Il 1989 si apre con una nuova veste grafica e con l’editoriale che invita alla collaborazione.
Scriviamolo insieme. È l’alba di un nuovo anno. Apriamo questo libro, le pagine ancora bianche, su un mondo che invece è così antico e gira su se stesso da milioni di anni, portando con sé la vita, il dolore, l’amore, la gioia. Come sembrano piccoli, al confronto, i problemi e le storie che abbiamo trattato in questi quindici anni di vita. Potrebbe essere, questo, il libro della storia di ognuno di noi, aperto su un mondo che non può essere soltanto nostro. Storie che si intrecceranno inevitabilmente con altre. Un libro ancora bianco tra le cui pagine però si nascondono mostri del presente o fantasmi del passato che ci condizioneranno. “Condizioneranno” ma non impediranno a queste pagine di essere scritte e poi di essere lette, ma soprattutto, vissute. Ecco quindi: storia nuova, motivi antichi. Vivere, combattere, amare giorno dopo giorno. Si è sempre portati a dire: “…che il prossimo anno sia migliore”. Perché allora non diciamo: “…che sia più vissuto?”. Lo guardiamo, idealmente, questo mondo e scriviamo di lui su queste pagine, perché appartengano a lui le storie che portano con sé tutte le situazioni della vita. I temi che trattiamo, le persone con cui parliamo travalicano ormai i confini della nostra città o della nostra nazione. Siamo cittadini del mondo. Non più con il naso schiacciato contro i vetri, volando fuori da quella finestra, lo abbiamo visto, conosciamo di più noi stessi ma conosciamo meglio anche gli altri.
Anche se abbiamo motivi di nuove angosce, di nuove paure, oggi come in passato, siamo pronti a combattere, più che mai. Questa maggiore conoscenza ci dà anche una maggiore consapevolezza del lavoro che svolgiamo e qualche incomprensione avvenuta in passato siamo in grado di poterla evitare. Chiedere giustizia, evitando di sparare incondizionatamente nel mucchio ma scegliendo bene azioni e parole. Cercheremo nuovi motivi di dialogo con tutti, soprattutto con coloro che percorrono la nostra stessa strada. Ecco: la prima pagina è davanti a noi, bianca… cerchiamo di scriverla, insieme…
La strada da percorrere in questo momento è soprattutto quella che porta a un’informazione corretta sull’AIDS. In particolare riguardo ai comportamenti da tenere e alle implicazioni sociali, morali, giuridiche e ora anche religiose, aggiuntesi con un intervento del Papa con cui condannava l’uso degli anticoncezionali.
Il nostro Direttore Responsabile interviene con un editoriale di cui pubblichiamo alcuni stralci:
Gli articoli che pubblichiamo in questo numero ci danno un’idea dell’enorme problema morale che l’AIDS ha generato e che è forse senz’altro, per le implicazioni sociali e morali e giuridiche, più grave di quello medico che va avanti da solo per mezzo della ricerca continua degli scienziati di tutto il mondo. I due articoli principali: “Il Papa condanna ogni tipo di anticoncezionale” e “trasmissione eterosessuale dell’HIV” danno un’idea della vastità del problema che investe e rischia di travolgere le nostre coscienze. L’eccesso sessuale, un comportamento irresponsabile ed egoista del sesso, l’egoismo…tutto questo è motivo di ulteriore contagio; la scelta morale ed etica che tutti noi dobbiamo fare se vogliamo essere Persone inserite a pieno nella società è quella di difendere i nostri diritti ma di rispettare al massimo i diritti del nostro prossimo e di fare di questa nostra scelta un dovere. Ma la Chiesa si richiama a precise norme morali, pur dando, nel rispetto del libero arbitrio, una libertà di scelta che tutti noi dobbiamo sviluppare in un più ampio concetto d’amore – che deve essere soprattutto un dare prima che ricevere – di rispettare al massimo la persona che con noi condivide le gioie, le ansie, le speranze; che “nei momenti di disperazione ci aiuta a sopravvivere”.
Ecco la tragedia dell’AIDS: usare parole che colpiscono tutti, dimenticando che dove c’è chi soffre, comunque esso soffra, nel concetto cristiano più pieno e completo, lì è luogo sacro.
Eppure tanti dissertano, parlano e feriscono con le parole più della malattia stessa. Io credo che la lettura di questi articoli potrà darci la chiave del comportamento, responsabile, da tenere. Io sono convinto che proprio in questo reciproco rispetto dell’amore che accresce la nostra vita, vi sia la risposta, serena, a tanti, innumerevoli perché.
Io credo che evitando il contagio di chi ci ama e ci aiuta a sopravvivere, lasciando a Dio il giudizio finale del nostro operato, vi possa essere la risposta migliore ai nostri dubbi e tormenti.
È un numero quasi monotematico con la sola eccezione dell’articolo dedicato all’assemblea della Lega Italiana per la lotta alle emopatie e del Progetto Guarigione. L’assemblea aveva approvato un documento nel quale si affermava: “Noi tutti, insieme ai nostri figli, ci batteremo con il massimo impegno all’inseguimento del Progetto Guarigione”.
Alcuni articoli dello Statuto della Lega Italiana sono illuminanti. L’articolo 10 ad esempio, che prevede la nomina di un responsabile per il settore sangue, per la terapia e per l’AIDS, da inserire nella Commissione Sanità della Camera; l’articolo 11 che prevede la costituzione in ogni Regione di una sezione che si adegui allo statuto; l’articolo 13 per la nomina di un responsabile dell’inserimento nel mondo del lavoro e nel sociale del soggetto talassemico. Tutte belle e lodevoli iniziative che però, come vedremo in seguito, non potranno avere futuro. Si parla in questo contesto, per la prima volta, del chelante orale.
Pubblichiamo anche l’iniziativa della Lega in collaborazione con l’Associazione di Ferrara. Si svolgerà, presso la Divisione diretta dal prof. Calogero Vullo, un corso di aggiornamento sulla talassemia. In questo articolo il dott. Mancino, responsabile delle coagulopatie per il nostro giornale, auspica che il corso non rimanga fine a se stesso, ma che diventi piuttosto un appuntamento periodico.
Il numero di marzo si apre con la notizia dell’assegnazione del Premio Antonietta Labisi al nostro Direttore Responsabile che scriveva tra l’altro:
È vero, io ricevo il premio, ma dietro di me ci sono tanti che non possono parlare e che attraverso le mie parole o le pagine di ‘EX’ hanno potuto trovare una risposta a tante domande troppe volte inascoltate; oppure hanno trovato semplicemente ascolto, sapendo che comunque in noi trovavano la possibilità, la certezza, di non essere mai completamente soli. C’è un’Associazione, quella di Ravenna, che ha permesso tutto questo ampliamento di conoscenza. Ci sono veri Amici che hanno fatto sì che tutto questo avvenisse. L’amico generoso ed entusiasta, attento a rispettare, a difendere, il senso della vita; l’amico di tantissimi anni che da vicino mi segue, mi aiuta e mi consiglia. L’amico lontano che ha accompagnato i miei primi passi e la cui presenza è per me molto importante. I medici così sensibili e generosi e disponibili con tutti coloro che hanno bisogno, così partecipi alle nostre ansie, timori e gioie, così amici veri.
Sempre in marzo pubblichiamo una lettera spedita dalla Fondazione dell’Emofilia al Ministero della Sanità, nella quale si chiedeva con urgenza di adeguare le strutture e i Centri con l’adozione di un Piano Plasma. Ecco alcuni punti salienti della lettera:
Si chiede un incontro con le Direzioni interessate, occorrendo che nel Comitato Nazionale AIDS venga finalmente incluso un esperto nella lotta contro l’emofilia scelto fra quelli di fama mondiale che l’Italia annovera e cessi lo scandalo attuale per il quale gli emofilici, indicati da tutti e da sempre come categoria ad alto rischio e sottoposta per questo all’urto di una informazione spesso distorta e scandalistica con le conseguenze umane e sociali facilmente prevedibili, non hanno un loro esperto in seno al Comitato Nazionale AIDS. Si propone il prof. Mannucci esperto di fama internazionale.
Si tratta quindi di provvedimenti urgentissimi sia di natura quantitativa e qualitativa aventi come obiettivi:
- Con i concentrati di terza generazione di combattere le emorragie di tutti gli emofilici (evitando che la trasmissione di virus dell’epatite o altri abbia effetto scatenante sui sieropositivi determinando il viraggio verso l’AIDS)
- Con i concentrati di quarta generazione di determinare oltre agli affetti positivi dei precedenti, il non peggioramento della capacità di difesa immunitaria nei sieropositivi, concorrendo quindi ad una maggiore resistenza all’involuzione verso l’AIDS e, probabilmente, al blocco di involuzioni in atto (ARC ecc. come studi in USA farebbero sperare)
Gli emoderivati sono una necessità e non una scelta volontaria.
a copertina del mese di aprile racconta la difficoltà e i ritardi postali nella consegna del nostro giornale (un altro ostacolo fra i tanti) attraverso la lettera di un nostro abbonato alla quale diamo titolo:
Ma…lo spedite anche?
Fabriano, 13 febbraio 1989.
Smettiamola di brontolare sulle poste e sul povero Mammì. Va bene, una lettera spedita per Natale da meno 200 chilometri da qui non m’è ancora arrivata (nel frattempo ho speso qualche migliaio di lire a vantaggio della SIP), ma non dispero, visto quanto vado leggendo.
In compenso ho ricevuto stamattina, lunedì 13 febbraio (forse merito di S. Valentino, come premio dei miei antichi innamoramenti), un’altra lettera, sempre
della stessa località, imbucata e timbrata lunedì 30 gennaio. SOLO 15 giorni, alla bella velocità di circa 13 chilometri al giorno.
Ho letto in dicembre che EX da gennaio esce in nuovo formato e nuova veste grafica: ma… lo spedite anche o lo tenete per voi?… io non l’ho ancora ricevuto.
Una cartolina da Katmandu l’ho ricevuta in undici giorni. E se provassimo a imbucare a Katmandu? In una recente intervista a “Diogene” il Ministro Mammì ha PROMESSO le dimissioni entro due mesi, se non riusciva a risolvere il problema delle poste. I due mesi scadono il 20 marzo. Mammì fuma la pipa, come Pertini, come mio nonno e come me, perciò non voglio infierire, è quasi questione di corporazione. Ma una piccola malignità mi ronza in testa: che fosse convinto che, tanto, entro il 30 marzo il governo sarebbe finito in cassa integrazione, lasciandolo libero di non mantenere le promesse? Imbuco subito, alla stazione. È il 13 febbraio, ripeto. Aggiungo 1989, non si sa mai.
A maggio parliamo di “barriere architettoniche”, ma anche di violenza sui bambini, di ticket sulla sanità e di diritto alla salute, alla riabilitazione, alla cura.
Ci occupiamo di talassemia e di un congresso internazionale sulla genetica molecolare tenuto a Cagliari. Annunciamo la nascita di un nuovo periodico Thalassemia, Progetto Guarigione, presentato allo stesso Congresso di Cagliari.
Continua intanto la nostra campagna di sensibilizzazione al tema della donazione di sangue attraverso un’intervista al presidente dell’AVIS. Nello stesso numero, a proposito di sangue, alleghiamo un’informativa sulla sicurezza delle trasfusioni e una tabella su come difendersi dal pericolo di contrarre l’infezione da HIV.
Come supplemento al n.5 di giugno, dal 17 giugno a Milano, viene distribuito un numero speciale per l’Assemblea della Fondazione dell’Emofilia.
È un richiamo a una discussione corretta e sincera sugli argomenti più importanti legati alle infezioni, ai prodotti più sicuri e a un possibile riconoscimento sul “danno biologico”.
Ancora nello stesso numero un’accurata informazione sul significato diagnostico e prognostico dei marcatori sierologici dell’infezione da HIV. A trattarlo sono il prof. Corgnel, primario delle Malattie Infettive del Sacco di Milano e il prof. Zanetti dell’Università di Milano.
Anche a luglio l’argomento principale è l’infezione da HIV. Interviene in questo caso il prof. Mannucci, presidente del Comitato Medico Scientifico della Fondazione dell’Emofilia, in polemica con un’intervista apparsa su Panorama nella quale, a suo parere, ci sono imprecisioni, affermazioni errate e deformazioni della realtà da parte di un medico che cura gli emofilici. Riprendiamo i punti salienti di quanto scrive Mannucci:
- Si afferma che gli emofilici italiani sono 5000 (lamentando la mancanza di dati ufficiali) e che i sieropositivi sono il 70%. L’allegata pubblicazione (su Ricerca in Clinica e Laboratorio), che raccoglie i dati di tutti i Centri italiani escluso quello di Traldi (che non li ha mai forniti), dimostra che gli emofilici sono circa 3000 e che, soprattutto, solo 637 (23%) sono sieropositivi.
- Si afferma che, insieme ad altri paesi, la Francia ha da tempo risolto il problema “di una disponibilità di concentrati prodotti da sangue DOC, cioè da donatori nazionali”. Ciò non è interamente vero, poiché come risulta dall’articolo scientifico citato dal nostro lavoro che si basa sui dati ufficiali pubblicati dalla Dr. Sultan, quando i concentrati trasmettevano l’infezione HIV (1980-1985) la Francia usava almeno per il 50% sangue da donatori commerciali (cioè americani) per la produzione del fattore VIII. Benché la Francia usasse comunque una buona metà di sangue DOC, il numero di casi di sieropositività è quasi il doppio di quello degli italiani. Se poi si confrontano solo i pazienti con emofilia B (che usano il fattore IX prodotto in Francia esclusivamente da donatori francesi), i casi francesi di sieropositività sono praticamente eguali (136 contro 138) a quelli degli italiani che usano sangue “avvelenato”.Tutto ciò vuol dire che numerosi emofilici si sono infettati anche in paesi che usavano il sangue DOC, e che il problema del perché gli emofilici si siano infettati non è così semplicistico come afferma l’articolo (sono pronto a discuterne i molteplici aspetti).
- L’affermazione più grave è comunque quella che “non esistono emoderivati sicuri al centro per cento, quale che sia la tecnica usata, a secco, a umido, o con anticorpi monoclonali”. Ovviamente, è questa l’affermazione che ha particolarmente turbato i nostri assistiti perché in totale contrasto con le informazioni che noi forniamo.Come dice giustamente la signora Milano “del contagio attraverso emoderivati…hanno discusso gli esperti riuniti a Montreal… al congresso dell’AIDS”. Ebbene, a Montreal il sottoscritto è stato proprio l’oratore ufficiale invitato a riferire sul problema della sicurezza degli emoderivati, arrivando a concludere che i concentrati commerciali attualmente disponibili sono già ragionevolmente sicuri in termini di epatite (vedere anche l’Editoriale che si collega Colombo ed io siamo stati richiesti di scrivere sull’argomento per la prestigiosa rivista inglese Lancet).
Caro Dr. Rinaldi,spero che capisca che non è la mia maestà scientifica offesa che mi spinge a scriverle questa lettera. Capisco anche il fatto che un grave problema che sia ora un problema risolto non abbia grande appello giornalistico. Credo però che la giornalista Milano avrebbe almeno dovuto fare lo sforzo di sentire qualche altro parere su un argomento così emozionale, da qualcuno meno emozionale di quanto non sia il Traldi. Restando a sua disposizione e della Milano per ogni eventuale chiarimento ed approfondimento del problema, con molti saluti.
In agosto, pubblicando la lettera per la quale abbiamo scelto come titolo: Chiarezza, non terrorismo, verità e non bugie…, il nostro lettore affrontava il problema ormai conclamato dell’ADIS e diceva:
Ricevo da anni, anche se non mi sono mai abbonato, il suo giornale e lo leggo criticamente perché non sempre ne condivido i contenuti. Sono un lettore dell’Europeo e di Panorama e proprio in queste due riviste ho avuto modo di leggere, in due servizi, quanto ha detto il prof. Agostino Traldi riguardo al problema dell’AIDS ed il fatto di come si può, usando sangue DOC ed i suoi derivati, evitare il rischio dell’AIDS che invece è presente con i derivati del commercio. Ho letto poi su EX di giugno e su quello di luglio il suo commento al riguardo, molto duro anche se le do atto che specie quello di luglio era pieno di dati statistici tratti da riviste e convegni di cui lei aveva letto ed ai quali aveva partecipato.
Mi dispiace che si sia messo così criticamente contro Traldi, che difende tanti emofilici. Poi ho letto, sempre in luglio, l’articolo del prof. Mannucci e ne sono rimasto colpito perché affermava quello che lei diceva. Lei aveva scritto che è dipendente dell’Immuno (e mi è stato fatto notare come elemento negativo al riguardo) ma Mannucci no e questa lettera mi ha insinuato qualche dubbio. Poi su Panorama del 16 luglio leggo la lettera di Mannucci (che avete pubblicato su EX) pubblicata con diversi tagli (e mi chiedo perché Panorama l’ha fatto) con la risposta di Traldi (e mi chiedo perché Panorama non l’ha fatto quando ha pubblicato l’intervista di Traldi come richiesto dal Mannucci) che mi lascia perplesso per una frase:
“Siccome gli emofilici italiani hanno usato gli stessi prodotti, si può presumere che si sia vicini agli stessi valori di siero conversione per HIV”.
Come dire: poiché gli emofilici americani hanno tale malattia anche quelli italiani debbono soffrirne (ma è giusto essere così pressapochisti specie in chi difende e cura gli emofilici?). Le allego la fotocopia, nel caso non l’avesse, della pagina di Panorama.
Poi dal “Il Resto del Carlino” del 21 luglio leggo l’articolo: “Infettati da donatore sieropositivo” (le invio la fotocopia dell’articolo) che dice quanto riferisce il dott. Davoli del Centro di Castelfranco Veneto: “Noi abbiamo iniziato a controllare i donatori soltanto nel giugno dell’86…”.
Ma i test non erano disponibili già dal 1985? E Traldi non dice che il suo è sangue DOC, non l’ha scritto negli articoli su Panorama e l’Europeo e non lo ribadisce nella risposta a Mannucci sempre su Panorama?
Caro direttore, le ho detto che sono sempre stato critico nei suoi confronti ma mi fido di lei e le chiedo parole che mi possano, che ci possano rasserenare perché io e altri abbiamo paura.
La prego di omettere, nel pubblicare la lettera su EX qualsiasi riferimento alla mia persona che mi possa far riconoscere, cerchi di capire la mia situazione.
Il Direttore Responsabile scrive una lettera di risposta che titoliamo I concentrati sono ragionevolmente sicuri per l’AIDS e sempre più sicuri per l’epatite, dalle parole del prof. Mannucci
Caro amico, pubblico la sua lettera rispettando le sue richieste. La ringrazio della fiducia dimostratami e per quanto di mia competenza le rispondo. Credo che già la lettera completa del prof. Mannucci, come da noi pubblicata su EX possa darle un’idea di come deve essere una corretta informazione anche per impedire accuse, giustificate, di faziosità che non sono motivate da mancanza di spazio ecc. ecc. poi, strano che l’articolo di Gianna Milano non avesse anche il parere di Mannucci mentre la lettera del professore aveva la risposta di Traldi, strano!…
Sui donatori, in Emilia Romagna, tanto per fare un esempio, viene effettuato il test di ricerca dell’anticorpo HIV già dal 1985 come da normativa poiché, come dice l’articolista della “Stampa”, i test erano disponibili già dal 1985.
Caro lettore, ho anche scritto che troppo spesso sull’AIDS si specula e si fa terrore, gretto e squallido; ho detto e scritto dei talassemici con epatite B (da donatori non mercenari, puri, ecc. ecc.) e con sieropositività all’HIV sempre dagli stessi donatori. Ci si dimentica per misera polemica che i donatori, tutti, sono esseri umani con le loro grandezze e con le loro debolezze. Si dimentica che in Italia abbiamo più di due milioni di persone portatori di epatite B ed è molto facile contrarla. I talassemici ne sono una prova. Per l’HIV se si è aspettato il 1986 per effettuare i test che erano già disponibili nel 1985 è chiaro che poi a pagare sono sempre gli innocenti.
Siamo in possesso della Circolare n. 28 del Ministero della Sanità del 17 luglio 1985 con oggetto: “Infezioni da LAV/HTLV – Misure di sorveglianza e profilassi” inviata a tutti gli ospedali ed Assessorati, alla Sanità nella quale alla voce “SANGUE” si dice testualmente:
“Sull’unità di sangue verranno eseguite indagini tendenti al momento attuale al riconoscimento della presenza di anticorpi anti LAV/HTLV III. Si raccomanda che tali indagini siano introdotte appena possibile sotto il profilo organizzativo e siano eseguite su ogni unità di sangue donato.
Qualora sia rilevata una positività al test ELISA (metodo immunoenzimatico sensibile e di rapida esecuzione) l’unità di sangue sarà senz’altro esclusa dall’utilizzazione; per quanto riguarda il donatore il dato dovrà essere confermato mediante la ripetizione del test ELISA e, in caso di ulteriore positività, utilizzando altra metodica (metodo Western Blot o altri di pari o superiore attendibilità)”.
La Regione Emilia – Romagna (citiamo la Regione in cui noi lavoriamo, ma pensiamo che anche le altre Regioni abbiamo fatto altrettanto) nella propria circolare n.31 del 30 settembre 1985 a firma dell’Assessore alla Sanità, diceva tra l’altro:
“Raccomando l’osservanza degli indirizzi di carattere generale, per la sorveglianza e la profilassi dell’AIDS, nella circolare ministeriale, si danno le seguenti ulteriori indicazioni di carattere operativo: ciascuna USL può organizzarsi nel modo più opportuno per eseguire la ricerca degli anticorpi anti HTLV III/LAV con il sistema immunoenzimatico, facendo riferimento o a un proprio laboratorio, o a un laboratorio concordato con altre USL. La ricerca sarà indirizzata al controllo delle donazioni di sangue e delle categorie a rischio, CON LE PRIORITÀ DERIVANTI DAL QUADRO EPIDEMIOLOGICO SPECIFICO della nostra Regione.
Sentito il “Comitato Regionale per il Sangue” di cui alla L.R. 5/4/1977 n. 16, il test ELISA verrà praticato su tutte le donazioni (siano esse di donatori nuovi, occasionali o di vecchi donatori): fermi restando i provvedimenti interdittivi sull’unità di sangue, l’eventuale esito positivo delle indagini sierologiche verrà comunicato all’interessato soltanto previa conferma con il metodo Western Blot.
Con ordinanza del Presidente della Giunta regionale è stato vietato in Emilia Romagna il commercio e l’uso di emoderivati per emofilici, posti in vendita senza adeguato trattamento termico”.
Quindi è strano (ma saremmo tentati di dire di peggio) che in un Centro “sangue doc” e super controllato, all’avanguardia nella sicurezza come quello di Castelfranco Veneto, un assistente del prof. Traldi dica ad un giornale del 21 luglio 1989: “Noi abbiamo cominciato a controllare i donatori soltanto nel giugno ’86, ben prima che fosse imposta la legge”.
Caro lettore, si accosti, nonostante tutto, fiducioso al prodotto che usa (crioprecipitato, emoderivato) quello che ha scritto il prof. Mannucci può e deve confortare e rasserenare.
Purtroppo troppe parole avventate vengono dette in questi ultimi tempi, sta a noi saperle pesare e valutare con serenità e rivolgersi a chi ci dà fiducia e di medici ce ne sono per questo e lavorano per noi con serietà. Noi restiamo a sua disposizione per ulteriori richieste od informazioni desiderasse avere. Riceva gli auguri più sinceri e coraggio, la vita è meno brutta di quanto certi articoli ce la dipingono.
Il Direttore
Quello di agosto è un numero che dà molto spazio alle lettere e a una di queste diamo anche un titolo:
Mamma… ma io sono vivo e amo la vita.
Caro Direttore,
di tanto in tanto mi faccio sentire. Seguo il vostro giornale come sempre; è l’unico che ci informa in modo serio. Molto piccolo come volume ma grande di contenuto. Forse non è il giornale che va avanti ma chi lo gestisce. Vincenzo, in te c’è tanta sofferenza ma nel tuo cuore c’è tanto amore per chi soffre come te. Ti ammiro per questo, in te c’è il dono di Dio che ti fa affrontare tanti ostacoli. Arrivo al dunque in questo mio scritto. Da un anno a questa parte EX parla soprattutto di AIDS ed è giustissimo perché è un problema serio e per i nostri figli che si trasfondono c’è tanta paura. Io però ho qualcosa da dire sulla prevenzione della talassemia.
Come tutti sappiamo dall’82-83 c’è stato il boom della prenatale. Tutti, giornali e medici ne hanno parlato, forse oggi un po’ meno, c’è meno entusiasmo. Era dovuto questo mio discorso, perché tale esperienza l’ho vissuta in prima persona e forse a qualcuno darà fastidio quanto sto per dire. Sui titoli e nei Centri dove curiamo i nostri figli si legge spesso: “La talassemia si può sconfiggere se vogliamo”.
Caro Direttore, i bambini che non sono nati e non nasceranno in questi anni, affetti da talassemia e se vogliamo anche da emofilia, forse grazie alla prenatale. Il punto è che questi bambini sono stati concepiti e voluti ma quando, dalla prenatale, risultano ammalati, solo per difetto genetico, vengono uccisi. È questo il termine giusto?
A questo punto noi portatori non abbiamo via di scelta e ci rimane un trauma per tutta la vita. Mio figlio, talassemico, ha vissuto l’esperienza in famiglia. Sette anni fa decisi di avere un altro figlio. Da una parte ero felice che la scienza ci dava la possibilità di sapere, dall’altra parte però c’era l’angoscia. Per fortuna si concluse tutto in modo felice. Ora mi metto nel cuore di quelle mamme che hanno dovuto interrompere la gravidanza.
Mio figlio allora aveva soltanto sette anni ma capiva e non comprendeva perché io andavo a fare la prenatale. Oggi a 14 anni, pieno di vita, mi dice: “mamma, ti devo parlare di una cosa molto seria. Se quindici anni fa ci fosse stata la prenatale l’avresti fatta?”.
In quel momento sono rimasta senza fiato, senza sapere cosa rispondere; poi mi sono fatta coraggio e in modo serio e sincero ho risposto di sì.
“Allora mamma mi avresti ucciso perché ero un bambino talassemico?”.
Gli ho risposto: purtroppo…vedi quanto stai soffrendo?
“…però, mamma, sono ancora vivo!”. Si avvicina al fratello Antonio e gli dice con le lacrime agli occhi: “Tu sei vivo per miracolo, perché quando la mamma è stata a Roma tu sei risultato un bambino sano”.
Caro Vincenzo, questo discorso di mio figlio mi ha fatto capire tante cose. Forse anche altre mamme si sono trovate con lo stesso problema. Mio figlio mi ha fatto capire che è contento di essere nato e ha tanta voglia di vivere, tanta speranza nella scienza per una guarigione.
Voglio fare un appello a tutti i talassemici per dire loro che non danno fastidio a nessuno e non è colpa nostra né loro se sono nati così. Basta guardarsi intorno; quante cose più brutte ci sono nel mondo come ad esempio la droga.
Con questo finisco, con tanto affetto a tutti i talassemici e gli emofilici e dico loro di avere tanto coraggio.
Fedelina Pierri
Questa signora poi perderà il figlio purtroppo ma resterà sempre una nostra fedele e affezionata lettrice. Una sorta di madre coraggio che non ci ha mai abbandonato.
Questa signora poi perderà il figlio purtroppo ma resterà sempre una nostra fedele e affezionata lettrice. Una sorta di madre coraggio che non ci ha mai abbandonato.
Per la prima volta, nel mese di agosto, il nostro giornale viene invitato al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli di Rimini. Insieme a noi il prof. Mauro Moroni e la dott.ssa Fiore Crespi.
Per il numero di settembre e per la presentazione del Congresso, il nostro Direttore scrive un articolo di apertura dal titolo:
Tra le pieghe di un sipario, nel palcoscenico della vita.
Fendere la folla del Meeting dell’Amicizia fra i Popoli alla ricerca di un luogo di aggregazione, di incontro, fra tutta questa varia umanità composta anche da tanti giovani entusiasti, vestiti, molti, alla stessa maniera, ma con tante idee e pensieri diversi. Guardare negli occhi coloro che ti ascoltano quando parli di cose e di fatti ormai arcinoti (in linea di massima), ma da un’angolazione diversa, quella dell’utente, fa sentire vivi, partecipi, ascoltati con interesse, soprattutto, magari capiti in questo nostro sforzo alla ricerca non solo della solidarietà, non più…
Alzando il sipario di questa manifestazione per mostrarci insieme ai nostri medici, ai nostri amici, a coloro che vogliono affrancarsi da quella che continuiamo a chiamare emarginazione (ma non lo è più; emarginati magari sono coloro che ancora non capiscono quanta vita ci sia in noi e quanto soli siano coloro che si ostinano a vivere nel loro egoismo), scopriamo, tra le pieghe della facciata, anche qui la disinformazione e la caccia alla notizia. Ma è più marginale perché ci sentiamo anche in mezzo alla gente, a quella gente che abbiamo cercato per tanti anni, per farci conoscere a che ora ci ascolta. I cinque anni di partecipazione a questo Meeting, serviti per ascoltare, guardare, fare esperienza, farsi conoscere, sono serviti al salto di qualità in questo senso.
Una qualità fatta di parole concrete, di vita vissuta combattendo, prima ancora con la malattia, la solitudine e l’emarginazione ed ora, di consapevolezza che qualche sparuto gruppo di…distaccati, non potranno più fermarci, anche se si soffre, anche se si muore, oggi più di ieri, abbiamo costruito e stiamo rifinendola una casa solida, con un palcoscenico per gli incontri, per gli scontri ma anche per gli abbracci fra gente che si ritrova, che si batte per una causa comune.
Il sipario cala sul Meeting ma rimane alzato sulla vita di sempre. Noi siamo qui con lo stesso entusiasmo che ci viene dato dai tanti altri come noi che conosciamo continuamente tra le pieghe di quel sipario che si apre su quel palcoscenico che si chiama vita.
Anche il nostro Direttore Responsabile interviene con un corsivo dal titolo:
Sentirsi fratello con tutti; partecipare, perché ci sentiamo vivi.
“Nel caos del mondo la coscienza è soltanto un lumicino delicatissimo e fragile, ma tanto tanto prezioso”.
La coscienza, il sentirla e farne buon uso può sembrare, oggi, posso dire che continuo ad essere pazzo in un mondo che sembra considerare l’amore, l’affetto e il volersi bene, valori superati. In un mondo in cui si scrivono menzogne gabellandole per verità, dove la serenità di chi sta male o aspetta una parola di conforto viene violentata ed umiliata per squallidi interessi di parte.
Dove la gretta libidine dello scoop giornalistico prevale sul senso di dignità della persona, sul rispetto che le si deve sempre avere. Dove il perdono viene usato come vile atto per raggranellare voti per mantenere il proprio nome sulle pagine dei giornali, dimenticando ipocritamente le vittime di chi si vuole “a tutti i costi” perdonare.
Ebbene, allora sì, io sono pazzo perché continuo a credere nel perdono vero, quello che parte dalle nostre coscienze; nell’amicizia che tutto supera e che sa “ascoltare” e capire chi soffre e gioisce con chi ha gioia; con chi vuole bene e ama, dolcemente senza paure, senza traumi o cedimenti.
Sì, sono pazzo perché nonostante tutto continuo a credere, a vivere ed a voler vivere ed a credere nella libertà.
“EX” ha partecipato al Meeting di Rimini e lunedì abbiamo avuto, per la prima volta nella storia di questo “momento” uno spazio in cui si è parlato di AIDS.
Una “testimonianza” perché questo termine era più in linea con lo spirito che deve pervadere, nel “paradosso”, il Meeting.
Sala caldissima ma piena, con gente in piedi, tanta gente che “voleva” sentire e discutere di questo problema. La parola di Moroni così serena e pacata, così
piena di comprensione e di tolleranza verso chi è affetto da questa malattia. Un laico che dice come ci si deve comportare cristianamente a dei cattolici. E i giovani presenti, attenti, consapevoli di questo messaggio che veniva, per la prima volta offerto e proposto; il rendersi conto di una realtà vera non di un sottile e contorto paradosso.
Poi la sera dopo un momento di pausa, di serenità e di svago, fuori dai giochi dei VIP, dalle correnti, da chi muove dall’alto i fili e crede così di poter impunemente sfruttare l’entusiasmo e la generosità del volontariato. Pieni ancora delle parole vere e dirette di Moroni, consci della prudenza ipocrita di chi preferisce tacere per non dover parlare.
Con questa nostra pazzia della verità che rende liberi, anche dalla paura. La bomba biologica degli adolescenti. Le donne stupende e superbe, maestose e consce della loro bellezza e della propria sensuale femminilità che sfilavano per le strade davanti agli occhi vogliosi di ragazzi pieni di desiderio che però rimanevano impauriti e intimiditi, seppur turbati, da tanta sensualità così apertamente e liberamente esposta e solo apparentemente offerta.
“Le donne superbe, con pallida faccia, i figli pensosi pensose guatar”.
Poi il lungomare, altre donne, ferme e, per certi versi, più composte, meno ipocrite, nell’offrire “onestamente” il loro corpo per soddisfare appetiti che erano stati solleticati da chi si proponeva ma non concedeva. Vedere…ma non toccare…
Una bomba innescata, potenziale.
Contrattazioni.
“Vegliaron nell’urne le gelide notti, membrando i fidati colloqui d’amor”.
E allora, nella nostra pazzia, ci si domanda dove sono l’AIDS e la sua paura? Perché lo stordirci in gruppi a circolo con canti ed inni che coinvolgono solo chi è nel cerchio senza guardare chi è “fuori” e che forse, se amato, vorrebbe entrare anche se non canta?
Radio a volume alto impediscono il parlare e sentire chi ci è vicino, le sue ansie, le sue paure. Veder e “sentire” la solitudine di tanta umanità sana, o almeno, apparentemente e rendersi conto di come non sappia apprezzare il dono più bello che ha di poter esprimersi, di poter amare senza dover dire “ehi..io sono sieropositivo” senza doversi chiedere come ha detto Moroni: “sarò anch’io in quella percentuale che evolve in AIDS, sarò anch’io fra quelli che moriranno quest’anno?”.
Perché così poco amore da chi tanto usa queste parole, o forse questo fa parte di un paradosso?
Poi il sorriso di un’amica che beve dal tuo bicchiere di birra e che indifferente al passaggio, alla mostra incosciente e provocante, ti chiede con dolcezza “come stai? Tutto bene? E la tua donna?”.
Allora capire che noi non siamo soli e rendersi conto con stupore che noi siamo più vivi, più coscienti del valore inestimabile del tempo che viviamo, proprio perché potremmo averne poco e apprezzare l’eternità di questi momenti e vedere con tristezza quanta solitudine ci sta attorno.
Quanta impotenza, quanta sessualità sprecata, quanto amore negato e rinnegato e umiliato, sia fisicamente che moralmente.
“Gli oscuri perigli di stanze incresciose, per gruppi senz’orma le corse affannose”.
Allora nel guardare questi corpi stupendi mostrarsi e svelarsi ma non donarsi, proporsi e poi rifiutarsi, risentiamo il momento in cui il nostro amico, in mezzo alla folla ha saputo con dolcezza trovare un attimo, per tutti, d’incontro suonando una dolce ballata e nel vedere lo stupore e la gioia di chi sapeva che poteva sentire e partecipare, trovare ulteriore “momento” di felicità.
Questa è la nostra pazzia: sentirsi con tutti, fratelli, partecipare ed essere vivi, perché ci sentiamo vivi.
A novembre, con grande orgoglio pubblichiamo la lettera che il Direttore Esecutivo della World Federation of Haemophilia, dott. Declan Murphy, invia al nostro Direttore Responsabile con i complimenti per il grande e professionale lavoro informativo che il nostro giornale porta avanti da ormai 15 anni.
A dicembre, oltre agli auguri e ai servizi di informazione sull’AIDS e sui chelanti orali pubblichiamo il libro di Marisa Russo Zappalà, una delle tante “madri coraggio” corrispondenti del nostro giornale, che ha fatto una scelta, molto criticata dai soliti “ben pensanti” ma che avrà poi un seguito. La storia dei trapianti di midollo ce lo insegna, perché senza quello, forse non si sarebbe arrivati oggi (2010) agli attuali progressi in materia di trapianti, di cellule staminali da cordone ombelicale o alla stessa terapia genica.
L’editoriale a firma del nostro Direttore riprende le parole che Vincenzo Russo Serdoz aveva pronunciato nel 1967, quando ancora non c’era una cura per l’emofilia e non c’erano neppure le infezioni, ma c’erano tanto dolore e tante rinunce; anche il semplice desiderio di mangiare una fetta di pane con l’olio e non poterlo fare:
Tra pochi giorni compirò 24 anni. Non so ad essere sincero se ci arriverò, ma una cosa è certa, non li avrò perduti.
Ogni giorno, ogni ora, si può dire ogni momento, della mia vita, è stato vissuto intensamente, goduto al massimo grado. Sono stato troppe volte vicino alla mia coscienza, di fronte a me stesso, per non sfruttare ogni breve attimo della vita che mi si presenta davanti con la sua somma di dolore e di gioie: più dolori che gioie, ma non sono mai stato infelice…
Il suo editoriale di fine anno lanciava ancora una volta un messaggio di vita.
Il suo augurio di Buone Feste era rivolto “a chi sa dare vita agli anni che vive”.
Il suo insegnamento che oggi citiamo, a distanza di 17 anni dalla sua morte, è ancora di un’attualità sconvolgente. Non ci stancheremo mai di ripetere che in ogni momento della vita, anche di fronte alle peggiori avversità, non si deve mai perdere la speranza.