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…UN VIAGGIO, UN’AVVENTURA O UNA SFIDA?

emoexLuca è un ragazzo emofilico di 33 anni che di mestiere fa il consulente finanziario.
Il tipo di Emofilia di cui soffre viene definita “da mutazione genetica”, quindi non derivata dalla sua famiglia. Presenta comunque tutte le conseguenze legate agli emartri tipici della malattia.
Luca inizia a far parlare di sé durante l’estate e dichiara ad un giornalista che lo ha intervistato “Mi considero una specie di atleta emofilico: mi alleno quotidianamente, sia come ciclista che come nuotatore. Amo portarmi al limite e per questo, ogni anno, mi pongo un obiettivo e provo a raggiungerlo”.
Nel 2018 ha scalato in bicicletta il Passo dello Stelvio e nel 2019 ha percorso la sua prima Randonnèe, 300 chilometri da Bolzano a Ferrara tutti in un giorno.
Nell’intervista afferma poi: “L’obiettivo del 2020 era quello di tornare in sella, perché a febbraio ho subito un intervento per l’impianto di una protesi al ginocchio sinistro che mi ha fermato per diversi mesi. Alla fine ce l’ho fatta e all’inizio del 2021 avevo già pedalato per più di 6’000 chilometri. Mi sentivo in forma e così ho deciso di lanciarmi in due nuove avventure: sono dei progetti che mi stanno impegnando anima e corpo e che spero possano essere di esempio e di aiuto per molti ragazzi che, come me, sono emofilici gravi”.
Nessuna competizione quindi, ma una via di mezzo fra una sfida con sé stesso, un’avventura e un viaggio, per dimostrare a chi è affetto da questa malattia del sangue, o un problema simile, che non esistono barriere che non si possano abbattere.
Qualcuno gli aveva chiesto perché, per questa sfida sportiva, aveva scelto proprio la Sicilia.
E lui ha risposto: “Perché tutto è cominciato li. Ho vissuto in provincia di Messina fino ai 15 anni e lì ho scoperto di essere emofilico. Trent’anni fa nessuno credeva che avrei potuto avere una vita quasi normale. Ed ora torno in quelle terre con il coltello tra i denti”.
Ha anche raccontato che l’ispirazione gli è venuta dalla lettura del libro “Nato per correre”, il racconto del giornalista emofilico Salvo Anzaldi, che nel 2015 ha corso la maratona di New York in sei ore, con un ginocchio in titanio.


Luca, questa volta ad affrontare questa avventura non eri da solo. C’era con te Beatrice.
Perché hai scelto di farlo con lei, quale percorso avete scelto, in quanti giorni e in quante tappe lo avete concluso?
“Beatrice è stata fondamentale perché è stata la spinta necessaria a valutare questa idea di viaggio.
Era sempre stato un sogno ma non sapevo bene come intraprenderlo; lei mi ha aiutato nell’organizzazione pratica, ci siamo messi a tavolino e abbiamo iniziato a progettare la cosa in maniera razionale e seria. Poco alla volta ha preso forma, dal desiderio nella mia testa ora era una realtà concreta. Per l’itinerario abbiamo optato per la costa sud, partendo da Agrigento per arrivare a Catania, facendo 4 tappe intermedie. Abbiamo pedalato circa 80 chilometri al giorno, così da godercela anche come vacanza e non impostarla solo come una fatica”.

Hai anche avuto modo di incontrare delle famiglie con figli emofilici che vivono in Sicilia e fanno parte di associazioni dedicate a questa malattia. Come è stato il confronto con loro?
“Essendo sempre stato fuori dal mondo delle associazioni fino a pochi anni fa, quando con Marzia Magagnoli (presidente Associazione Emofilici di Ferrara – n.d.R.) ho deciso di avvicinarmi a questo mondo; l’avevo vissuto senza mai avere un vero confronto con altre persone nella mia condizione o con parenti stretti emofilici. Inutile dire che è stato molto bello e soprattutto emozionante. La cosa che più mi ha colpito, è stato il fatto che mi facessero domande legate alla quotidianità, relativamente semplici, come ad esempio come gestisco la profilassi quando faccio attività sportiva e come avevo fatto a portare le punture durante il viaggio.
Domande fatte da genitori anche di bambini piccoli, che quindi si preparano ad avere soluzioni qualora ce ne sia bisogno e questo mi ha fatto molta tenerezza”.

Tu sei entrato, come hai detto, nel mondo associativo anche grazie a Marzia, che ha saputo trasmetterti il suo entusiasmo. Noi che ci siamo dentro da un po’ più tempo, abbiamo evidenziato in maniera un po’ critica il fatto che si parla ultimamente molto di sport, tralasciando spesso quelle che sono le problematiche, le tematiche inerenti il mondo della terapia, della profilassi, della gestione della cura da parte sia dei medici che dei pazienti. E allora ci chiediamo, sempre in maniera critica e non intendendo il tuo caso nello specifico, se spesso non vengano affrontati in maniera un po’ forzata. In pratica passa il messaggio che l’emofilico può fare tutto o meglio deve fare tutto. La qualità e la durata della vita di un emofilico è paragonata a quella di una persona non affetta da emofilia, siamo d’accordo, però qualche limitazione esiste e non si può ignorare. Secondo te, il messaggio non si dovrebbe trasmettere in una maniera più equilibrata, affinché non venga interpretata come se l’emofilico non avesse una malattia?
“Io rientro nella categoria delle persone che hanno vissuto questa malattia in maniera leggera, come se non ci fosse.
Le problematiche, ovviamente, sono arrivate crescendo ma ho sempre cercato di praticare sport, come ad esempio il nuoto, per mantenere una certa preparazione fisica. Gradualmente e con costanza pur nella consapevolezza di avere dei limiti. A questo punto conosco il mio corpo e so che sente la necessità di fare almeno mezz’ora di movimento tutti i giorni, sia esso ginnastica o stretching.
Tutto questo è arrivato perché mi sono sempre “ascoltato” molto, soprattutto sono cresciuto al punto di dosare la profilassi, naturalmente sempre sotto controllo medico.
Confermo comunque di avere anche un pizzico di pazzia che mi guida”.

All’incontro ha partecipato anche il Dott. Moratelli, che ha seguito Luca e gli emofilici del Centro di Ferrara per anni e che ora, in pensione, è stato coinvolto nell’associazione.
“Vorrei fare soltanto una considerazione” – dice il dottore – “su come ricordavo Luca da piccolo quando veniva in ambulatorio con il papà e io gli insegnavo come riconoscere la vena per fare l’infusione e su come lo vedo oggi, della maturità e della sicurezza che ha acquisito nell’affrontare la malattia, che nonostante i progressi fatti, resta comunque sempre impegnativa. Mi rendo conto che affronta il tutto molto preparato e cosciente di ciò che fa.
Voglio ribadire qui anch’io quanto sia importante quanto afferma sul tono muscolare, che va curato particolarmente per limitare le patologie articolari”.

Noi riteniamo che in questa sorta di intervista sia importante il messaggio e quindi ti chiediamo che cosa vorresti dire in conclusione.
“Ricordare che si, la cura dell’emofilia ad oggi ha fatto passi da gigante, però nel mio caso con lo sport ho vissuto una sorta di riscatto personale.
Nel senso che ricordo la mia come una bella infanzia ma dove era difficile fare tutto, in particolare proprio lo sport, che a me piaceva ma era quasi un’utopia. I maestri della scuola elementare e della scuola media non volevano che toccassi palla per paura che mi facessi male e tutto questo l’ho vissuto come una sorta di isolamento, nonostante sia sempre stato un ragazzo estroverso e positivo.
Vorrei far capire, con tutti i leciti dubbi del caso, che non è necessario vivere nella “bolla di cristallo” ma anzi, identificarla come mezzo per far sentire i giovani emofilici limitati e meno sicuri. Il mio messaggio è che fuori dalla bolla, anche se con qualche limite, ci si può sentire liberi di vivere una vita piena e anche felice”.

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