storia
1991: LA PIOVRA

Questa nostra storia che stiamo riassumendo a beneficio di coloro che non ci conoscono, scritta e completata tra il 2010 e il 2011, riprende con il 1991.

Il tema principale potrebbe tranquillamente riferirsi ai giorni nostri, quello dell’ormai definitivo ed endemico problema del disservizio postale. L’articolo di gennaio del nostro direttore, che pubblichiamo integralmente, e la vignetta, sono purtroppo in anticipo sui tempi, in considerazione del fatto che la “piovra” nel 2010 ci ha tolto anche le agevolazioni sui costi di spedizione.

“La piovra”: edizione speciale

Scegliendo la strada del volontariato o più semplicemente quella della buona volontà, acquisendo così, sempre più coscientemente, quello che oggi viene chiamato “senso civico” in seguito alla conoscenza più diretta dei “bisogni reali” che esistono in una comunità, viene il momento in cui inevitabilmente ci si scontra con le istituzioni dello Stato. Perché questo diventa inevitabile? Semplice: quando si creano strutture di persone che concedono liberamente e con entusiasmo il proprio tempo libero per una causa giusta, viene naturale pretendere da uno Stato che brilla per la sua assenza, o meglio, per le sue promesse non mantenute, azioni significative in favore dei più deboli, degli ammalati, degli handicappati. Avete capito bene…“pretendere!”.

Pretendiamo, dopo aver fatto il nostro dovere di cittadini, che lo Stato conceda parità di diritti, pretendiamo risposte chiare e soluzioni giuste per i problemi medici e sociali; pretendiamo l’efficienza dei servizi…di tutti i servizi.

Ed a proposito di questo ancora una volta denunciamo all’opinione pubblica la vergogna del servizio postale. Per spedire ad esempio il nostro giornale in tempo utile siamo costretti ad elemosinare un nostro sacrosanto diritto, e siamo fortunati nell’avere incontrato la sensibilità di un funzionario; in caso contrario, vedendo l’ammasso selvaggio, negli uffici postali, di pacchi, giornali e riviste, non si saprebbe né quando, né come…

I nostri tentativi e con noi tanti altri, di dialogo con il Ministero delle Poste, ha sortito i risultati che vi elenchiamo: la spedizione di una copia del giornale è passata da 68 lire del settembre ’89 a 160 lire del gennaio di quest’anno: 7000 copie ed il totale lo lasciamo fare a tutti voi.

Ricordiamo ancora la frase che un dipendente dell’ufficio postale pronunciò nell’ottobre ’89: “…per questi giornaletti che ritardano altre pubblicazioni più importanti, il prezzo di spedizione dovrebbe essere triplicato”.

E infatti, non potendo, per incapacità cronica e per incompetenza politica (vero onorevole Mammì?) svolgere un servizio adeguato, si cerca di “tagliare” coloro che non saranno in grado di pagare questi “balzelli medioevali”. Altre volte abbiamo definito lo stato una lumaca per la lentezza delle azioni e dei servizi; oggi ci sentiamo di definirlo una piovra gigantesca che cerca di strangolare con i suoi tentacoli le attività più deboli, imponendo nuove tasse insostenibili, nel tentativo di far tacere quelle voci così “scomode”.

Scegliamo due delle tante lettere giunte alla nostra redazione dopo quell’editoriale:

Caro direttore, desideriamo che EX continui ad arrivare a nome di Paolo, anche se nostro figlio non c’è più.

…da quando leggo il vostro giornale ho sempre trovato spunti per un miglioramento del mio modo di essere medico.

In febbraio riportiamo l’intervento del presidente dell’Associazione Talassemici di Torino, Silvano Fassio sull’argomento del lavoro, a un convegno che si era svolto a Torino nel novembre 1990, nel quale affermava tra l’altro:

Il malessere che serpeggia sempre più pesantemente tra i giovani è quotidianamente sotto i nostri occhi e la componente che più emerge di questo malessere oltre alla mancanza di ideali che viceversa hanno alimentato e sostenuto le speranze di tanti giovani delle generazioni passate è proprio la mancanza della sicurezza del lavoro. Possiamo quindi considerare il lavoro un problema prioritario e fondamentale per l’individuo in generale e per i talassemici in particolare.

Nello stesso numero ancora informazione sul gravissimo problema dell’infezione da HIV con l’intervento dei lettori. Tra i titoli, I test preventivi è giusto renderli obbligatori?.
E ancora ribadiamo l’importanza della corretta informazione, sulla quale interviene il dott. Mauro De Rosa, emofilico, consulente medico dell’Associazione campana, il quale pagherà il prezzo più alto con la perdita della vita. Ancora in gennaio un dibattito tutto al femminile fra Marisa Russo Zappalà, la madre coraggio autrice del libro Uno su quattro, sul tema del trapianto di midollo in talassemia, e Maria Carla Orlando sull’argomento dell’emarginazione da handicap.

A febbraio un messaggio del nostro Direttore Responsabile sulla vita, nel quale afferma che “Non è importante dare anni alla vita ma vita agli anni”. E poi notizie sull’AIDS, senza paura di affrontare un argomento considerato ancora un tabù, per razionalizzare la paura.

Ancora sulla talassemia, da Torino, sull’avviamento al lavoro dei giovani.

Il mese di marzo ci porta la notizia dell’entrata in vigore di un Decreto del Ministero della Sanità sull’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria per i farmaci e gli esami specifici in caso di emofilia, talassemia e sieropositività collegate.

E poi, come in ogni numero, diamo importanza alle lettere, in questo caso una mamma ci scriveva su “…ma quanto costa la vita di un ragazzo?”.

“Siamo angeli con una sola ala…ecc”, una frase che ho letto sul vostro mensile più volte e che mi ha colpito particolarmente. Vi scrivo perché credo che anche parlare (in questo caso scrivere) con chi può capire e comprendere, alle volte può dare quella forza necessaria per andare avanti nei momenti difficili. Sono la madre di un ragazzo talassemico/diabetico di 18 anni e fino ad oggi ero convinta di aver incontrato tutte le difficoltà di tipo burocratico, di mancanza di sensibilità nei confronti di chi soffre, carenze sociali, ma oggi mi sono dovuta ricredere.

Desidero portare a vostra conoscenza e di chi vi legge, la lettera che ho ricevuto oggi dal mio medico di base e che allego in copia. Forse sarà utile rendersi conto che ci si può aspettare anche di non avere da una settimana il medico che si aveva da 12 anni, senza averne quanto meno avuto un preavviso. Ci tengo a precisare che dove si legge “la vs. famiglia notevolmente…”, si deve intendere mio figlio, talassemico, diabetico, invalido al 100% con indennità di accompagnamento, che ha la colpa di aver bisogno di una prescrizione settimanale per il Desferal, di 2 prescrizioni mensili per l’insulina, di una prescrizione mensile per reattivi per determinazione glicemia e glicosuria e siringhe per insulina. Sì, certo, questa è una noiosa ripetitività per chi compila le ricette!
Sarebbe certo più comodo avere dei pazienti sani.


Dimenticavo di farvi sapere che nell’anno 1990, mio figlio ha avuto la colpa di aver avuto la necessità di far richiedere al medico, un esame ecocardiografico e ben 25 trasfusioni. Lunedì dovrò mettermi immediatamente alla ricerca di un medico e, sfiduciata, spero a questo punto di trovarlo considerando il fatto che mio figlio è e rimarrà il malato che è bisognoso di tante cure e per di più costose. Sono offesa, umiliata, ma con una tale rabbia addosso che sono certa mi darà ancora una volta la forza necessaria per combattere e non appena mi sarò organizzata farò sì che qualcuno mi renda conto, mi spieghi, mi giustifichi perché certi fatti possono avvenire. Ringraziandovi per l’attenzione e per il bel lavoro che portate avanti, vi saluto molto cordialmente.

EX di aprile si apre con un’immagine riguardante la notizia della nostra iniziativa a favore dei talassemici della Romania attraverso un aiuto della sezione UNICEF di San Marino.

…E, ancora una volta, bisogna dire grazie ad una donna: alla presidente della Commissione Nazionale Sammarinese UNICEF Alba Montanari che, sabato 30 aprile, nelle sale del Palazzo di Governo, ha consegnato direttamente al direttore responsabile di “EX” Vincenzo Russo Serdoz un assegno di cinque milioni di lire. Si è trattato di una cerimonia molto informale, senza alcun protocollo ma con un significativo scambio di opinioni sui problemi dell’infanzia, in particolare quella dei paesi – come la Romania – dove le strutture sanitarie non permettono un’adeguata assistenza ai malati.

Già, quando Marisa Russo Zappalà si è fatta interprete della tremenda situazione in cui versano i bambini talassemici rumeni, è come se tramite “EX” si fosse gettato un sasso nello stagno della generale indifferenza. Alba Montanari ha tracciato il primo cerchio. Gli altri puoi tracciarli anche tu…

In maggio, oltre al servizio sul convegno internazionale sull’AIDS di Firenze, ci concentriamo sull’appello della Fondazione dell’Emofilia al Ministero della Sanità al quale abbiamo aggiunto alcune nostre considerazioni.
Da parte nostra diciamo:

Il decreto del febbraio di quest’anno del Ministero della Sanità sulle esenzioni dalla partecipazione alla spesa sanitaria, rischia di vanificare gli sforzi che Fondazione dell’Emofilia, associazioni e medici compiono da 20 anni in favore degli emofilici.

Un “giro di vite” penalizzante che non ha tenuto conto delle reali condizioni di patologie come l’emofilia. Questo appello richiama il Ministro della Sanità alla correzione di un decreto iniquo che oltre tutto rischia di far aumentare le spese sanitarie costringendo a ricoveri ospedalieri forzati gli emofilici che da anni evitano con la prevenzione e cure adeguate.

Questo il testo dell’appello:

Onorevole prof. De Lorenzo, i sottoscritti rappresentanti delle Istituzioni e Associazioni per la lotta all’emofilia, nonché medici, operatori sanitari e sociali, emofilici ed i loro parenti, espongono e chiedono:

 

  1. Lei sa e conosce la grave situazione delle persone affette da emofilia, che ci permettiamo di ricordare con le accluse tabelle tratte da un dépliant dell’Associazione di Milano.
  2. Lei sa che la condizione di un emofilico è tale che il ricovero d’urgenza e la ospedalizzazione costituiscono non soltanto ciò che avveniva nel passato, ed in alcuni casi avviene tuttora, perché si muore ancora di emorragia, ma ciò che potrebbe avvenire per tutti se il Decreto 1-2-1991 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7-2-1991, rimanesse nelle condizioni di cui all’art. 13 del Decreto stesso.
  3. Lei infatti sa che da anni lo sforzo e l’impegno di deospedalizzazione, di trattamenti e controlli di day hospital, in ambulatorio, a domicilio è stato portato avanti da tutti i medici specialisti in malattie della coagulazione come è riassunto nella tabella acclusa tratta da una pubblicazione dell’Ospedale Policlinico di Milano.
  4. Lei sa che per effetto delle gravissime insorgenze di infezioni da sangue emoderivati, epatite ed HIV, è necessario sottoporre periodicamente tutti gli emofilici a controlli trimestrali in laboratorio quali, per esempio, quelli sottolineati nelle due tabelle dell’ospedale Maggiore di Milano che uniamo.
  5. Se, come dice l’art. 3 n. 13 le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio dovessero essere limitate alle due ivi indicate, non rimarrebbe che ritornare indietro di 20 anni al ricovero ospedaliero che nessuno potrebbe negare data la gravità ed i rischi ma che costerebbe moltissimo sia in termini sanitari che sociali ed umani.

CHIEDONO che la S.V. modifichi il n. 13 dell’art. 3 del Decreto citato, aggiungendo alla indicazione…”nonché tutte le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio, di emostasi, di ematologia, di biochimica e di virologia ed immunologia che dovessero essere ritenute necessarie dai servizi e centri specializzati nella lotta all’emofilia”.

Siamo certi che Lei, nella Sua sensibilità di scienziato, di medico, di Ministro, vorrà con Suo Decreto provvedere con urgenza.

20 aprile 1991

Cosa si chiedeva in sintesi?

Esami di laboratorio per cui richiedere l’esenzione per emofilici e coagulopatici in genere (cat. 25), richiesta di esenzione di quota fissa su ogni farmaco prescritto a emofilici HIV-siero positivi (cat. 25-52), farmaci per cui richiedere l’esenzione per gli emofilici e coagulopatici in genere (cat. 25).

Sempre a maggio ci occupiamo dei trapianti di midollo per la guarigione dalla talassemia attraverso uno scritto di Marisa Russo Zappalà, la nostra corrispondente dalla Sicilia, della quale avevamo pubblicato qualche anno prima il libro della sua storia dal titolo Uno su quattro.

Commentiamo: “Pesaro: un esempio dell’immobilità delle istituzioni”.

Oggetto dei discorsi e anche delle polemiche il Centro Trapianti di Pesaro diretto dal prof. Lucarelli.

Il problema del Centro di Pesaro che ricorre con insistenza negli scritti e nelle azioni della nostra corrispondente Marisa ci dà spunto per ricordare a tutti che la talassemia, come altre malattie che necessitano per la guarigione, del trapianto di midollo, non sono legate soltanto al trapianto stesso ma anche a cure adeguate con medicinali oggetto di intensa ricerca da parte degli scienziati ed a terapie che permettano una vita migliore a coloro che sono affetti da queste malattie. Nel numero di aprile abbiamo una notizia, in un articolo firmato dal prof. Vullo, del simposio svolto a Ferrara per un aggiornamento medico nel quale si è trattato anche il problema dei trapianti legati alla talassemia. Si è cercata un’azione comune fra le varie tesi legate appunto al trapianto e alla cura, al fine di migliorare le condizioni di preparazione al trapianto e alla cura ed al dopo, che crea ancora non pochi problemi e incognite che nessuno si deve nascondere.

Marisa diceva tra l’altro nel n. 3 di EX:

“Quanto costa la vita di un ragazzo?”. Oggi io voglio gridare: “Quanto ci costa in termini di dolore, la perdita di 100 ragazzi ogni anno? Perché subire ancora così gravi umiliazioni?”. Sono trascorsi quattro anni dal trapianto di mio figlio, eppure i problemi del Centro di Pesaro non sono affatto cambiati! E se i medici avessero incrociato le braccia nell’attesa di “quella famosa legge che non arriva?”. Quante vittime in più avremmo contato? Ce l’avrebbe fatta mio figlio ad “entrare nella lista delle prenotazioni?”. Mi sorgono spontanee alcune domande: è meno qualificato il lavoro svolto dal Centro di Pesaro, rispetto ad altri Centri italiani? Come mai Pesaro aspetta da anni un potenziamento che non arriva, tenendo conto della importanza che occupa a livello internazionale, mentre altri Centri, con affluenza minore, non hanno gli stessi problemi? Ci troviamo di fronte al solito immobilismo dello Stato o non vi si affiancano pure “manovre sotterranee” tendenti a distrarre l’attenzione da una piccola città rispetto alle grandi metropoli? I talassemici oggi, grazie alla metodica del trapianto, possono guarire definitivamente. Talassemia non significa più solo terapia trasfusionale, ferrochelante o danni irreversibili agli organi. Allora perché continuare a tacere questa meravigliosa verità? Perché si continua ad assumere il solito atteggiamento di sconsolata rassegnazione alle inquietanti domande dei genitori? E perché ancora i mass media parlano così poco di talassemia?

In agosto alleghiamo un inserto speciale sull’Assemblea della Fondazione dell’Emofilia che si sarebbe svolta dal 20 al 22 settembre. Le tematiche riguardano la proposta di legge sulle norme in materia di donazione di sangue, misure urgenti per gli emofilici con danni derivanti da forme infettive contratte da plasma derivati. La proposta di legge era stata presentata il 9 aprile 1990. Allegato alla proposta di legge c’era questo documento:

Conseguenze delle infezioni da HIV. È noto che la trasmissione della sieropositività, l’involuzione verso le malattie da AIDS, la lotta per sopravvivere con il dolore che accompagna le specifiche malattie, i trattamenti in Day Hospital ed i ricoveri fino alla fase terminale per chi non è in grado di resistere all’aggressione del male, portano le seguenti gravi conseguenze dannose:

  • sui soggetti sieropositivi gravi danni alla sfera psicologica ed alla vita di relazione (angoscia per timore che la sieropositività si sviluppi, più o meno rapidamente, in malattia conclamata e quindi, in assenza ancora di cure efficaci, in evento letale, timore di trasmettere l’infezione ai propri partners, limitazione nei rapporti sessuali, impossibilità di procreare) per non accennare alla emarginazione dalla scuola, dal lavoro e da ogni attività di gruppo, ove la condizione venga conosciuta in via legale (i certificati di sana e robusta costituzione fisica richiesti per il lavoro) o per semplice indiscrezione ai controlli quasi mensili in ospedale ed alle conseguenze dell’AZT;
  • sui progetti che sviluppano le infezioni da HIV: la perdita della vita, dopo lunghe sofferenze, spesso con degenze ospedaliere ghettizzanti, nei reparti infettivi (con promiscuità con omosessuali o tossicodipendenti, ignari dell’origine dell’infezione nell’emofilico, non in grado di comprendere il perché e l’urgenza di contrastare le emorragie e comunque presi da altre problematiche psicologiche, sociali e mediche) che trasformano in ghetti drammatici gli ultimi mesi degli emofilici;
  • sui parenti, la vedova o la fidanzata che, oltre a soffrire le preoccupazioni e le paure circa la diffusione delle infezioni e l’emarginazione sociale per una malattia nei confronti della quale ancora insufficiente è la informazione ed educazione pubblica, si trovano a sopportare tutti i gravi danni economici, per i costi aggiuntivi necessari ad evitare la solitudine in ospedale della persona cara ricoverata, cercando di integrare l’assistenza sociale e l’assistenza psicologica al ricoverato.

Viene presentato anche il Disegno di legge su: Risarcimento danno biologico da prodotti plasmaderivati registrati e distribuiti dal servizio sanitario nazionale ad emofilici e politrasfusi cui sia stata trasmessa sieropositività da HIV ed altri provvedimenti a loro tutela.

Si evidenzia nello “speciale” anche il lavoro e gli interventi della Fondazione stessa. Lo facciamo con il titolo: Il criterio rischio-beneficio non basta più quando oltre 700 emofilici sono infettati da HIV ed epatite.

I membri della Fondazione dell’Emofilia De Majo, membro del Comitato Esecutivo Nazionale,
De Rosa, emofilico e medico del Direttivo dell’Associazione Campana per la Lotta all’Emofilia, Rotondi, Presidente dell’Associazione Emofilici del Lazio, sono stati ufficialmente delegati dalla Fondazione a tenere i contatti con il Ministero della Sanità e con i responsabili sanitari dei partiti presenti al Parlamento, nonché con i Parlamentari che hanno presentato disegni di legge a favore degli emofilici.

A settembre un lungo servizio sulla nostra partecipazione al Meeting di Rimini con un convegno al quale danno il titolo Al di là del muro, al quale partecipano tre delle nostre donne: Marisa Russo ZappalàMaria Carla Orlando e Angela Venturini, vice direttore del nostro giornale.

In riferimento al titolo del Meeting noi aggiungiamo un sottotitolo: Le antigoni del 2000 contro i creonti di sempre.

Maria Russo Zappalà così si esprime:

Ho scelto di fare volontariato e lo considero importantissimo perché nel contesto della Sicilia, regione dove io vivo, ci sono carenze nei metodi di cura e assistenza che non sempre sono adeguati e qui parlo in senso generale, non solo per la patologia di cui mi occupo.

Poi ci sono i tabù, perché nel momento in cui si scopre di avere un figlio malato di una malattia ereditaria non c’è soltanto il problema della malattia che già di per se sarebbe grave, bisogna fare i conti con questi tabù che ci portiamo addosso, nascondendo lo stato di salute reale.

Anche quando mio figlio era malato non l’ho mai nascosto, anzi, ho fatto in modo di farlo sapere agli altri per portare le mie esperienze e riceverne da chi era nella mia stessa condizione.

Forse fa parte dei tabù anche la scarsa predisposizione della gente della mia terra alla donazione del sangue, eppure ho constatato di persona che coloro che si sono trasferiti al nord poi sono molto generosi e vanno a donare.

Questa mia attività a cui dedico, dopo la mia famiglia, la maggior parte del mio tempo è una cosa importantissima per me perché vedo che nonostante le difficoltà riesco a scalfire questo muro di indifferenza e di sospetto, in fondo chiedo soltanto solidarietà e comprensione nei confronti di persone che soffrono. Ieri i miei discorsi erano ascoltati da poche persone, oggi da molte. Lo dimostrano le lettere e le telefonate che ricevo da tutta l’Italia, per questo devo ringraziare EX che mi dà la possibilità di comunicare attraverso gli scritti.

Purtroppo il rapporto con molti dirigenti di associazioni, e lo dico con profondo rammarico, è univoco. Cioè parlo soltanto io senza ricevere risposta o
richiesta di collaborazione. Forse pensano che sia fastidioso sentir parlare di libertà dalla malattia?

Eppure io continuo a dire che bisogna vivere con la malattia come se non ci fosse, accettandola con dignità perché non c’è motivo per accettarla diversamente, questo forse è il motivo per cui ancora qualcuno vive emarginato. Certo, i miei discorsi, i miei scritti non piacciono, ma nessuno ha avuto il coraggio di dirmelo in faccia, l’ho imparato da altri, ed i discorsi riportati non mi interessano perché non sono mai veri o giusti. Non voglio il conflitto: voglio collaborare con tutti, soprattutto con i rappresentanti della patologia per la quale io mi batto, come se mio figlio fosse ancora ammalato.

Maria Carla Orlando, la cui situazione è ben nota i nostri lettori, lancia un messaggio importante e coinvolgente:

Qui si parla di libertà e per me questa è stata per molto tempo una condizione quasi irraggiungibile, qualcosa che vedevo da molto lontano ma che non potevo toccare.

Con il passare degli anni e con una certa maturità, la mia serenità interiore, quella cosa che vedevo così da lontano sono riuscita piano piano a farla una mia conquista.

L’ho conquistata con grande fatica ma che poi è stata ripagata con una certa attenzione da qualche persona all’interno della società. È anche vero che la barriera che divide l’handicappato dalla società sta nella volontà di tutti ad abbatterla. Esiste certo un tipo di mentalità sbagliata nei nostri confronti ma anche ognuno di noi ha un suo carattere ed un modo di vedere e di sentire che a volte non favorisce questo riavvicinamento. Io ho combattuto e combatto tutt’ora contro tutto questo anche se a volte in passato mi sono lasciata andare un po’ troppo alla speranza che è come una bolla di sapone: così bella, così colorata. La vedi davanti a te poi d’un tratto, un piccolo soffio la fa scoppiare e allora, a mie spese ho imparato che bisogna avere fiducia ed è quella che può dare molto di più di quanto si pensi.

Ho riflettuto su tante cose, il tempo non mi mancava, su ciò che ero e su quello che volevo diventare e forse è da lì che ho iniziato ad avere fiducia in me stessa, in ciò che non avrei mai potuto fare.

E come ho scritto su EX, sono riuscita in qualche modo ad accettare quelle cose che non potevo cambiare. Per tornare poi al discorso della libertà penso che la si possa intendere sotto vari aspetti: la libertà di morire, di cantare, di urlare al mondo che anche una persona con divisa diversa può avere la sua libertà, non perché è sua ma perché ha il diritto di averla come tutti gli altri.

Vincenzo Russo Serdoz, in veste di moderatore così si esprime in conclusione:

Oggi noi parliamo non per dire, parliamo invece per dare. Oggi la gente che è venuta qui assimilerà con calma, ciò che si è detto, ricordando la frase che ricorre nei nostri stands: solidarietà. Una parola più completa di carità, che spesso significa uno scaricarsi delle responsabilità e della partecipazione.
Solidarietà è un termine più complesso: è un dare e un ricevere, un cercare di capire perché si può dare qualche cosa anche in questi convegni fatti di parole ma che hanno alle spalle azioni concrete, dimostrabili come le due testimonianze che abbiamo ascoltato, diverse tra loro ma con un unico scopo.

Marisa il cui figlio è guarito poteva chiudersi e vivere nella sua intima felicità. Invece sta dando una testimonianza, sta svolgendo un lavoro per questi malati, sta cercando di stimolare l’ambiente medico, lottando sempre in prima persona.

Maria Carla poteva anche chiudersi nel suo piccolo guscio. Invece partecipa, pur soffrendo, perché ogni volta che noi dobbiamo metterci di fronte agli altri è comunque una sofferenza, perché non possiamo mai sapere dall’altra parte cosa ci aspetta.

Sono prove di fiducia e di solidarietà che diamo e che chiediamo.

Certo, noi non siamo né migliori né peggiori di tanti altri membri della nostra società: l’ammalato, l’handicappato può essere sì grande, ma nella misura in cui è se stesso.

Dare testimonianza.

La nostra che portiamo a voi, la vostra che ci ascoltate. Per noi è importante perché dall’altra parte abbiamo gente che è disposta ad ascoltarci. Noi accettiamo e comprendiamo prima noi stessi per poter poi parlare alla gente ed essere convincenti.

La partecipazione del pubblico si concretizza in domande rivolte ai personaggi presentati in questo incontro, riguardo alla vita e alle sensazioni; ma il ricordo più bello, è sempre quello della consapevolezza di essere utili ad accrescere la partecipazione della gente.

Il tema di Antigone e della libertà non poteva incontrare personaggi più giusti. Certo il percorso è sempre molto accidentato ma la speranza oggi è più concreta, tangibile e le conclusioni di Angela Venturini non potrebbero essere diverse.

Il cammino verso la libertà non è mai un cammino facile. Le testimonianze di oggi ne sono una prova inconfutabile. Una prova di coraggio, di non condizionamento. Ed è forse così che si possono abbattere i tanti muri che esistono ancora. È la mia speranza, e anche il mio augurio.

In ottobre, all’incontro semestrale organizzato dal giornale e dall’Associazione di Ravenna e Riccione partecipano molti rappresentanti di associazioni, tra cui il presidente della Fondazione Umberto Randi e il Segretario Esecutivo della World Federation of Hemophilia, Declan Murphy.

Il nostro giornale apre con questo titolo: Soltanto il silenzio è contagioso.

Il redazionale di Angela Venturini sintetizza la giornata:

Ripensando, forse con un pizzico di nostalgia, a quel meraviglioso convegno che si è tenuto il 23 settembre scorso a Riccione, sono convinta che il suo vero messaggio sia proprio qui, in questa semplice frase, che ne sintetizza l’essenza e il suo scopo fondamentale.

Già, perché nelle intenzioni di EX, che ha voluto dedicare l’annuale appuntamento della Fondazione dell’Emofilia ad uno dei più scottanti problemi d’attualità, come l’AIDS, non era assolutamente la volontà di intervenire nell’aspetto medico della sindrome da immunodeficienza acquisita, quanto piuttosto su quello morale e sulle sue conseguenze sociali. In sostanza, l’intenzione di affrontare l’AIDS non con gli occhi indagatori della scienza, peraltro essenziali, ma con gli occhi del cuore. Ecco dunque la domanda a cui tutti si è tentato di rispondere: un sieropositivo ha il diritto di vivere in mezzo agli altri, lavorare, avere degli affetti? Una domanda per certi versi cosmica, non certamente esauribile in una sola risposta, dal momento che dietro al contagio da virus HIV, si apre un baratro di sofferenza, di paura, di ignoranza.

Per questo è necessario parlarne. Parlare per conoscersi, parlare per aiutare, parlare per sconfiggere la paura. “Parlare perché la lotta contro l’AIDS è una lotta psicosociale, che va dentro ad ogni uomo. Il silenzio è come l’aver caricato questi uomini con le stimmate”.

Così si è espresso al convegno il segretario generale della Federazione Mondiale dell’Emofilia, il canadese Declan Murphy. E ha aggiunto: “Se ci nascondiamo, non avremo mai successo”.

Un invito a non ritirarsi dal fronte, venuto unanimemente da tutti i relatori di questa giornata. A cominciare dal nostro carissimo Vincenzo, che su questa strada è stato davvero un precursore, senza mai lesinare un briciolo della propria forza. Lo stesso messaggio è venuto dall’avvocato Randi che entrando nello specifico della situazione italiana, ha evidenziato tra l’altro come la recente legge sull’AIDS sia “una legge civile, che fa onore all’Italia, perché non discrimina”. Ha però aggiunto che “lo Stato deve farsi carico anche delle barriere lavorative tuttora esistenti”.

Giusto. Finora, a parte l’aspetto scientifico, il problema della sieropositività era stato spesso travisato da un atteggiamento religioso di condanna piuttosto che di assoluzione, o meglio, di comprensione.

Insomma, parlare di AIDS è parlare di rispetto reciproco e di coscienza civile oltre che, ovviamente, umanitaria. È un discorso appena iniziato, ma che si intende portare avanti e approfondire sempre più. Altri due appuntamenti sono già stati fissati per il 1992, sempre a Riccione, con lo scopo unico di aiutare chiunque ne abbia bisogno. E se anche una sola persona ritroverà il sorriso, potremo dire di esserci riusciti.
Ed è ancora Vincenzo che parla:

In questi ultimi tempi siamo stati toccati profondamente non solo per le morti ma per ciò che leggiamo dalle lettere che giungono in redazione, dagli incontri con i malati e con i parenti, nei quali si avverte la paura e riaffiora lo spauracchio dell’auto emarginazione. Gli emofilici che rifiutano la vita sociale ed il rapporto con gli altri perché essendo sieropositivi (quelli che lo sono) si sentono rifiutati. Gli uomini, i mariti (pochi per fortuna) che non hanno detto alle loro donne di essere sieropositivi e queste lo sono diventate a loro volta. Ecco, proprio su questi problemi possiamo e dobbiamo intervenire. La proposta fatta al simposio di San Marino purtroppo non è stata recepita. Torniamo a ribadire, se questa può essere stata una delle cause del rifiuto, che noi per problemi morali non intendiamo ad esempio la pubblicità ai preservativi ma a quelli più ampi della scuola e del mondo del lavoro.

Dal momento che oggi qui si parla di emofilici, si tocca anche il tema lavoro, facendo presente che molti si iscrivono alle liste di collocamento nascondendo la malattia, per la paura che il datore di lavoro posso abbinare l’emofilia alla sieropositività. Ecco quindi la difficoltà per gli esami clinici, la terapia e le richieste di assenza.

E fa bene Vincenzo a insistere su questo argomento.

Lo scopo di questo nostro tentativo che si diluirà nel tempo e che volevamo in certo qual modo collegare agli incontri di San Marino, era per una continuità legata soprattutto alla ricerca del sociale, argomento che non si affronta mai volentieri in questo nostro paese così tanto legato alla più facile via dell’assistenzialismo.

È un problema che si può risolvere, perché nello stesso momento in cui la persona acquista coscienza di se stessa può manifestarsi meglio agli altri (NDR – …e se lo dice una persona che è stata in prima linea a viso aperto fin dal primo momento gli si può credere).

Nessuno pretende che si porti un cartellino con su scritto “sieropositivo” ma può esserci un momento in cui bisogna dirlo, affrontarlo, far capire alla gente che non vogliamo essere emarginati e che l’emarginazione forse nasce da un senso di ignoranza, intervenendo come abbiamo fatto e facciamo, sui quotidiani, in televisione, affinché si smetta di confondere l’AIDS con la sieropositività che sono due situazioni diverse.

Ecco, far raccogliere l’importanza di questo messaggio e per un genitore o per un sieropositivo o un malato di AIDS stesso può essere importante leggere informazioni corrette e non catastrofiche più del dovuto. Non si possono nascondere certe realtà ma c’è modo e modo di raccontarle.

Il 1991 si conclude con un messaggio di speranza contenuto nell’editoriale e rivolto ai medici in prima fila nella lotta all’HIV/AIDS, dal titolo molto eloquente:

Con questi medici possiamo combattere il “mostro”

Ho visto un uomo, davanti alle telecamere ed ai flash dei fotografi, baciare una ragazza sieropositiva. Quest’uomo è anche medico ed il gesto, nella sua spontaneità, ha un significato enorme.

Abbatte uno dei tabù creati dall’informazione errata sull’HIV e presenta al grande pubblico una figura nuova, quella del medico che, essendo “uomo”, partecipa in prima persona e vive assieme all’ammalato le sue paure e le sue speranze, cercando di renderlo più libero.

Questi uomini, noi che combattiamo quotidianamente contro la malattia, li conoscevamo.

Ora, l’occasione, così importante, ci permette di presentarli con orgoglio.

Sì, sono “questi” i nostri medici!..

Come sono lontani i tempi in cui vivevano in un loro mondo distaccato, presentandosi, quando era necessario, in quell’alone di mistero ed anche di timore.

Eh…sì, perché la malattia, anche la più benigna, è sempre fonte di preoccupazione e loro davano la sentenza senza concedere spiegazioni a chi in fondo non avrebbe potuto capire un linguaggio fatto di strani vocaboli.

Quel gesto dicevo (il bacio), non ha sorpreso noi ma il resto della società ed il messaggio è rivolto soprattutto a coloro che ancora si ostinano a vivere nell’ignoranza ed anche a quei medici che non vogliono scendere dal “piedistallo”. Un colpo di spugna che potrebbe cancellare ciò che ancora resta di quelle sacche di emarginazione che la malattia o l’handicap hanno creato. Quel gesto avrebbe dovuto insegnare molto a chi poi si è presentato in TV alla trasmissione “I fatti vostri” approfittando del “caso” di una persona per gettare altro fango, altri dubbi su chi cerca faticosamente di alzare la testa ed uscire finalmente incontro a quei medici-uomini che ogni giorno, idealmente ci baciano con il loro lavoro e la loro dedizione.

Due fatti quindi: l’uomo contro l’ombra del “mostro”, rappresentato da chi vuole approfittare della malattia per raggiungere “suoi” obiettivi e le lettere, le telefonate, i fax contro di lui stanno a dimostrare quanto male abbia fatto.

Ma noi guardiamo ad un futuro più sereno con questi medici anche se siamo attenti perché in agguato c’è sempre il “mostro” rappresentato da chi vuole a tutti costi raggiungere i suoi scopi che non sono certamente i nostri, perché noi inseguiamo sempre quel bacio.

Parliamo di “mostro” e lo ribadiamo con quattro titoli:

Non è vero che la sieropositività vuol dire AIDS

Non è vero che Michele ha pochi giorni di vita

Non è vero che 4 emofilici su 10 hanno l’AIDS

Non è vero che il virus ha distrutto la nostra voglia di essere uomini come gli altri fra gli altri