stessa Costituzione che afferma tra l’altro: “…tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge”. Infatti la Corte Costituzionale nel novembre 2011 aveva abrogato le norme che negavano la rivalutazione dell’indennizzo e che quindi gli arretrati erano dovuti in base al tasso di inflazione. Ma in questo caso c’era chi aveva pagato ed altri no. Infatti lo stesso articolo diceva: “E il Ministero della Salute? Tace e comunque non paga, oppure quando è “costretto” da una sentenza, ottempera, ma dopo molto tempo, anche più di due anni”. Ma lo Stato, il Parlamento, i Ministeri… non siamo noi cittadini che mandiamo i rappresentanti a difendere i nostri diritti? È certo una bella domanda che meriterebbe una risposta di quelle “qualunquistiche”, sparando poi a destra ed a sinistra come si fa in questi casi, senza poi colpire nessun bersaglio, mentre il vero “bersaglio” sono ancora una volta quei cittadini che chiedono giustizia senza ottenerla. Qualcuno poi, molto spesso ci chiede: “…ma voi delle associazioni che ci rappresentano, cosa state facendo?”. Nulla stiamo facendo, perché lo Stato in questo momento non ci risponde, è più che mai assente, immerso nelle dispute fra partiti che condizionano lo svolgersi della vita parlamentare ed anche di tutti quegli organismi che dovrebbero dare delle risposte. Combattiamo contro i mulini a vento, ci arrampichiamo sugli specchi, cozziamo contro muri di gomma. Non ci rimane altro che denunciare, ma la nostra voce (quella del nostro giornale) è troppo piccola. E l’editoriale a fianco riflette proprio questa impotenza. Allora cosa facciamo, ci aggrappiamo al “populismo” di chi grida più forte o continuiamo a batterci in tutte le sedi consentite?

Brunello Mazzoli