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1996: LA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI EMOFILICI ITALIANI

Nel primo numero del 1996 attraverso il nostro editoriale un appello a prendere ad esempio l’associazione di una piccola città siciliana, nota alle cronache soprattutto per fatti di mafia.

Ritengo che per essere credibili, in questo nostro “mestiere”, si debba dare la priorità al contatto continuo con la gente. Per “mestiere” intendo quello di giornalisti ma anche di responsabili di associazioni. Non si può essere buoni informatori o altrettanto buoni rappresentanti se si ha la presunzione di prendere decisioni per gli altri, senza vivere di persona, quasi quotidianamente le realtà di coloro che informiamo o rappresentiamo.
Convinti di questo abbiamo accettato il primo invito del 1996 che veniva dalla Sicilia.
Proprio da quella regione che i mass-media ci dipingono a tinte così fosche.
È da qui che parte il desiderio di riscatto di tutti ed ha un nome: Associazione Talassemici Emopatici Gelesi (ATEG di Gela). Sì, avete letto bene!
Una città che evoca, attraverso le cronache quotidiane, la parte peggiore del nostro paese.
Eppure, dalle pagine di questo numero di EX potrete rendervi conto di un’altra realtà di cui la grande informazione non parla. Sono poche centinaia di persone che stanno sensibilizzando un’intera regione, affiancati in questo da altre associazioni che già esistono nel territorio. Li prendiamo ad esempio, idealmente uniti con tutte le altre realtà associative delle quali si parla in questo EX di inizio 1996. È un numero dedicato interamente a loro, dal sud al nord. Sono pagine piene di lavoro, rivendicazioni, proposte che offriamo ai nostri lettori affinché ne facciano tesoro adeguandosi a questa volontà di informazione e di partecipazione.
È sempre tempo di mostrare (a coloro che fanno le leggi, a coloro che dovrebbero tutelarci) un’immagine di noi, combattiva competente, non rassegnata, unita alla consapevolezza di recitare un ruolo attivo nella difesa dei diritti e della salute di tutti.
Per questo servono, a nostro parere, due cose: la volontà (ed i giovani di Gela sono l’esempio) di battersi per uscire dalla emarginazione e dall’ignoranza che farebbe comodo a coloro che vorrebbero “usarci” (e sono anche all’interno delle stesse associazioni) e quell’informazione puntuale che si occupi dei nostri problemi, attraverso l’entusiasmo dei più giovani e l’esperienza di chi questo “mestiere” lo svolge da tanti anni.

Il richiamo dell’editoriale si sposta alla pagina 8, dove si legge la cronaca di un incontro a Gela del 7 gennaio, durante un convegno sulla malattia drepanocitica, sul quale scriviamo che in una terra di forti contrasti, dove la convivenza tra i fasti del passato e l’abbandono urbano è costantemente viva, siamo rimasti colpiti dalla straordinaria carica umana delle persone incontrate.
Purtroppo, e ce ne doliamo, i mass media si limitano a offrire della Sicilia l’aspetto più folkloristico e certamente meno positivo. Invece aleggia ancora lo spirito combattivo dei gelesi (che con l’innocenza contrastarono l’assalto del tiranno Dionisio alla loro città), nelle parole del Presidente dell’ATEG, Maurizio Nicosia, il quale ha insistito sul NO all’emigrazione per curarsi, in favore di strutture locali efficienti in grado di offrire l’assistenza migliore.
Da questa attuale situazione nasce la speranza che in futuro venga dedicata un’attenzione particolare e maggiore al problema drepanocitico.
Ancora in Sicilia, il 9 gennaio, la nostra Redazione partecipa a un incontro con il prof. Guido Lucarelli, molto famoso in quegli anni per i trapianti di midollo per guarire la talassemia.
Le sue parole: “Non sono venuto per una manifestazione trionfalistica, ma perché penso che ogni tanto sia importante stare insieme, con quei 71 dei 91 talassemici, con quei 4 che sono tornati talassemici e soprattutto per stare con le famiglie dei 16, che non hanno avuto fortuna”.

Anche qui, come due giorni prima a Gela, numerosi gli interventi del pubblico. Ancora una volta, laddove i vuoti delle istituzioni sono sempre più profondi, nasce e aumenta il desiderio di colmarli con il volontariato. Questo l’aspetto di una Sicilia poco conosciuta, vitale e in fermento, carica di motivazioni e determinata a pretendere risposte precise. Perché centri già predisposti alla tipizzazione del midollo, ad esempio, non riescono a evadere le domande dei probabili donatori?
La risposta è che mancano spesso, oltre al personale, i materiali per poter effettuare l’esame. Noi che da anni seguiamo l’attività delle Associazioni dei talassemici e parallelamente quella dei ricercatori, riferendo puntualmente gli sviluppi dei vari studi (Butirrati e L1, ricerca genetica, prevenzione, trapianti), possiamo affermare che il percorso scelto dal prof. Lucarelli sia quello che più di altri, in questi anni, ha subito attacchi.

Con dolore e indignazione ha ricordato al pubblico presente, come la sua ricerca sia stata definita un “misfatto”. La nostra redazione può testimoniare che al convegno di Gela il professore, che opera in America, ha effettivamente ricordato come in USA venga effettuato il trapianto nei drepanocitici, ma non “in maniere indiscriminata come qualcuno fa in Italia”.
Nessuno ha avuto la curiosità o il coraggio di chiedere, in quella sede, chi fosse questo qualcuno. Certamente nessuno è indenne da errori o omissioni, ma la realtà è che oggi il talassemico è spesso un adulto che, come ha ricordato il prof. Lucarelli: “sa spesso più dei suoi medici e sicuramente molto di più, di quanto non sappiano i suoi genitori”.

Ancora le associazioni in evidenza nel numero di febbraio. In questo caso si parla dell’assemblea delle associazioni aderenti alla Fondazione dell’Emofilia che si era svolta il 24 febbraio. Erano i primi tentativi di creare una Federazione Nazionale degli Emofilici da affiancare alla Fondazione. In questo caso interviene Giovanni Nicoletti, Presidente dell’Associazione della Campania, che si poneva e poneva a tutti alcuni quesiti sulla necessità di istituire questa organizzazione.

L’emofilico è un microcosmo complesso e, come in medicina non può essere curato solo per un aspetto, così da parte delle associazioni che ne tutelano i diritti non può farsi separazione di un principio ormai consolidato: trattamento globale. L’aspetto medico e quello sociale non possono essere separati, sono due facce della stessa medaglia; alcune volte in contrasto, sempre in sintonia sulle scelte importanti, come nei migliori matrimoni. È proprio necessario il divorzio oppure è utile prima esaminare il problema, discuterne e verificare soluzioni meno traumatiche e dirompenti?
Io ritengo che oggi il vero problema della popolazione emofilica italiana non sia di ordine sanitario (da questo punto siamo molto ben garantiti dai nostri scienziati) ma associativo. La vera carenza è rappresentata da una inesistente comunicazione interna, mancano cioè i collegamenti necessari e sufficienti per coinvolgere attivamente gli emofilici italiani. In questi ultimi anni siamo cresciuti molto ma in fretta, forse non abbiamo avuto il tempo di consolidare le nostre conquiste. È questo il terreno sul quale si deve misurare la Fondazione dell’Emofilia, che in Italia è l’unica entità capace – per tradizione, cultura, autorevolezza – di realizzare un processo così ambizioso. È questa la sfida che essa deve raccogliere e il IX Convegno triennale di Sorrento, che non a caso titola la giornata sociale “INSIEME SI PUÒ….”, rappresenta il momento ideale per concretizzare iniziative in tal senso. Vorrei concludere con una proposta concreta. Diamo al gruppo dei “Giovani” maggiori responsabilità ed autonomia, diamo a loro il compito di riempire di contenuti un Comitato delle Associazioni che è esistito solo come progetto ma che non ha quasi mai operato per “ignoranza” = mancanza di conoscenza.

Sempre in febbraio la notizia di un altro viaggio della nostra Redazione, questa volta in Romania, nel quadro dell’iniziativa a favore dei talassemici rumeni. Dal 13 al 19 gennaio, si sono svolti una serie di incontri nella città di Bucarest, con famiglie e medici.
Il programma di aiuti, dopo il primo viaggio del giugno ’95, proseguito con l’ospitalità concessa a un ragazzo a Ravenna, e un secondo viaggio a novembre in collaborazione con la Caritas di Ravenna, si è concretizzato con la consegna di 30 pompette per l’infusione del Desferal ad altrettanti talassemici, avvenuta nel corso di un simposio dal titolo: Talassemia major – aspetti clinici ed implicazioni sociali, organizzato presso l’ospedale di Fundeni.
Un incontro che sarebbe dovuto essere anche un momento di aggregazione delle famiglie e di sensibilizzazione del Ministero della Sanità al problema legato alla cura di queste persone attraverso la distribuzione gratuita del Desferal e del materiale sanitario necessario. Ma soprattutto come punto di partenza del progetto di un Centro unico attrezzato e con medici preparati per la cura dei talassemici.

SERVE CONCRETEZZA NON PAROLE

Purtroppo le circa 100 persone presenti, intervenute anche da città lontane da Bucarest, non hanno ascoltato proposte o progetti. L’unico gesto concreto è stato la distribuzione gratuita delle pompette, preceduta dall’intervento di Brunello Mazzoli, Segretario esecutivo dell’Associazione di Ravenna, che illustrava il significato del lavoro svolto e il progetto di istituire un’associazione italo-rumena. Mazzoli evidenzia anche il ruolo insostenibile della Caritas di Bucarest in questo progetto, nella persona di don Alessandro Cobzaru, il garante per la raccolta e la distribuzione degli aiuti e del progetto di Associazione. Un ruolo determinante è quello della prof. Marianna Nedelcu che si è fatta carico di un grosso lavoro e in poco tempo è diventata il punto di riferimento per tutte le famiglie.
Mazzoli puntualizza che l’associazione di Ravenna e il giornale EX non intendono scavalcare né la notorietà rumena né tantomeno medici e famiglie di malati che dovranno con la loro volontà raggiungere gli obiettivi più importanti, ma ha richiamato l’attenzione sulla solidarietà dimostrata da tante famiglie italiane che hanno contribuito agli aiuti. Tutto questo però non potrà risolvere i problemi legati a una cura adeguata se l’associazione che si verrà a creare non saprà essere unita nei confronti delle autorità competenti.

UNA STRADA PER IL RICOMBINANTE

L’articolo di marzo, che tratta di prodotti ricombinanti per gli emofilici, può essere messo a confronto con quanto sta accadendo nel 2010/2011, in cui si sta cercando di tornare in qualche modo agli emoderivati per diverse ragioni e non tutte propriamente “oneste”.

In questa sintesi dell’articolo Una strada per il ricombinante si dice tra altro:

È noto che a seguito del provvedimento del 1994 del TAR del Lazio il decreto del Ministero della Sanità ed il provvedimento CUF che destinavano gli emoderivati al solo uso ospedaliero (fascia H), è stato sospeso per la parte che impediva la distribuzione ai pazienti sia in ospedale che attraverso le farmacie private (il doppio binario). La conseguenza è stata che il Ministero ha DOVUTO obbedire ai giudici del TAR del Lazio ed emettere dei decreti, continuamente reiterati, applicativi del provvedimento stesso. In pratica costituendo il doppio binario per i farmaci emoderivati. Sappiamo però che la CUF, ciò malgrado, in sede di registrazione dei farmaci Immuno trattati con la PCR (metodo più perfezionato per individuare se il plasma trasmette altri virus), ha nuovamente classificato in fascia H i prodotti. Conseguenza: se non verrà fatto un ricorso al TAR del Lazio da parte di tutte le Associazioni, poiché i prodotti precedenti (e fino ad oggi in commercio) verranno ritirati entro uno o due mesi, si rischierà per il fattore IX specialmente (ma anche per il fattore VIII se non verrà data attuazione per tutto il territorio nazionale dell’ordinanza del TAR della Lombardia per i prodotti da ingegneria genetica), di non averne le quantità necessarie. In più, riferisce l’avv. Randi, le case produttrici dei ricombinanti, invece di ricorrere anch’esse al TAR, avevano deciso che per il 1996 pochissimi prodotti, e solo in ospedale, sarebbero stati necessari in Italia. Purtroppo è così che dobbiamo andare avanti, intervenendo su ogni provvedimento, chiedendo il giudizio dei tribunali.

Ora cosa può succedere?

Teoricamente a tutti i pazienti residenti in Lombardia sarebbe possibile andare alla propria farmacia per farsi consegnare il ricombinante, praticamente questo non può ancora avvenire perché l’Amministrazione non ha ancora effettuato la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale lombarda.

Ma se la Regione Lombardia non darà subito esecuzione all’ordinanza sulla necessità del doppio binario per i ricombinanti, sarà chiesta ai giudici del TAR l’ottemperanza e la nomina di un Commissario ad acta che faccia quello che la Regione non fa.

Questa lettera che pubblichiamo in aprile parla di problemi alle articolazioni di un giovane emofilico e potrebbe essere attuale anche ai giorni nostri.

Faenza, aprile 1996

Caro Direttore,


questa mia lettera vorrebbe essere un messaggio, una richiesta d’aiuto ed allo stesso tempo un confronto con tutti coloro che hanno il mio stesso problema e con i medici che curano i nostri figli. Il mio bambino (emofilico A grave) ha subìto proprio ieri la terza infiltrazione in 20 giorni per una sinovite cronica ad una caviglia.


Significa che l’ortopedico aspira il sangue del versamento, poi inietta il medicinale cortisonico e antinfiammatorio.


Questa terapia è l’ultimo dei tanti tentativi e l’unico che riesce ad evitare per qualche mese le continue emorragie e i blocchi articolari al piede destro.


Sono cinque anni che somministriamo (a parte altri episodi emorragici) otto o dieci emoderivati al mese soltanto per la caviglia. In questi anni abbiamo provato di tutto, sperimentando su di lui tanti sistemi inutili. Siamo due genitori angosciati ed in cerca di qualcuno che ci indichi la strada per uscire da questo vicolo cieco.


Possibile che in questi anni di grandi scoperte mediche non ci sia un modo di evitare agli emofilici un esagerato consumo di emoderivati e curare adeguatamente le artropatie articolari?


Mi viene da pensare che i medici siano convinti che l’unica cura per la artropatia emofilica sia l’emoderivato e che non importi a loro quante volte sono costretta ad infondere a mio figlio un prodotto che tra l’altro non dà garanzie sicure di non infezione.


Non possiamo accettare con rassegnazione che qualcuno si occupi seriamente di questa patologia che è stata quasi ignorata in questi ultimi anni.


Voglio riassumere ciò che noi abbiamo fatto in questi cinque anni. Nonostante l’infusione con emoderivato, la caviglia di mio figlio persisteva nel gonfiore. Un medico ed un ortopedico consigliarono due gessi in momenti diversi. Tutto inutile.

Un medico di Milano mi consigliò, come terapia, la somministrazione di un emoderivato da 1000 unità a giorni alterni per un mese (mio figlio aveva allora sei anni). Una terapia preventiva che nel tempo e su giudizio del mio medico fu ritenuta assurda.
Abbiamo tentato l’omeopatia, la mesoterapia, ripetute sedute di magnetoterapia, ionoforesi calcica e scarpe con plantare. Siamo infine arrivati alle infiltrazioni.

Da quasi tre anni sottoponiamo nostro figlio a circa 5/6 sedute all’anno. È comunque una soluzione che non ci da tranquillità perché ci rendiamo conto che non è sicuramente la più giusta ed il dubbio che il medicinale possa danneggiare la salute è sempre presente.


Un reumatologo di Bologna ha eseguito una ecografia delle parti molli, per ora però non sa che cosa consigliarmi.


Ma non c’è proprio nessun medico che possa consigliarci ad esempio se l’intervento per l’eliminazione della sinovia possa essere utile? Noi ne siamo poco convinti.


Voglio parlare anche ai genitori che stanno vivendo la nostra stessa inquietudine e senso di impotenza, con lo scopo di confrontare diverse esperienze, forse insieme riusciremo a farci ascoltare ed ottenere risultati migliori per la vita dei nostri figli.


Chi desidera rispondere o mettersi in contatto con me può scrivere alla redazione di EX.


Serena

Il dibattito che ha seguito la lettera meriterebbe forse un libro. Alcune cose sono cambiate, soprattutto attraverso la profilassi, ma il problema resta e avremo occasione in seguito di parlarne in modo più approfondito.

E anche sul numero di maggio, sempre sulla scia di questa lettera, inizia una serie di articoli sulla fisioterapia negli emofilici. Nella prima puntata trattiamo: gli episodi emorragici, il trattamento del dolore, il ginocchio.

Con il dott. Peter Jones e le sue pubblicazioni mettiamo in evidenza, per l’ennesima volta, l’importanza di avere muscoli e articolazioni sane.
In giugno trattiamo gli arti superiori, come fare gli esercizi e come proteggere le articolazioni, e in luglio le problematiche della caviglia. In agosto l’importanza delle stecche gessate e le apparecchiature a lunga applicazione.

Proseguono intanto le riunioni per istituire una rappresentanza nazionale degli emofilici.
Nel numero di giugno pubblichiamo la relazione sulla convenzione di Bologna. I lavori sono stati aperti da Umberto Randi con l’illustrazione del progetto attuativo dello Statuto del Comitato Nazionale Italiano, rappresentativo delle associazioni a conclusione delle sperimentazioni sui nuovi modelli associativi iniziati nel 1993 e dopo i dibattiti svolti con gli incontri in tutto il territorio nazionale.

Il dibattito ha visto la partecipazione di tutti i rappresentanti.
Su proposta di Claudio Castegnaro di Trento si è chiesto di costituire un gruppo di lavoro per approfondire alcuni aspetti dello statuto.

Si associano Pavia, Milano, Roma, Tre Venezie, Vicenza, Napoli, Firenze e Ravenna.

Il voto seguente è unanime. Intervengono Andrea Buzzi, Pierangela Polacchini e Angelo Rotondi.

Al coordinamento viene richiesto di formare un gruppo di lavoro che avrà il compito di raccogliere le osservazioni e i suggerimenti sulla bozza di statuto e di presentarli a Sorrento quale proposta raccordata definitiva.
L’obiettivo primario del coordinamento sarà quello di rafforzare la possibilità di penetrazione sulle istituzioni. Uguale peso avrà poi l’importanza di riallacciare rapporti soddisfacenti e duraturi con le associazioni attualmente esterne.

Sempre in giugno la redazione partecipa alla XVI Giornata Nazionale dei Diritti del Malato: organizzata dal Tribunale per i Diritti del Malato.
Il titolo di quella giornata è Accesso ai servizi certezza dei diritti, nuovo stato sociale.
Nel cappello alla presentazione della giornata si legge una sorta di documento nel quale spieghiamo alcuni perché del nostro coinvolgimento.

Per coloro che ancora non sapessero chi sono il Tribunale per i Diritti del Malato e il Movimento Federativo Democratico e perché diamo così grande spazio alla XVI giornata nazionale dei diritti del malato, citiamo quattro importanti documenti:

Dichiarazione Internazionale dei diritti dell’uomo, art.25

Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della famiglia, con particolare riguardo a cure mediche e servizi sociali necessari.

Costituzione della Repubblica Italiana, art.32

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti…La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Legge di riforma sanitaria 883/78, art.1

La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana…senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurano l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio.

Statuto MFD . Mov. Federat. Democratico 1992, art.2

Il Movimento promuove e sostiene azioni individuali o collettive dirette a prevenire, a limitare o a rimuovere posizioni di soggezione e di sudditanza, situazioni di sofferenza, di disagio o di discriminazioni, pericoli per le libertà personali e collettive, attentati all’integrità fisica e psichica e alla dignità delle persone.

Nel redazionale dell’incontro tra l’altro citiamo l’intervento rivolto direttamente ai responsabili della sanità, tra cui lo stesso ministro Giacomo Siro Brigiano, presidente del Coordinamento Nazionale delle Associazioni di Malati Cronici. Evidenzia come i malati cronici, frequentatori abituali delle strutture sanitarie, debbano la loro esistenza e la qualità della loro vita all’efficienza degli ospedali e del Servizio Sanitario Nazionale nel suo complesso, ma soprattutto ai farmaci.

Se l’accesso ai farmaci dovesse diventare difficoltoso la stessa esistenza del malato cronico verrebbe messa in pericolo.

Non è concepibile che in un paese, che vogliamo continuare a chiamare civile, il procurarsi i farmaci necessari alle cure di un malato, debba rappresentare un traguardo da corsa ad ostacoli: dalla fascia A alla fascia B, alla fascia C, alla fascia H e chi più ne ha più ne metta. I farmaci necessari alle varie patologie debbono essere a carico del SSN e quindi in fascia A, sempre, e solo quando utile, anche in fascia H.

È mai possibile che questo Paese, che già non fa nulla per la ricerca avanzata, abbia pure delle remore ad adottare farmaci innovativi, che già esistono e da tempo, in altri paesi, dove tra l’altro si spende adeguatamente per le innovazioni?

E che dire della tragedia del sangue e degli emoderivati infetti? Che dire di migliaia di emodializzati, emofilici, thalassemici, solo per citarne alcuni, costretti a lottare, oltre che contro la malattia, anche contro ospiti inaspettati che si chiamano epatite o AIDS? E che dire delle migliaia di cittadini di questo paese, che per avventura, sono stati costretti ad accettare una trasfusione e con questa un maledetto virus che li condanna per il resto della vita?

La sicurezza sangue è un’emergenza da anni, affrontata con provvedimenti scollegati tra loro e sulla spinta, quasi sempre, dell’onda emotiva di un ennesimo scandalo.

È tempo di mettere mano alla complessa materia in maniera organica e razionale, ed anche qui, con un occhio attento alle metodiche di controllo del sangue innovative. Mi riferisco in particolare al controllo alla fonte, cioè al momento della donazione del sangue, con l’adozione di screening che superino il disastroso “periodo finestra”. Questa volta i malati vogliono dire la loro attraverso le organizzazioni di tutela come la nostra, vogliono un posto al tavolo dove si deciderà della loro vita: questa è una richiesta ufficiale che avanziamo al ministro. Come è ufficiale quella che indirizziamo al Governo affinché, là dove provvedimenti di ogni genere che incideranno sulla loro esistenza, i rappresentanti di questo Coordinamento vengano opportunamente sentiti, in ossequio al principio di concentrazione che sembra informare questa nuova fase della gestione della cosa pubblica.

L’ASSOCIAZIONE DI RAVENNA IN ROMANIA

Tra le molteplici attività della nostra associazione, qualche anno prima (1991) avevamo rivolto la nostra attenzione ai Paesi meno fortunati.
I rappresentanti dell’Associazione Emofilici e Thalassemici di Ravenna, per la seconda volta si recano a Bucarest, portando aiuti di vario tipo: alimentari per la Caritas, materiale di cancelleria e quaderni, amido per il Centro di Ematologia.

Si svolgono incontri con la dott.ssa Vladareanu, responsabile della cura dei talassemici del Centro e con il prof. Andronescu che cura gli emofilici.
Vengono esaminati la situazione attuale e gli sviluppi sulla creazione di un centro unico per la Thalassemia all’ospedale di Fundeni (Bucarest) per il quale c’è un impegno preciso del Ministero della Sanità Rumeno. Per quanto riguarda gli emofilici, vengono avanzate alcune richieste di aiuti da parte del prof. Andronescu, che in proposito scriverà un articolo per il nostro giornale nel quale metterà in rilievo l’attuale situazione di assistenza e cura.

Il nostro compito, come sempre, è anche quello di sollecitare il Ministero a occuparsi di questi malati (stime non molto attendibili parlano di circa 2000 emofilici in tutta la Romania) che si curano, quelli che riescono a farlo, quasi esclusivamente con prodotti crioprecipitati. Si svolge anche un incontro con un gruppo di talassemici e familiari, presso la Scoala 190 di via Poiana Muntelui di Bucarest. Sono presenti il signor Malvasio, responsabile della Caritas di Ravenna, Marianna Nedelcu, vice direttore della scuola e rappresentante dei talassemici che fanno parte del gruppo Progetto Caritas, e Mazzoli Brunello dell’Associazione di Ravenna.

Il signor Dogaru comunica che il Ministero della Sanità ha preso l’impegno di fornire le pompette e due fiale di Desferal al giorno a tutti i talassemici. Intanto però in questa riunione, si constata che attualmente (mese di giugno) c’è ancora carenza di Desferal e di aghi butterfly.

Altri sei ragazzi inoltre, presenti all’incontro, non hanno la pompetta (quanti altri sono ancora senza?).

I rappresentanti delle associazioni di Ravenna si impegnano ancora una volta nel reperimento di altre pompette. Per questo motivo rivolgiamo un appello ai nostri lettori che ne fossero in possesso senza farne uso, di spedirle alla redazione di EX.

Le promesse sono parole (vedi Ministero Sanità) che si devono concretizzare. Noi guardiamo questi ragazzi che sono ormai come figli nostri e, attraverso anche le generosità di altri genitori di tutta Italia, cerchiamo di aiutarli.
A settembre, attraverso un numero speciale dedicato all’assemblea di Sorrento, ufficializziamo la nascita della rappresentanza nazionale degli emofilici.

Questi il titolo e le parole di Andrea Buzzi che apre lo speciale:

FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI EMOFILICI ITALIANI

SIAMO PRONTI!

Ecco, abbiamo fatto riunioni, incontri, consultazioni, assemblee e telefonate a decine. Ma alla fine siamo arrivati ad uno statuto che garantisce un’operatività ampia e agile, il che significa efficienza e nello stesso tempo un vigile controllo delle decisioni prese, il che significa democrazia.

La Federazione funzionerà così: l’assemblea delle associazioni elegge il Direttivo (il presidente e due vice presidenti, che costituiscono il Consiglio di Presidenza e il Segretario Generale), con il criterio che proporziona la capacità elettiva delle singole associazioni al numero degli emofilici iscritti nel Registro Nazionale Coagulopatici.

Questo meccanismo ci investe di una rappresentatività reale, in quanto gli organi eletti della struttura nazionale riflettono direttamente la volontà e le scelte di un numero preciso di emofilici italiani. L’assemblea inoltre sceglie gli obiettivi che il Direttivo si incarica di portare a compimento. In che modo lavorerà il Direttivo? Il presidente, che ha la rappresentanza legale, opera attraverso la Segreteria Generale, che è tenuta a informare regolarmente il consiglio di Presidenza e che fa a questo un dettagliato rapporto quadrimestrale sulle attività svolte. Presidente e vice presidenti esercitano dunque una funzione di controllo sull’attività del Segretario. Per di più, ogni iniziativa della Segreteria che preveda un impegno economico superiore ai tre milioni di lire dovrà essere valutata e approvata dal Consiglio di Presidenza. Infine, l’assemblea, che può essere convocata dal Presidente, dai due vice presidenti o da un terzo dei soci collettivi (le Associazioni aderenti), ha facoltà di revocare le cariche elettive, se ciò dovesse rendersi necessario.

È questo dunque l’assetto che, alla luce dei contributi apportati da tutti coloro che hanno ritenuto di partecipare a questo lavoro a partire da Bologna, appare il più idoneo ad accontentare gli esigenti e a rassicurare i garantisti. Infine, ricordiamoci che gli statuti non sono gabbie senza uscita e che se alla prova dei fatti si dimostrano carenti o inadeguati, li si può sempre cambiare.

Il risultato raggiunto, comunque, ci sembra più che soddisfacente, tenuto conto che far felici tutti è cosa che, come disse un Papa, non sempre riesce nemmeno a domineddio.

Forti di questa consapevolezza e della serietà del lavoro svolto, ci sentiamo ora pronti ad affrontare i nostri veri problemi, quelli di ieri e di oggi, perché non siano anche quelli di domani.

I TESTI DELLE LETTERE E DEI FAX INVIATI AL GOVERNO E AL PARLAMENTO

La nuova struttura associativa denominata Federazione delle Associazioni degli Emofilici, sorta ufficialmente a Sorrento alla fine di settembre, si è presentata alle istituzioni dello Stato forte di un mandato ricevuto da 25 associazioni sparse nel territorio nazionale, dal Trentino alla Sicilia, in rappresentanza di circa 7000 emofilici italiani, con comunicati e richieste di incontri con i Ministri responsabili al fine di richiamare l’attenzione sulle rivendicazioni più attuali e importanti, quelle legate alla legge 210/92 e ai farmaci.

Lettere, comunicati e richieste d’incontro a firma del Segretario Generale Andrea Buzzi, fatte proprie anche dalle associazioni aderenti.

Il primo, in data 30 settembre, al Ministro della Sanità, dice:

Egregio Ministro,

Si è concluso il IX Convegno triennale sui problemi clinici e sociali dell’emofilia nel corso del quale è stata varata la nuova struttura associativa nazionale. Il nuovo statuto è stato sottoscritto dalle 21 Associazioni di emofilici regionali, provinciali e interprovinciali presenti che, sulla base dei dati del registro Nazionale Coagulopatici tenuto dall’Istituto Superiore di Sanità, rappresentano oltre il 76% dei circa 7000 emofilici italiani.


Le chiediamo un incontro per discutere in particolare dei tre gravi problemi che assillano gli emofilici di tutta Italia:

  • quello drammatico e doloroso degli indennizzi agli 820 danneggiati da HIV, di cui circa 400 morti nel frattempo;
  • di tutti gli altri infettati anche dall’HCV;
  • la disponibilità dei farmaci per emofilici nelle farmacie, e non solo nei presidi pubblici affinché reperibilità e accesso siano quanto più possibile agevoli e garantiti;
  • la disponibilità per tutti dei prodotti da ingegneria genetica, esenti da virus e ampiamente utilizzati nel resto del mondo e d’Europa.

Un secondo comunicato prende spunto da uno scritto della on. Ceci membro della C.U.F., dal quotidiano l’Unità del 30 settembre 1996.
Dice tra l’altro:

In questo panorama di incertezze si inserisce poi il discorso dei prodotti da ingegneria genetica. Per quanto sia certamente vero che oggigiorno gli emoderivati hanno raggiunto un buon livello di sicurezza, è altresì risaputo che le attuali tecniche di inattivazione virale non sono efficaci contro tutti i virus noti e che, naturalmente, ne esistono di ignoti. L’Italia, tradizionalmente in ritardo sulle politiche relative al sangue e ai suoi derivati (a tutt’oggi non abbiamo ancora raggiunto l’autosufficienza del fabbisogno nazionale di sangue), ha tardato anche nella registrazione di questi prodotti, tant’è che in altri Paesi europei quali Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Grecia, Portogallo, è già in corso un ampio consumo di fattori della coagulazione ricombinanti. La loro classificazione in fascia H e le restrizioni imposte dalle Regioni cui, in mancanza di indicazioni dal Ministero della Sanità, sono affidate le modalità di somministrazione del prodotto fanno sì che, per citare un esempio, in Lombardia su un potenziale bacino d’utenza di circa 500 pazienti, soltanto 75 abbiano accesso al nuovo farmaco.

Infine, accogliamo con piacevole sorpresa la notizia che nei giorni scorsi la CUF ha iniziato un processo di revisione sulla classificazione dei farmaci, sulla base delle proteste degli emofilici. Ci auguriamo che quella inaugurata dalla Professoressa Ceci, che a un certo punto della sua replica ammette onestamente di essere consapevole dei disagi che la distribuzione ospedaliera comporta per gli emofilici, sia una nuova via nei rapporti fra istituzione e cittadini: quella in cui ci si parla e, non meno importante, ci si ascolta reciprocamente.

Un altro fax, in data 3 ottobre, questa volta diretto al Presidente del Consiglio nel quale si rivolge un appello affinché il Governo conceda la propria attenzione ai gravi e annosi problemi che affliggono la comunità degli emofilici. Si prende in esame ancora la questione degli indennizzi facendo riferimento a coloro che sono morti e per i cui familiari non c’è più dignità e neppure giustizia, soprattutto perché ci si accanisce ancora contro persone che sono state vittime incolpevoli.
Si parla anche dei ricombinanti:

Il secondo punto è quello riguardante i nuovi prodotti da ingegneria genetica disponibili sul mercato internazionale (e pressoché in tutti i Paesi europei), sicuri da virus perché non derivati del sangue. Tali prodotti, registrati in Italia da oltre un anno, non sono di fatto disponibili alla stragrande maggioranza dei pazienti. Il problema dei costi, dietro cui si fanno scudo le Istituzioni, è un falso problema. Anche qui, a conti fatti, la maggioranza di spesa necessaria per garantire a tutti gli emofilici italiani il farmaco migliore per la cura della malattia è irrisoria nel quadro della spesa sanitaria annua. Inoltre, poiché come è noto gli emoderivati in uso al momento non sono esenti né da tutti i virus conosciuti né tanto meno da eventuali virus ancora ignoti, le previsioni di spesa non possono farsi senza interrogarsi sui costi che impone l’assistenza, per esempio, a un epatico cronico: costi sanitari, per l’ospedalizzazione, le indagini diagnostiche, i medicinali, ma anche i costi sociali della perdita di energie e risorse umane, quelli assistenziali per il pagamento di pensioni di invalidità e via dicendo.

Consapevoli dunque dell’enfasi da Lei e dal Suo schieramento politico messa sulla solidarietà come valore e dell’attenzione fin qui dedicata alle parti più deboli della cittadinanza, La esortiamo a concederci un incontro a intervenire personalmente presso il Ministero della Sanità al fine di contribuire a risolvere con civiltà e sensatezza sociale l’avvilente situazione di questo piccolo gruppo di italiani.

L’ultimo in ordine di tempo, ancora al Ministro della Sanità e ai presidenti di Camera e Senato, nel quale si fa un quadro su cosa è oggi la legge 210/92, quali sono le prospettive e le richieste che sappiamo essere irrinunciabili.
È una breve cronistoria che ora si trova sui tavoli di questo nuovo Governo e che non potrà essere ignorata.

L’ultimo punto, che è ancora oggi in discussione, è quello della retroattività, ultimo ignobile atto di ingiustizia.
Buzzi conclude il suo scritto al Ministro della Sanità e ai Presidenti dei due rami del Parlamento con queste parole:

Lo Stato insiste a non riconoscere che, attestato il diritto a un indennizzo, esso deve decorrere dal momento in cui è avvenuto il danno. L’attuale decreto riconosce il diritto alla retroattività per i soli contagiati da vaccinazioni obbligatorie. E gli emofilici, obbligati al trattamento con emoderivati infetti da una malattia altrimenti spesso mortale?

Infine, la reintroduzione nell’ultimo decreto da oggi in discussione alla Camera dell’espressione “a carico”, che appare come un insopportabile affronto alla dignità e al dolore di quanti hanno perso un congiunto e ad anni di distanza ancora attendono che lo Stato si accorga di loro.

Ancora a ottobre raccontiamo la storia di un ragazzo guarito dalla talassemia con il trapianto di midollo, attraverso due lettere entrambe scritte da lui.
Tra le due lettere intercorrono quattro anni, la prima era stata pubblicata su EX del dicembre 1992.Si chiama Angelo e sicuramente riflette il pensiero di tanti giovani che non possiamo continuare a deludere.

Genova, dicembre 1992

Spett. EX,


leggo da molti anni la vostra rivista ed ogni volta che arriva il mio pensiero viaggia a tutti quei reparti, medici e infermiere, a tutti quei convegni e iniziative atte a discutere sui problemi piccoli e grandi che oggi hanno i talassemici.


Ho già scritto più lettere alla vostra rivista e puntualmente sono state pubblicate a dimostrazione delle vostre attenzioni.


L’ultima lettera ha fatto il giro di molti reparti di Genova e di Pesaro e la mia esperienza ha girato in lungo e in largo l’Italia perché un ragazzo di 25 anni è riuscito a fare il grande salto nel buio, ossia il trapianto di midollo osseo, e non sono l’unico, con me c’erano Manuel di Como, Deborah della Sardegna, Maria e Leonardo della Sicilia, Maria della Grecia, Barbara di Pesaro, Antonella da Caserta, Elena di Lecce, Francesca di Crotone e Sul della Tunisia.


Piccole fiammelle nel buio che risplendono sorridenti di gioia e di vita nuova (tutti noi trapiantati).


Oggi, dicembre ’92, sono passati 11 mesi e la mia vita è cambiata molto.


A dimostrazione che l’ospedale per me non è un luogo di tortura, che aghi e siringhe non sono i colpevoli della nostra sofferenza ho intrapreso la scuola per vigilatori d’infanzia al “Gaslini” di Genova, in quell’ospedale che 24 anni fa mi ha visto entrare come bimbo a rischio (la “difficile” operazione alla milza, splenectomia), che per 24 anni mi ha mantenuto in vita grazie alle trasfusioni e alla terapia ferrochelante.


È difficile dire quante volte in passato avrei preferito scappare dai camici bianchi e quante volte ho mentito (più a me stesso che agli altri) fantasticando di vivere senza aghi e punture ma è altrettanto difficile trovare le parole adatte, quelle più vere e sincere nel ringraziare tutti i medici e le infermiere che mi hanno seguito in questi anni.


Ora sono dall’altra parte della “barricata” con gli occhi sulle cartelle cliniche, sulle terapie, sui farmaci e il cuore al fianco dei bambini che ricorrono alle cure mediche. Sono solo al primo anno ma quanti sguardi, quanti sospiri e frasi non dette sono cariche di paura, di fiducia e di speranza.


La stessa speranza che si rifletteva nei nostri occhi quando aspettavamo i risultati delle analisi.


È un’emozione unica vivere al fianco di chi lascia casa, lavoro, parenti e amici di luoghi lontani per avere risposte, certezze e sicurezza che si cercano in uno staff medico/infermieristico preparato e competente e in una terapia adeguata e sicura.


E la speranza, la fiducia si tocca con mano, anche se è invisibile, si assapora in una stretta di mano, in un abbraccio, in un sorriso dei propri figli. Sino a quando c’è una mano tesa, una richiesta velata dietro occhi lucidi. Sino a quando la volontà di vivere e amare è forte e dignitosa ci sarà sempre qualcuno pronto ad aiutarci e ad assisterci al nostro fianco nella speranza di nuovi farmaci e di calorosi e umani metodi di cura.


Angelo Arleo


Genova, ottobre 1996


Sono Angelo, un Ragazzo EX THALASSEMICO che grazie al T.M.O. nell’anno 1992 ha “risolto” la sua patologia di base in parte.


Già più volte avete pubblicato spezzoni della mia vita e grazie a voi ho avuto la possibilità di conoscere esperienze diverse dalla mia.


Quello che voglio esporre oggi è un dubbio enigmatico che mi preoccupa molto. Non è questa una delle tante esperienze vissute o di “MALA SANITÀ” ma un controsenso vero e proprio.


Cronologicamente parlando, come tutti o quasi tutti i talassemici, ho avuto per 27 anni una % d’invalidità bassa (40%) e non ho mai, dico mai, preso una lira di pensione né di assegno d’accompagnamento per una sola ragione:


quella di una possibilità futura di poter lavorare.


Nel 1992 anzi il 9.1.1992 ho avuto la fortuna di poter ricevere il midollo osseo “perfettamente” compatibile da mia sorella.


Il decorso è stato uno dei migliori anche se porto su di me i reliquati, pur minimi, di una G.V.H.D. (tradotto: una reazione degli elementi immunitari di mia sorella rivolta contro il mio organismo) alla cute/capelli/peli che ha provocato un “ALBINISMO” quasi totale detto in parole semplici).


Questo non mi ha creato molti problemi visto che è “una cosa” puramente estetica. Il problema riguarda la % d’invalidità che in terapia immunodepressiva mi era stata elevata nel 1994 (25 maggio) al 90% (2 anni e 4 mesi post-trapianto) e vista l’imminente chiusura di detta terapia ho ripetuto la visita nel 1995 (14 dicembre).


In tale data mi è stata confermata l’invalidità con totale e permanente capacità lavorativa (100%), decisione che ho rifiutato chiedendo un’ulteriore visita di controllo alla Commissione di 1° istanza per l’accertamento degli stati d’invalidità civile delle condizioni visive/sordomutismo.

24 settembre 1996 la visita verifica la documentazione e assegnazione del 100% d’invalidità

Il ministero della sanità ha codificato la persona EX-TALASSEMICO POST T.M.O. con il 90% anche se effettivamente ha “risolto” la patologia di base e giocoforza avendo conseguito 2 diplomi d’infermiere non potrò essere assunto in enti-pubblici ossia svolgere la mia “funzione” in corsia perché invalido al 100%.


Chiaritemi questa contraddizione ossia quelle della % per il post-T.M.O. sarei molto tentato di rifiutare qualsiasi integrazione/assegno d’invalidità se potessi avere la possibilità di essere assunto come infermiere e di svolgere quello che io affermo “Sogno”.


Angelo Arleo


Caro Angelo,


questa ulteriore dimostrazione di incapacità, di burocrazia e di leggi inesistenti, sono oggetto di una nostra inchiesta rivolta a tutte le strutture preposte. Abbiamo l’impegno del Tribunale per i Diritti del Malato che si sta occupando della questione.


Nei prossimi numeri del nostro giornale ci sarà un dibattito per cercar di risolvere queste ingiustizie che, secondo noi, sono permesse perché allo Stato (questo Stato), fa più comodo, forse, l’assistenzialismo.


Questo messaggio è per te e per tanti come te. Noi saremo sempre al vostro fianco.


Il direttore

IL PUNTO SUL TRAPIANTO DI MIDOLLO NELLA TALASSEMIA

In novembre il riassunto di quel 1996 si occupa ancora di una notizia riguardante la talassemia e in special modo dell’argomento che è sempre più stato a cuore a queste persone, la guarigione.

Parlarne significa affrontare l’argomento trapianto di midollo e lo facciamo attraverso le parole della dott.ssa Donatella Baroncini della Divisione di Ematologia del Centro Trapianti di Pesaro diretto dal prof. Guido Lucarelli.

Nei giorni 26-29 settembre 1996 si è tenuto a Pesaro il III Simposio Internazionale sul Trapianto di Midollo Osseo nella Talassemia. Questa modalità terapeutica, proposta già dal 1983 dal nostro Centro, ha trovato in questo nuovo incontro una vasta e sempre più consolidata approvazione da parte di esperti provenienti da tutto il mondo che si occupano di questa patologia sia dal punto di vista convenzionale che trapiantologico. Il simposio ha focalizzato importanti tematiche:

SOPRAVVIVENZA CON LA TERAPIA CONVENZIONALE

Una corretta e sicura terapia trasfusiva e soprattutto una buona compliance alla terapia ferrochelante sono i fattori che condizionano maggiormente la sopravvivenza. Il sovraccarico di ferro e le infezioni croniche da virus epatici sono i maggiori responsabili dei danni d’organo che condizionano la qualità e la durata di vita. Grandi sforzi vengono, quindi, fatti per ottimizzare la terapia convenzionale e per trattare al meglio le sue complicanze anche se purtroppo in molti paesi, ove poi risulta concentrato il maggior numero di pazienti talassemici, condizioni socio-economiche precarie impediscono il raggiungimento di questo obiettivo.

INDICAZIONI AL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO

Prerogativa indispensabile è la disponibilità di un donatore familiare HLA identico in quanto in questo settore specifico il trapianto da donatore non correlato rimane ancora sperimentale.
Secondo importante punto è la condizione clinica del paziente che se privo di danni d’organo ha una probabilità di guarigione col trapianto molto elevata (90% per i pazienti in classe 1, 80% per i pazienti in classe 2). Ancora discutibile è per alcuni l’indicazione al trapianto per i pazienti in classe 3, anche adulti (ovvero pazienti ad alto rischio che presentano già una notevole compromissione del loro stato clinico generale). Infatti, nonostante sia stata dimostrata anche per questi pazienti la possibilità di essere curati col trapianto di midollo (70%), rimane un rischio elevato di insuccesso. A questo proposito si è molto discusso sulla possibilità di “trasformare” questi pazienti in pazienti a rischio meno elevato, intensificando il programma ferrochelante per un lungo periodo pre-trapianto; questa ipotesi probabilmente costituirà motivo di studio per i prossimi anni.

FOLLOW UP POST-TRAPIANTO

La riduzione del sovraccarico di ferro mediante flebotomie e Desferal ed il trattamento dell’epatite C con Interferone sono stati variamente discussi ed analizzati; portare questi pazienti ad una condizione di “normalità” con la risoluzione del loro danno d’organo sembra essere il goal da raggiungere. Non meno importante è la dimostrazione mediante studio endocrinologico che questi pazienti possono avere uno sviluppo normale e anche la possibilità di procreare se trapiantati in fase prepuberale.

In dicembre, ultimo numero del 1996, un riassunto di ciò che è stato fatto in tutto l’anno.

Le rivendicazioni per la legge 210 del 1992 (alle pagine 5/7) per l’assegnazione delle categorie e per l’ingiustizia della retroattività.

Pubblichiamo una sorta di decalogo per una migliore sopravvivenza rivolto a sieropositivi all’HIV, e poi una parte riguardante la talassemia con la notizia che il chelante orale L1 sarebbe potuto essere acquistato dalle USL.

In conclusione l’editoriale dal titolo:

Che sia Natale non un palcoscenico

Chissà che ne sarà di questo Natale.

Quanti spettacoli verranno proposti per toccare le corde più intime dell’animo umano e quale sarà la malattia più gettonata, quella presentata con le luci più sfavillanti e sponsorizzata dalla ditta più rinomata.

Se ci fermassimo a riflettere un po’…

purtroppo, è vero, di fronte ad uno Stato latitante e inadempiente, ci si deve arrangiare come si può.

Ecco allora si cerca di escogitare il mezzo migliore, la freccia più veloce che sappia colpire, con un impatto di sicuro effetto, dal torpore in cui ci si è assopiti, per distrazione o assuefazione. È quindi un susseguirsi di spettacoli accattivanti di fronte a questo dilagare di mani tese e questuanti. Si gareggia per scegliere la presentatrice più capace, quella che, per intenderci, possa essere in grado di rivolgere un amichevole rimbrotto, fra un sorriso sgargiante e una generosa scollatura; o l’attore e il cantante che, bontà loro, hanno deciso di devolvere il proprio cachet a questa o quella Fondazione. Ma via, se proprio questa deve essere la strada scelta, che sia, almeno in questo caso, uguale per tutti, per non creare ulteriori barriere discriminanti, tra le varie patologie.

Perché non si crei confusione tra chi la malattia la vive e chi invece ci vive.

Chiediamo regolamentazione dello spettacolo di beneficenza, se proprio a questo dobbiamo rivolgere le nostre energie, per farci ascoltare.

Proviamo a trasformare il grande bisogno che ha la gente di donare, in un’offerta derivante da profonda partecipazione psicologica, non un gesto economico.

Che sia Natale veramente, non un palcoscenico.

Non sembra siano passati ben undici anni tanta è la sua attualità.