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2014: IN PRIMO PIANO LE ASSOCIAZIONI DEL VOLONTARIATO, I NUOVI FARMACI PER L’EPATITE C E L’ETERNA BATTAGLIA PER IL RICONOSCIMENTO DI UN EQUO INDENNIZZO

…COME VINCERE QUALSIASI SFIDA

L’immagine è quella di un libro che racconta l’esperienza vissuta dal Prof. Vullo e da tutti coloro che hanno collaborato con lui, e di un Centro di eccellenza assoluta in campo mondiale, della cura della talassemia, o meglio delle talassemie.
Detto al plurale perché, e lo ripetiamo per coloro che ancora non le conoscessero, “le talassemie – come si legge nella copertina – sono un gruppo di malattie ereditarie caratterizzate da anemia cronica di gravità variabile conseguente ad un difetto quantitativo nella produzione di emoglobina, la molecola responsabile del trasporto di ossigeno e anidride carbonica nell’organismo.
Sono circa 7.000 i malati nel nostro Paese.
Centro della Talassemia di Ferrara, uno dei Centri che più ha contribuito al suo progresso scientifico e clinico, a livello nazionale e descrive attraverso dati di ricerca e testimonianze di soggetti giovani-adulti dell’Associazione Lotta alla Talassemia “Rino Vullo”, e come affrontarla positivamente”.
Ecco, appunto, l’Associazione, che è stata ed è tutt’ora un punto di riferimento, non soltanto per i pazienti ma anche per i medici.
Poi c’è il capitolo di quelle che vengono chiamate “evidenze empiriche” e cioè un’indagine sulla qualità della vita delle persone adulte con talassemia.
Ci permettiamo modestamente di affermare che questo libro non si può fermare alla sola realtà ferrarese perché il famoso “fattore V” è stato esportato prima in tutta l’Italia e poi anche in molti paesi del mondo ed ancora oggi è considerata una scuola primaria in un contesto dove non soltanto la cura ma anche la partecipazione attiva a tutti gli avvenimenti ne sono la caratteristica inconfondibile.

Brunello Mazzoli

Abbiamo concentrato l’argomento emofilia di cui abbiamo trattato nel 2014, riprendendo via via le varie argomentazioni di cui ci siamo occupati. Innanzitutto le linee guida dell’AICE, poi i resoconti dei vari congressi nazionali ed internazionali (Fedemo, Federazione modiale), un’intervista al prof. Morfini per fare il punto sugli interventi dell’Associazione dei Centri (AICE), il problema dell’inibitore ed infine le varie iniziative legate alla Giornata mondiale dell’emofilia.

DISCUTIAMO SULLE LINEE GUIDA DELL’A.I.C.E. (TITOLO)

In conclusione del nostro servizio di gennaio, ricordavamo come nella situazione che si sta venendo a creare nel nostro Paese, che ci si potrebbe trovare con un piano terapeutico per ogni regione, mentre abbiamo fino ad ora seguito quelle che erano le indicazioni della Associazione Italiana dei Centri Emofila (AICE) che da trent’anni ormai detta quelle che sono le disposizioni seguite da tutti i medici che curano gli emofilici nel territorio nazionale.
Proprio a Padova, a fine 2013, l’AICE stessa aveva presentato le nuove “linee guida” che erano state in passato, oggetto di discussioni.
Riproducendo una parte della lettera che la fondazione Paracelso ha inviato al presidente di AICE, cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti fondamentali del documento che rischia di non rappresentare più la “Bibbia” per i Centri di cura.

LEGGIAMO LA LETTERA DI FONDAZIONE PARACELSO AD AICE AL PRESIDENTE DI AICE
“Caro Presidente,
Leggendo il paragrafo introduttivo, si evince che i Principi e le relative raccomandazioni appaiono collegabili all’attuale quadro economico di riduzione della spesa sanitaria e di sostenibilità dell’assistenza farmaceutica, questioni che attengono al ruolo programmatorio delle Regioni. All’AICE, in quanto associazione di clinici e ricercatori di alta specialità, nella redazione di linee terapeutiche compete il ruolo di indicare le migliori strategie di cura e i migliori presidi farmacologici attualmente disponibili.
Eventuali problemi economici vanno affrontati nelle sedi proprie, confrontandosi con le autorità preposte davanti alle quali è più che opportuno presentarsi insieme ai pazienti che, come ripetiamo da anni, devono essere considerati una risorsa anche in termini gestionali, piuttosto che destinatari passivi di cure.
Siamo convinti che solo da qui possano derivare migliori risultati di salute e rilevanti risparmi di spesa per il sistema pubblico.
Non è chiaro su quali basi cliniche si indichi la possibilità di trattamento con plasmaderivato per determinate categorie di pazienti.
Sorprende e francamente sconforta la ricomparsa di criteri prioritari di accesso ai ricombinanti, un ritorno agli anni ‘90 quando però la scelta era determinata da una limitata disponibilità di farmaco, all’epoca insufficiente a coprire il fabbisogno dell’intera popolazione emofilica.
In quell’occasione i pazienti adulti, che spesso presentavano le cosiddette complicanze infettive, accettarono di buon grado di farsi da parte a beneficio dei piccoli mai trattati in precedenza; oggi, in assenza di qualsivoglia fondamento scientifico che abbiamo invano ricercato nel documento, tale scelta appare inaccettabile.
Si sottolinea come la formula utilizzata (“può essere considerato l’uso di concentrati plasmaderivati”) sia ambigua e pericolosa, aprendo la porta a ulteriori ingerenze in campo terapeutico da parte degli amministratori sanitari.
L’utilizzo del consenso informato, che AICE pone in luce quale strumento indispensabile non solo per la tutela giuridica dei pazienti, ma anche come importante tassello dell’alleanza terapeutica medico-paziente, dovrebbe venire esteso ulteriormente, rendendo vincolante la sua introduzione per tutte le classi di farmaci (plasmaderivati e ricombinanti) utilizzati dai pazienti, e in ogni caso in tutte le circostanze in cui si proponga al paziente uno switch di prodotto, anche all’interno della stessa classe di farmaci. Lo switch inoltre dovrebbe essere sempre motivato da indicazioni cliniche.
Il consenso informato a nostro avviso dovrebbe venire preventivamente approvato da un Comitato etico.
Tanto gli switch che l’immunotolleranza dovrebbero essere obbligatoriamente inseriti all’interno di appropriati studi di sorveglianza.

QUATTRO DOMANDE PER FARE CHIAREZZA SU ALCUNI PUNTI DELLA LETTERA
Cerchiamo, nella rilettura della lettera inviata al presidente di AICE, di rivolgere alcune domande precise ad Andrea Buzzi, in modo da specificare bene alcuni concetti che riteniamo fondamentali, a partire dalla frase:
“Eventuali problemi economici vanno affrontati nelle sedi proprie, confrontandosi con le autorità preposte davanti alle quali è più opportuno presentarsi insieme ai pazienti che devono essere considerati una risorsa anche in termini gestionali……”.
E poi un altro capitolo in cui dice:
“Non è chiaro su quali basi cliniche si indichi la possibilità di trattamento con plasmaderivato per determinare categorie di pazienti. Sorprende e francamente sconforta la ricomparsa di criteri prioritari di accesso ai ricombinanti, un ritorno agli anni ’90 quando però la scelta era determinata da una limitata disponibilità di farmaco…” ed ancora: “…oggi in assenza di qualsivolgia fondamento scientifico che abbiamo invano ricercato nel documento, tale scelta appare inaccettabile, come la formula “può essere considerato l’uso di concentrati plasmaderivati” sia ambigua e pericolosa, aprendo la porta a ulteriori ingerenze in campo terapeutico da parte degli amministratori sanitari”.

È un timore, una paura neppure tanto mascherata. Vorresti chiarire questo concetto?
“Paura certo, perché i medici non sono molto fermi nel dichiarare quali sono i principi terapeutici secondo scienza e coscienza, cioè i medici devono fare i medici.
Se non sono fermi del dichiarare qual è la migliore opzione terapeutica per curare i pazienti è chiaro che poi arrivano gli amministratori sanitari, la pubblica amministrazione, gli assessorati, con valutazioni che sono extra cliniche come ad esempio: “questo costa di meno e funziona…”.
Dal punto di vista emostatico è chiaro che il plasmaderivato e il ricombinante hanno la stessa efficacia.
Qui il punto che noi continuiamo a sottolineare non è che vogliamo il ricombinante a tutti i costi.
Vogliamo che i medici possano scegliere in libertà scientifica, cioè secondo scienza e coscienza, fra l’intero ventaglio di prodotti disponibili sul mercato.
Se il medico ritiene che debba fare il plasmaderivato e mi spiega bene perché, io lo faccio.
Quello che io non voglio e che ritengo inaccettabile è che il medico mi dica “…devi fare il plasmaderivato. Io in realtà se potessi ti darei il ricombinante però, siccome il mio direttore sanitario dice che il ricombinante costa troppo allora…”. Questa è un’aberrazione, perché è stupido e non è utile. Da anni lo ripetiamo.
Un paio di mesi fa c’è stata l’emergenza con il tentativo di quello che abbiamo chiamato “emendamento di rapina”.
(Ricordiamo che il famoso emendamento è stato ritirato dopo l’intervento di medici ed associazioni di categoria e che in pratica avrebbe portato gli amministratori ad imporre il prodotto da scambio plasma in via prioritaria, limitando di fatto l’accesso ai pazienti, ai prodotti innovativi con cui sono attualmente in cura e che rappresentano il gold standard terapeutico in Italia, così come in tutti i paesi del mondo occidentale, col rischio di riportare il nostro Paese indietro di decenni nella cura dell’emofilia – n.d.R.)
Al ministro Lorenzin abbiamo detto che vogliamo che il medico possa fare il medico e alle istituzioni che 7.000 emofilici non possono affossare o salvare il bilancio del sistema sanitario.
Sono cretinate. Il risparmio che si può ottenere spostando gli emofilici dal ricombinante al plasmaderivato è irrisorio rispetto alle esigenze di spesa pubblica in termine di sanità.
Per di più, quello che noi diciamo è che si possono ottenere risparmi nella gestione della patologia coinvolgendo chi ne sa, ossia i medici ed i pazienti.
Si parla di pazienti al centro. Noi quest’anno dedichiamo l’ennesimo convegno per la giornata mondiale dell’emofilia, (vedere editoriale e ultima di copertina – n.d.R.) invitando due relatori con due visioni contrapposte.
Quelli della Bocconi che sono consulenti al Ministero della Salute e che hanno la visione economicista e gli altri con la visione più sociologica che ci diranno come si può fare per soddisfare i bisogni.
Da una parte si possono ottenere risparmi migliorando la gestione e mettendo tra chi stabilisce quali sono le priorità e come vanno spese le risorse, qualcuno che non abbia interessi di altro genere.
Sui farmaci si possono ottenere risparmi consistenti, chiedendo alle aziende di ridurre il costo.
L’emanazione di linee guida dipende dal fatto che le regioni, che sono quelle che sborsano i soldi, vogliono capire come risparmiare.
Bisogna guidare il processo di revisione delle spesa per evitare di venire maciullati dall’ultimo arrivato che si limita a guardare un saldo in fondo alla pagina e che partendo dal saldo poi stabilisce che cosa possono avere i pazienti”.

C’è un altro punto cruciale di questo documento: “L’utilizzo del consenso informato che AICE pone in luce, quale strumento indispensabile non solo per la tutela giuridica dei pazienti ma anche come importante tassello dell’alleanza terapeutica”.
“Il consenso informato a nostro avviso dovrebbe venire preventivamente approvato da un Comitato Etico.
I comitati etici nascono per tutelare i pazienti.
Il consenso informato è un obbligo di legge, non è un foglio di carta che ti viene consegnato con scritto due cose sopra ma emerge nel dialogo tra medico e paziente in cui il medico deve calibrare l’informazione rispetto alla capacità del paziente di capire. Noi sappiamo che ci sono prodotti che hanno bisogno del consenso informato e altri no.
Riteniamo che qualsiasi prodotto dovrebbe essere soggetto all’approvazione del paziente”.

Tornando alla pubblicazione delle nuove linee guida. Quali sono le novità che avete visto, se ci sono state, dopo la vostra lettera?
“Siamo piuttosto soddisfatti dalla risposta che abbiamo avuto dall’AICE, anche in sede assembleare discutendo del lavoro della commissione.
Il documento di verifica che abbiamo inviato all’AICE nei tempi richiesti ci rende soddisfatti perché dimostrano di avere recepito più o meno tutto quello che avevamo chiesto.
L’AICE è un’associazione di medici e le linee di trattamento sono un’indicazione clinica, cioè servono ai medici per poter dire qual è il quadro di riferimento.
Dobbiamo inoltre, non dimenticare che stanno arrivando farmaci che introdurranno o introdurrebbero un rilevante cambiamento nella qualità di vita delle persone perché questi farmaci, i così detti “long acting” per l’emofilia B, consentono un’infusione di dieci giorni, mentre per l’emofilia A qualcosa di meno ma comunque sono enormemente interessanti e avranno costi verosimilmente molto superiori ai farmaci attualmente presenti sul mercato ed è qui che bisogna lavorare altrimenti noi rischiamo di essere tagliati fuori e l’Italia resterà isolata”.

Nella lettera-documento, per quanto riguarda il paragrafo sulla “Modalità di distribuzione dei concentrati” avete affermato che ravvisate l’opportunità di distinguere una scorta minima di prodotto in base alla gravità della patologia e al regime di trattamento (per esempio, per i pazienti gravi, di norma, si fa riferimento al fabbisogno di almeno due mesi di terapia, sia in caso di profilassi sia on-demand).
Perché avete sentito la necessità di mettere questo paragrafo?
“Non è diverso da tutto il resto.
Abbiamo lavorato per cercare di dare più forza ai medici, difenderli dagli assalti ingiustificati dei direttori e amministratori sanitari.
Io vedo e sento in giro per l’Italia le situazioni più differenti.
Allora diciamo ai medici di non entrare nella valutazione economica, tanto qualcuno delle autorità politico-sanitarie glielo verrà sicuramente a ricordare.
Trasformiamoci in un sindacato di pazienti, ma di pazienti presenti ed esperti”.

2012/2014: TRE ANNI DI ATTIVITÀ DELLA FEDERAZIONE DEGLI EMOFILIC

ACCORDO GOVERNO-REGIONI PER IL RICONOSCIMENTO DEI CENTRI M.E.C.
Malattie emorragiche congenite
Ricordiamo innanzitutto nel 2013 l’impegno portato a termine per la stesura e l’entrata in vigore dell’Accordo tra Regioni e Provincie autonome sulla definizione dei percorsi regionali o interregionali di assistenza per i pazienti affetti da malattie emorragiche congenite (MEC).
Ci sembra importante riportare il testo dell’accordo per garantire qualità, sicurezza ed efficienza nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (LEA), con riferimento a:

  • La formulazione della diagnosi, comprese l’informazione e l’eventuale definizione diagnostica dei familiari del paziente
  • Il processo di cura, che può includere diversi trattamenti tra cui anche la prescrizione e la somministrazione dei concentrati di fattore della coagulazione
  • La gestione delle emergenze emorragiche;
  • La prevenzione e il trattamento delle complicanze dirette ed indirette della patologia

L’accordo sancisce, inoltre:

  • La necessità di garantire un’adeguata presa in carico del paziente con MEC in tutto il territorio nazionale, riducendo differenze ed iniquità di accesso alla diagnosi, alle cure e ai trattamenti ottimali in base alle evidenze scientifiche
  • Le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano si impegnano a definire il percorso assistenziale per le persone affette da MEC, con riferimento a: formulazione della diagnosi, processo di cura, gestione delle emergenze emorragiche, prevenzione e trattamento delle complicanze della patologia.

In attuazione dell’Accordo, le Regioni e le Province Autonome si impegnano a:

  • Definire un approccio integrato al percorso assistenziale per la diagnosi e terapia dei pazienti affetti da MEC
  • Attuare un modello assistenziale per la gestione delle emergenze emorragiche
  • Predisporre specifiche iniziative per rendere effettivo il trattamento domiciliare delle MEC
  • Consolidare la raccolta dati e l’attività di sorveglianza attiva delle MEC a livello regionale, in collegamento con il Registro nazionale malattie rare presso l’Istituto Superiore di Sanità
  • Promuovere iniziative volte a garantire la disponibilità di competenze professionali idonee alla gestione clinica dei pazienti affetti da MEC
  • Definire i collegamenti tra la rete dei presidi accreditati di diagnosi e cura delle MEC già individuati.
    Compito delle Regioni e delle Province autonome sarà quello di verificare il funzionamento della rete di assistenza alle persone affette da MEC, anche grazie ad un adeguato utilizzo di prodotti ricombinanti e plasmaderivati.
    Le Regioni e le Province autonome, inoltre, individuano i presidi accreditati MEC in possesso di specifica e documentata competenza ed esperienza nella diagnosi e nel trattamento.

ESPORTAZIONE EMODERIVATI PER FINI UMANITARI
C’è poi stato l’impegno per la stesura e l’entrata in vigore dell’Accordo tra Governo, Regioni e Provincie autonome sulla definizione dei percorsi atti a favorire l’esportazione di prodotti emoderivati in surplus alle necessità interne a fini umanitari.
Questa una sintesi del documento definito il 12 febbraio 2013: “Una decisione di portata storica, che mette l’Italia in primo piano nell’assistenza alla salute delle popolazioni svantaggiate ed evidenzia la grande capacità della rete dei professionisti e del volontariato che operano nel settore trasfusionale e nella cura dell’emofilia del nostro Paese”: così AVIS, CRI, FIDAS, FRATRES, FEDEMO, FONDAZIONE PARACELSO, AICE e SIMTI commentano la scelta della Conferenza Stato-Regioni che ha approvato lo Schema di Accordo tra Governo, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano per la promozione ed attuazione di accordi di collaborazione per l’esportazione di prodotti plasmaderivati a fini umanitari. In base a questo accordo, vengono di fatto messi a disposizione – tramite il supporto del Ministero degli Affari Esteri, della Difesa oltre a quello della Salute – dei popoli dei Paesi che ne hanno necessità, quali ad esempio Afghanistan, Egitto, India e America Latina, gli emoderivati eccedenti il fabbisogno nazionale per la tutela della salute degli ammalati che vivono in aree particolarmente svantaggiate.
Un risultato che, ha il sapore di una grande conquista, poiché, l’accordo consente per la prima volta un utilizzo razionale ed etico di tale risorsa ed ha il grande merito di valorizzare l’aspetto volontaristico e anonimo della donazioni, oltre a sottolineare l’impegno quotidiano dei professionisti e della rete trasfusionale del nostro Paese”.

IL PROGETTO D.N.A.
Di Nuovo Assieme
Il progetto DNA (Di Nuovo Assieme), è la naturale continuazione del progetto PUER e si prefigge un sostegno multi-specialistico dei genitori e dei bambini per affrontare insieme le sfide quotidiane e il percorso di crescita.
Gli obiettivi sono quelli di formare una rete di figure di riferimento; realizzare attività sul territorio regionale; costituire gruppi di lavoro multidisciplinari. Perché ogni paziente (bambino, adulto e adolescente) impari a conoscere l’emofilia, ad accettarla e a convivere con essa attivamente.

“FINESTRA ROSA”
Il progetto “Finestra Rosa” è l’ultimo in ordine di tempo (il nostro giornale ne ha parlato diffusamente) che prevede ed ha già svolto incontri di confronto tra tutte le figure femminili coinvolte a vario titolo nel mondo dell’emofilia (portatrici, madri, sorelle, mogli, compagne, medici).
È stato presentato quest’anno ancheal convegno mondiale di Melbuourne.

PROGETTO “SAFE FACTOR”
Un progetto itinerante partito nel 2012 per promuovere ovunque sul territorio la conoscenza delle specificità dell’intervento d’urgenza sul paziente emofilico per dare modo ai professionisti di partecipare con un ruolo attivo agli incontri formativi che si sono svolti già nel corso del 2011.
FedEmo grazie alla preziosa e indispensabile collaborazione con le Società Scientifiche e Federazioni a cui esse afferiscono realizza interventi educativi e di aggiornamento convegni ed iniziative editoriali rivolti principalmente ai professionisti della medicina d’urgenza.
Promuove inoltre sul territorio protocolli di intesa fra i professionisti dei Centri emofilia della Medicina di urgenza e dei Servizi Farmaceutici. Questa collaborazione ritenuta estremamente importante da entrambe le parti ha portato anche a un accordo in merito all’invio di un vademecum per l’intervento sul paziente emofilico distribuito capillarmente agli specialisti dei pronto soccorso
Ciò rappresenta un significativo passo verso l’obiettivo di avere idealmente presente in tutti i Pronto soccorso italiani una efficace guida per il corretto trattamento dell’urgenza nel paziente emofilico

GIORNATA MONDIALE DELL’EMOFILIA, PATTUGLIA ACROBATICA
Non ultime ed altrettanto importanti l’organizzazione di incontri per la Giornata Mondiale dell’emofilia e la collaborazione con la Pattuglia Acrobatica Nazionale per informare e sensibilizzare la collettività sull’emofilia e sulle criticità che ancora oggi esistono a livello nazionale e mondiale rispetto alla sua cura e alla qualità di vita delle persone che ne sono affette.

LA GIORNATA MONDIALE DELL’EMOFILIA
DOVE VA LA RICERCA… DOVE VANNO I RICERCATORI

Si è svolta a Roma il 10 aprile, la Decima Giornata Mondiale dell’Emofilia, organizzata dalla Federazione delle Associazioni Emofilici.
Alla domanda “Dove va la ricerca e dove vanno i ricercatori?”, sono stati significativi la risposta e l’intervento del Dott. Giuseppe Mazza, ricercatore PhD, presso l’Institute for Liver and Digestive Healt University College di Londra (ricordiamo che Giuseppe Mazza è anche il fondatore della Associazione Icore di Cosenza).
Nella sua relazione, in modo molto chiaro, ha spiegato come la frontiera della ricerca nella terapia cellulare, si stia avvalendo, di nuove tecniche innovative, che stanno accrescendo la speranza di individuarne una definitiva nella cura dell’emofilia.
Tutto nasce dalla curiosità di questo giovane ricercatore italiano, che intuendo la possibilità di trasferire alcune tecniche già utilizzate per altre patologie, ha iniziato a percorrere una strada ricca di sorprese.
Per quanto riguarda i farmaci long acting, ricordiamo l’intervento del Prof. Mannucci, severo nel condannare la lungaggine burocratica per la mancata registrazione dell’innovativo FIX, in Italia e nell’Unione Europea, diversamente da quanto sta avvenendo negli USA.
I requisiti richiesti dall’EMA per la registrazione del farmaco, si appellano infatti sulla necessità di effettuare preventivamente gli studi anche sui bambini, ritardando, in tal modo, l’accesso al nuovo farmaco, da parte dei pazienti adulti.
L’innovazione in medicina ha portato ad un aumento della conoscenza sulla capacità di manipolare cellule in vitro, espanderle ed utilizzarle per future terapie cellulari. I vantaggi delle terapie cellulari sono molteplici, in quanto la correzione della mutazione può essere valutata in vitro e non si userebbero virus da iniettare nei pazienti. Quindi, anche il rischio di risposta immunitaria nei confronti del vettore virale svanisce.
Infine, tecniche di ingegneria genetica hanno portato allo sviluppo di enzimi (ZFN, TALENs) in grado di riconoscere sequenze target nel genoma ospite (sequenza mutata del FVIII). Dopo il riconoscimento sequenza-specifico si attiveranno dei meccanismi (fisiologicamente presenti nelle cellule umane) che porteranno alla sostituzione della sequenza mutata con la nuova sequenza “sana” che viene aggiunta nel sistema enzimatico.

TRE ANNI DI ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE DEI CENTRI EMOFILIA (TITOLO)

Prof. Morfini, a conclusione del suo mandato di presidente vorremmo con lei stilare un breve riassunto dei maggiori obiettivi raggiunti da AICE in questi tre anni, naturalmente senza nasconderci le reali difficoltà nelle quali si muovono i Centri di cura.
“Uno dei maggiori risultati di questa mia gestione è stata finalmente l’approvazione dei principi di terapia da parte della stragrande maggioranza dei soci AICE.
Il documento era stato presentato a Padova nella riunione autunnale del 2013 ed è stato approvato con 42 voti su 43 aventi diritto.
Questo documento, verrà pubblicato su un numero speciale di “Blood Transfusion”, perché proprio in questi giorni la versione inglese è stata accettata dall’editor della rivista che è il dott. Velati.
Faremo un numero speciale e la stampa verrà distribuita nella cartella dei partecipanti al Congresso Triennale di novembre 2014.
In questo documento si riafferma in maniera forte quello che già in parte era stato detto nel 2003 che i concentrati ricombinanti rappresentano i farmaci di prima linea per i pazienti mai trasfusi in precedenza e per i pazienti che hanno avuto la fortuna di non infettarsi e per quelli affetti da HIV in quanto sono immunodepressi.
Anche per loro viene raccomandato il ricombinante in quanto per questi pazienti anche il minimo rischio di trasmissione virale potrebbe essere un evento molto grave.
Per i pazienti invece HIV negativi e HCV positivi si lascia il concentrato che è stato usato fino a quel momento, cioè si rispetta la continuità terapeutica se alcuni pazienti hanno avuto delle infezioni da plasmaderivati e vogliono continuare ad usarlo, niente lo vieta.
Così viene garantita la continuità terapeutica per quei pazienti infettati che sono passati al ricombinante negli anni passati.
Un’altra attività portata a termine in questo triennio è stata l’accreditamento dei centri emofilici secondo il programma “Improve AICE”.
Sono stati accreditati più di 25 centri. Purtroppo non tutti perché il finanziamento non è stato sufficiente. Già l’ultima edizione di “Improve AICE” ha visto la partecipazione di due soli sponsor come Pfizer e Novo Nordisk.
Chi vuole accreditarsi adesso deve trovarsi dei fondi per fare la domanda e per pagare gli ispettori della società che gestisce Improve AICE.
Purtroppo è una scelta dolorosa ma i finanziamenti non sono più sufficienti”.

Parliamo delle linee guida che l’AICE che sono attualmente messe in discussione dalle azioni di alcune regioni. Si rischia di non avere indicazioni univoche in tutto il territorio nazionale?
“A parte che non le abbiamo chiamate Linee guida ma solo i principi di terapia per ammorbidire un po’ il messaggio.
Le Linee guida sono comunque suggerimenti di comportamento, poi dopo ogni medico è libero di accettarle o non accettarle.
Nessuno può attualmente obbligare il medico o il paziente a una scelta terapeutica determinata, neppure le Istituzioni anche se la loro pressione si sta facendo sempre più pesante.
Infatti i prodotti da scambio plasma vengono definiti più economici di quelli del commercio e ovviamente in questo momento di crisi finanziaria il costo della terapia sta assumendo un valore sempre più importante.
Sono in corso delle azioni, a livello regionale e probabilmente a livello della Corte dei conti, che indagano sulle spese di alcuni casi un po’ particolari che hanno richiesto interventi terapeutici straordinari.
Adesso e ancor più in futuro, i medici dovranno tener conto anche di queste indagini che le istituzioni stanno conducendo per indagare su alcune spese che loro ritengono fuori limite.
La terapia dell’emofilia verrà sempre più regolamentata e condizionata dalla spesa farmaceutica che da sé sola rappresenta oltre il 90% del costo dell’assistenza”.

Le aree vaste e quindi l’accorpamento di più realtà ospedaliere, a suo parere, sono un problema per il buon funzionamento dei Centri?
“Certamente l’accorpamento delle strutture crea qualche problema soprattutto per quanto riguarda la specificità della assistenza e la gestione dei laboratori di coagulazione, da cui deriva la corretta condotta della terapia sostitutiva.
Noi in Toscana siamo sempre stati abituati ad avere un unico Centro di riferimento regionale però siamo sempre stati molto attenti a decentrare quello che si poteva decentrare.
Non tutte le attività possono essere decentrate, l’organizzazione deve essere per livelli di competenza.
L’organizzazione “Hub & Spoke” ad esempio, vuol dire organizzare anche la periferia per livelli di competenza. Adesso per esempio la Toscana non farà più gli acquisti per area vasta ma per regione.
Invece dell’ESTAV che era l’ente amministrativo che faceva gli acquisti per tutti i prodotti per gli ospedali sulle tre aree vaste Firenze, Siena e Pisa, pochi giorni fa è stata creata l’ESTAR cioè un ente amministrativo regionale unico che farà gli acquisti per le strutture sanitarie della Regione.
Anche il ministro Lorenzin non ha fatto mistero che probabilmente per certi farmaci si arriverà ad una gara unica nazionale come è stato fatto in altri paesi europei perché in questa maniera forse si possono avere maggiori sconti sulla base di un’economia di scala.
Certamente è disdicevole che lo stesso concentrato in una regione abbia un costo e in un’altra regione abbia un costo completamente diverso, questo mette in imbarazzo anche i medici nelle loro scelte”.

Quali saranno gli obiettivi e le difficoltà che avrà di fronte il nuovo direttivo di AICE per i prossimi anni?
“Dal punto di vista farmaco-economico le difficoltà sono notevoli.
Noi siamo disposti anche a fare delle economie purché queste non ricadano sull’assistenza, cioè i nostri pazienti in Italia hanno un’assistenza ottima del tutto invidiabile, il consumo medio del fattore VIII ha raggiunto le sette unità per abitante che è un livello decisamente elevato.
Non vogliamo tornare indietro ma siamo disponibili a personalizzare la profilassi in maniera più aderente alle reali necessità del paziente, secondo anche il suo stile di vita ma soprattutto a seconda dell’andamento clinico.
Affronteremo l’anno prossimo anche il problema dei prodotti a scambio plasma che dal 31 dicembre 2014, dovrebbero essere in regola con le direttive europee per quanto riguarda il plasma “Master file”. Non sappiamo se questo obiettivo sarà raggiunto su tutto il territorio nazionale.
Dovrà essere rilasciata una nuova autorizzazione all’emissione in commercio, AIC, specifica per questi prodotti: giustamente le autorità vogliono che venga distinto il prodotto da plasma internazionale dal prodotto da plasma nazionale.
I grossi problemi comunque si creeranno quando arriveranno i concentrati a lunga emivita.
Questo sarà un altro punto difficile da affrontare, sia per la messa a punto dei nuovi protocolli di profilassi, sia per il loro costo”.

Si parla sempre più spesso all’obiettivo “zero sanguinamenti”, legato soprattutto alla personalizzazione della cura. Pensi che i Centri italiani siano in grado di raggiungere questo obiettivo, sono attrezzati sufficientemente. E l’AICE ha un programma di intervento?
“Una delle buone iniziative che noi medici siamo disposti a mettere in campo è proprio la personalizzazione della terapia secondo criteri scientifici di farmaco-cinetica.
Ci sono dei programmi software disponibili e più o meno tutte le case farmaceutiche ci stanno lavorando perché oltretutto questo è un sistema di risparmio che si può mettere in atto con il dovuto supporto degli esperti senza però andare ad incidere sulla frequenza delle emorragie.
Avere una situazione di zero emartri è il massimo che vorremmo raggiungere ma ci rendiamo conto che non sarà facile perché sappiamo che anche un solo emartro può far scattare il meccanismo della artropatia emofilica. Siamo molto più attenti che in passato ad iniziare la profilassi molto precocemente e a farla con dosaggi adeguati per evitare qualsiasi tipo di emorragia.
AICE ha deciso offrire ai suoi associati un sistema di assistenza di farmaco-cinetica parallelo alle altre iniziative delle case farmaceutiche che stanno approntando in maniera più o meno avanzata, un sistema di personalizzazione del loro concentrato. La Commissione PK dell’AICE, coordinata dal sottoscritto, ha acquistato un software che sarà messo a disposizione di tutti i soci che vorranno analizzare i dati della PK dei loro pazienti”.

Possiamo quindi permetterci di “dimenticare la terapia genica” andando verso i prodotti a lunga emivita ed allo “zero sanguinamenti”?
“Noi non dimentichiamo la terapia genica, purtroppo sono vent’anni che ne sentiamo parlare.
Per ora si intravede qualche risultato in UK nell’emofilia B e speriamo che i nuovi metodi possano essere applicati anche alla emofilia A.
Per il momento tuttavia non tutti i problemi sono risolti.
Il fatto che alcune case farmaceutiche hanno acquistato i brevetti della terapia genica dimostra il loro interesse in questa forma di terapia ed è auspicabile che porteranno avanti questi programmi concorrenziali alla terapia sostitutiva.
Le terapie innovative tuttavia dovranno fare i conti con le severe procedure regolatorie dell’EMA e con la sostenibilità economica.
Gli stessi problemi stanno ostacolando l’arrivo dei concentrati long acting: in Europa i long acting arriveranno molto più tardi che negli Stati Uniti per motivi regolatori perché in Europa è obbligatorio fare gli studi sui pazienti precedentemente mai trattati mentre negli Stati Uniti questi fanno parte della sorveglianza post-marketing.
Infatti i nuovi concentrati di fattore VIII e IX di una Casa farmaceutica sono già registrati presso la FDA ma prima che arrivino in Europa passeranno almeno due, tre anni.
E poi a che prezzo?
Chissà se la nostra povera Italia potrà permetterseli.
Certamente i problemi della spesa sanitaria sono molto importanti perché questa rappresenta circa il 70% di ogni Regione.
Ho letto però con soddisfazione che una delle ipotesi che ha avanzato il governo è quella di chiudere i piccoli ospedali con meno di 80 posti letto perché a volte non ha senso spendere delle cifre enormi per piccole strutture che non possono garantire livelli di eccellenza”.

IL CONGRESSO MONDIALE DELL’EMOFILIA

La città di Melbourne ha ospitato quest’anno il Congresso Mondiale dell’ Emofilia, offrendo ai partecipanti l’occasione di testare lo status delle persone affette da emofilia, nella quasi totalità del mondo.
Si va dai livelli di eccellenza nella cura ed assistenza, soprattutto nei Paesi più industrializzati, fino a quelli in cui la terapia è ferma a decenni addietro.
Ma la cosa che sorprende di più, è la constatazione che, in alcune zone del cosiddetto mondo a più alto reddito, la situazione va dallo stallo al rischio recessione.
Tra i motivi addotti e più utilizzati per giustificare la cosa, primeggiano la crisi economica, il taglio alle spese reso necessario per fronteggiare il deficit e una serpeggiante e inquietante caduta di fiducia, da parte dei pazienti , nei confronti dei medici.
Da noi in Italia ormai il titolo più ricorrente è: “Spending Review”.
Ricordate il famoso: ”Quid custodit custodes?”.
In verità ce lo stiamo chiedendo un po’ tutti, e da tempo, nel nostro paese soprattutto, alla luce degli ultimi eventi e avvenimenti.
Eppure pare che questa strana atmosfera di precariato ed incertezza si stia avvertendo anche altrove e la cosa non ci consola. Tutt’altro.
Da una parte abbiamo percepito l’impegno dei ricercatori, la devozione nei confronti della scienza che produce benessere e cambia la vita, l’entusiasmo di chi spende parte della sua esistenza nel tentativo di trovare, se non la soluzione, un’innovazione, ma, dall’altra una sorta di resa di fronte alle forze della politica, della burocrazia, del sistema economico tutto, che poco si interessano ai bisogni della popolazione.

IL VERO PROBLEMA ATTUALE PER L’EMOFILIA
In uno studio sugli aspetti epidemiologici dello sviluppo di inibitore, condotto dalla Dottoressa van den Berg dell’Univerity Hospital in Olanda, si afferma che: “Sappiamo bene che lo sviluppo dell’ inibitore nei pazienti emofilici, è legato a fattori genetici, ma ci sono anche una varietà di altri fattori che ne influenzano la comparsa. La buona nuova è che, a differenza di quelli genetici, questi fattori non genetici, possono essere influenzati”.
Nel suo intervento la dottoressa ha poi affermato: “I fattori genetici che ne influenzano lo sviluppo includono le mutazioni di FVIII, la storia familiare, l’etnia (sebbene i dati siano scarsi) e i geni immuno-regolatori.
Concordemente alla letteratura sappiamo che circa il 70% dei pazienti, ha una storia familiare positiva alla diagnosi, tuttavia, dati probabili attualmente mostrano che il 55% ha una storia familiare negativa.
Questi bambini vengono diagnosticati principalmente a seguito di emorragie, al di fuori dei centri emofilici e il registro dati PED NET del 2013 ha evidenziato che, tra 622 bambini con emofilia A grave, il 42% sviluppa un inibitore e lo scorso anno è apparso un articolo, in cui si dimostra che nei pazienti con emofilia moderata, il rischio è del 20% .
In termini di fattori non genetici, i dati dimostrano che il rischio è aumentato a causa della diagnosi di inibitori a più basso titolo, mentre quello ad alto titolo, non è aumentato negli ultimi 20 anni.
Non c’è differenza di rischio, utilizzando fattori plasmatici o ricombinanti, sono gli alti dosaggi ad aumentare il rischio e c’è da tenere in considerazione anche le differenze nei dosaggi e la frequenza dei controlli, che hanno avuto un grande impatto sul numero di pazienti diagnosticati con inibitore.
Per ampliare la conoscenza su questo argomento, c’è bisogno di coorti di studi multicentriche internazionali, con pazienti di età ben definite, con i dati di tutti i giorni di esposizione, almeno 50, sulla mutazione del gene e trattamenti intensivi”.

LE MALATTIE EMORRAGICHE NELLE DONNE
Altro argomento di grande interesse, ampiamente trattato, è stato quello delle malattie emorragiche nelle donne, per le quali queste patologie possono essere particolarmente problematiche.
E siamo alla domanda del riconoscimento ad un diritto, per le donne affette da disturbi emorragici rari (RDB) e da von Willebrand (VWD), in tutto il pianeta.
Alla domanda della canadese Winikoff se c’è insomma terreno per un dibattito, su una terapia sostitutiva col fattore, contro una terapia non sostitutiva, per le menorragie o le emorragie post-partum, la risposta è stata: no.
L’indagine dimostra che le terapie non sostitutive, potrebbero essere il trattamento di primo soccorso e il fattore sostitutivo, dovrebbe essere riservato solo alle malattie con gravi emorragie, con emorragie che sono refrattarie al primo trattamento o per quando la terapia sostitutiva è controindicata.
Gli studi mostrano che la menorragia colpisce l’87% delle donne con VWD e il 57% di quelle portatrici di emofilia. Winnikoff ha sostenuto che la ricerca evidenzia che i contraccettivi orali, riducono il sanguinamento mestruale nelle donne con o senza disturbi emorragici con una media del 50%.
Il sistema intrauterino LNG-IUS, può essere così efficace come l’ablazione endometriale, per le donne con o senza malattie emorragiche, diminuendo la perdita mestruale a meno del 74% a tre mesi e del 97% a un anno.
Ancora studi hanno dimostrato che il DDAVP aumenta il FVIII e l’acido tranexamico diminuisce il sanguinamento mestruale dal 30 al 50%.
Winnikoff ha aggiunto che non ci sono aumenti di conseguenza trombotica in uno studio sull’acido tranexamico, ma i dati non sono definitivi.
Per quanto riguarda le emorragie post-partum, va detto che la gravidanza ha effetti positivi su molti fattori della coagulazione.
Nel frattempo, alcuni studi hanno dimostrato che il ricombinante VIIa non è molto protettivo nelle emorragie post-partum.

PER UN’ASSISTENZA OMOGENEA IN TUTTI I PAESI DEL MONDO
Altro argomento largamente dibattuto è stato quello della differenza esistente tra paesi ad alto e basso reddito e i relatori hanno discusso sulla varietà di percorsi innovativi, al fine di affrontare il tema della disparità.
Messaggio davvero forte quello della dottoressa Sathyanarayanan, della Società Emofilica di Madras la quale ha sostenuto che: ”una strada per creare il cambiamento e chiudere il buco nell’assistenza è farlo attraverso il
conferimento di potere e autorità alle donne, in quanto loro hanno una motivazione evidente, forti sistemi di comunicazione, consapevolezza, alta autostima ed empatia”.
Come darle torto? Nel 2006 è nato un gruppo di donne, madri e mogli di persone affette da emofilia, il cui traguardo è stato quello di esercitare pressioni per ottenere un migliore accesso alla cura negli ospedali governativi e tutto questo è successo.
Nei paesi a basso reddito come l’India, la sanità rientra nella politica statale, piuttosto che in quella del governo centrale, per cui raramente un cambiamento avviene a seguito di un processo politico, ma piuttosto a seguito di compromessi scaturiti da interessi dei partiti.
I medici, dal canto loro, non vogliono aggiungere responsabilità, a causa dei pazienti emofilici, al loro carico lavorativo e spesso non conoscono l’importanza dei farmaci per la coagulazione o come trattare le emorragie.
L’India ha fatto molta strada, inclusa l’attuazione del trattamento dell’emofilia nei centri ospedalieri governativi, ma c’è bisogno di un maggior coinvolgimento dei media, fare pressione e sostegno per creare un cambiamento più grande.
Ci viene da dire che questa è una situazione purtroppo comune a molti altri paesi e che, anche laddove sembra che le cose vadano meglio, pare che si stia regredendo su molti aspetti.

È NECESSARIO UN RINNOVAMENTO NELLE RAPPRESENTANZE ASSOCIATIVE
Ecco quindi che al grande entusiasmo dei gruppi giovani, si avverte una certa stanchezza in alcuni con maggiore esperienza, perché dopo anni di lotte e di traguardi raggiunti, pare a volte di perdere le certezze acquisite.
I referenti cambiano, bisogna ripartire sempre da capo per spiegare di nuovo tutto, e non sempre le associazioni hanno la forza necessaria per affrontare in modo adeguato la situazione.
Certo che bisogna mostrarsi forti e decisi e fortemente motivati.
Combattere insomma per qualcosa in cui si crede davvero, senza farsi intimidire dall’autorità. “Rafforzare la vostra organizzazione attraverso una leadership forte”, questo il messaggio di Skinner, Presidente della WFH dal 2004 al 2012.
Ed ha proseguito: “La chiave è nella costruzione di una futura generazione di leadership. C’è bisogno di avere un piano per la successione, al fine di assicurare continuità ed evitare la disgregazione del lavoro fatto fin qui e ridurre la preoccupazione di coloro che spendono il loro tempo e denaro in questa attività.
Non bisogna avere paura di cambiare le persone, coloro che guidano, perché quelli che hanno guidato un’organizzazione 20’anni fa, potrebbero non andare bene oggi.”

LA PROFILASSI E LA PERSONALIZZAZIONE DELLA CURA

Australia 2014: è qui che si è svolto il 31° Congresso della Federazione Mondiale dell’Emofilia (WFH 2014) che ha visto la partecipazione di più di 4.000 delegati provenienti da 130 paesi nel mondo.

Per noi di EX è stata anche l’occasione per intervistare il Professor Alessandro Gringeri, un nome che da sempre rappresenta un punto di riferimento per questa patologia.
“Negli anni la terapia dell’emofilia ha segnato importanti passi in avanti offrendo ai pazienti sempre maggiori certezze nella prevenzione dei sanguinamenti e delle relative conseguenze: risultati significativi ai fini del raggiungimento e mantenimento di una qualità di vita ottimale.
Ma è già tutto realizzato?
È possibile elevare ulteriormente le aspettative del trattamento ed ambire ad obiettivi ancora più sfidanti sempre nell’interesse del paziente?”.
Parte da qui la nostra chiacchierata che si pone l’obiettivo di raccontare dove siamo oggi e quali sono i risultati ottenuti o attesi da un punto di vista di innovazione e gestione della patologia. In una parola: la profilassi personalizzata.

Com’è gestita oggi la pratica clinica della profilassi nel nostro Paese?
“In tutto il mondo, la profilassi viene praticata con dosaggi basati sul peso del paziente. Si tratta di una terapia effettuata con due-tre infusioni a settimana, o a giorni alterni.
Questo naturalmente ha prodotto notevoli vantaggi che sono stati dimostrati in tanti studi clinici.
L’obiettivo da raggiungere per i pazienti è avere la possibilità di prevenire tutti i sanguinamenti, o almeno tutti i sanguinamenti spontanei intrarticolari.
Il passo in avanti in questa direzione è conoscere il profilo farmacocinetico del fattore infuso nel singolo paziente, cioè i tempi di distribuzione nel corpo del fattore infuso e della sua eliminazione, un dato determinante che ci permetterà di personalizzare realmente il dosaggio e lo schema terapeutico ideale per ogni singolo individuo”.

Sua è stata la presentazione di uno studio sulla personalizzazione della cura dell’emofilico.
Potrebbe illustrarcelo anche in considerazione di un possibile intervento in ambito pediatrico, oltre che sul paziente adulto?
“Non si tratta di uno studio vero e proprio, ma di un diverso approccio alla profilassi. Si tratta infatti di mettere la persona al centro della terapia e quindi prendere in considerazione tutte quelle particolarità che caratterizzano un paziente: la sua tendenza al sanguinamento, la presenza di articolazioni bersaglio, l’attività fisica, lavorativa o sportiva, la sua capacità di aderire a schemi di terapia particolarmente gravosi oppure la necessità di pensare ad una terapia meno aggressiva mediante uno schema che preveda infusioni meno frequenti.
A ciò si aggiunge un dato determinante, ossia la risposta individuale al prodotto che viene somministrato.
Ogni Fattore ha un diverso profilo farmacocinetico e ogni paziente risponde in modo diverso al singolo farmaco.
Un sicuro e determinante passo in avanti è la possibilità di avere un profilo farmacocinetico del paziente e, sulla base di quello, valutare quali siano i livelli minimi di fattore della coagulazione che vengono raggiunti con il regime di profilassi scelto, e sapere per quanto tempo il paziente passa con livelli più protettivi.
Ciò sarà possibile senza richiedere estenuanti prelievi al paziente, ma solo con due prelievi anche non dopo la stessa infusione grazie ad un software sviluppato e validato per il fattore VIII di terza generazione da DNA ricombinante integrale, basato su un approccio che consente di identificare in un modo più preciso possibile il profilo individuale. Inoltre, consentire di calcolare il dosaggio ottimale sulla base degli intervalli tra le infusioni scelti e il minimo livello di fattore da mantenere”.

Lei pensa che i Centri emofilia nel nostro Paese siano in grado di poter adottare questo nuovo approccio al trattamento?
E se sì, quali dovrebbero essere le peculiarità essenziali e soprattutto tecnologiche di ogni Centro?
“I Centri italiani che sono all’avanguardia nella terapia dell’emofilia possono sicuramente farlo, anche perché non ci vuole nessuna particolare tecnologia aggiuntiva. Bisogna volerlo, bisogna crederci, bisogna dedicarci tempo. È necessario condividere con il paziente questo tipo di approccio, instaurando quel ‘contratto terapeutico’ che migliora i risultati a lungo termine”.

Come si pone questo approccio in prospettiva di una presenza sempre più importante nel nostro Paese dei concentrati a lunga durata d’azione?
“L’approccio ad una profilassi personalizzata dovrebbe essere un qualcosa di universale. È chiaro che per ogni singolo Fattore esiste uno specifico profilo farmacocinetico da conoscere. Ad oggi questo percorso non è stato fatto per tutti i prodotti ma solo per il fattore VIII di III generazione da DNA ricombinante integrale”.

Noi come Associazione siamo fortemente delusi e preoccupati su ciò che si sta prospettando a livello sanitario. Dopo tante promesse, dopo gli sforzi di Fedemo per ottenere una certificazione dei Centri, scopriamo che molti vengono declassati o spariscono, i medici esperti che vanno in pensione non vengono sostituiti o peggio ancora, altri vengono messi nelle condizioni di non poter lavorare. Così facendo, altro che personalizzazione della cura, qui si tratta di pura e semplice sopravvivenza.
Lei oggi lavora per una casa farmaceutica. In questo panorama dove vanno le Aziende?
“Come Baxter abbiamo un programma in corso che prevede la creazione e il potenziamento dei Centri emofilia nei paesi in via di sviluppo, fra i quali non vogliamo che l’Italia sia annoverata.
L’impegno di Baxter su questo fronte, anche nei paesi sviluppati, è tangibile.
In Italia, ad esempio, abbiamo supportato negli scorsi anni un programma FedEmo per la certificazione e l’accreditamento istituzionale dei Centri Emofilia.
Detto questo, possiamo fare tutti di più perché effettivamente c’è una tendenza regressiva, causata da molti fattori.
Uno tra questi è la carenza di personale e la mancanza di un’adeguata formazione.
Secondo me un ruolo importantissimo è quello svolto dalle Associazioni pazienti, le uniche in grado di esercitare la giusta pressione sia nei confronti delle aziende, sia verso le Istituzioni.
L’obiettivo è far sì che i Centri e tutta la rete dell’Emofilia siano dotati delle risorse necessarie a colmare quelle lacune che rischiano di diventare delle vere e proprie voragini.
Il tutto a discapito dei pazienti. L’arrivo di nuove terapie e di nuove modalità terapeutiche – come la profilassi personalizzata su base farmacocinetica – saranno certamente un nuovo stimolo per tutti”.

E questo si può ottenere non lavorando separatamente ma riuscendo ad entrare nei consigli di amministrazione delle aziende.
In questo contesto ad esempio sappiamo che a Milano c’è una proposta fatta dal dott. Macchi che è il direttore dell’ospedale ed ha affermato che proporrà di fare entrare nel consiglio di amministrazione anche rappresentanti delle associazioni.
“Questo sarebbe ottimale cercando però di capire concretamente quale sia il vero obiettivo e il ruolo al loro assegnato.
La partecipazione delle Associazioni, benché sia un passo in avanti, avrà valenza limitata fino a quando questa ricopriranno un ruolo esclusivamente consultivo.
Il coinvolgimento delle Associazioni nei consigli di amministrazione non sarà mai sufficiente se a ciò non si accompagnerà un miglioramento della comunicazione tra medico e paziente, dando a quest’ultimo un ruolo più attivo.
Il tutto con un obiettivo comune che li veda ‘fare squadra per migliorare la compliance, personalizzare la terapia e raggiungere zero sanguinamenti”

M. S. R.

QUALE MESSAGGIO DAL XV CONVEGNO TRIENNALE DELL’EMOFILIA?

Forse qualcuno si chiederà perché ho scelto quell’immagine di copertina abbinata al convegno di Firenze.

Immagine abbinata ad una frase contenuta in un intervento allo stesso convegno che, a mio parere, senza voler sminuire tutti gli altri, racchiude il significato ed il senso che vorremmo dare al lavoro che svolgiamo, tutti insieme, a favore di persone che soffrono di una patologia poco conosciuta ma che ha una storia medica e sociale da difendere.
“Il mito della perfezione e l’esperienza del limite”; una frase che non necessita di molti commenti, basta leggere il testo alle pagine 5 e 6, soprattutto per chi non ha avuto il privilegio (come me) di ascoltarla direttamente in sala, ma anche da coloro che, forse, in quella giornata, erano distratti.

Il Direttore

Il XV triennale di Firenze, come tutti quelli che l’hanno preceduto, è sempre fondamentale per il mondo dell’emofilia.
C’è innanzitutto il confronto diretto fra le due maggiori componenti e cioè quella medica rappresentata da AICE, l’Associazione Italiana dei Centri, e quella sociale, FEDEMO, la Federazione che comprende tutte le associazioni del territorio nazionale, che hanno da sempre proceduto di pari passo, ognuno per ciò che le compete.
Questo che ha visto il passaggio di consegne dei relativi Consigli Direttivi di AICE e di FEDEMO, si è concentrato sui temi che sono oggi di stretta attualità per quanto riguarda la cura dell’emofilia che nel nostro paese ha raggiunto livelli di assoluta eccellenza ma che rischia di disperdersi per due diversi motivi: la concentrazione delle strutture ospedaliere in aree vaste (nonostante l’accordo Stato-Regioni per i Centri di cura delle malattie emorragiche congenite) e la mancanza di ricambio nei medici esperti.
I temi del convegno sui quali si sono concentrati l’interesse maggiore ed i dibattiti sono stati i nuovi concentrati ricombinanti, la personalizzazione della cura, lo sviluppo degli inibitori.
Dobbiamo dire innanzitutto con soddisfazione che abbiamo visto un bel gruppo di medici giovani, ascoltato le loro relazioni ed assistito a qualche consegna di attestati per lavori fatti, poi, però, parlando con qualcuno ci siamo resi conto che, ad eccezione di qualche caso “fortunato”, lo “spauracchio” delle cosiddette borse di studio a vita, rappresenta l’incognita più seria per il loro futuro e, soprattutto, per la continuità della cura dell’emofilia stessa.
Le nuove leve per i ricambi ci sono ma non si è perso, anzi si è rafforzato, quel senso di precarietà che attanaglia chi vorrebbe intraprendere questo percorso.
Abbiamo voluto chiarire subito l’argomento perché, pur se non affrontato, aleggia sempre nei consessi di questo tipo, soprattutto negli ultimi anni ed è bene che non lo dimentichiamo, anzi, facciamo in modo che venga affrontato a livello istituzionale.
Poi abbiamo ascoltato la lettura magistrale di Flora Peyvandi, che dirige il Centro Emofilia e Trombosi “Angelo Bianchi Bonomi” di Milano, sugli aggiornamenti della terapia Genica.
Il giovane medico Giuseppe Mazza che attualmente svolge la sua attività di ricerca in Inghilterra all’Institute for Liver and Digestive Health Royal Free Hospital di Londra ha parlato della terapia cellulare e della personalizzazione della cura che garantendo il corretto trattamento, a seconda delle esigenze del paziente emofilico, porterebbe a: ridurre gli episodi emorragici, incentivare l’aderenza alla terapia, una più equa distribuzione dei farmaci, il miglioramento della qualità della vita
 ed anche una riduzione della spesa sanitaria.
Il medico affermato con la sua esperienza ed il giovane emergente che purtroppo per trovare il terreno fertile alle sue ricerche è dovuto emigrare.
Pensiamo che non a caso sono stati inseriti come apertura del triennale, ma anche se non fosse così, noi prendiamo ugualmente l’occasione per ricordarlo e ricordarcelo ad ogni occasione possibile, tanto più in questo caso dove erano presenti tutti i maggiori esperti nazionali ed internazionali.
Detto questo, cercheremo di riassumere per chi non ha potuto partecipare, le relazioni di maggior interesse che si sono susseguite nei tre giorni di lavori.
Domenica a Firenze, è stato presentato il libro “Finestra Rosa… percorsi parlanti”, a cura di Gianna Bellandi e Ivana Villar. La presenza femminile, attenta, è stata determinante nella definizione della volontà che tutto abbia un senso e che la condivisione delle esperienze, tutte diverse, eppure tenute insieme da un sottile fil rouge, possa portare a qualcosa di veramente importante.
Come molti già sanno, l’idea di creare un gruppo al femminile, è scaturita dal bisogno di raccontare una storia già nota, facendo parlare personaggi rimasti un po’ in disparte, troppo a lungo. Ecco quindi le voci di tante donne, raccolte in un libro, a testimoniare la storia di un evento, la malattia, che entra a far parte della vita di tutti i componenti di una famiglia.
“La diagnosi dell’emofilia è stato un fulmine a ciel sereno come per molte di noi. Non è stato semplice adattarsi a questa nuova condizione di vita.
L’accudimento, la cura e la salvaguardia del benessere psico-fisico di mio figlio sono stati la mia priorità per molti anni, tanto da aver dimenticato di prendermi cura di me. La mia energia vitale era riversata alla gestione e al raggiungimento dell’obiettivo che mi ero prefissata: l’emofilia avrebbe fatto parte della vita di mio figlio, ma non sarebbe stata mio figlio”.
Questo ha scritto Renata, madre forte e amorevole, splendida tuffatrice nel mondo dell’emofilia, perché “il raccontarsi senza veli ha permesso di dare nome, forma e movimento alla sofferenza e ai disagi”.
“Una canzone, quello che le donne non dicono” – scrive Concetta – potrebbe quasi essere la nostra bandiera. Quante cose incassiamo in silenzio, tolleriamo per quieto vivere, ignoriamo per comprensione dell’altrui disagio, aspettiamo inutilmente per insensibilità di chi ci circonda. Forse è anche giusto che vada così. In fondo siamo capaci di farlo, di sopportare questa incombenza, abbiamo la sensibilità, la comprensione e la forza per farlo.
Continuiamo ancora, continuiamo a “dirci le cose”.
La dignità non si avvale solo del silenzio, a volte ha bisogno di essere mostrata, perché va valorizzata nella sua funzione educativa. Quindi diciamole le cose, con garbo, come una volta veniva insegnato e diamo spazio alle paura, per non farci più spaventare.

m.s.r.

L’INSORGENZA DELL’INIBITORE NEGLI EMOFILICI

UNA SINTESI DELLO STUDIO RODIN
Nel 2004 un’équipe di ricercatori olandesi ha iniziato un ampio studio volto a identificare quali fossero i fattori di rischio di insorgenza degli inibitori in pazienti pediatrici affetti da emofilia A grave, soprattutto i fattori di rischio genetici e quelli legati ai differenti Fattore VIII utilizzati per il trattamento di questa malattia.
A gennaio 2013 è stato pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine” un primo articolo sul rischio di insorgenza degli inibitori relativamente al tipo di Fattore VIII utilizzato.
Si tratta di un’analisi effettuata su 574 bambini affetti da emofilia A grave nati tra il 2000 e il 2009 seguiti in 29 centri di trattamento in Europa, Canada e Israele.
L’unico risultato significativo osservato è stato un aumento del rischio di sviluppo di inibitori del 60% nei bambini trattati con Kogenate FS (o Helixate NexGen) rispetto a coloro che erano stati trattati con Advate.
Questo risultato molto inaspettato ha creato nella comunità medico-scientifica internazionale una grande perplessità, poiché i diversi prodotti di Fattore VIII ricombinanti messi sul mercato erano sempre stati considerati allo stesso livello di immunogenicità.
A seguito di questo articolo, nel marzo 2013, l’Agenzia Europea dei farmaci (EMA) ha avviato un procedimento di revisione sul rischio di sviluppo di inibitori associato all’utilizzo di Kogenate FS (o Helixate NexGen).
A dicembre 2013, l’EMA ha concluso che “Nonostante le inquietudini suscitate dallo studio RODIN, gli elementi di prova presi globalmente non confermavano un rischio maggiore di sviluppare degli inibitori rispetto ai prodotti presi in esame e che non c’era dunque alcun nuovo risultato riguardante il rapporto beneficio / rischio di questi farmaci”.

Nel Novembre 2014, un gruppo di ricercatori francesi ha pubblicato su “Blood” i risultati di uno studio osservazionale condotto da 37 centri per l’emofilia francesi (France Coag Network) su tutti i bambini nati tra il 1991 e il 2013 con una diagnosi di emofilia severa.
Di questi bambini, 303 avevano caratteristiche e sufficienti informazioni cliniche che ne hanno consentito l’inclusione in questa analisi, il cui scopo principale era quello di identificare i fattori di rischio per lo sviluppo degli inibitori in pazienti non precedentemente esposti alla terapia con FVIII.
Sia i pazienti arruolati nello studio RODIN che in quello francese erano stati classificati come PUPs (pazienti ai quali è stato somministrato per la prima volta un farmaco per l’emofilia).

Quali sono i principali risultati dello studio francese?
Nello studio francese si osserva che durante le prime 75 giornate di trattamento, a 114/303 di loro (il 37,6%) è stato diagnosticato un inibitore.
L’analisi evidenzia che nei bambini trattati con Kogenate FS (oppure Helixate NexGen) rispetto ai bambini trattati con Advate si osserva un aumento del rischio di sviluppo di inibitore del 60%.
Questo aumento del rischio persiste anche dopo aver considerato i principali fattori di rischio genetici e relativi alle tipologie di trattamento (dosi e ritmo delle infusioni, trattamento di profilassi o a richiesta).
Questo aumento del rischio persiste ugualmente nelle diverse analisi di sensibilità che mirano a verificare l’affidabilità di questi risultati.
Un aumento del 60% è osservato anche valutando solo i casi nei quali compaiono gli inibitori più gravi (con titolo superiore a 5 unità Bethesda).
Tra i prodotti di Fattore VIII ricombinanti a molecola integra, quelli di seconda generazione come Kogenate e Helixate Nex Gen sono associati ad un rischio maggiore di sviluppo di inibitori se comparati a quelli di terza generazione 8advate) mentre lo studio degli altri Fattore VIII ricombinanti, ad esempio quelli senza dominio B 8come Refacto AF) che sono meno utilizzati nei bambini dello studio, non mostra differenze significative.
I risultati osservati nello studio francese sono concordanti con quelli osservati nello studio RODIN. Questo viene confermato anche quando viene effettuata dagli autori francesi una meta-analisi, ovvero un’analisi congiunta dei due studi per aumentarne la potenza statistica del risultato.
L’ipotesi che nei PUPs la differenza osservata di incidenza tra Kogenate FS (o Helixate NexGen) e Advate corrisponda a una reale differenza di immunogenicità tra questi farmaci sembra confermata dai risultati dello studio francese.

Un terzo studio conferma il Rodin e lo studio francese
Sempre su “Blood” un gruppo di autori inglesi ha presentato i risultati di uno studio osservazionale condotto su tutti i pazienti emofilici nati tra il 2000 ed il 2011.
Sono stati inclusi 407 pazienti nell’analisi che ha mostrato, anche in questo caso, che nel gruppo di pazienti che avevano ricevuto Kogenate FS (o Helixate NexGen) si osservava una maggior incidenza di inibitori rispetto a quelli trattati con Advate.
Questo risultato è stato confermato mediante analisi statistiche multivariate, ovvero che tenevano conto dell’influenza di diversi fattori. Il numero di inibitori riportato (118/407; 29,0%) è simile a quello osservato nello studio RODIN (177/547; 30,8%) ma in quest’ultimo studio la percentuale di pazienti con inibitori ad alto titolo era più alta (20,2% rispetto a 14,5%) il che significa che le due coorti di pazienti non fossero direttamente confrontabili.

Cosa dicono e cosa non dicono i tre studi
I tre studi qui citati, il RODIN, lo studio francese e quello inglese sono studi osservazionali e non studi comparativi randomizzati. Per loro natura, gli studi osservazionali non costituiscono prove formali di effetti evidenti.
Perciò, la differenza di incidenza di inibitore osservata nei tre studi tra Kogenate FS (o Helixate NexGen) e Advate non è provata formalmente.
Tuttavia, la plausibilità dei risultati è fortemente rinforzata dal fatto che la probabilità di trovare risultati identici in tre studi è molto scarsa.
Sul gruppo in cui il rischio di inibitore è più alto, quello dei bambini affetti da emofilia A grave, gli studi riportano che circa un terzo di questi bambini sviluppa un inibitore contro il Fattore VIII che riceve. I risultati osservati non sono estrapolabili per gli altri pazienti affetti da emofilia A per i quali il rischio di inibitore è molto più basso, che si tratti di bambini affetti da emofilia A moderata o lieve, di giovani o adulti, affetti da emofilia A e già trattati.
Fino alla pubblicazione dello studio RODIN, il principale argomento riguardante l’immunogenicità relativa dei prodotti di Fattore VIII ricombinanti commercializzati si concentrava sull’esistenza di una possibile differenza tra i prodotti di Fattore VIII d’origine plasmatica (pdFVIII) e i prodotti di Fattore VIII ricombinanti, senza distinzione all’interno di quest’ultima classe.
Alcuni studi pubblicati su questo argomento avevano condotto a risultati contraddittori.
Questo aspetto, a questo stadio, non è stato trattato nello studio francese, poiché era prima di tutto necessario comprendere se i prodotti di Fattore VIII ricombinanti costituissero un gruppo omogeneo e meno in materia di immunogenicità.
I due farmaci, Kogenate FS e Helixate NexGen non sono stati distinti nei tre studi poiché sono sintetizzati nelle stesse catene di produzione e considerati identici. Perciò, è improbabile che la loro immunogenicità sia diversa.
Se la differenza di immunogenicità tra Kogenate FS (o Helixate NexGen) e Advate è reale, essa si basa inevitabilmente su un meccanismo fisiopatologico che finora è sconosciuto.
Ma ciò non esclude che la differenza osservata possa essere reale.

Quali sono le implicazioni dei risultati pubblicati?
L’insorgenza di inibitori coinvolge circa un terzo dei bambini affetti da emofilia A grave trattati e fino a questo momento non è stata evidenziata alcuna differenza tra i vari paesi.
Quindi, i risultati osservati nello studio RODIN e lo studio francese sono estendibili all’insieme dei paesi nei quali i prodotti di Fattore VIII ricombinanti sono usati nelle stesse condizioni; ossia nei paesi occidentali e quelli con simile livello economico, dove i bambini sono trattati preventivamente o ai primi episodi emorragici.
In Francia, i dati mostrano che ogni anno nascono in media 34 bambini maschi affetti da emofilia A grave.
Tra il 20 e il 25% di loro sono trattati con un prodotto di Fattore VIII e tra il 75 e l’80% vengono trattati con uno dei tre ricombinanti commercializzati nell’Unione Europea.
Tra questi ultimi circa un terzo dei pazienti è trattato con Kogenate FS (o Helixate NexGen). Con l’ipotesi che la differenza di immunogenicità osservata tra Kogenate FS (o Helixate NexGen) e Advate sia reale, il calcolo rivela che si potrebbero evitare uno o due casi d’insorgenza dell’inibitore ogni anno in Francia se coloro che prescrivono i farmaci non scegliessero più il Kogenate FS (o Helixate NexGen) per iniziare il trattamento sostitutivo dei bambini affetti da emofolia A grave.
Un simile calcolo per stimare il numero di casi di sviluppo di inibitore evitabili può essere attuato in tutti i paesi nei quali viene usato il Kogenate FS (o Helixate NexGen).
Gli autori dello studio francese pensano che questi risultati debbano essere presi in considerazione nel momento in cui si instaura un trattamento con Fattore VIII ricombinante su un bambino affetto da emofilia A grave.
Solo ampie coorti di bambini affetti da emofilia A grave rigorosamente seguiti durante i primi anni del loro trattamento possono permettere di individuare eventuali differenze di immunogenicità tra Fattore VIII all’interno di questa popolazione.
Ora molti nuovi ricombinanti, in particolare quelli ad azione prolungata sono ad uno stadio avanzato del loro sviluppo clinico e prossimamente dovrebbero essere messi sul mercato nei differenti paesi, tra cui quelli dell’Unione Europea.
L’evoluzione delle conoscenze riguardanti l’immunogenicità dei prodotti di Fattore VIII mostra che le prove cliniche richieste dalle agenzie regolatorie che autorizzano i nuovi farmaci non permettono di individuare un leggero aumento di immunogenicità.
Quest’incapacità è legata in parte allo scarso numero di pazienti in ragione del fatto che si tratta di una malattia rara e della logica esclusione di tutti i pazienti su cui si interviene in urgenza, inclusi soprattutto i bambini trattati per la prima volta, ma anche alle condizioni di inclusione.
Questa difficoltà è riconosciuta dalle agenzie regolatorie dei farmaci e dai numerosi esperti del settore. Le autorità sanitarie degli Stati e la comunità internazionale devono mobilitarsi per essere in grado di individuare il più precocemente possibile l’esistenza di un’eventuale alta immunogenicità per i ricombinanti che saranno messi sul mercato.

IL DOCUMENTO DELLA FONDAZIONE DELL’EMOFILIA DEGLI STATI UNITI
Il MASAC, Consiglio Medico e Scientifico dell’NHF, National Hemophilia Foundation, ha valutato in tre recenti pubblicazioni, i tre studi che suggeriscono una maggiore immunogenicità di uno specifico rFVIII recensiti accuratamente da giornali scientifici, suggerendo un elevato valore anticorpale per uno specifico prodotto (Kogenate FS|Helixate NexGen), nei PUPs con Emofilia A.
Ognuna di queste pubblicazioni si basa sulla similarità delle loro osservazioni individuali e analisi statistiche per rafforzare la loro convinzione che i PUPs non dovrebbero assumere questi prodotti come loro iniziale trattamento almeno fino a che non saranno concluse le analisi e ricerche. Gli autori di queste pubblicazioni hanno riconosciuto tutte le limitazioni dei dati per arrivare alle conclusioni.

Il MASAC ha sottolineato l’importanza del fatto che i clinici discutano in maniera approfondita con le famiglie di pazienti sulla scelta del prodotto da utilizzare sui PUPs. Mentre i pazienti che sono già stati trattati con Kogenate possono probabilmente continuare col prodotto in sicurezza. Non è stato trovato aumento di rischio di inibitore nei pazienti, precedentemente trattati, con l’uso di questi prodotti.
In conclusione, il MASAC ha considerato che il Kogenate FS/Helixate NexGen, è stato commercializzato per più di una decade con un buon record di sicurezza.
Nello studio inglese il rischio di aumento di inibitore per il Kogenate, è stato trovato nei primi 8 anni dello studio, ma non dopo.
Tuttavia un aumento di rischio di sviluppo di inibitori è stato anche associato con l’uso di rFVIII privi di “Dominio B”. I dati recentemente presentati dall’ EUHASS, indicano che non c’è un segnale di aumentata immunogenicità per il KogenateFS/Helixate NexGen.

Il MASAC cita anche lo studio EPIC. L’analisi indica che Advate, quando usato nei PUPs, era associato con un’incidenza di inibitori alloanticorpali, con tassi di avvicinamento delle percentuali simili ai tre studi che coinvolgono il Kogenate Fs/Helixate NexGen. EPIC, sebbene sia un piccolo studio, aveva una rigorosissima selezione di pazienti basata sul loro rischio di inibitore.
Studi ridotti come EPIC, potrebbero non rispecchiare la realtà.
Un’analisi completa degli studi di EPIC non è stata pubblicata.

Il MASAC esorta i medici ad essere bene informati su come le conclusioni degli studi riguardanti Kogenate Helixate, sono state raggiunte, come le limitazioni dei loro progetti di studio, possono aver influenzato le loro conclusioni biostatistiche e come queste scoperte possano essere impiegate per influenzare la decisione terapeutica da prendere.
L’FDA ha indicato che revisionerà gli approcci biostatistici impiegati dagli autori di questi studi. Tuttavia non c’é una tempistica per queste analisi. Il MASAC lavorerà con l’FDA per facilitare le loro analisi indipendenti dei data-base impiegati da questi studi pubblicati, senza tuttavia stabilire tempi certi per la conduzione di questa analisi.

IL DOCUMENTO DELLA FEDERAZIONE MONDIALE DELL’EMOFILIA
Il 3 ottobre 2014, la Federazione mondiale dell’emofilia (WFH) ha emesso un comunicato in merito allo studio francese COAG. Il WFH ha chiesto che la US Food and Drug Administration (FDA) e l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) esaminino tutti i dati pertinenti e giungano ad una conclusione il più presto possibile. Sia la FDA e l’EMA hanno confermato che i dati saranno riesaminati ma i risultati non saranno pronti prima dell’inizio del 2015. E’ opinione del WFH che tutti i dati disponibili dovranno essere condivisi per dare una risposta più chiara circa il rischio relativo per i singoli prodotti.
Sulla base dei dati pubblicati e attualmente disponibili, la WFH rimane del parere che può essere prudente considerare di non utilizzare Kogenate FS / Bayer / Helixate NexGen per PUPs affetti da grave emofilia A quando sono a disposizione altri concentrati di fattore di coagulazione più sicuri. Non è noto un aumento del rischio per altri pazienti che usano questi prodotti.
La WFH seguirà da vicino la situazione e comunicherà nuove informazioni quando saranno disponibili.

IL COMUNICATO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI CENTRI EMOFILIA
Il 1° Dicembre l’AICE ha emesso un comunicato del quale riportiamo le parti salienti dove si commentano i risultati di tre studi sulle evidenze dell’insorgenza dell’inibitore in pazienti emofilici A gravi mai precedentemente trattati.
“Riguardo alle evidenze scaturite dai tre recenti studi i quali evidenziano un maggiore rischio di inibitore nei PUPs (emofilici A gravi di nuova diagnosi) esposti ai prodotti rFVIII a molecola interga di seconda generazione, AICE specificamente raccomanda che i pazienti e/o i loro genitori debbano essere accuratamente informati dei risultati di tali studi, così come tutti gli studi riportati in letteratura volti a chiarire il ruolo del tipo di prodotto quale fattore di rischio di inibitore. In particolare, AICE sottolinea l’importanza di informare i pazienti circa i dati derivanti dal Registro prospettico di sorveglianza Europea EUHASS (European Haemophilia Safety Surveillance) i quali, allo stato attuale (dopo quattro anni di osservazione) non evidenziano significative differenze nell’incidenza d’inibitore in PUPs trattati con diversi prodotti di rFVIII.
Tuttavia è, da tenere in considerazione che questo Registro EUHASS non sia applicabile ad alcun tipo di analisi multivariata e non possa quindi essere esclusa l’influenza di eventuali fattori confondenti.
In conclusione, analogamente a quanto già indicato dalla WFH, AICE ribadisce che non vi sono, al momento evidenze di aumentato rischio di inibitori in pazienti già precedentemente esposti ai prodotti Kogenate Bayer/Helixate NexGen.
Per ciò che attiene ai PUPs affetti a emofilia A grave che necessitano di intraprendere la terapia sostitutiva, qualora la disponibilità di altri concentrati di rFVIII lo consenta e fino a quando non saranno noti i risultati delle ulteriori analisi che FDA ed EMA stanno attualmente conducendo, AICE suggerisce cautela nell’utilizzo dei prodotti Kogenate Bayer ed Helixate NexGen”.

Anche sull’argomento talassemia trattato in quest’anno abbiamo concentrato gli argomenti più rilevanti attraverso interviste, congressi ed attività delle associazioni.

TALASSEMIA PARLIAMONE INSIEME

ROMA – “Di solito la figura del medico, pur essendo dedita alla salute del paziente, quasi sempre si lascia percepire distaccata dallo stesso. Tuttavia in questa celebrazione romana della Giornata Mondiale della Talassemia le cose mi sono apparse in positivo mutamento.
Non ho mai visto infatti tanti dottori, specialisti, esponenti dell’amministrazione sanitaria e diretti interessati al problema, interagire con intelligente sinergia ai fini di una proficua collaborazione”.
Questo è uno dei tanti entusiastici pareri raccolti al termine dell’evento che si è svolto a Roma, dal titolo “Talassemia: parliamone insieme”, organizzato dalle Associazioni Microcitemici e Talassemici del Lazio (AMITAL), “Gocce di Vita” e “Ad Spem” con il sensibile sostegno di Novartis.
Nella regione vi è infatti un elevato numero di pazienti emoglobinopatici (350) e di persone   interessate al problema (1500), nonché una consolidata e riconosciuta tradizione nel campo della ricerca, diagnosi e cura di questa patologia.
Inoltre l’età media dei pazienti ha raggiunto la IV decade ed è il frutto della bontà delle cure erogate e del pluriennale lavoro di coordinamento tra i centri di cura.
Questo far sistema – ha concluso il Responsabile del Centro di riferimento regionale per la talassemia sito nell’Ospedale S. Eugenio di Roma – è ancor più necessario per affrontare le criticità comunque presenti sul territorio, come la carenza di sangue in alcuni periodi, le difficoltà di accesso alle cure, gli staff specialistici e dedicati alla patologia ridotti all’osso, l’uso discrezionale dei riconoscimenti d’invalidità o rinnovo patenti da parte delle commissioni medico-legali”.

 LA LETTURA MAGISTRALE
A partire dagli anni più bui della storia, quando la vita dei pazienti si interrompeva in tenera età, il professore ha ricordato le varie fasi di progresso sino a giungere ai giorni nostri, caratterizzati dall’insperato balzo in avanti dell’aspettativa di vita e all’avvento di trattamenti rivoluzionari e (speriamo) radicali, come la terapia genica.
Come una pellicola di un film, i fotogrammi si sono piacevolmente succeduti puntualizzando sulla terapia trasfusionale e sul trattamento chelante con la desferoxamina.
Una prima svolta arriva con “l’introduzione (negli anni ’90) del primo e tanto atteso chelante orale, di indubbia efficacia specialmente sul cuore, ma che sconterà l’handicap di essere partito senza le regolari ed ufficiali sperimentazioni”.
Ancora Cianciulli ha ricordato la felice intuizione del trattamento combinato. Inoltre ha rammentato la rivoluzionaria ed ormai indispensabile tecnica di valutazione dell’emosiderosi con la Risonanza magnetica T2 Star. Una tecnica che offre la possibilità di modulare il trattamento chelante a seconda delle esigenze del paziente per giungere alla disponibilità di un altro chelante orale.
Quest’ultimo, in mono-somministrazione, è stato però supportato da un corredo di ottima produzione scientifica e da studi clinici.
“Così, con il Deferasirox, che può essere assunto anche dai bambini piccoli attraverso il biberon – ha affermato Cianciulli – ora si può parlare veramente di una terapia cucita addosso al paziente.
E adesso, il trattamento trasfusionale può essere accompagnato da un ottimale trattamento ferrochelante avendo a disposizione tre farmaci.
Tuttavia si dovrà ancora parlare di salute cardiaca, ma occorre tener presente anche tutte le altre problematiche, come quella epatica che oggi sembra essere emergente nonché dell’approccio endocrinologico. Così 
– ha concluso il professore – la sfida continua!”.
Per l’importanza del ruolo che ricoprono a livello regionale, seguitissimi sono stati i successivi interventi della dott.ssa Silvia Castorina, direttrice del Centro Regionale Sangue e della dott.ssa Lorella Lombardozzi, dirigente dell’Area politica del farmaco.
La dott.ssa Castorina ha parlato della situazione sul piano regionale in campo trasfusionale, mettendo in risalto le evidenti e purtroppo annose criticità, avvalendosi di dati statistici aggiornati. Ha altresì posto l’accento sul piano di riordino di tutta la filiera della raccolta, preparazione e distribuzione degli emocomponenti a livello regionale che da tempo è in cantiere, fornendo ampia disponibilità per la risoluzione delle istanze che numerose sono state avanzate dalla platea.
Il tutto al fine di assicurare ai talassemici una terapia trasfusionale ottimale.

EPATITE C: LA RIVOLUZIONE E’ ALLE PORTE…
…ma quanto costeranno i farmaci?
La seconda testimonianza è stata quella di un ragazzo romano che ha raccontato i problemi derivanti dalla sua epatopatia a cui ha fatto seguito il contributo dell’epatologo dott. Claudio Puoti dell’Ospedale di Marino.
L’intervento del simpatico clinico ha suscitato notevole interesse perché in massima parte rivolto alle risultanze delle sperimentazioni in corso sui nuovi farmaci per l’epatite C.
La possibilità di avere, quanto prima, disponibili agenti antivirali diretti che hanno dimostrato efficacia uguale o addirittura superiore all’interferon (in combinazione o no), lascia ben sperare su un futuro prossimo della cura di questa temibile complicanza.
Resta ovviamente aperta la problematica del costo di tali trattamenti che sappiamo al momento elevatissimo.

IL RUOLO CHIAVE DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI

Da parecchio tempo stiamo insistendo sulla necessità che il movimento italiano che ruota attorno alle sindromi talassemiche e drepanocitiche lavori in maniera sinergica per garantire il mantenimento dell’eccellenza dei nostri centri anche in tempo di crisi.
Per movimento nazionale deve intendersi sia quello riferito ad associazioni e fondazioni che alla comunità scientifica. La frequenza con la quale insistiamo nel proporre questa svolta è un forte richiamo a prendere atto che le molte agevolazioni ed i benefit che sono stati riconosciuti in precedenza sono fortemente a rischio per un paese in recessione come il nostro. E questo non è un problema che tocca solo la parte debole, cioè i pazienti, ma che tange notevolmente anche la comunità scientifica la cui capacità di fundraising si è drasticamente ridotta negli ultimi tempi.
La strada della tanto predicata unità d’intenti è, a nostro modesto avviso, l’unica possibilità che medici e pazienti hanno per garantire o vedersi garantita una continuità assistenziale di valore assoluto quale è sempre stata la cura della thalassemia in Italia.
Rivendichiamo, con un pizzico di orgoglio nazionale, l’eccellenza del nostro paese, che ha sempre funzionato da traino per tutti gli altri, sotto l’aspetto clinico e scientifico, anche per quelli che molte risorse economiche hanno investito e sono in condizione di continuare a farlo. Il problema per noi è quello di riconfigurare un rapporto tra comunità scientifica ed associazioni, tra medici e pazienti, che si è andato via via sfilacciando negli ultimi anni forse per una scarsa disponibilità al dialogo.

IL RUOLO CHIAVE DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI
Giova ricordare che le associazioni dei pazienti hanno giocato un ruolo chiave nella conquista dell’eccellenza italiana degli ultimi trent’anni e sono servite ampiamente da modello per i nostri amici internazionali, ma oggi devono fortemente innovarsi per stare al passo con i tempi, guardando avanti senza rimpiangere quello che è stato, per costruire il futuro a garanzia dei propri associati.
La comunità scientifica deve, a sua volta, riflettere seriamente al suo interno rispetto a quello che è diventato il paziente oggi, e riconoscerlo come un interlocutore di pari livello, un soggetto attivo, e non un oggetto di studio.
La sinergia ha dimostrato in passato di essere un ottimo ingrediente per raggiungere risultati di indiscusso valore scientifico e sociale. Per meglio chiarire quello che potrebbe essere interpretato come una bella filosofia ma senza un risvolto pratico possiamo avanzare come esempio un fatto recente che non è sfuggito all’attenzione generale.
Qualche mese fa AIFA, l’Azienda Italiana del Farmaco, ha emanato una Determina con la quale autorizzava la terapia chelante combinata rispondendo così alle esigenze di quei centri che, per disposizioni regionali, non erano autorizzati a prescrivere i due farmaci contemporaneamente allo stesso paziente. Purtroppo la possibilità della doppia prescrizione è stata vincolata ad un protocollo “capestro” che conteneva parametri difficili da riscontrare e, comunque, comportava ampi margini di rischio per i pazienti.
L’iniziativa sinergica della Fondazione Italiana “L.Giambrone” in rappresentanza dei pazienti e la collaborazione con UNIAMO, la federazione sulle malattie rare, ha consentito di ottenere un audit all’AIFA per discutere della possibilità di rivedere la Determina in questione.
Ma la rappresentanza dei pazienti ha fortemente interrogato i medici della SITE affinché prendessero parte a questa iniziativa così da far fronte comune per una positiva risoluzione della cosa.
Partecipare compatti all’audit ha consentito di ottenere che AIFA sospendesse cautelativamente l’efficacia della Determina in attesa che una nuova Commissione Tecnica, a settembre, ne riscrivesse il contenuto seguendo quelli che sono gli standard più avanzati con i quali viene praticata la terapia chelante. Tutto è bene quello che finisce bene, si potrebbe dire, però vogliamo evidenziare che nello specifico una grossa parte del lavoro va riconosciuto al peso “politico” di UNIAMO in campo di sanità pubblica. Dal 2012 abbiamo creato e sostenuto UNITED, in rappresentanza delle associazioni italiane, viene da chiedersi perché ci sia stato bisogno di un interlocutore esterno per una vicenda che si poteva gestire all’interno.
La storia dice che abbiamo al nostro interno tutto quello che serve per conquistare un peso “politico” importante da far valere nei contesti che contano e decidono le politiche sanitarie, dobbiamo solo imparare a sfruttarlo al meglio. Se si opera assieme e si agisce con capacità di programmazione e progettualità si può arrivare lontano, lo abbiamo dimostrato in questa piccola vicenda dell’AIFA.
Crediamo che una collaborazione stretta tra la comunità scientifica e la rappresentanza delle associazioni possa avere uno sbocco positivo se viene riconfigurato il rapporto tra i medici ed i pazienti nel senso che abbiamo indicato in precedenza, diversamente sarà inutile perdere tempo a lagnarsi quando faremo il passo del gambero. I tavoli decisionali in materia di politica sanitaria sono prevalentemente a livello regionale e qui è necessario avere associazioni che sappiano rappresentare nella giusta maniera gli interessi dei pazienti.

IL COMPITO DI UNITED
UNITED ha il compito di intervenire nei modi e nei tempi che la politica nazionale suggerisce come sovrastruttura delle associazioni, ma rappresentare fortemente il movimento a livello di Comunità Europea, cioè laddove vengono decisi i trasferimenti dei fondi per la ricerca e non solo.
La comunità scientifica può agire trasversalmente ad ogni livello ed in sinergia con le associazioni avvalorarne l’azione fornendo il supporto di conoscenze e know-how che è patrimonio del nostro grande paese.
Solo unendo le forze e mettendo a disposizione le nostre capacità intellettuali potremo mantenere l’eccellenza, prima lo capiremo meglio sarà per tutti.

Loris Brunetta

ATTIVITÀ ED I PROGETTI DELL’UNIONE DELLE ASSOCIAZIONI TALASSEMICI E DREPANOCITICI

ROMA – L’Unione associazioni Thalassemici e Drepanocitici (U.N.I.T.E.D) prosegue il suo lavoro per portare avanti gli obiettivi del proprio manifesto costitutivo.
La “rifondazione” del sodalizio è stata realizzata nella sala conferenze di ematologia del Policlinico Umberto I il 12 maggio 2013.
Da quel momento si sono registrati una serie di piccoli e grandi eventi che hanno fatto capire come United volesse diventare una realtà realmente attiva, nonostante la ristrettezza di fondi e l’assenza di una struttura operativa.
E sodo si è lavorato. Almeno se si analizza serenamente, il resoconto delle attività 2013 che il presidente ferrarese Marco Bianchi, ha portato all’attenzione del Consiglio direttivo di fine anno.
Non poteva mancare la fase di realizzazione dell’interessante convegno svoltosi a Ferrara lo scorso novembre.
Questo è stato il primo convegno di United ed ha visto la luce grazie anche alla collaborazione del T.I.F (Thalassemia International Federation) e alla Società europea con sede a Barcellona, in Spagna, che si occupa di anemie rare (ENERCA). Tanti sono stati i momenti salienti di questo evento che ha cercato di puntare i riflettori sulle prospettive terapeutiche per le anemie rare e la talassemia. Ma la manifestazione ha toccato l’apice con le novità sulla genoterapia.
Tornando al Consiglio direttivo della United, il presidente Bianchi ha esortato tutti i consiglieri a prender parte anche agli incontri organizzati attraverso le videoconferenze che si organizzano nel corso dell’anno. “Anche se – ha detto il presidente – lo sforzo da realizzare sarà quello di migliorare i collegamenti della piattaforma utilizzata”.
Tuttavia per il 2014, un gruppo di consiglieri con il vice presidente Enrico Maccari (di Roma) in testa, hanno proposto lo svolgimento di minimo due Consigli direttivi reali, ossia con la presenza fisica dei consiglieri. A questi andranno ad aggiungersi normali incontri che mensilmente si terranno in via telematica.
Non dovrà altresì mancare un’assemblea generale annua.
Per questo 2014 si è deliberato che tanto il Consiglio direttivo, quanto l’Assemblea plenaria, si svolgeranno a Roma, sabato 5 Aprile.
In merito alla fase operativa che necessariamente dovrà seguire le decisioni del direttivo, il vice presidente Maccari ha proposto la creazione di una segreteria operante nella sede territoriale del presidente. Per questo chiede anche un segretario ferrarese che possa avere a disposizione un suo ufficio. È chiaro però, che un impianto di questo genere necessita di ben altre risorse rispetto a quelle che attualmente dispone la United. Si pensa così, a come reperire i fondi.
Ovvia soluzione appare quella di cercare sponsor privati. Ma oltre a questi (che sono possibili, ma non certi), si pensa innanzitutto al sostegno diretto delle associazioni italiane.
In altre parole, i sodalizi dei thalassemici sparsi nel Paese, non possono stare troppo alla finestra ed aspettare che i problemi li risolvano gli altri. L’unione fa la forza, si dice.
E così, ognuno dovrebbe sentirsi in dovere di offrire il proprio contributo alla federazione.

Giuseppe Mele

UN TAVOLO COMUNE FRA ORGANIZZAZIONI SCIENTIFICHE E ASSOCIAZIONISMO

La contemporanea presenza di scienziati di grande levatura internazionale affiancati da organismi internazionali come Enerca e la Thalassemia International Federation, e da realtà nazionali, sia scientifiche, come SITE, che sociali, come UNITED e Fondazione “L.Giambrone”, ha saputo dar vita ad un evento globale, di grande spessore ed interesse, riuscendo a dimostrare come sia possibile istituire un tavolo di lavoro comune, pur lasciando a ciascuno il proprio ruolo istituzionale.
Certamente l’attesa, per i pazienti soprattutto, era quella di ascoltare quelle “novità”, delle quali siamo sempre alla bramosa ricerca, e, sotto questo profilo, il Simposio non ha deluso la platea degli intervenuti. Le presentazioni sulla terapia genica in corso a New York e sulle terapie innovative per il contrasto delle complicanze della talassemia sono state esaurienti ed esposte con un linguaggio alla portata di tutti, ed hanno dato la netta percezione che siano stati fatti significativi passi avanti in ogni campo negli ultimi dieci anni, e questo rappresenta un’ottima garanzia per i pazienti.
Ma, al di là dei contenuti scientifici, seppur di straordinario rilievo, sono altrettanto importanti le cose che un evento del genere sottende più che quelle che manifesta.
Lo sforzo messo in campo da UNITED, nata da poco più di un anno, è stato ripagato, come si suol dire, da una buona copertura mediatica dell’evento e dalla grande affluenza di pubblico che si è avuta, ma saranno le ricadute che questa iniziativa potrà garantire a fare la differenza per il futuro, naturalmente a patto che quanto seminato nell’occasione sia messo a frutto. La difficile congiuntura internazionale, non solo intesa dal punto di vista economico, ma anche per la gestione dei flussi migratori e le nuove politiche di welfare delle quali si è cercato di evidenziare le zone d’ombra, mette ciascuno di noi davanti a sfide che richiedono di essere affrontate si con cognizione di causa ed avendo una chiara visione del futuro, ma soprattutto col gioco di squadra.
In questo momento storico “andare da soli”, come si dice in pessimo gergo politichese, non solo sarebbe controproducente ma addirittura dannoso.
La sfida, di questi tempi, si gioca a livello europeo, è necessario tenerlo sempre ben a mente, poiché appaiono velleitari, e fuori luogo, i tentativi demagogico-populisti di qualche personaggio politico che minaccia il distacco da Bruxelles e dall’Euro.
Ma, per calcare questo campo di gioco con qualche speranza di non essere sopraffatti è necessario conoscere il terreno, dotarsi di una strategia efficace e degli strumenti adatti per metterla in pratica.
Stare a livello europeo significa poter monitorare da vicino le politiche sanitarie e l’accesso ai fondi per la ricerca, proporre progetti di studio clinico sui nuovi farmaci, quelli orfani in primis, seguire le procedure per la registrazione delle nuove terapie, insomma diventare soggetti attivi e non passivi del processo decisionale.
Molti dei paesi europei con i sistemi sanitari più efficienti del nostro, come l’Inghilterra, stanno attraversando un periodo molto complicato, ed hanno drasticamente ridimensionato le possibilità di accesso alle cure a titolo gratuito.
In Italia ancora non siamo a questo punto, ma gli esempi d’oltre cortina consigliano di tener conto che presto potremmo avere qualche sorpresa anche noi, e che sarebbe bene cominciare a pensare a forme di previdenza autonome, come categoria di pazienti.
E per far questo è necessario compattare quanto prima l’ambiente e tener pronte soluzioni da proporre alle istituzioni.
Ciascuno deve rapidamente aggiornare la propria visione delle cose sforzandosi di cambiare il modo di guardare gli avvenimenti e di giudicarli non più secondo le proprie convenienze ma con un’ottica rivolta al bene comune.
La promozione di un nuovo rapporto, paritario, medico-paziente in chiave moderna, se ben costruito ed intellettualmente onesto, può significare un cambio di passo anche nel nostro miserando paese, dove prevale sempre la logica medievale della corporazione.
Solo in questo modo sarà possibile per ogni elemento che concorre, federazioni, associazioni, fondazioni, società scientifiche e multinazionali del farmaco, mantenere il proprio spazio di azione, ma collaborando a “fare sistema” in una prospettiva di più ampio respiro saremo in grado di fronteggiare i problemi con maggiore efficacia.

CONGRESSO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DELLE TALASSEMIE ED EMOGLOBINOPATIE

Si è svolto a Genova alla metà di ottobre scorso il Congresso nazionale della SITE, la Società Italiana delle Thalassemie e delle Emoglobinopatie, con un ampio programma scientifico e che prevedeva anche l’elezione del nuovo consiglio direttivo e del Presidente.
Come ha detto la Prof. Cappellini, presidente uscente della Società, nella sua prolusione introduttiva al congresso, quest’anno, e ufficialmente per la prima volta, è stato invitato a presenziare ai lavori anche un rappresentante dei pazienti, il Presidente di UNITED Marco Bianchi.
Inoltre, nel corso dei lavori, è stato possibile, da parte dei pochi pazienti presenti, intervenire sia per proporre domande dirette ai relatori al termine delle loro esposizioni sia per sottolineare aspetti organizzativi sui quali una collaborazione con le Associazioni sarebbe auspicabile.
È un passo avanti significativo, sulla strada di quanto andiamo sostenendo da tempo, che sia ormai non più procrastinabile l’attivazione di un percorso di stretta collaborazione tra l’universo scientifico e quello sociale rappresentato dalle Associazioni del settore, e non solo a livello nazionale ma anche sovranazionale.
Come noto, l’Italia, che si propone da apripista anche sotto questo aspetto, rappresenta quanto di meglio disponibile al mondo, in tema di thalassemie ed emoglobinopatie, e i contenuti del convegno sono li a dimostrarlo, ma confidiamo che, senza ripensamenti, i nuovi vertici della SITE, presieduta per i prossimi quattro anni dal dottor Gianluca Forni, responsabile del Centro della Microcitemia e delle Anemie Congenite di Genova, continui a dimostrare che la strada intrapresa sbocchi in una diversa considerazione del ruolo che i pazienti possono avere nello sviluppo delle politiche sanitarie nel prossimo futuro.
Altra novità rimarchevole è quella costituita dal riconoscimento dell’importanza della figura ricoperta dell’infermiere all’interno dei centri di cura al punto tale che, anche un rappresentante della categoria infermieristica è entrato a pieno diritto nel nuovo direttivo della SITE.
Notiamo quindi e con grande soddisfazione l’introduzione di due grosse novità, prescindendo dai contenuti scientifici, pure di grande importanza, che ha toccato il congresso nazionale.

NOVITA’ SCIENTIFICHE DI RILIEVO
Sul piano più prettamente scientifico, di grande spessore sono stati i dati presentati riguardo all’incidenza ed alla cura dell’ipertensione polmonare, riguardo ai temi dell’osteoporosi e del dolore, un problema ormai consolidato che richiede di essere affrontato con decisione, perché entrambi hanno una significativa ricaduta sulla qualità della vita dei pazienti.
Va inoltre rimarcata la presenza di ospiti internazionali di straordinaria levatura, tra i quali citiamo, senza voler far torto a nessuno, il Prof. John Wood del Children Hospital di Los Angeles.
Grande spazio è stato riservato, come al solito, alla terapia chelante ed ai dati che sono emersi dal progetto MIOT dal quale risulta che oltre i due terzi dei pazienti hanno un sovraccarico cardiaco poco significativo con valori di T2* sopra i 20 ms, e che quindi l’efficacia degli attuali farmaci disponibili è provata. Naturalmente non ci si può accontentare di questo pur importante risultato ma è necessario migliorare comunque la percentuale dei pazienti in sicurezza rispetto alla malattia cardiaca da sovraccarico di ferro ma soprattutto utilizzare la Risonanza Magnetica anche per testare la funzionalità cardiaca ed epatica.
Relativamente ai farmaci chelanti, sono state riportate le casistiche di incidenza degli effetti collaterali più “pericolosi” e sui quali si pratica un attento monitoraggio, ma va detto che nessuno di questi ha un grande rilievo in termini statistici e che qualunque effetto è comunque reversibile o perlomeno agevolmente controllabile.
La novità rilevante è la partenza del trial clinico per l’uso della nuova formulazione di Exjade®, non più in compresse idrosolubili ma in semplici compresse da assumere con maggior facilità.
La nuova formulazione, che contiene anche eccipienti diversi, dovrebbe consentire una miglior tollerabilità del farmaco.
Sono attualmente in trial clinico alcuni farmaci che sembrano avere una buona efficacia nella produzione quantitativa di emoglobina che ridurrebbe così il fabbisogno trasfusionale.
I risultati degli studi in corso sono solo molto preliminari quindi sarà necessario attendere ulteriori conferme riguardo alla validità dei dati raccolti finora ma si respira molta fiducia riguardo ad un loro utilizzo nelle patologie emoglobinopatiche.

LA DREPANOCITOSI, UN PROBLEMA IN PIU’ IN ESPANSIONE
Si è approfondito con attenzione particolare il tema della Drepanocitosi che, in considerazione dei flussi migratori che portano nel nostro paese un numero sempre crescente di pazienti affetti da questa patologia, sta assumendo una rilevanza significativa anche in zone nelle quali non esisteva fino ad ora una adeguata preparazione.
Da un questionario somministrato dai centri di cura sono emersi dati interessanti riguardo ai pazienti stranieri identificati portatori di anomalie emoglobiniche, tra i quali il 69% risiederebbe al nord mentre al sud solo il 3%.
Questi risultati confermano la necessità di mappare la distribuzione di questi nuovi pazienti molti dei quali risiedono in aree del paese mai toccate prima da questi problemi e che oggi si trovano ad affrontare emergenze senza l’adeguata organizzazione e conoscenza delle patologie soprattutto a livello di Pronto Soccorso per gli eventi acuti che la drepanocitosi spesso induce nei malati.
Si è toccato anche il tema degli screening neonatali giudicandoli uno strumento utile per l’identificazione tempestiva delle patologie ma inutile come schema universale da adottare sulla popolazione immigrata a causa della comunque bassa incidenza di queste anomalie genetiche.
I costi che la sanità pubblica deve affrontare per assicurare la terapia a questi pazienti sono certamente non trascurabili, poiché un bambino con drepanocitosi costa in media 18000 € all’anno rispetto ai 1000 € di un bambino sano.
Sono state presentate le raccomandazioni per il pronto soccorso pediatrico di questi pazienti in collaborazione con l’AIEOP (Associazione Italiana Ematologia ed Oncologia Pediatrica) che, attraverso la diffusione di moduli di intervento necessari per i casi di acuzie, mirano a fornire ai medici di PS uno strumento fondamentale per impedire il degenerare della situazione. Alcuni responsabili di centri minori hanno rilevato lo scollamento che esiste tra questi ed i centri di cura più importanti riguardo alla circolazione delle informazioni ed alla distribuzione di queste linee guida. I rappresentanti delle associazioni dei pazienti presenti in sala hanno stigmatizzato pertanto l’importanza del ruolo di queste ultime proprio come collegamento tra centri di riferimento e periferici per uniformare i trattamenti sanitari.
Riguardo alla terapia genica ci sono alcune interessanti novità sia sul versante nazionale, partirà ad inizio 2015 il trial clinico sui pazienti predisposto dall’Istituto S. Raffaele di Milano in collaborazione con il centro del Policlinico, sia su quello internazionale perché rimbalzano da Parigi e dagli Stati Uniti alcuni importanti dati sull’efficacia di uno studio molto preliminare su alcuni pazienti thalassemici condotti dall’equipe Leboulch e Cavazzana con l’utilizzo di un vettore di nuova generazione che sembrerebbe capace di ottenere l’indipendenza trasfusionale in brevissimo tempo.
Naturalmente anche su questo fronte è necessario attendere con fiducia la conferma dei dati preliminari che sembrano assai incoraggianti ma che, come ogni trattamento di “frontiera”, richiedono prudenza nella valutazione.
Come ultimo argomento trattiamo il discorso sull’epatite C, brillantemente esposto dal Prof. Di Marco di Palermo, che ha ripercorso la storia clinica del trattamento di questa infezione. Come sappiamo l’Italia può vantare, si fa per dire, il triste record di persone infettate dalle trasfusioni, soprattutto nel periodo che va dall’inizio degli anni ’80 alla metà degli anni ’90.
Dai lavori pubblicati sull’argomento si evince che circa l’85% dei pazienti sia stato contagiato con il virus dell’epatite C, che una volta si chiamava “non A non B”, e che solo un 30% abbia spontaneamente eradicato l’infezione senza ricorrere a terapie.
Nel corso del tempo sono state utilizzate diverse terapie per eliminare questa sorda e pericolosissima infezione tutte utilizzando l’interferone nelle sue varie forme (interferone α, Peg-Interferon) con o senza l’associazione di altri farmaci (Ribavirina), queste cure hanno portato alla remissione del virus in circa il 40% dei pazienti, ma tutti sappiamo a prezzo di quali effetti collaterali.
Negli anni a venire, 2016 e 2017, saranno disponibili farmaci, cosiddetti pan-genetici che, si stima, consentiranno di eliminare il pericoloso virus in un tempo veramente molto breve, 4 – 6 settimane rispetto alle attuali 24 – 48 a seconda del Genotipo di virus che si deve aggredire.
In attesa di avere questi farmaci disponibili però è necessario intervenire rapidamente laddove sia possibile, utilizzando il nuovo “golden standard” per la terapia anti HCV, il Sofosbuvir.
Questo farmaco ha provato nei suoi anni di trials clinici un’efficacia non comune, soprattutto su alcuni genotipi del virus C, ed il grande vantaggio di non arrecare perniciosi effetti collaterali.
Purtroppo il ciclo terapeutico con questo farmaco ha costi terribilmente alti, è stato registrato dall’EMA in tempi recenti e non è ancora disponibile in Italia se non per l’uso compassionevole in pazienti che hanno subito il trapianto di fegato. Attualmente AIFA sta negoziando il prezzo del farmaco, che sarà caro anche in Italia, prima di immetterlo sul mercato, ovviamente con moltissime restrizioni proprio a causa del prezzo.
Fortemente voluto dai pazienti e sostenuto economicamente dalla Fondazione Italiana, partirà con l’inizio dell’anno prossimo un apposito trial clinico sui thalassemici che prevede di arruolare 180 pazienti in 5 centri italiani che abbiano l’expertise necessario a condurre questo studio.
Lo studio servirà a constatare l’efficacia dell’uso di questo nuovo farmaco (per 12 settimane ma associato con Peg-Interferon + Ribavirina per i Genotipi 1 e 3, solo con Ribavirina per il Genotipo 2) in pazienti che hanno altre patologie, correlate alla thalassemia, e che a causa di queste assumono molti altri farmaci. In considerazione degli alti costi che questa terapia ha e delle restrizioni che verranno imposte dal Ministero, questo trial è una straordinaria opportunità che viene concessa ai pazienti.
La tre giorni di congresso è stata funestata dalla terribile alluvione che ha colpito il centro di Genova e proprio per questo vanno ringraziati gli organizzatori del congresso e la disponibilità degli ospiti che sono voluti restare fino al termine dei lavori, che hanno visto solo qualche piccola modifica al programma.

Loris Brunetta

C’è poi una parte consistente della nostra informazione legata a quella telenovela che sono gli indennizzi, le cause, le transazioni ed i riconoscimenti nei confronti di coloro che sono stati infettati negli anni 1980/90. L’argomento è ormai trattato esclusivamente dal nostro avvocato Marco Calandrino.

RIVALUTAZIONE DELL’INDENNIZZO (LEGGE 210/92)

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale del novembre 2011, coloro che sono pagati dal Ministero dell’Economia (le “vecchie” direzioni provinciali del Tesoro) stanno ricevendo dal 2012 l’importo dell’indennizzo totalmente rivalutato.
Invece Regioni e Ausl si stanno muovendo in ordine sparso: ci risulta che in Veneto, Abruzzo e Calabria, ancora stiano corrispondendo gli importi non rivalutati.
Una situazione incredibile.
Anche in relazione agli “arretrati” (cioè alla rivalutazione non percepita in passato) la situazione è articolata: successivamente alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo del 3 settembre 2013, che ha condannato lo Stato Italiano a corrispondere rivalutazione e arretrati, coloro che sono pagati dal Ministero dell’Economia stanno ricevendo in unica soluzione, e contestualmente all’assegno bimestrale, anche gli arretrati: o con l’ultimo bimestre 2013, o col primo 2014, o (i restanti) col secondo bimestre 2014.
Diamo atto che il Ministero della Salute si è molto impegnato nei mesi scorsi in un lavoro che ha comportato l’esame di 9.000 posizioni: qualcuno potrebbe commentare “meglio tardi che mai”, ma noi preferiamo guardare il bicchiere mezzo pieno ed esprimiamo soddisfazione.
Certo, in alcuni casi il conteggio è risultato errato, ma non ho dubbi che ogni situazione verrà sistemata.
Invece, per chi è pagato da Regioni e Ausl, per ottenere gli arretrati è ancora necessario rivolgersi al Giudice, pur nella certezza di ottenere una sentenza favorevole.
Trattasi di una discriminazione senza senso: siamo sempre in presenza di beneficiari dell’indennizzo ex lege 210/92, ottenuto per aver contratto una patologia da “sangue infetto”; l’unica cosa che cambia è il periodo in cui è stata presentata la domanda: se prima del 2001, si è rimasti in carico al Ministero, mentre se successivamente, si è rientrati nella competenza di Regioni e Ausl (a parte casi particolari come la Sicilia, in cui tutti sono pagati dal Ministero).
Perchè chi è pagato dal Ministero riceve gli arretrati e chi è pagato da Regioni e Ausl no?
Facciamo un doppio appello:

  1. che si elimini presto questa paradossale discriminazione;
  2. nelle more, che almeno i tempi di pagamento delle sentenze ottenute da chi riceve l’indennizzo da Regioni e Ausl vengano contenuti entro un anno dalla notifica della sentenza al Ministero.

Avv. Marco Calandrino
del Foro di Bologna

DISCUSSI I TEMI DELL’ITER TRANSATTIVO E DEI RISARCIMENTI

Una delegazione di FedEmo, la Federazione delle Associazioni Emofilici, formata da Romano Arcieri, Cristina Cassone, Francesca Loddo e da me, ha incontrato il 14 marzo scorso a Roma alcuni Dirigenti del Ministero della Salute, Maria Rita Tamburrini, Tiziana Filippini e Alessandro Ghirardini.
Nella prima parte dell’incontro sono stati affrontati i temi dell’assistenza ai pazienti emofilici, delle linee-guida in materia, dell’accesso ai farmaci e della scelta delle terapie: Romano Arcieri ha evidenziato le preoccupazioni di FedEmo e ha fatto alcune proposte.
Ma in questo breve articolo desidero soffermarmi sulla seconda parte dell’incontro, quella di mia “competenza”.

CHIEDIAMO UN SEGNALE DI GIUSTIZIA ED EQUITA’
La ratio dell’iter transattivo, come pensato e progettato nel 2007, era invece di definire tutto il contenzioso, dando allo stesso tempo un segnale di giustizia e di equità.
Ho proposto, anche a nome di FedEmo, una soluzione legislativa: solo una norma avente valore di legge che riconosca un “super-indennizzo” a tutti coloro che hanno fatto domanda di accesso alla transazione può rappresentare una soluzione realistica, rapida e giusta.
I dirigenti ministeriali hanno preso l’impegno di riferire al Ministro, dando un loro parere al riguardo (parere che noi auspichiamo favorevole).

LE DISCRIMINAZIONI SULLA RIVALUTAZIONE DELL’INDENNIZZO
Sulla questione della rivalutazione dell’indennizzo di cui alla legge 210/92 abbiamo denunciato l’assurda discriminazione fra coloro che sono pagati dal Ministero dell’Economia, i quali hanno ricevuto gli “arretrati”, e chi è pagato da Regioni e Asl, che non li hanno ricevuti: abbiamo chiesto, e i dirigenti ministeriali si sono detti d’accordo, che la questione venga affrontata con urgenza in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Abbiamo poi chiesto che le sentenze già ottenute vengano pagate in tempi non lunghi: la Dott.ssa Filippini ci ha informato di aver predisposto un progetto che mira ad azzerare tutto l’arretrato degli anni 2012 e 2013 (7000 sentenze) entro il dicembre 2015, e ciò senza accumulare nuovo arretrato.
Come?
In corso d’anno si provvederà a pagare quanto stabilito dalle sentenze che via via vengono pronunciate, nonchè a “smaltire” 4000 sentenze arretrate, mentre nel 2015 verranno pagate le restanti 3000 sentenze arretrate.
I dirigenti ministeriali chiedono a noi avvocati di non intraprendere nuovi giudizi di ottemperanza ai TAR (attualmente ne pendono 800), in quanto essi rischiano di aumentare solo il contenzioso e, paradossalmente, di rallentare il pagamento delle sentenze.
È poi necessario convocare un tavolo per cercare una soluzione stragiudiziale ai numerosi ricorsi in materia pendenti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Avv. Marco Calandrino
del Foro di Bologna

IL “CONTENTINO” DEL GOVERNO PER CHI RINUNCIA ALL’ITER TRANSATTIVO

In luglio il Governo ha presentato un emendamento, a firma del Ministro Beatrice Lorenzin, che stabilisce che i danneggiati da sangue infetto che hanno fatto domanda di accesso all’iter transattivo di cui alle leggi 222 e 244 del 2007, rinunciando a tale iter e a ogni contenzioso, anche sovranazionale (leggi: CEDU), possono accedere a un indennizzo di 100 mila euro, che verrà corrisposto entro il 2017.
Per i vaccinati tale indennizzo è invece di 20 mila euro.

In agosto è stata approvata la norma, proposta dal Governo, che stabilisce che i danneggiati da sangue infetto che hanno fatto domanda di accesso all’iter transattivo di cui alle leggi 222 e 244 del 2007, rinunciando a tale iter e ad ogni contenzioso, anche sovranazionale (leggi: CEDU), possono accedere a un indennizzo di 100 mila euro, che verrà corrisposto entro il 2017.
Tale soluzione è apprezzabile, perché si muove nel solco di quanto abbiamo richiesto da anni: una soluzione politico-normativa.
Anche all’incontro tra FedEmo e Ministero della Salute di quest’anno abbiamo rilanciato tale soluzione, ed io ne avevo spiegato i vantaggi in termini di semplificazione, ma soprattutto di giustizia.
Ciò detto, e non è poco, la norma in questione però è insufficiente:

  • nei tempi: il pagamento deve essere più celere: 3 anni sono troppi per chi sta aspettando ormai da 7 anni!
  • nell’importo: non si possono dare solo 100 mila euro ad emofilici e talassemici, quando dovrebbe valere il principio di analogia e coerenza con la transazione del 2003, e neppure a chi ha contratto la doppia patologia (HCV e HIV).
  • e ai familiari dei deceduti? Anche a loro 100 mila euro? Davvero una beffa, in questo caso.
  • criteri: a mio parere va esplicitato che non si applicano la prescrizione e l’esclusione dei contagiati ante-1978. Perché? Anche le leggi del 2007 non prevedevano nulla a riguardo, ma poi il Ministero introdusse successivamente tali limitazioni: questa volta vogliamo essere certi.

In caso contrario, avrebbero purtroppo ragione coloro che dicono che il Governo ha voluto tale norma solo per far vedere alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo che l’Italia sta facendo qualcosa per i danneggiati, un modo quindi solo per depotenziare i numerosi procedimenti che sono pendenti a Strasburgo e che potrebbero mettere in seria difficoltà lo Stato italiano.

Avv. Marco Calandrino 
del Foro di Bologna

Abbiamo scelto di chiudere questo 2014 con un articolo che illustra (oltre la foto) una iniziativa nata lo stesso anno del nostro giornale, nel lontano 1974. Era stata una sorta di “avventura” in considerazione che gli emofilici venivano dal nulla della cura. Gli emoderivati furono una sorta di alba di nuova vita e la vacanza che venne organizzata ne fu la dimostrazione.

Il libretto appunto racconta questi quarant’anni sulla neve.

NEL RICORDO DI QUELLA “IDEA STRAMPALATA”

Questo volumetto, distribuito alla quarantesima settimana bianca, assemblato da Alessandro Marchello, (vedere alle pagine 16 e 17 una piccola galleria fotografica) ci ricorda visivamente le tappe ed i ricordi di una iniziativa nata avventurosamente ai cosiddetti “tempi eroici” ed ancora viva, dedicata a chi vuole ritrovarsi ogni anno per rilassarsi ed anche per parlare delle problematiche legate all’emofilia.
Scriveva qualche anno fa Mariella Marchello sotto il titolo: “Sembravamo dei marziani”.
“…La nostra storia è piccola, di una sola settimana, ma ha rappresentato il primo passo verso quel futuro che i bambini ed i ragazzi di oggi possono permettersi ogni giorno nonostante e a dispetto dell’essere emofilici. È la stessa storia che si ripete ogni anno per la gioia di piccoli e grandi di Anna Sacchi e di chi le è succeduto, che ha raccolto con entusiasmo il testimone e che guida coraggiosamente la cordata di gruppi traboccanti di vivacità.
Lunga vita alle nostre Settimane Bianche!”.
Sfogliando il volumetto che è stato realizzato per i 40 anni dell’Emosettimana bianca, ho conosciuto meglio la storia ed i protagonisti di questa storica vacanza, iniziata come una sfida avventurosa.
Il nostro primo approccio con questa realtà è avvenuto a Cavalese. Qui l’avvocato Randi ci aveva invitati, per consigliarci in merito al nostro desiderio di costituire l’Associazione degli Emofilici di Verona.
Oggi all’Hotel Soldanella di Moena nel 40° anniversario di questa felice iniziativa si sente la mancanza di presenze amiche ed ormai storiche. Mancano le battute ironiche ed argute del Dott. Gringeri, mancano Lucia e Tommaso Raccagni e diverse altre famiglie. Manca Anna che per molti anni ne è stata l’animatrice ed alla quale non ci stancheremo mai di dire “GRAZIE”.
Ci sono volti nuovi, di amici che si sono uniti per vivere e condividere questa esperienza; che negli anni è molto cambiata.
Perché cambiate sono, fortunatamente, le esigenze e le possibilità dei giovani emofilici di oggi.
Perciò al mattino dopo lunghe e pigre colazioni, si formano i gruppi di coloro che fanno lo sci di fondo, di chi fa discesa di chi semplicemente passeggia o pigramente si rilassa al sole.
L’appuntamento è sempre all’ora di cena, dove ci ritroviamo tutti concordi sull’attività da svolgere!
I ragazzini che in quella nostra prima lontana visita a Cavalese, vidi rincorrersi tra grida e risate, sono oggi uomini con nuove famiglie e figli, con esperienze e percorsi non sempre facili da affrontare.
Ma questa settimana rimane di anno in anno, per loro come per tutti noi, un appuntamento irrinunciabile per il piacere di ritrovarsi e di stare assieme.
Sono trascorsi 40 anni da quando Mariella Marchello e Umberto Randi, ebbero “l’idea strampalata “di organizzare quella prima settimana bianca e mai avrebbero immaginato che sarebbe stata tanto felicemente longeva.
Se si è trattato di una sfida è stata senz’altro vinta.

Luisa