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XVI CONVEGNO TRIENNALE DELL’EMOFILIA A NAPOLI

Dal 9 al 12 novembre, in una Napoli primaverile, accogliente e misterica, si è svolto il XVI Convegno Triennale sui problemi clinici e sociali dell’emofilia e delle malattie emorragiche congenite.
Per le Associazioni sono momenti di grande importanza, perché permettono l’aggiornamento sia clinico che terapeutico e riteniamo che questo non sia tanto un privilegio, quanto piuttosto un’occasione di formazione, necessaria e condivisibile, tra tutti gli attori del poliedrico microcosmo rappresentato dall’emofilia. Crediamo che mai come negli ultimi anni sia stato dato grande spazio all’ascolto dei bisogni, a volte anche non strettamente clinici dei pazienti, con l’intento di offrire un miglioramento nella qualità della loro vita; eppure a molti di essi sembra che, al di là della volontà di tutti, qualcosa si sia inceppata e si abbia difficoltà a passare dalle parole ai fatti.
La vita insegna che ognuno interpreta un ruolo, cercando di portare avanti i propri interessi e in una comunità rappresentata da strutture molto diverse tra loro, quali associazioni, case farmaceutiche e comunità scientifica, trovare un equilibrio comporta un costante impegno.
L’ideale sarebbe che ognuno lavorasse con un obiettivo comune e nel rispetto reciproco di doveri e diritti, ma la piramide sociale sembra alzarsi sempre più e la comunicazione tra le parti è nebulosa nonostante i proclami di lavorare sullo stesso piano e concedere gli stessi spazi.
Senza fare ricerche socio-antropologiche o trovare attenuanti, resta da dire che solo una forte coesione associativa può fronteggiare la confusione.
Napoli è stata la riprova che gli spazi dedicati all’ascolto devono rafforzarsi e ci auguriamo che sempre più si parli di come garantire l’accesso ai nuovi prodotti, per i pazienti, oltre che spiegarne le caratteristiche farmacologiche.
Ora più che mai occorre focalizzarsi sui temi e progetti costruttivi e non disperdere energie, individuare i soggetti disposti ad impegnarsi con costanza e competenza, valutare e fronteggiare il ricambio dei medici esperti.
Soprattutto fare formazione ed educare all’impegno le generazioni nuove, assegnando loro il compito di rinnovare, facendo sì che le competenze e l’esperienza precedenti rimangano solida base su cui costruire il domani.
Ma anche imparare a padroneggiare la tecnologia per far sì che essa diventi strumento di informazione nelle nostre mani e non il contrario.
Al di là infatti dei tanti strumenti disponibili per ottenere informazioni, rimane sempre una larga fascia di persone che ad essi non accedono.
La rete non raggiunge tutti e pur non essendo questa la sede per individuarne le cause, ne consegue che, il più delle volte, chi ha bisogno di conoscere, resta tagliato fuori.
A tale scopo noi continuiamo ad esserci, per cercare di raggiungere il maggior numero di persone e dare loro un’indicazione.
Con la comunicazione si dà ascolto ai bisogni, da questi nascono le alleanze e le strategie, infine con un briciolo di sfrontatezza e potenza di idee, si può sperare in un miglioramento.

Maria Serena Russo

Avevamo veramente l’imbarazzo della scelta sul come e con quali notizie iniziare a parlare del triennale di Napoli, forti ancora di più delle parole pronunciate in apertura dal prof. di Minno, presidente uscente di AICE, che ha constatato come ormai le associazioni dei pazienti possano stare di diritto anche nei convegni più strettamente medici.
Ha riconosciuto, ora ufficialmente, che siamo pazienti non soltanto “informati”, ma partecipi attivi di tutte quelle attività legate anche alla cura ed alla conoscenza delle novità di tipo scientifico.
Detto questo però abbiamo scelto di partire con le notizie della Federazione.
Per fare questo ci siamo rivolti alla riconfermata presidente Cristina Cassone.
“Ricominciare un altro triennio – ha affermato – con una rinnovata fiducia da parte di tutte le associazioni presenti è una responsabilità importante, un compito che condivideremo  con il neo direttivo composto da: Luigi Ambroso, (AVEC-LAGEV) Francesco Cucuzza (ASE), Anna Fragomeno (ARLAFE) ed Enrico Mazza.
è stato davvero emozionante ricevere tanti attestati di stima e di affetto da parte di chi ha partecipato alla scorsa assemblea dell’11 Novembre.
Come al solito non ci siamo limitati al momento della votazione ma ci siamo soffermati sulle attività svolte e su quelle che si intendono portare avanti  ospitando per la prima volta anche l’avvocato che sta seguendo il processo di Napoli.
L’intento di tutti è quello di dare continuità all’attività istituzionale, per dare risposte concrete ad i bisogni rimasti insoddisfatti, dedicarsi al tema della giustizia, che entro fine anno dovrebbe concludersi sia in tema di equa riparazione che in sede penale, soffermarci sull’importanza della collaborazione con le associazioni, con AICE e Fondazione Paracelso.
I presupposti  per ricominciare sono incorraggianti, l’attività è ripresa da subito con la partecipazione da parte del nuovo direttivo agli eventi locali e nazionali che si sono tenuti dopo l’assemblea.
C’è una rinnovata energia e molto entusiasmo da parte dei neoeletti a proporre nuove attività e a portare avanti le progettualità in corso coinvolgendo tutte le associazioni.
Personalmente ringrazio il direttivo uscente per le belle parole e per la disponibilità che ci hanno  confermato, un ringraziamento particolare va a  Stefania, che, seppure non ufficialmente, continua e continuerà a collaborare con la Federazione.
Lei ed Enrico si dedicheranno  in particolare al Comitato Giovani, alla scuola Fedemo, alla comunicazione sui social e a mantenere unito questo bellissimo gruppo di ragazzi che sta crescendo e si sta affiatando sempre di più.
Le cose da fare sono ancora tante ma quando c’è volontà e armonia si lavora con più facilità.
Ringraziamo tutti per la fiducia, e per la numerosa partecipazione sia in assemblea che al triennale  anche da parte delle famiglie.
Un ringraziamento personale e particolare a quelle dell’ABCE sempre unite e pronte, che anche questa volta al ritorno dal triennale mi hanno preparato una bellissima sorpresa.
Un grosso grazie allo staff per il supporto, la disponibilità e l’operatività.
Adesso si riparte!”.

Le abbiamo anche chiesto di stilarci un bilancio del suo primo triennio, anche se nel precedente numero del giornale ne avevamo parlato abbondantemente.

“Un bilancio delle attività che abbiamo svolto quest’anno?
Andando in ordine cronologic, un risultato importante è stato quello della estinzione della cura dell’epatite C che grazie all’introduzione del criterio numero 8 da parte di AIFA, permette a tutti i pazienti affetti da emofilia di accedere alle cure. risolutive
Tutto questo grazie al sostegno di una campagna avviata “Senza la C” con altre associazioni su un tavolo tecnico che si era istituito a livello della regione Lazio ma anche con incontri individuali all’interno di AIFA insieme ad AICE.
Il risultato ottenuto è molto importante perché permette agli emofilici positivi all’HCV l’accesso a queste terapie e di guarire in poche settimane.
Poi c’è stato quello delle patenti.
Prima i pazienti emofilici venivano posti a revisione per valutare la idoneità della patente di guida con intervalli di tempo ristretti rispetto ad altri perché c’era una preclusione dovuta dalla lettera G inserita nell’articolo 20 del regolamento tecnico al codice della strada che poneva questi limiti a coloro che erano affetti da malattie del sangue.
Fortunatamente dopo tante insistenze all’interno del Ministero delle Infrastrutture con l’intervento anche del Ministero della Sanità, siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo.
Ora la preclusione non esiste più.
Da quest’anno abbiamo intrapreso un altro percorso molto importante, quello delle commissioni miste AICE e FedEmo che vede i pazienti insieme ai medici combattere per quelli che sono i nostri diritti.
Il prossimo impegno riguarda il prepensionamento.
Ci stiamo lavorando da un po’ di mesi ed abbiamo avuto comunicazione che finalmente è approdato sia all’ordine del giorno del consiglio dei ministri, quindi molto recente, la notizia che il documento è alla Commissione del Senato.”

A Napoli abbiamo ascoltato anche le numerose iniziative messe in cantiere in questi anni dalla Fondazione Paracelso.
Rimandando i nostri lettori ai prossimi numeri del giornale per l’approfondimento anche di queste iniziative, abbiamo ascoltato le parole del presidente Andrea Buzzi che nel corso di una breve intervista ci ne ha elencato alcune di particolare rilevanza.

“…NONOSTANTE L’EMOFILIA”
La Fondazione Paracelso ha presentato i risultati della parte qualitativa di uno studio psicologico condotto in collaborazione con l’Università degli studi di Milano sulla resilienza negli emofilici italiani (pubblicheremo in proposito nel prossimo numero del giornale un’intervista al dott. Luca Negri che ha tenuto la relazione – N.d.R.)
“La resilienza – ha detto Andrea Buzzi – è stata indagata in tante categorie di pazienti mai sugli emofilici. Abbiamo condotto questo studio che è durato alcuni anni con interviste dirette con i pazienti e le famiglie.
Siamo partiti dal concetto che noi non siamo un istituto di ricerca, siamo un organizzazione di pazienti quindi ci interessava esplorare un campo dove nessuno era mai andato a indagare ma anche mostrare come si possa reagire ad una condizione patologica, sia come pazienti che come genitori con maggiore o minore resilienza cioè con la capacità poi di reperire risorse e di considerare una malattia che nessuno vorrebbe mai avere come un’opportunità e in tanti casi questo può essere.
Ci interessava far vedere da una parte soprattutto i genitori  che hanno sempre lo spettro della diversità e temono che l’emofilia sia un impedimento alla realizzazione della vita e alla vita vissuta pienamente dei loro figli come invece poi l’incontro con una malattia possa essere l’opportunità che riesce a tirare fuori anche risorse che non si sapeva di possedere.
Dall’altra parte ci interessava mostrare ai medici come ci sia tutto un altro mondo rispetto alla condizione puramente patologica che necessita di attenzione.
Alla fine il modello biomedicale cioè la gestione tecnica della malattia non è sufficiente a creare il benessere della persona, deve essere la persona con la condizione cronica e complessa come l’emofilia ha bisogno di tutta una serie di considerazioni, alla fine la considerazione della persona nella sua totalità.
E poi presenteremo questo progetto che abbiamo svolto a vantaggio di un piccolo gruppo di adolescenti, nessuno aveva mai fatto nulla per gli adolescenti in questo ambito naturalmente perché si è sempre un po’ spaventati dall’adolescenza perché si pensa e certe volte è anche vero che gli adolescenti sono difficili da trattare, che non siano interessati ad un progetto sociale, noi abbiamo pensato visto che si parla tanto di compliance , c’era uno spettro che aleggiava, per carità il progetto non pretende di dire una verità sugli adolescenti e in assoluto, abbiamo preso un piccolo gruppo di persone e abbiamo proposto delle attività che non erano centrate sull’emofilia.
In questo progetto che si è articolato in due incontri residenziali cioè uno di 3 giorni e uno di 2 giorni a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, con la collaborazione di due storiche collaboratrici di Fondazione in particolare una formatrice di gruppi e di una counselor, noi abbiamo proposto ai ragazzi delle attività dove l’emofilia non è stata nominata quasi mai però era sempre presente.
Volevamo dare considerazione a queste persone senza ignorare l’emofilia e senza metterla in centro alla tavola come dire mettiamo l’emofilia al suo giusto posto e il risultato è stato straordinario per noi soprattutto per l’interesse che i ragazzi hanno dimostrato.
Questo è un messaggio di normalità nel caso di una malattia possono condurre una vita normale.
Abbiamo sentito virtualmente i figli dei genitori con cui abbiamo avuto relazione e abbiamo relazioni da anni e ci interessava capire e dire e poi abbiamo fatto  un giochetto di dire ai genitori “lo sapete che cosa pensano i vostri ragazzi della propria condizione?” e ai ragazzi “lo sapete che cosa pensano i vostri genitori della vostra condizione?”.
Tengo a precisare che il gruppo per quanto piccolo era rappresentativo perché lì dentro c’erano ragazzi che avevano livelli differenti di gravità e anche di conseguenze della malattia, c’erano qualcuno che aveva un danno articolare piuttosto consistente soprattutto perché sono ragazzi dai 15 ai 17 anni e qualcuno che stava molto bene.
Per nessuno in realtà la percezione dei ragazzi era molto diversa da quella dei genitori e un’altra delle tante cose interessanti e sorprendenti è che da questi ragazzi sono arrivate domande interessanti e una serie di curiosità non necessariamente in ambito clinico ma per esempio di curiosità storiche tipo a me hanno chiesto “com’era essere emofilico ai tuoi tempi?”, è una domanda che nessun genitore mi ha mai fatto ed è stato molto divertente vedere qual era la differente prospettiva fra chi la condizione la vive e chi si immagina come venga vissuta dai propri figli”.

Non è stato quindi un caso se durante lo svolgimento della sessione su temi sociali, alla quale ha fatto riferimento Andrea Buzzi, sia stato proiettato un piccolo filmato sulla vacanza in Romagna (riprodotta nel titolo) che si svolge da tredici anni  alla quale partecipano dai 30 ai 40 ragazzi dai 9 ai 13 anni.
Un’esperienza diversa da quella raccontata da Andrea Buzzi ma sempre rivolta ai giovani che ogni anno di arricchisce.
Quella raccontata da Buzzi intitolata “Nonostante l’emofilia”, indagine qualitativa sugli atteggiamenti resilienti degli emofilici italiani e le loro famiglie”  che illustreremo nel prossimo numero del giornale attraverso un’intervista a Luca Negri.

1 – Continua

 

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