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UNA VERGOGNA TUTTA ITALIANA

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QUANTI SONO COLORO CHE SUBISCONO QUESTE INGIUSTIZIE?

A fine agosto sul quotidiano “La Stampa” Elsa Fornero parlava di flessibilità in uscita per alcune categorie di lavoratori dimenticandosi di fatto delle persone invalide.
A distanza di oltre 3 anni l’ex ministro non ha ancora preso coscienza che esiste una categoria che non può lavorare fino a 70 anni, quella degli invalidi (quelli con grado di invalidità dal 46 al 74%).

In occasione della riforma da lei voluta si era dimenticata di quegli invalidi trascinandoli in un dramma che dura da tre anni.
Tra queste persone c’era chi ci aveva scritto informandoci del problema che ora portiamo all’attenzione dei nostri lettori.

Si chiama Antonio Montoro ed è un emofilico A grave di 57 anni.
Candidato a due protesi e in attesa di effettuare la nuova cura per l’HCV.
Disoccupato dal 2012  dopo aver lavorato per 33 anni presso un’azienda privata.
Per quattro legislature è stato anche consigliere comunale della sua città, Biella.
In questi tre anni, nessuna offerta di lavoro nonostante sia iscritto nelle liste per il collocamento mirato.
Ha chiesto l’aggravamento e gli è stata assegnata la percentuale di invalidità del 62% che non comporta nessun beneficio ai fini pensionistici.
Per informare sul problema non soltanto suo ma per molti come lui, ha mandato migliaia di mail a tutti i politici nazionali ed alle associazioni di categoria.
Molte risposte di solidarietà, poche azioni concrete.
I quotidiani nazionali hanno pubblicato circa 100 interventi sul tema.

La trasmissione “Mi manda Raitre” è stata nella sua città per un servizio.
Nonostante questa mole di informazioni al momento  solo i Senatori Susta, Favero (PD) e l’On.Simonetti (Lega) tutti biellesi, hanno presentato iniziative sull’argomento.

Dice Montoro nella lettera che ci ha inviato:
“Sono fermamente convinto che la maggior parte degli invalidi dal 46 al 74% di invalidità, disoccupati, che hanno superato i 55 anni non troveranno mai più un lavoro.
Le commissioni mediche con la presenza del rappresentante dell’INPS sono estremamente severe.
Per la maggior parte degli invalidi affetti da pluripatologie anche gravi, lavorare fino a 70 anni è impossibile.
Trovare forme di flessibilità in uscita, aiuterebbe questa categoria a sopravvivere in un momento di crisi.
Chiedo alla politica di stabilire per questa categoria un tetto massimo di contributi versati, e di stabilire una soglia età raggiunta la quale sia possibile accedere alla pensione di vecchiaia.
Non siamo tanti gli ultra 55enni in queste condizioni e non chiediamo la luna, chiediamo solo la buona volontà di chi ci rappresenta”.

RIFORMA DELLE PENSIONI: PROPOSTA PER GLI INVALIDI AL DI SOPRA DEL 46%

Tra i tanti messaggi inviati ai Media da Antonio Montoro, c’è questa lettera pubblicata in primavera di quest’anno dal sito “Pensioni Oggi”.

“Egregio Direttore,
con queste considerazioni cercherò di illustrare le criticità della Legge Fornero e tenterò di proporre alcune soluzioni che a mio modesto parere potrebbero rimediare, almeno in parte, agli effetti negativi da essa prodotti.
Premetto che sto scrivendo, nel caso specifico, riguardo la situazione degli invalidi a cui è stata riconosciuta dall’apposita commissione medica un’invalidità compresa tra i 46 e i 74 punti percentuali e che, per effetto della Legge Fornero, sono considerati a tutti gli effetti persone normali ai quali non si riconosce alcun beneficio pensionistico.
Basti pensare che, allo stato attuale, gli invalidi compresi in questa fascia devono versare circa 43 anni di contributi per andare in pensione indipendentemente dall’età, oppure accedere alla pensione di vecchiaia con un’età di 68-70 anni, esattamente come per i lavoratori sani.
La cosa al tempo stesso curiosa e tragica è che la categoria degli invalidi viene considerata con un’aspettativa di vita in crescendo, come per le cosiddette persone normali, aumentandone di pari passo l’età per accedere alla pensione.
Lo Stato dispone per questa categoria il collocamento mirato (magari esistessero posti di lavoro per gli invalidi) riconoscendo una difficoltà a queste persone (fisica, motoria, ecc.), salvo poi dimenticarsene nel momento in cui sarebbe opportuno prevedere per loro un beneficio.
In realtà è stato già presentato un Disegno di Legge al Senato dove si chiede, per questa categoria di persone, uno sconto di un mese per ogni anno lavorato.
Purtroppo la proposta prevede effetti solo a partire dal 2013, sempre per esigenze di bilancio.
In questa ipotesi i primi a beneficiarne saranno i lavoratori invalidi fra una quarantina d’anni.
Ovviamente questo sconto deve partire dal momento in cui è stata riconosciuta la condizione di invalidità.
Le persone con invalidità dal 75% al 100% hanno da tempo diritto a uno sconto di 2 mesi per ogni anno lavorato.
Con tale la proposta si è inteso andare incontro, con benefici minori, anche per coloro che hanno un’invalidità compresa fra il 46% e il 74%.
La mia proposta, in aggiunta a quella del citato Disegno di Legge ancora da discutere, è la seguente:
1) Stabilire un tetto massimo di contributi versati per accedere alla pensione. Esempio 35/40 anni indipendentemente dall’età anagrafica.
Stabilire un’età, ad esempio 60 anni, raggiunta la quale sia possibile accedere alla pensione di vecchiaia indipendentemente dai contributi versati.
Per capire la sostenibilità della proposta bisogna considerare i soli invalidi ultracinquantenni, cioè coloro che erano vicini alla pensione prima della riforma.
2) Stabilire, come per gli esodati, una forma di salvaguardia anche per gli ultracinquantenni invalidi che hanno perso il lavoro in questo periodo di crisi.
Questi sconti / benefici altro non sarebbero che il frutto del riconoscimento dello stato di invalidità di questa categoria di persone e dovrebbero, a mio parere, comprendere anche gli eventuali periodi di cassa integrazione e di mobilità.
Le proposte 1) e 2) qui sopraesposte sono le più urgenti perché andrebbero a salvaguardare immediatamente quegli invalidi ultracinquantenni che per una questione di età sono i più logorati fisicamente e, di fatto, con nessuna possibilità di trovare un nuovo lavoro.
Per quanto riguarda in generale il mondo dei lavoratori disabili, certamente si potranno valutare altre migliorie, come facilitare il versamento dei contributi volontari per gli invalidi disoccupati.
Pensare che una persona senza lavoro possa versare un terzo dell’ultimo stipendio lordo riuscendo a vivere dignitosamente è follia.
Sono cifre da brivido.
Oppure studiare un sistema di sgravi per le aziende che dovessero assumere invalidi in modo da renderne più appetibili le assunzioni. O, ancora, studiare forme di sostentamento per invalidi senza lavoro.
Una persona sana può sempre cercare di sbarcare il lunario con qualche lavoretto ma, per un invalido, è pressoché impossibile.
Ho esposto i problemi generati dalla Legge Fornero e alcune possibili migliorie, che a mio parere aiuterebbero non poco la categoria dei disabili.
Non dimentichiamo che vi sono attualmente alcune eccezioni come ad esempio i militari, le forze dell’ordine e i politici (purtroppo sempre tirati in ballo), i quali possono accedere alla pensione prima degli invalidi, perciò non dovrebbe essere così improponibile colmare almeno questa disuguaglianza.
A una persona malata che ha lavorato 35-40 anni non si può chiedere di più”.

FINALMENTE UNA RISPOSTA
Riportiamo quella al direttore di “Avvenire” con la risposta.

Caro direttore,
ho lavorato per moltissimi anni nella stessa azienda. Un mattino mi comunicano che non servo più. Sono invalido ma, a quanto pare, poco importa.
I tuoi colleghi, quelli che ti chiamavano a tutte le ore per i loro problemi, spariscono.
Si fa sempre più forte la preoccupazione, a 55 anni, per la riduzione del reddito e per la malattia.
Il mio mondo sembra crollare. Con la riforma Fornero la pensione si è allontanata di molti anni e spesso non riesco a immaginare il mio futuro.
Per fortuna ho una famiglia e amici più forti delle avversità, a loro devo la forza di continuare a sperare.
Spesso parlo con altre persone e mi accorgo che tutti hanno un velo di paura e di malinconia.
Penso sempre alla solitudine di alcuni e a volte la subisco io stesso. Forse ci siamo persi nelle macerie delle brutte notizie…

Antonio Montoro, Biella

Questa la risposta:

“Già, le «macerie della brutte notizie» pesano, deprimono e sviano… Per questo a noi di ‘Avvenire’ non piace accumularle in pagina. Vedo però, caro signor Montoro, che lei non si lascia schiacciare e, pur nell’amarezza, testimonia a tutti noi i due punti d’appoggio e di forza che le consentono di «continuare a sperare»: famiglia e amici. In questi anni, molti stanno sperimentando e riscoprendo l’importanza delle relazioni fondamentali per la vita di ogni persona.
La famiglia, non è certo una scoperta dell’ultima ora, è una risorsa enorme e una straordinaria, davvero unica e inimitabile, scuola pratica di vita, di fedeltà d’amore.
So bene che gli spacciatori di ‘brutte notizie’ la raccontano sistematicamente e persino con compiacimento nei suoi aspetti più problematici e, persino, tragici. E so altrettanto bene che così si arriva addirittura a teorizzare una società «liberata dalla famiglia tradizionale» come una società migliore, più umana e più felice.
Una bugia, che si rivela clamorosamente tale proprio in fasi di dura crisi dell’economia e del lavoro come quella che stiamo vivendo e dalla quale lei, caro amico, è personalmente toccato.
Quanto agli amici, la saggezza popolare insegna che «si riconoscono nel momento del bisogno» (che può essere, in tanti modi diversi, sia materiale sia morale). È verissimo.
E senza nessuna retorica posso raccontarlo anch’io, proprio come lei.
Per questo cerco di ricambiare, con la stessa semplicità e onestà, ciò che ho ricevuto e continuo a ricevere: dai miei fratelli, da compagni di strada di una vita, da persone incontrate lungo il cammino e mai più perse, da vecchi e giovani maestri che ho stimato e stimo tali…
Quando un amico è in difficoltà, quando subisce prove e avversità, quando paga per i suoi sbagli non c’è altro da fare che continuare a stargli vicino e accanto con tutto il possibile rispetto. Lei ha proprio ragione: ci sono momenti inevitabile di solitudine e di scoramento, persino di paura.
Ed è proprio in quei momenti che ragionare aiuta, combattere la rassegnazione e darsi da fare risulta essenziale, ma scoprirsi e riscoprirsi amati è decisivo: sostiene, ridà slancio e comunque risolve.
Chi non è, e non si sente, solo non è mai all’angolo”.



Presidente Renzi, non ci dimentichi

Presidente Renzi, lei è persona intelligente, cerchi di capire anche il nostro problema. Negli anni ci sono state diverse riforme che hanno spinto l’età pensionabile verso l’alto. La maggior parte degli invalidi è compresa in una percentuale di invalidità dal 46 al 74%, categoria cui, mio malgrado, appartengo.
Noi in questo procedere siamo stati equiparati alle persone sane e come tali non abbiamo diritto nessuno sconto ai fini pensionistici. Come Lei ben sa le commissioni mediche sono sempre più severe e tendono a rimanere al di sotto della soglia del 74%.
Molti di noi sono ultracinquantenni rimasti disoccupati.
Per chi ha un’occupazione, Le assicuro che lavorare sino a quasi 70 anni con un handicap è una tragedia.
Molti invalidi lavorano in unità produttive con macchine in movimento. Chi ha perso il lavoro ed era vicino alla pensione senza reddito e senza nessuna copertura dovrà per forza ricadere sui bilanci dei Comuni. Questa popolazione che tanto ha sofferto nella vita ha bisogno di un suo intervento personale. Stabiliamo una quota età o un sistema di flessibilità per accedere alla pensione in base ai contributi versati.
Lei sa benissimo che, con la crisi che stiamo attraversando, nessuno mai assumerebbe un invalido ultra 55enne.
Mi affido alla sua sensibilità.

Antonio Montoro – Biella

Caro Antonio,
conosco bene la situazione di cui mi parla e le assicuro che stiamo lavorando con il massimo impegno per trovare risorse e strumenti per aiutare tutti.
Mi dia fiducia, il Governo non lascerà indietro nessuno.
Un saluto,

Matteo Renzi

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