storia
1995: ANNO DI POLEMICHE

Quest’anno si apre con un editoriale dal titolo: Grazie…, parola che spesso abbiamo letto nei messaggi dei nostri lettori per il lavoro che svolgiamo. Questo grazie il nostro direttore lo rivolge a tutti coloro che in qualche modo, percorrendo la nostra stessa strada, ci hanno dato e ci danno esempi da seguire.
Come il ringraziamento da parte della Fondazione dell’Emofilia del cui Comitato Esecutivo, in gennaio, pubblichiamo una lettera rivolta alle associazioni e agli emofilici:

L’impegno, profuso da molti di voi nel corso di quest’anno, merita il più vivo apprezzamento e plauso: entrambi questi contributi sono valutabili, oltre che col metro morale e solidaristico, anche economico. Ore impegnate significano minori introiti individuali, mentre contributi in denaro, implicano sempre rinunce a bisogni o a necessità della propria famiglia.

Eppure tutto questo non è ancora sufficiente a far fronte agli impegni da noi tutti assunti con l’Assemblea di Vicenza nel 1993 (far applicare e migliorare la legge 210/92 per i nostri ragazzi e per i loro familiari, che hanno contratto attraverso il sangue infetto l’AIDS o le epatiti nel decennio 1983-93, promuovendo da un lato l’azione verso il Governo e il Parlamento, e dall’altro la causa dinanzi al Tribunale Civile di Roma) e con l’Assemblea di Bologna nel 1994 (impedire che i farmaci emoderivati siano tolti dalla distribuzione gratuita nelle farmacie, nonché ottenere la registrazione dei farmaci più sicuri, come è già avvenuto nel resto d’Europa; e questo è stato promosso con l’azione verso il Governo e la CUF, nonché con la causa dinanzi al T.A.R. Del Lazio, nell’interesse di tutti gli emofilici).


Per la causa del danno da virus, gli avvocati, con atteggiamenti solidali, hanno accettato di rinviare la percezione degli onorari a causa finita in primo grado, perché si tratta di un gravissimo “danno ingiusto” che ha colpito nelle aspettative di cura e nella vita stessa i malati che hanno avuto fiducia nel “salvavita dello Stato”.

Per quanto riguarda invece la causa dei “farmaci in distribuzione”, che interessa tutti gli emofilici, il collegio degli avvocati aveva richiesto almeno un acconto sugli onorari.

Nasce da questa urgente necessità, quindi, l’invito che viene rivolto a tutti gli interessati indistintamente, ai loro famigliari e amici, di raccogliere i fondi indispensabili alla causa. L’obiettivo è di raccogliere con la maggiore celerità possibile almeno 50 milioni di lire. Se questa cifra fosse, come doveroso, divisa fra tutti i 4.643 emofilici interessati (tanti sono i pazienti registrati presso l’Istituto Superiore di Sanità), è evidente che la cifra a carico di ognuno si ridurrebbe a poca cosa.

Sarebbe estremamente ingiusto – proseguiva la lettera – che a pagare per tutti fossero solo e sempre quei pochi che fino ad oggi hanno sostenuto il peso di queste operazioni.
Ad ogni associazione, ad ogni socio individuale, ad ogni membro dei comitati, sono affidate le iniziative atte a raggiungere questo obiettivo, mediante riunioni, raccolte di fondi e iniziative di vario tipo. Ricordiamo che la nostra è una associazione senza fini di lucro e che le donazioni fino a 2.000.000 di lire, sono interamente deducibili dalla dichiarazione dei redditi.

Sempre a gennaio pubblichiamo la notizia della nascita del C.E.R.E.R., il Comitato Emofilici dell’Emofilia-Romagna, attraverso un documento in qualche modo lungimirante che precede di quasi dieci anni la nascita di una vera Federazione Regionale e sottoscritto da:

Pierangela Polacchini, in rappresentanza dell’Associazione Emofilici di Bologna e provincia.
Ernesto Balconi, in rappresentanza dell’Associazione Emofilici di Parma.
Calizzani Gabriele, dell’Associazione di Ravenna.

Il Comitato, apolitico senza scopi di lucro, si propone di:

favorire lo studio dei problemi medici e sociali dell’emofilia, coordinare le attività delle associazioni locali, porsi come interlocutore delle competenti autorità locali e regionali, sollecitare o promuovere iniziative idonee a risolvere i problemi legati all’emofilia e le coagulopatie.

A febbraio il giornale si occupa dei fatti dalla Sicilia, sia per la talassemia che per l’emofilia.

La parte più consistente viene dedicata al convegno di Palermo che ha come titolo Talassemia: in attesa di guarigione. Intervengono, tra i talassemici, il prof. Vullo e il dott. De Sanctis, il dott. Piga e il dott. Maggio. Da parte dei trapiantologi, il prof. Lucarelli.

Preferiamo in questo contesto pubblicare il commento al convegno del nostro inviato dott. Antonino Mancino.

Ad ogni convegno, riteniamo (lo abbiamo detto) che la parte sociale debba avere uno spazio rilevante. Ascoltare la voce degli utenti è fondamentale. A Palermo, quando ha preso la parola l’ing. Giammusso, presidente della Fondazione “Leonardo Giambrone”, il convegno era alle battute finali; la platea, prima affollata, si era ridotta notevolmente.

Molti quindi non hanno ascoltato un intervento che riteniamo molto importante. In esso venivano messe in risalto da una parte la non accettazione della “cultura della rassegnazione” e dall’altra gli obiettivi da raggiungere: sviluppo della ricerca scientifica per migliorare la terapia in campo farmacologico e in quello genetico. C’è stata infine nelle sue parole la consapevolezza che “bisogna stringere i tempi, perché i nostri ragazzi non possono aspettare”.

Per quanto riguarda invece l’emofilia pubblichiamo un documento dell’Associazione Emofilici di Palermo nel quale ci si rivolge all’Assessore alla Sanità in occasione del Piano Sanitario 1995/97.

Premesso che al Centro Emofilia di Palermo ubicato presso l’Ospedale dei bambini, l’unico della Sicilia occidentale, fanno capo circa 150 tra emofilici e coagulopatici provenienti da tutte le province siciliane e data la gravità della malattia emorragica, si desidera conoscere quali sono i motivi che ostacolano il funzionamento del centro emofilia di Palermo, ed in particolare, la mancata assistenza globale (ortopedia, odontoiatria, psicologia, chirurgia) indispensabile data la patologia; l’assenza di medici specialisti del settore reperibili 24 ore su 24, limitandosi l’assistenza alle sole ore antimeridiane e con un solo medico specialista – prof. G. Mancuso -, che per altro svolge la propria attività come volontario, dato che il suo ruolo è quello di docente universitario e aiuto della divisione di pediatra.

Il prof. Mancuso svolge la propria attività senza coadiutori, né medici né biologi, il quale malgrado l’impegno notevole e senza un organico idoneo non riesce a dare le risposte assistenziali complete anche in termini di prevenzione.

Si sottolinea che il Centro stesso opera in locali del tutto inadeguati, in quanto ospitato presso la divisione di pediatria.

Si chiede infine, quale sia la collocazione e l’organizzazione che si pensa di dare ai due centri di emofilia siti in Sicilia (Palermo-Catania) nel prossimo piano sanitario regionale per dare risposte a questa categoria di malati di una assistenza a livello standard di tutte le altre regioni italiane.

A marzo una pesante polemica nei confronti di una giornalista che aveva pubblicato il libro Puoi correre Rocco. Notizie non vere o riportate male coinvolgono il nostro giornale e quindi rispondiamo punto per punto con un articolo del nostro direttore.

Un libro e noi…

Settimanali e quotidiani hanno riportato recensioni e giudizi sul libro “Puoi correre Rocco – sangue e AIDS: cronaca di uno scandalo italiano”, della giornalista Gianna Milano.

Ho vissuto attraverso quelle pagine, la nostra storia di questi ultimi dodici anni, sia nei dati che nelle documentazioni. Ho rivisto i volti di coloro che mi sono stati vicini ed hanno pagato il massimo prezzo della tragedia chiamata AIDS.

Ho avvertito, leggendo il diario di Giuseppe Micò, quella rabbia sorda e impotente; quel dolore che si prova ogni volta che si perde un amico, un fratello, compagni di tante battaglie, uccisi da un medicinale che aveva permesso loro, dagli anni ’70, di rinascere a nuova vita, affrancandosi dalla malattia per diventare “come gli altri fra gli altri”.

Una storia come tante racchiuse nei nostri cuori, che non potremo dimenticare, ma che ci danno lo stimolo e la rabbia necessarie per continuare a batterci come facciamo dal 1974.

Batterci significa informazione corretta e quotidiana: nelle scuole, ai politici, agli amministratori e soprattutto contro chi cerca soltanto lo scontro fine a se stesso.

Cerchiamo di essere sempre al fianco delle persone con correttezza e soprattutto onestà.

Quell’onesta e correttezza che ci impongono di chiarire alcune frasi riportate nel libro stesso in riferimento al nostro operato.

Lo facciamo per coloro che ci leggono, ci seguono ed hanno fiducia in noi (anche per lei prof. Micò che nel 1994 ha rinnovato l’abbonamento a EX, per il quale la ringrazio)…e con loro ci scusiamo per lo spazio che siamo costretti a “spendere” sottraendolo ad argomenti importanti, ma anche questo andrà a far parte di quell’informazione che molti forse hanno dimenticato.

Chiediamo di leggere con attenzione ciò che diciamo ma anche, se vogliono, il libro di cui parliamo. La giusta battaglia di un padre però non deve coinvolgere ingiustamente coloro che si sono sempre battuti al fianco di persone come lui, spesso, purtroppo, pagando di persona.

Per questo le due frasi che ci riguardano sono profondamente ingiuste, degne di uno stile giornalistico molto superficiale che non approviamo e combattiamo con la fermezza e la serenità che ci vengono da tanti anni di lavoro a favore di tutti e non di una sola persona.

E ora leggiamo le due frasi.

Pagina 36:

Già nel dicembre 1993 nella proposta del Piano Quinquennale Sangue del Ministero della Sanità di cui facevano parte anche esponenti della Fondazione dell’Emofilia, nel punto 3° relativo al buon uso del sangue si diceva: “la trasfusione può trasmettere malattie, epatite e AIDS”.

Concetti che non furono divulgati neppure dalle pubblicazioni come EX periodico dell’Associazione di Ravenna finanziato in parte dalle industrie produttrici di emoderivati e da “Tra noi” dell’associazione di Bari. Dalle pagine di questi giornali l’allarme è partito con molto ritardo e le assicurazioni continuarono anche quando l’evidenza dei rischi non poteva essere negata. L’indipendenza economica è un requisito essenziale per essere liberi nel giudizio e negli obiettivi.

Voglio a questo punto far notare come poi i giornalisti nelle recensioni interpretino le frasi molto personalmente.
Il Giorno, 25 maggio 1995: articolo/intervista redatto da Francesca Amoni dal titolo: L’avanzata del male scandita…

Questa la frase:

Né i periodici degli emofilici dettero alcuna informazione perché, erano in parte finanziati dalle industrie farmaceutiche.

Quel “perché”, dava un altro significato al discorso e ci permette poi di ribadire una realtà della quale andiamo fieri da sempre. Parlare di “case farmaceutiche” generiche è sbagliato, perché quando nel 1974 chiedemmo un aiuto finanziario a tutte, l’unica che rispose fu la Immuno SpA. Questa non ha mai interferito nel nostro lavoro e chi volesse avere la pazienza e soprattutto l’onestà di leggere se ne renderebbe conto. Francamente non ci siamo mai sentiti di chiedere tanto. Oppure quel qualcuno, se avesse un po’ di tempo, potrebbe darci una mano a informare come facciamo in modo “corretto”, da sempre.

Altro punto del libro, a pagina 19:

Diario del Prof. Micò ANNO 1986: “…Me lo avrebbe detto il medico se ci fosse stato qualche rischio. E invece nessuno mi aveva avvertito. Anche il mensile dell’Associazione di Ravenna EX era pieno di articoli rassicuranti. Mai che venisse fuori un dubbio. Mai una perplessità. Perché?”.

(NdR. – come può il prof. Micò asserire questo se mi ha confessato al telefono di aver conosciuto il nostro giornale la prima volta nel 1987?).
Signor Micò, signora Milano, questo scritto non è certamente una difesa (ventidue anni di lavoro dalla parte degli emofilici, dei talassemici e dei coagulopatici sono qui a dimostrarlo), semplicemente, sarà un riassunto di due soli anni, il 1983 e una parte del 1984 (sarebbe impossibile citare tutto ciò che abbiamo detto e fatto nei successivi anni e poi siamo disponibili a fornirvi tutto il materiale necessario).

Intanto, come premessa, permettetemi di porvi due domande:

Dove eravate quando nel 1974 EX iniziò le sue pubblicazioni?

Dove eravate nel 1983 quando EX per primo parlò del pericolo di contagio?

IL NOSTRO LAVORO

Ma veniamo ai fatti:

EX – marzo 1983, pagina 6

Rubrica Dalle case farmaceutiche sotto il titolo:

La sindrome da immuno deficienza acquisita

La Immuno S.p.A. In una nota a firma della Direzione Medico-scientifica diceva: “…dal primo rapporto sulla associazione dell’AIDS con l’emofilia, sono stati descritti negli Stati Uniti meno di 10 casi di AIDS in pazienti emofilici (The Hemofilia Bulletin, gennaio 1983). La correlazione fra queste due malattie fa supporre che l’agente patogeno possa essere trasmesso solo attraverso contatti omosessuali o attraverso l’abuso di stupefacenti, ma anche per via ematica. Non a caso gli omosessuali costituiscono un’aliquota dei donatori di plasmaferesi nelle grandi città degli Stati Uniti. Il plasma infetto di questi donatori verrebbe così a contaminare il pool dal quale vengono prodotti i concentrati.

Tra le varie proposte tendenti a ridurre al minimo il rischio di trasmissione di questo virus, c’è l’allontanamento dei gruppi a rischio e la possibilità di avere quanto prima concentrati inattivati verso i virus trasmissibili per via endovenosa.

Per altro la letteratura è concorde nel consigliare di non modificare gli attuali schemi terapeutici negli emofilici, data la bassissima incidenza dell’AIDS in questo gruppo di pazienti ed i rischi emorragici conseguenti ad una insufficiente terapia sostitutiva.

Oggi, quando si sa esattamente tutto, si pretende da noi, un giornale fatto da volontari, non certamente un quotidiano, che si dicesse agli emofilici: “ora smettete di farvi quell’emoderivato e tornate all’artropatia ed ai pericoli insiti nell’emorragia prolungata nel tempo, perché potrebbe essere contaminato e quindi pericoloso.

In quello stesso articolo la stessa Immuno annunciava di aver messo a punto una preparazione di concentrati esenti da virus contaminanti.

I francesi, a distanza di 10 anni, hanno riconosciuto che il nostro giornale per primo nel 1983 aveva dato la notizia di studi americani su alcuni prodotti trattati al calore che non avrebbero trasmesso infezioni.

Sempre a marzo a pagina 5 citavamo la relazione del presidente dell’XI Congresso della WFH nella quale si diceva:

…anche se molti emofilici ora possono essere trattati con i concentrati, gli effetti collaterali, come la tendenza in alcuni a sviluppare l’inibitore, la contaminazione dei prodotti e specialmente le alterazioni al fegato, prodotte da epatiti e affezioni virali, proiettano nere ombre su questo trattamento. D’altra parte, nuove scoperte ci fanno sperare che almeno il problema delle epatiti sarà risolto nel prossimo futuro.

Dov’erano i grandi canali d’informazione, coloro che oggi e anche ieri, sono stati capaci soltanto di sbattere il mostro in prima pagina?
Dov’era la signora Milano, oggi così bene informata?

Ma a Ravenna facemmo ancora di più e ne demmo notizia su EX (numero di maggio 1983) affinché altri seguissero il nostro esempio.
Nessuno, in quel 1983, fu dalla nostra parte e non solo: il Comitato Medico Scientifico della Fondazione dell’Emofilia ci criticò pesantemente in un comunicato che per correttezza pubblicammo (numero di giugno 1983) e nel quali si diceva tra l’altro:

…l’interesse e la serenità degli emofilici, la necessità di evitare la diffusione di notizie che (per la provenienza e il taglio) sono tali da arrecare allarme, disorientamento e sfiducia ingiustificata nell’ambiente.

E ancora:

…pubblicare una notizia medica di tale gravità, diffusa da una casa farmaceutica, senza averla sottoposta al giudizio scientifico preliminare del Comitato Medico Scientifico della Fondazione, è avere un errato concetto della comunicazione e dei suoi destinatari.

E ancora:

…i giornali “laici” non sono la sede per pubblicare relazioni o interventi espressi in congressi medici, da medici, per i medici.

In seguito poi il prof. Mannucci si espresse in un comunicato rivolto a Il Corriere della Sera il 21 giugno (pubblicato nel numero di giugno 1983).

Vogliamo chiarire anche un concetto in riferimento ai medici, certamente non per difenderli (lo faranno personalmente), ma per puntualizzare che dal loro punto di vista,la prudenza era d’obbligo in quell’anno.

Dal canto nostro continuiamo a citare tutti gli articoli pubblicati appunto nel 1983 a costo di essere prolissi, ma una volta per tutte è necessario fare chiarezza.

EX, agosto 1983

Da Clot, le parole di un emofilico, allora studente in medicina, Teo Ripa, nostro corrispondente, che è stato purtroppo fra i primi a pagare il prezzo più alto all’AIDS:

Escludendo qualsiasi forma di falsi allarmismi, si suggerisce di indagare a fondo sulla natura dell’AIDS, sui fattori che predispongono o proteggono dalla sindrome, sull’eventuale ruolo dell’epatopatia emofilica e sull’importanza delle ripetute esposizioni ad epatovirus e ad altri virus anche in assenza di manifestazioni cliniche. Il problema è serio e qualsiasi motivazione di carattere economico va accantonata sino alla soluzione.

Non è il caso di citare le ulteriori critiche che ci pervennero da parte dei medici che predicavano “ancora” il silenzio e la prudenza. Signora Milano, era nostro preciso dovere dare queste notizie ma comprendevamo anche la prudenza dei medici. Ripeto ancora una volta: è facile parlare oggi.

I medici cominciarono a rendersi conto della necessità dei controlli. Tant’è vero che nell’ottobre 1983 pubblicammo una lettera del prof. Mannucci che diceva tra l’altro:

…Avrete probabilmente sentito parlare di AIDS, quasi sempre a sproposito, dalla stampa quotidiana, dai rotocalchi, e purtroppo, anche da EX. Anche se gli allarmismi diffusi sono in genere ingiustificati, è chiaro che il controllo è necessario.

Se volessimo fare una cronaca dell’informazione data ai nostri lettori negli anni seguenti, non basterebbe un libro, ma voglio citare ancora alcune note molto importanti.

EX, marzo 1984

Articolo di fondo:

La corretta informazione

Al di là degli articoli che questo numero di marzo contiene, di varia natura ed interesse, ci preme sottolineare tre punti importanti che evidenziano altrettanti argomenti, non nuovi, certo per il nostro foglio e che riproponiamo periodicamente, ma ogni volta sotto sfaccettature diverse, per non venire meno a quello che consideriamo il nostro dovere, la corretta informazione: l’AIDS; il problema del sangue; la sensibilizzazione sulle malattie e quindi il rifiuto dell’ignoranza.

Dell’AIDS, ancora inserito nella rubrica medica, ne parlano due medici dell’Istituto Gaslini di Genova da una relazione tenuta in occasione dell’assemblea degli emofilici liguri.

La relazione tenuta dal dott. Molinari e dalla dott. Lanza diceva al punto “emofilici”:

…gli emofilici rappresenterebbero poco meno dell’1%; la loro esposizione al contagio sarebbe condizionata dalla pratica di terapia sostitutiva con concentrati industriali del fattore loro carente provenienti da larghi “Pool” di donatori.

Le associazioni

Vogliamo anche spezzare una lancia in favore delle associazioni visto che anch’esse sono accusate di non avere informato.

EX, luglio 1984, pagina 4

Convegno sull’AIDS di Cagliari organizzato dall’Associazione Sarda per l’Emofilia. Vi è un’intera esauriente pagina. Eccone alcuni punti:

Il problema più attuale è quello del controllo del sangue dei donatori e di quello che viene utilizzato per gli emoderivati. Infatti gli emofilici che sono stati colpiti da AIDS avevano avuto somministrati emoderivati ottenuti da soggetti tra i quali si trovava uno o qualche ammalato di AIDS o con l’AIDS ancora in incubazione. Anche alcuni soggetti politrasfusi negli USA hanno avuto l’AIDS, probabilmente proprio perché tra i donatori si verificava qualche caso di AIDS in incubazione.

Informazione dopo sei anni

Continuo a sfogliare il giornale e trovo in ogni numero avvertimenti, controlli, informazioni sociali e mediche.

Poi su Panorama del 18 gennaio 1989 (quando ormai si sapeva tutto e i mass media avevano “sguazzato” su tutto e sul contrario di tutto) leggiamo un’intervista della giornalista Gianna Milano al prof. Traldi. Il titolo diceva: Lotta all’AIDS/Un caso esemplare – SOLO SANGUE DOC, e il sottotitolo In Veneto un medico ha trovato il modo di curare gli emofilici senza rischio di contagio AIDS. Come? Usando plasma di donatori sicuri. Ecco i risultati.

Senza entrare nel merito del cosiddetto “sangue DOC” perché ormai tutti in seguito hanno conosciuto “certi casi”, noi che sapevamo già allora come quella non fosse la verità, rispondiamo con la presentazione del nostro direttore responsabile Vincenzo Russo Serdoz, il primo in Italia a dichiarare pubblicamente la propria sieropositività:

Certe notizie che spesso vengono date hanno scopi precisi che ai più sfuggono perché l’abilità o del giornalista oppure dall’intervistato (e nel nostro caso pensiamo proprio a questo) manovrano in modo tale da falsare la verità o comunque di dare “un’altra verità”. Il giornalista si lascia prendere la mano dalla notizia sensazionale senza rendersi conto, spesso, di quanto costi, a molta gente, leggere di “quest’altra verità”. Anche noi a volte ci siamo lasciati “prendere la mano” ma poi, nella nostra attività di volontari, nelle corsie degli ospedali, a contatto con l’ammalato, soprattutto con lui, attraverso di lui o dei suoi famigliari che ci siamo resi conto ed abbiamo scelto fra lo squallido egoismo per la “grande notizia” e il rispetto verso il nostro prossimo. Lo abbiamo fatto e chiediamo anche ad altri di farlo subito, perché dopo sarebbe inutile o troppo tardi.

I dati e le affermazioni dell’intervista di Panorama furono contestati dal prof. Mannucci in una lettera inviata al direttore.

Il nostro titolo fu: Imprecisioni, affermazioni errate, deformazione della realtà. Il prof. Mannucci denuncia la superficialità della giornalista e l’inesattezza delle affermazioni del prof. Traldi.

Perché abbiamo riproposto questi titoli e questa notizia?

Perché non ci rendevamo conto come si potesse contestare il nostro operato dopo tutte le battaglie combattute. Ora abbiamo capito.

E sono tornato a leggere (ancora una volta) il libro Puoi correre Rocco. Lo ribadisco: è scritto bene, mi ha fatto e mi fa rivivere sensazioni mai sopite e ancora di più, dopo venticinque anni, voglia di lottare a fianco della gente. Poi, alla pagina 78, ultimo capoverso, dalle parole di Giuseppe Micò: “Nel 1989 durante uno dei vari convegni promossi e organizzati dall’Associazione Politrasfusi ho incontrato Gianna Milano…”.

Ora capisco perché nella pur meticolosa documentazione scientifica si parla di un numero di emofilici che a noi non risulta, ma soprattutto genericamente di 6000 politrasfusi.

Il rispetto per la vita umana

Cara signora Milano, il mio è un invito a incontrarci, soltanto così ci si può conoscere, un invito a collaborare con noi, a continuare con noi una battaglia, quella dell’informazione corretta, senza condizionamenti o risentimenti (sentimento purtroppo anche mio). Mi confortano le parole di Giuseppe Micò quando dice, parlando di lei: “…conoscevo il suo impegno” o ancora “…ho accolto la sua fatica con profonda gratitudine; ammirandone la tenacia e il rispetto per la vita umana”.

Se questi sono i suoi intenti non si fermi all’accusa. Cerchi con noi, oggi, di difendere coloro che ancora desiderano vivere una vita normale, lasciando alla giustizia il compito di giudicare, affiancandola come fanno le associazioni.
Vorremmo averla al nostro fianco, e per questo motivo da oggi, se lo vorrà, riceverà il nostro mensile, pagato interamente da una casa farmaceutica, (Immuno SpA) l’unica che rispose al nostro appello nel 1973 e dalla quale non abbiamo mai ricevuto condizionamenti come lei asserisce nel libro.

In questa mia lunga ma “necessaria” chiarificazione non poteva mancare una parte della risposta di Vincenzo Russo Serdoz alla lettera di Giuseppe Micò del settembre ’89 che attaccava duramente la nostra critica alla sua intervista con il prof. Traldi:

Egregio signor Micò,

ogni giorno, forse lei lo dimentica, vivo sulla mia pelle quanto è successo a tanti emofilici come me.

Lo vedo e lo sento nei controlli rigorosi che debbo fare, ormai dall’inizio del 1988, ogni tre mesi (prima li facevo ogni sei mesi), ed è uno stillicidio che però non ha, grazie a Dio, intaccato il mio ottimismo, la mia voglia di vivere.

Questa è la mia libertà.

Nel gennaio dello scorso anno pubblicai “Lettera aperta ad un padre”, era lei, colpito dalla tragedia dell’AIDS. Le scrivevo e lo scrivevo a tanti: “anch’io ho perso molti amici, ma finché avrà senso vivere e ha un “senso”, continuerò a vivere. È vero, sento che quello che ho perso non potrò mai reintegrarlo, vedo con gli occhi quello spazio vuoto anche se con il cuore percepisco e “sento” la loro presenza e allora mi dico che la mia sofferenza e la loro morte non sono state inutili. Dobbiamo soltanto “insieme”, rifiutare quei “mercanti” di morte che come orridi avvoltoi calano sui nostri sentimenti per banchettare insensibili al nostro dolore.

Questa è la mia onestà.

Questo io oggi Le ripeto forte della memoria di tanti amici che sono morti e i cui cari hanno rifiutato, in difesa di tante anime – le nostre – gli allettanti e ipocriti aiuti che generano solo astio e dolore.

Voglio terminare citando la frase che conclude (4ª di copertina) la presentazione di Gianni Tognoni:

La giustizia per Rocco (noi vorremmo che si dicesse … e per tutti quelli che come lui hanno pagato, da innocenti – NdR) è di non permettere che le cose tornino a posto: e questo è il compito della memoria (…).

Quelli che “vogliono avere memoria” sono gli unici che possono prendere in mano le cose ed i fatti per farli divenire sguardo, coscienza, cammino, diritto.

Noi siamo forti di una “memoria d’amore” che ci ha lasciato Vincenzo Russo Serdoz ma anche e soprattutto della volontà di continuare con onestà, senza farsi condizionare da ciarlatani, falsi pietismi, o da coloro che strumentalizzano il nostro dolore (anche il suo signor Micò).

Ancora nel mese di marzo un’intervista al prof. Guido Lucarelli che fece abbastanza scalpore, soprattutto perché considerato uno scienziato “fuori dal coro”. Qualcuno lo definisce anche un cinico. In realtà scopriamo un uomo capace di commuoversi quando parla dei suoi ragazzi sottoposti a trapianto.

L’importanza dell’esperienza

Quando gli scienziati, anche di fama internazionale, dicono che a Pesaro è stato compiuto un misfatto perché prima abbiamo fatto i trapianti e poi abbiamo capito come si fa, sanno di dire una stupidaggine, perché l’unica osservazione possibile è appunto quella di fermarsi e poi guardarsi indietro. C’è una situazione che era brutta prima e non lo sapevamo e che ora è stata modificata ed è la classe tre, che oggi ha la stessa mortalità della classe due pur avendo più rigetto, perché dovendo guadagnare in tossicità, abbiamo dovuto pagare in rigetto. In questa classe appunto la mortalità è 10 su 100 ed il rigetto 20 su cento. La guarigione è oggi 70.

Certo oggi c’è questa novità del colloquio con l’adulto, cioè fino a 35 anni, al quale viene dato modo di fare qualsiasi riflessione della quale è l’unico padrone soprattutto quando si sente dire che su 100 quelli che non tornano più a casa sono 28.

Nessuno di loro è mai fuggito, perché quando vengono da noi sanno che non possono ignorare una realtà che la vita futura riserva a loro. Noi li informiamo, diciamo loro che hanno venti giorni di studio al termine dei quali sapranno a quale classe apparterranno e quante probabilità avranno, ma nella stragrande maggioranza dei casi sanno tutto e dire che non sono informati è un’offesa, non verso di me ma verso di loro.

La sua è senz’altro un’esperienza umana perché oltre al medico c’è l’uomo che non può tenere un atteggiamento distaccato. Qual è il coinvolgimento, cosa si può apprendere da questa esperienza e, soprattutto, cosa può dire a noi che cerchiamo di fare un’informazione corretta anche se a volte, come in questo caso, può sembrare “scomoda”?

Qui rispondo e parlo a nome di tutta la mia equipe: da me all’ultimo portantino. Nella talassemia (e parlo di questo senza dimenticare tutti gli altri che amo allo stesso modo) c’è un disturbo violento da parte di chi fa il trapianto perché quando muore un bambino il primo pensiero è legato al fatto che avrebbe potuto restare a casa sua ancora per anni; questo non si supera in nessun modo. È come una ferita che non si rimargina perché il rapporto instaurato con loro era fatto di conoscenza, amicizia. Ogni volta lo stato d’animo della sconfitta vorrebbe farti smettere.

Poi, la gran massa di coloro che guariscono danno la forza e la consapevolezza che insieme ai genitori, quando si è deciso di cercare di far guarire questo bambino, questo ragazzo, accentando i rischi, si è compiuto di per sé un atto d’amore, nella consapevolezza, soprattutto per i genitori, del rischio. I genitori sanno che loro per primi rischiano di morire, perché l’essere stati protagonisti di una decisione non permette loro di recuperare una visione della vita com’era prima.

In quel momento diventa ancora una volta importante la nostra presenza perché loro (i genitori) hanno la necessità di esorcizzare il dolore dando la colpa a noi. È un modo il nostro per dar loro una mano a affrontare il futuro. Sono comunque convinto che nessuno di noi è mai principale protagonista. C’è chi, più in alto di noi, decide per noi e non avrei fatto tutto questo se non avessi la fede che mi sostiene. Ogni momento della giornata lo viviamo, tutti insieme, con spavento, timore, gioia; tutti alla stessa maniera ed è questo che fa diventare il nostro un gruppo molto affiatato.

A maggio torna il ricordo di Vincenzo con l’assegnazione del premio a lui dedicato istituito dalla Immuno. Vengono pubblicati un editoriale sull’evento e la cronaca della giornata indimenticabile.

Ho riguardato uno per uno i volti delle persone presenti alla cerimonia di consegna del premio Vincenzo Russo Serdoz 1994. Ho letto nei loro occhi, ho ascoltato le parole e ho compreso ancora una volta quanto forte sia stato il suo messaggio. Ho guardato gli occhi e il volto di due giovani, ho ascoltatole loro parole (una promessa) lungo la scalinata che porta a una chiesetta, in uno stupendo bosco di pini.

Poi ascolto, vedo, leggo notizie ogni giorno e scopro il solito mondo fatto di egoismi, sopraffazione, barbarie e mi accorgo che niente è cambiato là dove si costruiscono i destini dei popoli, delle società.

Contro tutto questo si batteva Vincenzo, contro tutto questo ci battiamo oggi nel suo ricordo, con l’immagine dei due giovani davanti agli occhi, perché è con loro e per loro che vogliamo costruire il futuro.

Vincenzo, tanti anni fa, scriveva:

Da queste pagine lottiamo per essere inseriti, alla pari, come gli altri fra gli altri: ma in quale società? Quella della mafia? Quella dello sfruttamento delle ansie degli ammalati? Quella della sospetta tolleranza e permissività verso i violenti e la droga?

Quella dove non c’è amore? No!

Sta a tutti noi, al nostro coraggio sincero, al nostro desiderio di verità, fare sì che vi sia la possibilità che cessi lo sfruttamento dell’uomo verso l’uomo in qualunque forma esso si manifesti; che non ci si debba vergognare dei propri sentimenti.

E per fare tutto questo non c’è bisogno di grandi gesti di eroismo, basta solo ricordare che si ha due o tre volte nella vita l’occasione di essere eroi, ma quasi tutti i giorni si ha quella di non essere vili.

E rivedo gli occhi dei due giovani, ascolto le loro parole: “Non siamo soli. Come un bosco all’alba la vita ha mille rumori segreti. Se restiamo in silenzio possiamo sentirli”.

Continuava intanto la battaglia per il chelante orale L1 per i talassemici, con una lettera del presidente della Fondazione senza Talassemia e con un’interrogazione parlamentare.

Firenze, 22 Maggio 1995

Caro Direttore,


spero che queste poche note servano a dare una più completa informazione sul coordinamento per la importazione del ferrochelante orale. La sperimentazione con L1 infatti, prosegue ed i risultati sono sempre più incoraggianti.


Ormai sono circa 13 le U.SS.LL. che si servono del nostro coordinamento per l’importazione.


Come ribadito dal prof. Vittorio Carnelli all’atto dell’assunzione del coordinamento scientifico, per l’uso dell’L1, i pazienti coinvolti sono quelli ai quali il Desferal dà seri e ostativi disturbi allergici e per i quali, di conseguenza, i livelli di ferritina si sono notevolmente innalzati.


Siamo grati a tutti quei medici che adottano con rigore il protocollo internazionale e che somministrano i giusti dosaggi del farmaco, alle ormai centinaia di pazienti che usano oggi L1. Ed è in conseguenza della crescente richiesta del chelante orale che concordiamo con la interrogazione parlamentare, primo firmatorio il Senatore Stefàno, sull’esigenza di produrre l’L1 in Italia, e sulla necessità di agevolare alle U.SS.LL., l’adozione.


Un’altra esigenza che è molto sentita ormai dalle varie strutture di microcitemia è la creazione in Italia della metodica biomagnetica SQUID, per il monitoraggio del fegato. Opportune azioni a livello parlamentare e governativo sono state iniziate da questa Fondazione, tenuto conto che il nostro Paese offre eccellenti capacità professionali nel campo della fisica biomagnetica. Noi continuiamo nel nostro impegno per rendere sempre più vivibile il presente ed il futuro dei talassemici.


Suo devotissimo


Giacomo Siro Brigiano

Interrogazione parlamentare sul farmaco L1

Interrogazione Parlamentare dei Senatori: Stefàno, Torlontano, Crescenzio, Bucciarelli, Bettoni, Brandini, Micele, Barbieri, Bagnoli, Pappalardo, Loreto, Prevosto, Di Orio, Falomi.

Al Ministero della Sanità

Premesso:

che in Italia vi sono circa 8.000 persone affette da morbo di Cooley che, per poter vivere e condurre una vita normale, hanno bisogno di continue trasfusioni di sangue;

che per portar via il ferro accumulatosi in eccesso nell’organismo per via delle trasfusioni esse devono praticare tutti i giorni la terapia ferro-chelante (unico farmaco in commercio il Desferal) da praticarsi per infusione continua sotto cute per otto ore; che da anni è in sperimentazione in Inghilterra ed in altri paesi un nuovo ferrochelante orale L1, che pare l’unica alternativa valida, tanto è vero che il comitato medico-scientifico dell’associazione del bambino talassemico ha richiesto di poter utilizzare il farmaco nei casi necessari, come si è concordato in una riunione che si è tenuta a New York il 13 marzo 1991;

considerato:

che allo stato attuale migliaia di famiglie italiane acquistano il farmaco salvavita in paesi stranieri, sobbarcandosi l’intera spesa (350.000 lire in media al mese) che per alcune famiglie costituisce un onere insostenibile, per cui si corre il rischio che alcuni ragazzi non possano curarsi per motivi economici; che altri invece non avendo questa disponibilità economica, praticano il DFO endovena in regime di day hospital per 12 ore, con grande disagio e grave sofferenza e significativo aumento della spesa sanitaria; che la risposta data dal Ministro della Sanità in data 8 novembre 1994 col documento n. 100/622/1509 è stata superata dal fatto che successivamente si è avuto uno studio finalizzato alla valutazione dell’efficacia e della tossicità del farmaco denominato L1, utilizzato a “scopo compassionevole” in pazienti talassemici refrattari alla chelazione del ferro con Desferroxamina;

gli interroganti chiedono di sapere:

se non si ritenga opportuno autorizzare l’acquisto del farmaco L1 da parte delle USL e se non si ritenga altresì necessario autorizzare con urgenza la produzione in Italia del farmaco, con il seguente vantaggio, anche in considerazione del fatto che nel Regno Unito è stata già completata una esauriente sperimentazione positiva del farmaco in questione, sperimentazione valida nell’ambito della Comunità europea; se non si ritenga opportuno creare numerosi posti di lavoro ed evitare di esportare denaro all’estero.

Giugno si apre con un editoriale che fa riferimento a uno dei tanti soprusi subiti in tutti questi anni da parte delle istituzioni.

In questo caso si parla degli emendamenti richiesti per la legge 210 sull’indennizzo e ci rivolgiamo direttamente al Presidente del Senato.

…lo Stato quindi ha riconosciuto in via definitiva come valide le nostre richieste minime di indennizzo.

Ma…in assenza del Presidente della Repubblica, il facente funzione, Presidente del Senato, Scognamiglio, non ha firmato il decreto perché i “tecnici” della Presidenza della Repubblica hanno dichiarato non esserci copertura finanziaria. Quei “quattro soldi” sporchi delle nostre sofferenze che ci erano stati concessi quindi, non ci sono più!

Roberto Calderoli presidente della Commissione Affari Sociali ha esclamato: “È assurdo e sconvolgente che su una questione così grave si rischi di non far passare la legge prima che finisca la legislatura. Secondo i miei calcoli i soldi non solo non mancano ma ci sarebbero addirittura 20 miliardi in più”.

Come vedete, nel nostro Paese l’univo vero, grande diritto, è quello di morire! Morire per colpa delle istituzioni e di coloro che erano preposti alla salvaguardia della nostra salute.

Risponda lei, senatore Scognamiglio, o i suoi “tecnici”, a quel padre che mi chiedeva aiuto. Suo figlio (25 anni, emofilico) è morto di AIDS e l’altro figlio malato con l’HIV, per i quali ha speso tutto ciò che aveva, ipotecando la casa e lo Stato ancora non gli ha pagato il giusto indennizzo.

È venuto il momento di far sentire la nostra voce!

Fino a oggi abbiamo cercato di agire con fermezza sì, ma sempre con la compostezza che ci deriva dall’abitudine a tanti anni di sofferenza ed emarginazione. La nostra dignità, la nostra salute i nostri sacrosanti diritti, sono stati ancora una volta calpestati!

Noi denunciamo al mondo intero questa ulteriore vergogna perpetrata nei confronti dei cittadini più deboli.

Serve un’azione concreta.

Tutti a Roma a far sentire la nostra voce in tutte le sedi di questo Stato che non ci è nemmeno “patrigno”!

Le modifiche richieste e approvate sia dalla Camera che dal Senato non furono firmate dal Presidente, facente funzioni.

TALASSEMICI DELLA ROMANIA. AIUTAMOLI!

Martedì 13 giugno, nel quadro dell’iniziativa del nostro giornale a favore dei bambini talassemici della Romania, si tiene un incontro con i responsabili del Centro di Ematologia di Bucarest dott. Predescu e dott.ssa Vladareanu. Sono presenti: Gabriele Calizzani, vice segretario dell’Associazione di Ravenna e Brunello Mazzoli, direttore di EX.

In questo primo incontro si cerca di inquadrare la situazione dei talassemici in Romania.
A fronte della buona volontà e dedizione dei medici, si riscontra un’assoluta mancanza di mezzi e strutture sanitarie. Il dott. Predescu, che lavora in quel centro da 40 anni, afferma che si conoscono in tutta la Romania circa 300 casi di ragazzi talassemici (e senza dubbio erano molti di più).

Al Centro fanno capo circa 80 fra bambini e ragazzi ai quali vengono praticate trasfusioni settimanali o mensili.

Il Desferal viene iniettato per via intramuscolare (avete letto bene), dopo ogni trasfusione. I più fortunati ne hanno ricevuto 20 dosi nel tra il ’93 e il ’94, 10 delle quali fornite dalle stesse famiglie. Desferal intramuscolo perché non hanno pompette.

Un sistema per averle c’è ma è legato al contrabbando e il costo di una pompetta oscilla fra i 400 e i 600 dollari (considerate che un dollaro vale 2060 Lei, moneta rumena).
Non c’è possibilità di rilevare il valore della ferritina perché mancano le apparecchiature necessarie.

Per fare l’elettroforesi e quindi la diagnosi usano l’amido di patata, circa 50 kg all’anno. Anche questo semplice prodotto è ottenuto con difficoltà, al punto che dall’Italia, nel furgone della Caritas ne trasportiamo circa due quintali.

Un programma di aiuto e collaborazione

Il centro di ematologia ci promette che terrà dei corsi di educazione sanitaria per l’autotrattamento pompetta-Desferal in 15/20 casi gravi.
Ci inviano cognome, nome, foto, situazione familiare e avanzamento della malattia, naturalmente con il nostro aiuto attraverso strumenti adeguati reperibili in Italia.

Il progetto passa attraverso la Caritas di Bucarest, nella persona del direttore don Alessandro Cobzaru, e di quella di Ravenna, nella persona di Anteo Malvasio.
Sempre la Caritas controlla la non dispersione degli aiuti. L’associazione di Ravenna ospita un primo ragazzo che viene curato e soprattutto servirà in seguito da tramite per creare una struttura associativa a Bucarest. A tale scopo i nostri rappresentanti si recano in Romania nel mese di settembre per incontrare il Ministro della Sanità e informarlo dell’iniziativa.

Si svolgono altri incontri di cui uno con il dott. Andronescu che segue gli emofilici, la cui situazione non è certo migliore, dal momento che lo Stato non ha fondi per acquistare emoderivati. Gli emofilici vengono trattati con crioprecipitati. Il centro trasfusionale ha circa 200/300 donazioni al giorno. Il donatore di sangue riceve a ogni donazione un buono per l’acquisto di alimenti di 16.000 Lei, oppure un pranzo più 2 giorni di riposo. Alla quinta donazione in due anni riceve un buono per 40.000 Lei.

Il centro fornisce plasma a una casa farmaceutica che in cambio consegna gammaglobuline e fattore VIII ma in quantità molto piccole e quindi fortemente insufficienti. Si stima che gli emofilici in Romania siano circa 1500.

L’importanza della nostra partecipazione

Nell’incontro con il prof. Costantin, primario pediatra dell’ospedale di Fundò, incaricato dal Ministero della Sanità di fornire il Desferal tramite la farmacia dell’ospedale, oltre ad altre due farmacie, scopriamo che in Romania si somministra anche un tipo di Desferal per via orale. Questa clinica, ribadisce il prof. Costantin, sarà in grado in 5/10 anni di eseguire i trapianti di midollo. Il medico ci conferma di essere in contatto con il prof. Lucarelli di Pesaro, nel cui centro aveva mandato pazienti leucemici per trapianti.

Ci dice che in quell’ospedale i donatori di sangue sono gli stessi famigliari dei pazienti. Il quadro che emerge dai nostri incontri si conclude con un’amarissima constatazione attraverso le dichiarazioni dei medici e dei talassemici stessi: gli aiuti spediti a Bucarest nel 1991 e consegnati all’ospedale Caraiman non sono mai arrivati ai talassemici. Non vogliamo qui riportare i commenti degli interessati perché furono estremamente gravi. Per questo motivo il nostro programma farà d’ora in poi riferimento solo alla Caritas di Bucarest e a ogni azione seguirà un documento di ricevuta con nome e cognome del beneficiario e del medico che garantisce.

Il numero di luglio si apre ancora una volta con i commenti sugli emendamenti della legge 210 del ’92.
Un comunicato dell’Agenzia ANSA del 20 luglio afferma tra l’altro:

…sarà una quota dell’8 per mille del gettito IRPEF destinato allo Stato a coprire una parte degli indennizzi. Lo stabilisce un emendamento al decreto 261 approvato stamattina in Commissione Affari Sociali della Camera.

Per quest’anno vi si farà fronte prelevando 34 miliardi dalla quota dell’8 per mille destinata allo stato nelle dichiarazioni dei redditi e altri 56 dal capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del Tesoro. Per il ’96 dall’accantonamento per il Ministero della Sanità previsto nello stesso capitolo di bilancio.

Per il 1997, invece, saranno le aziende produttrici di emoderivati e i privati che importano, lavorano, trasformano e somministrano sangue, suoi derivati e vaccini a versare un’aliquota del loro fatturato in un apposito fondo di solidarietà.

Dal gennaio ’96, poi, tutte le strutture – pubbliche e private – che in qualche maniera entrano nel ciclo di importazione, trasformazione, distribuzione e trasfusione di sangue, emoderivati e vaccini dovranno provvedersi di una copertura assicurativa per responsabilità civile.

L’ANSA aveva però omesso un “piccolo particolare” in cui si affermava:

Gli emendamenti approvati su proposta del relatore Roberto Calderoli (Lega), reintroducono, per quanto riguarda i benefici, le norme già inserite nel precedente decreto, salvo limitare le concessioni degli indennizzi “dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda”.

La “coerenza” dell’on. Calderoli, Presidente della Commissione Affari Sociali, è disarmante se si pensa che meno di un mese fa, quando Scognamiglio non aveva firmato il decreto, aveva esclamato indignato: “È assurdo e sconvolgente che su una questione così grave si rischi di non far passare la legge. Secondo i miei calcoli i soldi non mancano”. (sic!)

L’on. Calderoli, e con lui i colleghi politici, hanno dimostrato agli italiani come si può risparmiare sulla pelle di chi per curarsi si è infettato, togliendo (cose da nulla) le norme inserite e approvate nel precedente decreto, che estendevano l’indennizzo al periodo in cui il danno era stato diagnosticato.

Gli “onorevoli” (si fa per dire), scelgono la via di mezzo, come sempre, dimostrando la coerenza che li ha contraddistinti. Il nostro messaggio è questo:

…quei soldi ci servono per poter affrontare con dignità la nostra malattia, o peggio, per sostenere la famiglia per coloro che affrontano il periodo che resta loro da vivere.

Sempre nel numero di luglio pubblichiamo una lettera del signor Micò, ancora riguardo al problema dell’informazione e sulle accuse che erano state rivolte anche al nostro giornale per una supposta mancata informazione.

Pubblichiamo anche la nostra risposta, per una sempre più corretta informazione, di coloro che a distanza di tanti anni, vogliono chiarire uno dei periodi più bui delle infezioni.

Il nostro titolo è: Ancora su: “PUOI CORRERE ROCCO” e “UN LIBRO E NOI”

Casignana, 6 giugno 1995

Gentile direttore,


dalla lettura del vostro articolo “Un libro e noi…” pubblicato sul n. 3 di EX si deduce che emofilici, talassemici e coagulopatici abbiano ricevuto in passato informazioni precise, esaurienti, corrette e sempre al momento giusto sul sangue. Insomma, chi ha fatto uso di emoderivati commerciali lo avrebbe fatto con la consapevolezza di tutti i rischi che correva.


Non è andata esattamente così. Sia il Ministero della Sanità sia le industrie farmaceutiche che operano nel settore degli emoderivati hanno gravi responsabilità sul piano penale e civile. Ma anche la Fondazione Nazionale dell’emofilia ha le sue manchevolezze. Le pubblicazioni delle Associazioni non hanno interamente adempiuto al loro dovere di informare i lettori, almeno insinuando i dubbi che man mano venivano sollevati nel mondo scientifico e di cui la letteratura specializzata riferiva puntualmente.


Dal 1983 al 1984 l’orientamento di EX è stato di tranquillizzare e di rassicurare. Alla “cattiva stampa” si rimproverava di fare terrorismo, di preoccupare quando non era necessario. E così i lettori di EX non hanno percepito, nella loro reale entità, i rischi legati all’uso di emoderivati d’importazione. Viene lecito chiedersi che cosa si nascondeva dietro quella difesa incondizionata dell’industria farmaceutica e dell’indiscussa qualità dei loro prodotti. Invece di distribuire i dubbi e di proporre gli inquietanti interrogativi che turbavano già in quegli anni gli scienziati, si sono proposte solo rassicuranti certezze.


Basta sfogliare le annate passate di EX per trovare una conferma. “Sarebbero questi i donatori mercenari o drogati?” diceva il titolo dell’articolo di EX nell’aprile 1988 (pagg. 8-9). E nel luglio 1989 (pagg. 2-3) EX dava la piena assoluzione a tutte le industrie farmaceutiche per la tempestività nell’adottare misure di prevenzione. Sempre nel medesimo numero veniva fatto un confronto con i Paesi autosufficienti in fatto di sangue ed emoderivati per dimostrare che in Francia i sieropositivi erano percentualmente superiori rispetto a quelli italiani trattati con emoderivati d’importazione. “Chi dovranno denunciare i lettori, i nostri emofilici?” si chiedeva l’autore dell’articolo.


I fatti? Mentre in Francia i responsabili della diffusione dell’epidemia dell’AIDS attraverso gli emoderivati sono stati condannati (anche per merito dell’Associazione degli emofilici francesi) in Italia ciò non è avvenuto. Non solo, quei pochi che si sono costituiti parte civile contro il Ministero della Sanità e l’industria farmaceutica si sono ritrovati ad avere contro la Fondazione Nazionale dell’Emofilia. Due membri del Comitato medico scientifico della Fondazione, il prof. Guglielmo Mariani e il prof. Giorgio Mori, fanno parte infatti del collegio dei periti per l’industria farmaceutica nella causa (ancora in corso) intentata da me e da Galluccio, e depositata presso il Tribunale di Genova. Alla luce di ciò appare inconcepibile la proposta da lei fatta a Gianna Milano di: “difendere coloro che ancora desiderano vivere una vita normale, lasciando alla giustizia il compito di giudicare affiancandola come fanno le Associazioni”.


La scelta di difendere le multinazionali del sangue è a dir poco discutibile. Come si può difendere chi, pur conoscendo fin dal 1983 i rischi di diffondere l’epidemia, ha continuato per due anni a commercializzare emoderivati non sottoposti ad alcun trattamento di inattivazione virale? Forse l’Immuno non ha contribuito a diffondere l’epidemia come tutte le altre industrie del settore? Nei foglietti illustrativi della Immuno, dal 1983 al 1987, venivano forse riportate le avvertenze sui rischi di contrarre l’Aids? Forse l’Immuno non faceva ricorso anche a sangue e plasma proveniente dall’est Europa e da altri paesi ad alto rischio? Quali garanzie e quali informazioni hanno avuto gli emofilici e i coagulopatici? A dettare le regole c’erano i personaggi come Duilio Poggiolini che aveva trasformato il Ministero della Sanità in una società per affari: i suoi.


Come non indignarsi di fronte al tentativo della Farmindustria di evitare l’obbligo dello screening per gli anticorpi anti-HCV con la motivazione che “l’improvvisa inutilizzabilità dei prodotti già immessi nella rete distributiva creerebbe enormi problemi sia di credibilità e sfiducia in detti farmaci da parte degli utenti sia sulle disponibilità dei prodotti da parte delle strutture sanitarie”. La stessa filosofia aveva caratterizzato la politica degli emoderivati quando si presentò il rischio Aids. Anche allora, come oggi per l’epatite C, gli interessi commerciali prevalgono sul diritto alla salute.


Malvolentieri rispondo ora alle domande che lei mi pone fin dal 1989. Lo faccio col fastidio che mi deriva ogni volta che devo parlare di me stesso agli altri. Dov’ero io nel 1974? Dov’ero io nel 1983? Nel 1974 possedevo poche nozioni e tutte di tipo scolastico sull’emofilia. Mio figlio Rocco è nato nel 1976 e solo a maggio del 1977 seppi di essere padre di un bambino emofilico. Da allora non ho mai smesso di occuparmi dei problemi legati all’emofilia. Nel dicembre del 1982 sono stato, insieme ad altri famigliari di emofilici e medici della Divisione di Ematologia di Reggio Calabria, fra i fondatori dell’Associazione Amici della Fondazione dell’Emofilia di Reggio Calabria. Da allora l’Associazione si è adoperata, fra mille difficoltà, per costituire un’Associazione Regionale, per far nascere il Centro di Emofilia, per racimolare i fondi necessari a fornire un aiuto minimo agli emofilici più bisognosi, per arrivare all’approvazione di una legge per l’assistenza ai coagulopatici. Non ho mai mancato un incontro, un convegno, un dibattito nelle Provincie di Reggio, Catanzaro e Cosenza. Pochi mesi dopo la morte di mio figlio, avvenuta il 10 ottobre 1987, all’ospedale Gaslini di Genova, ho raccolto in un dossier le prove che mi hanno convinto a costituirmi parte civile. Il 4 luglio 1988 ho conferito un mandato a un avvocato di Milano contro quelli che ritengo i maggiori responsabili. Tutto sempre a mie spese e in coerenza con la mia ferma volontà di far emergere le responsabilità a livello giuridico. L’acquisizione delle prove sono frutto di una mia personale ricerca. È troppo semplice pensare che io sia stato “guidato”. Con Angelo Magrini e con l’Associazione piemontese Politrasfusi sono venuto a contatto nel 1989. Ma le insinuazioni su EX, circa una strumentalizzazione da parte di Magrini del mio caso, sono cominciate in modo velato già sul numero 1 del 1988 e da allora sono continuate fino ad oggi.


Ad Angelo Magrini, è vero, devo riconoscenza per aver deciso di portare avanti la mia iniziativa come rivendicazione dei Politrasfusi: a Torino il 9.4.1989 e il 24.2.1990 per avere la possibilità di esprimere il mio punto di vista. Nel Convegno della Fondazione dell’Emofilia (Bari 22-24 settembre 1990) ho dovuto faticare non poco perché mi fosse consentito di prendere la parola. Preciso che ho partecipato a questi convegni a mie spese (viaggio, iscrizione, albergo). E devo anche aggiungere che Gianna Milano non ha partecipato solo ai convegni di Torino ma anche a quello di Bari. Le notizie riportate nel libro e che si riferiscono ai coagulopatici e alle percentuali di sieropositivi per emofilia A e B provengono da fonti ufficiali: Ministero della Sanità e Istituto Superiore di Sanità. Fonti, fra l’altro, citate nella bibliografia. Ci tengo infine a precisare che i medici del Centro di Ematologia di Reggio Calabria si sono sempre comportati in modo corretto. Non tutti i medici conducevano la sperimentazione clinica con gli emoderivati. Non tutti avevano la possibilità di influenzare le scelte del Ministero della Sanità. Alla luce degli ultimi fatti di cronaca sugli “affari di sangue” ci terrei a spronare tutti coloro che hanno a cuore la sorte degli emofilici a fare di tutto perché il sangue diventi finalmente un bene pubblico e perché venga raggiunta infine quella autosufficienza in fatto di plasma ed emoderivati a lungo auspicata. Mi piacerebbe che la Fondazione si adoperasse per questo scopo che non è utopico.


Ringrazio i lettori per la loro attenzione ed EX per lo spazio che mi dedicherà.


Un saluto cordiale.


Giuseppe Micò

La nostra risposta

Egregio prof. Micò,

rispondo alla sua lettera perché ne sono autorizzata ma soprattutto perché lei possa ascoltare anche un’altra “voce” di questo giornale.


Risponderò usando il presente: cosa facciamo, dove siamo, come operiamo attualmente. Se qualcuno intende ancora dubitare su cosa facevamo, dove eravamo e come operavamo, rifletta sul fatto che EX esce ogni mese da vent’anni puntualmente, quindi la nostra è una testimonianza scritta, facilmente verificabile da chi ci legge.


E se pur qualcuno è stato sfiorato dal dubbio, socialmente comprensibile, che nulla sia fatto per nulla e che l’interesse abbia prevaricato sulla giustizia, Lei prof. Micò, ha avuto anche lo spazio democratico per denunciarlo. Ma che nessuno si senta autorizzato nemmeno lei, a supporre che EX abbia scelto questa linea per proteggere qualche casa farmaceutica.


Il nostro mensile ha sempre scelto d’informare, per formare, affinché gli emofilici italiani potessero avere il diritto di essere cittadini “come gli altri fra gli altri”, liberandosi dall’artropatia, e dalla dipendenza dei ricoveri ospedalieri. E questo grazie all’intenso lavoro svolto da EX, dalle Associazioni Regionali degli Emofilici, dalla stessa Fondazione.


Ricordiamo a tal proposito le leggi sull’autoinfusione a domicilio, la possibilità di avere i concentrati nelle farmacie più accessibili, che fondamentali sono state per liberare giovani emofilici da quelle gravi artropatie che ben conoscono invece gli emofilici della generazione precedente.


Per molti di essi la 2a metà degli anni ’70 e i primi degli anni ’80, hanno rappresentato la possibilità di diventare cittadini per diritto. È altrettanto vero che tutto questo ha avuto un prezzo che certamente all’inizio non poteva essere previsto, neppure a livello scientifico. EX, attraverso le sue pagine, già nell’84 aveva compreso che era arrivato il momento di cominciare a pagare tutta questa libertà e a caro prezzo. E da qui la pubblicazione di quel 1° articolo che metteva in guardia sul rischio di poter contrarre l’AIDS con sangue o emoderivati. Certamente la libertà di poter vivere da cittadini a pieno diritto, non poteva far sì che gli emofilici rinunciassero a quella terapia che li aveva affrancati dalla sofferenza dell’emorragia. Si è scelta quindi la strada della terapia sostitutiva per gli emofilici, ma ci si è anche battuti e ci si continua a battere perché le case farmaceutiche produttrici e le stesse istituzioni che dovevano controllare agissero secondo ‘scienza e coscienza’.


Purtroppo non sempre questo principio è stato rispettato ed infatti oggi, per questo motivo, ci troviamo a parlare al passato di tutti i nostri cari assenti. Ognuno sa portare il proprio lutto, quello che non tutti sappiamo fare è rispettare il lutto degli altri, fatto di lotta o abnegazione, di urla o silenzi. Anche noi abbiamo fatto denuncia allo Stato ma in nome di tutti gli emofilici, non per un fratello, padre o figlio perché ognuno di noi ha purtroppo pagato il proprio tributo con la perdita di quell’umanità irripetibile che è viva in ogni persona a noi cara, che lei sola possiede e che la rende diversa dagli altri. E nessun risarcimento per quanto equo possa essere potrà ridare vita a coloro che sono scomparsi. Ma per chi vuol sentire ci sono rimaste le loro parole, i loro silenzi a dare la forza per continuare una lotta che vada oltre la loro morte.


Noi queste voci le ascoltiamo e sono monito per il nostro lavoro, che segue le indicazioni tracciate nel passato, per un futuro dignitoso.


Serena Russo Mancino

In agosto un nostro servizio parla di un incontro svoltosi a Roma al Ministero della Sanità sul Centro di cura della talassemia di Ferrara con la dott.ssa Mazzeo, al quale erano presenti i rappresentanti dell’Associazione Bambino Thalassemico di Taranto, delle associazioni di Ferrara, Rovigo, Matera, Ravenna e della Fondazione Futuro senza Thalassemia.

All’incontro, coordinato dal senatore Stefàno, era presente anche la dott.ssa Di Palma, in rappresentanza del prof. Vullo e del dott. Balicchi, che ha illustrato la realtà del Centro di Ferrara dalla sua nascita. Scopo dell’incontro, oltre far chiarezza su dubbi e paure dei talassemici non residenti a Ferrara circa il futuro del Centro, era quello di evidenziare le sue caratteristiche acquisite nel corso degli anni:

  1. controllo completo della talassemia attraverso la prevenzione fino a registrare crescita zero,
  2. nuove cure che hanno migliorato e prolungato la vita dei pazienti,
  3. acquisizione di nuove apparecchiature per la cura.

Chi si recava a Ferrara, in definitiva, lo faceva per avere aggiornamenti terapeutici e per sottoporsi a interventi specialistici, dall’endocrinologia, all’ortopedia e chirurgia.

I rappresentanti degli utenti ribadiscono che lo Stato fino a quel momento non aveva fatto niente (e sai che novità!): prevenzione, conferenze, protocolli, vademecum erano tutte iniziative delle associazioni. Lo stesso senatore Stefàno che si batte da tempo a fianco dei pazienti ha sottolineato quanto sia importante che il Centro di Ferrara non venga snaturato per esigenze di bilancio.

La dott.ssa Mazzeo prende atto e ribadisce la volontà di confermare il Centro di Ferrara come punto di eccellenza, anche se indispensabili sarebbero comunque gli interventi del Ministro della Sanità e del Presidente della Regione Emilia-Romagna, nonché le capacità finanziaria per una positiva risoluzione del problema.

A settembre pubblichiamo l’appello di alcune associazioni in difesa della Legge 210 del 1992.

L’attesa per ottenere il risarcimento si prolunga dal 1992. Tutti coloro che sono stati infettati, supportati dalle associazioni, decidono di organizzare una manifestazione a Roma, che il nostro giornale documenta nel numero di novembre.

210 Buoni motivi per protestare

Roma, 7 novembre 1995

In piazza Montecitorio si sono ritrovati emofilici, talassemici e politrasfusi per una pacifica ma decisa manifestazione. Gente che fino a ieri aveva combattuto le proprie battaglie per la vita con dignità ma senza clamori, convenuta da Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino, Toscana, Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Puglie, Sicilia e Sardegna.

Hanno parlato di fronte alle telecamere, alla radio, ai giornalisti dei quotidiani.

Chi non è potuto intervenire si è collegato telefonicamente da Cagliari e da Palermo con la trasmissione radiofonica Radio Zorro 3131.

Sono venuti a Roma per dire chi sono, che cosa vogliono e, soprattutto, per informare correttamente.

Ed il caso ha voluto che chi scrive queste note sia stato avvicinato da un deputato. Potete immaginare le parole: “Sono un deputato (circoscrizione del Veneto) la mia professione è avvocato; vorrei avere notizie sulla legge per l’indennizzo e sulle cause in corso. Un politrasfuso mi ha chiesto di aiutarlo”.

È veramente stupefacente: un rappresentante del popolo che non conosce le leggi (NdR – questa è del 1992); non conosce le nostre rivendicazioni che evidentemente restano chiuse nelle commissioni e si disperdono nei corridoi del “palazzo”, oggetto di un ridicolo (o tragico?) palleggiamento di responsabilità tra Governo, commissioni e quei pochi deputati e senatori che l’hanno presa a cuore.

Volete un esempio? La senatrice Alberti Casellati presidente della Commissione Sanità, parlando a Radio Zorro 3131, ha detto: “Abbiamo apportato i miglioramenti richiesti al Decreto Legge (362 del 28/8/95) ma è il Governo, quando appresta una legge, che deve trovare la copertura finanziaria. Noi tutti siamo consapevoli che queste situazioni vanno sistemate, ma non c’è uniformità negli obiettivi”.

In pratica ha fatto intendere che non esiste un minimo coordinamento fra il parlamento, il governo e le commissioni.

C’è di peggio: non c’è mai stato coordinamento neppure quando sono state istituite le famose Commissioni Mediche Ospedaliere destinate a giudicare coloro che hanno diritto all’indennizzo (e qui torniamo al 1992). A questo proposito il dott. Dittami, responsabile dell’Ufficio Speciale per la Legge 210, intervistato in diretta quella stessa mattina da Oliviero Beha, ha detto testualmente:

“La legge stabilisce che per le visite mediche specialistiche per l’ottenimento dell’indennizzo siano competenti le Commissioni Mediche Ospedaliere che non dipendono dal Ministero della Sanità ma dal Ministero della Difesa e noi non possiamo dare istruzioni od altro.

Ho intenzione di fare una riunione con tutti i presidente delle C.M.O.; metterci attorno ad un tavolo e trovare soluzioni”.

Questo è uno dei punti chiave delle richieste presentate dal “Comitato di Difesa della legge 210” e portato in questa manifestazione. L’intervento del dott. Dittami era stato provocato dal dott. Romano Arcieri del Comitato Giovani della Fondazione dell’Emofilia che aveva detto sempre in collegamento col programma di Beha, da piazza Montecitorio:

“Chiediamo che le commissioni sul territorio acquisiscano e seguano criteri dati da una struttura centrale con direttive precise e univoche. Noi sappiamo che è necessario avere dei requisiti minimi per identificare le patologie riconosciute dalla legge. Ad esempio per l’epatite C sarebbe sufficiente fare test sierologici, ematici, con un semplice prelievo del sangue.

Alcune commissioni richiedono esami invasivi come la biopsia epatica che, soprattutto in pazienti coagulopatici che hanno problemi di natura emorragica grave non possono essere effettuati, semplicemente perché si andrebbe incontro a problemi più seri con rischi di emorragie intraepatiche”.

I temi trattati il 7 novembre, come si può notare, sono stati tantissimi, non ultimo quello della legge sul Piano Sangue e Plasma. A questo proposito, su richiesta di un ascoltatore, la senatrice Casellati, ricordando di aver presentato un’interrogazione parlamentare, e dimostrando ancora una volta quale pasticcio di incompetenze esista nel nostro Parlamento, ha detto testualmente: “Abbiamo una legge sulle trasfusioni così assurda per cui, una Regione come il Veneto ad esempio, che ha un esubero di sangue, non riesce a trasferirlo nelle altre regioni e viene buttato via, mentre lo Stato spende 400 miliardi l’anno per prenderlo dall’estero e questo per intoppi burocratici che il Ministero della Sanità non riesce a togliere”.

In piazza quindi per coinvolgere emotivamente, fare pressione sulle istituzioni, ma soprattutto informare correttamente.
Purtroppo non c’è peggior sordo di chi non vuol ascoltare.

Pochi i quotidiani che hanno trattato i temi della manifestazione, uno di questi, il Corriere della Sera, si è presentato con una notizia “a effetto”.

Finché si continuerà a dare spazio a chi usa questi sistemi otterremo come risultato di fuorviare l’opinione pubblica da quelli che sono i veri obiettivi delle nostre battaglie.

Ma noi continueremo coerentemente a batterci per i nostri diritti attraverso un’informazione corretta, con dignità, in tutte le sedi.