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TUTTI I DIRITTI DEI TALASSEMICI IN UN DOCUMENTO PUBBLICATO

In occasione della presentazione della guida dal titolo “Tutti i diritti dei talassemici – guida pratica ai diritti esigibili dei pazienti con talassemia e drepanocitosi”, presentata a Roma nel dicembre dell’anno scorso a cura dello sportello legale di OMAR e con il patrocinio della Fondazione Giambrone e di UNITED, Giuseppe Cutino fondatore della Onlus aveva dichiarato:
“Negli ultimi anni durante diversi convegni e incontri tra Associazioni di pazienti talassemici, è emersa varie volte la necessità di conoscere in maniera più approfondita e chiara le normative che regolano le tutele legali per le persone con talassemia. In particolar modo abbiamo ascoltato esperienze diverse tra loro, relativamente alle modalità di accesso ai benefici di legge previsti per i pazienti talassemici a seconda della Regione di residenza o anche solo della ASL di afferenza.
Così, abbiamo prodotto uno strumento di riferimento aggiornato che non fosse una semplice lista di leggi e regolamenti, ma un documento capace di affrontare i diversi aspetti che determinano il benessere del paziente. Uno strumento snello, efficace e di facile consultazione per permettere ai pazienti di districarsi tra le tante normative, spesso non applicate in maniera omogenea all’interno del territorio nazionale.
La guida Tutti i Diritti dei Talassemici si può scaricare gratuitamente in pdf, dal nostro sito pieracutino.it”.

I CAPITOLI
Ci sono sei capitoli sui quali potersi adeguatamente informare:
1 – Livelli essenziali di assistenza ed esenzioni per malattia rara
2 – Invalidità civile
3 – Legge 104
4 – I diritti dei lavoratori con malattie rare
5 – Benefici economici previsti per i pazienti italiani con talassemia o drepanocitosi
6 – Le dieci domande più frequenti.

Citeremo in questo nostro articolo soprattutto la prefazione firmata da Loris Brunetta della Fondazione “Giambrone”, dal titolo: Talassemia: stessa patologia, diverso accesso alle cure?”.
Ecco il testo:
“La talassemia meriterebbe di essere definita ‘condizione’ più che patologia venendo così ad assumere un senso molto più ampio che riguarda non solo lo stato fisico della persona che ne soffre ma anche l’impatto che da questa deriva sul contesto sociale che circonda il malato.
A livello europeo la talassemia è stata riconosciuta ‘malattia rara’, cioè fra quelle patologie che hanno una prevalenza al di sotto dei 5 casi su 10.000 abitanti, nel 1999 con la Decisione 1295/1999/CE, e dal 2001 con il D.M. 279/01 rientra fra le malattie rare e beneficia di legislazione apposita anche in Italia. Attualmente, la talassemia ha una prevalenza di circa 1 caso su 10.000 abitanti nell’ambito della Comunità Europea sebbene sia, per definizione, presente in determinate aree dell’Europa (Italia, Grecia, Cipro) più che in altre, dove è arrivata a causa dei movimenti migratori.
Stabilire la prevalenza e la dislocazione dei pazienti a livello europeo è un fattore determinante per la definizione di quelle azioni che vanno intraprese per favorire un equo accesso alle terapie senza creare disparità di trattamento tra un paese e l’altro ed accrescere la conoscenza e gli approcci di cura anche laddove non esiste esperienza nella gestione di questa condizione.
La Commissione Europea nel 2017 ha istituito gli European Reference Networks (ERNs), proprio per dare risposte efficaci a tutte le persone che vivono con una malattia rara, tra le quali EuroBloodNet è la rete dedicata alle patologie rare del sangue. Ovviamente vengono evidenziate e attentamente considerate le significative differenze che esistono a livello nazionale soprattutto in paesi nei quali la prevalenza della talassemia è superiore a quella europea media, come in Italia, sebbene resti largamente al di sotto della soglia dei 5 casi ogni 10.000 abitanti, confermandone così la rarità.
La legislazione vigente in Italia, cioè il D.M. 279/01 ripresa dal recente Testo Unico Malattie Rare (TUMR), Legge 175/2021, garantisce ai pazienti rari l’accesso gratuito alle cure così come definite nei Piani Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) predisposti dai centri di riferimento individuati, se esistenti, o dai medici specialisti delle diverse patologie. Pertanto, una corretta applicazione di questa normativa già metterebbe al sicuro i pazienti da possibili disparità di accesso alle cure a livello regionale. Contemporaneamente al processo di recepimento della normativa europea, è entrata in vigore nel nostro paese la modifica costituzionale del Titolo V con la Legge Costituzionale n.3 del 2001 che riformava completamente gli assetti e le competenze territoriali anche in tema di sanità, conferendo potere alle Regioni su materie che sarebbero dovute rimanere di pertinenza dello Stato. Quindi, e questo va rimarcato energicamente, le lodevoli intenzioni del legislatore per favorire i malati rari non si sono concretizzate proprio per le significative differenze regionali.
Nel campo della cura della talassemia assistiamo ancora oggi a differenze di accesso dei pazienti alle cure più appropriate, soprattutto riguardo agli esami per il monitoraggio e la gestione delle complicanze, nonostante la presa in carico avvenga dovunque sul territorio nazionale ed il minimo assistenziale, trasfusione e terapia chelante, sia garantito più o meno ovunque.
Tralasciamo la questione disponibilità del sangue, cui andrebbero dedicate specifiche considerazioni, per concentrare la nostra attenzione sulle differenze regionali di accesso alle cure. Salta subito all’occhio che, come in molti altri settori, anche nel nostro caso l’Italia va a velocità diverse man mano che si procede da nord a sud, o viceversa, ma anche nell’ambito della medesima area geografica e persino nella stessa regione si possono rimarcare significative differenze.
La mancata, carente o lenta implementazione della normativa proposta dal D.M 279/01 in diverse Regioni è il primo fattore che contribuisce a segnare differenze importanti nella qualità delle cure. Ad esempio, si potrebbe citare la discutibile gestione dei farmaci appartenenti alla cosiddetta Fascia C, una parte essenziale della terapia per molte patologie rare, talassemia inclusa, che viene completamente disattesa in alcune regioni mentre in altre è integrata nel percorso di cura. Nel nostro caso specifico, le cure ormonali che non costituiscono una priorità come la trasfusione e la terapia chelante del ferro, ma sono una parte essenziale del piano terapeutico di molti pazienti, potrebbero non essere disponibili per tutti allo stesso modo evidenziando così disparità di accesso tra le diverse Regioni. Senza entrare nel dettaglio di ogni singolo farmaco ed evitando di mappare la situazione a livello nazionale, per la quale sarebbe necessaria la definizione di un gruppo di lavoro dedicato, prendiamo atto che differenze esistano un po’ dovunque, rimarcando che la normativa vigente e le intenzioni del legislatore siano state ampiamente disattese. È chiaro che in un contesto nazionale così diversificato e con evidenti disparità fra cittadini, il ruolo delle organizzazioni dei pazienti sia essenziale, come peraltro riconosciuto anche a livello europeo. L’impatto sul processo decisionale può essere notevole purché ci sia una politica di sistema strategicamente impostata dalle organizzazioni dei pazienti e dalle società scientifiche così da poter presentare evidenze talmente inoppugnabili che la politica non possa esimersi dal dare risposte efficaci alle attese della comunità dei malati. Sarebbe, pertanto, necessaria un’azione comune e condivisa tra tutti gli attori del sistema per il conseguimento di un obiettivo finalizzato al benessere del paziente e non a coltivare interessi delle singole parti. E qui nascono i problemi.
La nostra comunità nazionale, intesa come medici e pazienti, non è stata brava a fare sistema nell’ultimo decennio e lavorare per un obiettivo condiviso.
La collaborazione tra le organizzazioni dei pazienti e le società scientifiche è gradualmente, e fisiologicamente direi, venuta meno soprattutto a causa del ricambio generazionale di entrambe le parti.
Il cambiamento degli equilibri raggiunti fino ad allora, avrebbe richiesto uno sforzo maggiore per consolidare il prosieguo di una collaborazione proficua.
La figura del paziente è notevolmente cambiata negli ultimi vent’anni passando da essere solo oggetto della cura a divenire soggetto attivo che fa parte del sistema ed è capace di manifestare le proprie necessità, guadagnandosi un posto come interlocutore paritario.
Sfortunatamente questo cambiamento non è stato intercettato da parte della stragrande maggioranza della comunità scientifica e questo mancato ‘cultural shift’, si direbbe in Europa, ha contribuito a creare incomprensioni sui ruoli e rendere via via più complessa la collaborazione.
Le due figure essenziali del sistema, medici e pazienti, sono andati ciascuno per conto proprio rendendo il percorso sempre più ostico e spesso l’irrigidimento delle posizioni dovute ad eccessivi personalismi non ha favorito il dialogo e la comprensione reciproca.
Non facendo rete, nel momento in cui vengono meno competenze o nascono difficoltà di gestione si fatica a dare risposte alle aspettative dei pazienti. In generale, la maggior parte delle organizzazioni dei pazienti anziché puntare sulla formazione e sullo sviluppo delle proprie capacità per ‘professionalizzare’ il ruolo, si sono spesso affidate ad un management ‘casalingo’ che tirasse a campare, incapaci di intercettare i processi di svolta in corso.
La regionalizzazione delle politiche sanitarie, previste dalla devolution, ha spinto le associazioni pazienti a regionalizzare anche la propria attività perdendo di vista il quadro generale e la sua complessità, giudicando spesso incomprensibile o di nessuna rilevanza quanto stava, e sta, succedendo oltre confine.
Nonostante vi fossero interessi comuni da perseguire sia per la comunità scientifica che per quella dei pazienti, una difficile comunicazione peraltro praticata su piani diversi ha reso impossibile una collaborazione ‘sana’ quella, cioè, in cui vi è il reciproco riconoscimento dell’interlocutore.
Lavorando assieme per implementare in maniera uniforme sul territorio nazionale la normativa sulle malattie rare, uniformando i PDTA si migliorerebbe certamente anche l’accesso alle cure per tutti i pazienti, indipendentemente da dove questi vivano o siano curati.
In conclusione, emerge chiaramente come alcune differenze di accesso alle cure di qualità per la popolazione talassemica ci sono, ma esistono in funzione di un’applicazione della normativa a macchia di leopardo. Uniformare l’applicazione della legge in vigore sembra scontato da dire ma è difficile da mettere in pratica sia perché le politiche sanitarie vengono decise a livello regionale dove le associazioni nazionali possono incidere molto poco, sia perché manca, al momento, la capacità da parte dei pazienti, ai quali servirebbe una formazione di livello superiore, di far sentire la propria voce supportando le richieste con evidenze.
La comunità scientifica, da parte sua, dovrebbe mettersi veramente al servizio del paziente, l’unico che possa far breccia nel processo decisionale.
Parlare della centralità del malato senza agirla con convinzione è del tutto improduttivo, mentre supportando le richieste dei pazienti con dati raccolti con rigore scientifico, aiuterebbe a conseguire obiettivi vitali per i malati ma che impatterebbero positivamente anche nell’organizzazione e nella gestione dei centri di cura.
Al nostro paese, nel campo della talassemia e delle emoglobinopatie non manca nulla, competenze, capacità, esperienza, basterebbe solo mettere tutte queste risorse a servizio della comunità e lavorare per il bene comune”.